A proposito de Il codice da Vinci di Dan Brown

Pagina creata da Luigi Pasini
 
CONTINUA A LEGGERE
A proposito de Il codice da Vinci
                               di Dan Brown
             mia conferenza a incontro pubblico presso il Liceo Cattaneo di Torino a.s.2004-5

Vorrei dire anch’io la mia riguardo il libro di Dan Brown, Il codice da Vinci. L’ho letto, ed ho
letto anche quello che lo precede idealmente, e cioè Angeli e demoni. Devo dire che li ho finiti
velocemente ma, a differenza di molti i quali dicono di avere avuto quasi delle rivelazioni in
seguito alla lettura di quei due testi, a me non ha/hanno fatto salire il sangue alla testa né mi
ha/hanno suscitato particolari emozioni. Insomma, ben scritto/ben scritti ma l’ho
considerato/li ho considerati solo un romanzo e non la verità rivelata. Invece sembra appunto
che moltissime persone abbiano scoperto la verità o quasi: considerano l’opera di Brown come
una sorta di testo storicamente fondato, che direbbe finalmente la verità dopo secoli di
oscurantismo religioso! È proprio questo che mi ha fatto riflettere e che mi porta adesso a dire
qualcosa a riguardo dopo tutta la pubblicità che è stata su questo libro (tra breve uscirà il film
diretto da Ron Howard) ed i soldi che immagino Dan Brown si sia guadagnato lasciando
lavorare la macchina dei mass media.

In primo luogo onore dunque a Dan Brown per i soldi che si è fatto. In secondo luogo però
viene anche da me una fortissima critica nei suoi confronti per i contenuti esposti nel libro.
Libro che, per dirla subito, fu pubblicato nel 2003 ma si riferisce ad una vicenda che è
letteralmente morta e sepolta già nel 2000, e che Dan Brown ha invece abilmente resuscitato
e considerata come fonte principale delle vicende narrate nel suo romanzo. Dico letteralmente
morta e sepolta perché l’inventore del fantomatico Priorato di Sion è stato un francese già
morto, il quale è stato un truffatore che pretendeva di avere diritti su un ipotetico trono di
Francia e voleva restaurare la monarchia accampando dei presunti diritti ma alla fine, cito da
Wikipedia, “sotto giuramento, Plantard ammise che aveva fabbricato tutto…. A Plantard
venne ordinato di cessare e desistere da tutte le attività legate alla promozione del Priorato di
Sion e visse lontano dai riflettori fino alla sua morte, avvenuta a Parigi il 3 febbraio 2000”.

Che dire a questo punto? Lasciamo perdere, no? E invece no, perché il romanzo continua ad
essere un best seller e continua a confondere molte anime in buona fede. Allora ho pensato
che fosse bene mettere i puntini sulle i e dire anch’io la mia riguardo al romanzo. E
cominciamo.

È un romanzo e non un saggio storico né teologico. Eppure nelle prime pagine della prima
edizione del libro di Brown ci sono due affermazioni che lasciano perplessi. La prima dice:
“Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autore e
hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e
persone, vive o defunte, è assolutamente casuale”. Come è noto, questo è messo da ogni
editore per salvaguardare la sua autonomia nei confronti dello scrittore pubblicato. È, direi,
un’ottima scelta perché mantiene la distanza nei confronti del contenuto delle opere edite.
Non solo: ti ricorda che è comunque un romanzo, un’opera di fantasia, non è né vuole essere
un saggio storico. Infatti se prendete un qualunque saggio storico, non troverete mai nelle
pagine iniziali una avvertenza del genere. E così uno si mette il cuore in pace perché sa che il
libro è un romanzo, un thriller, insomma, un’opera di pura fiction. Invece poi, alla pagina 9,
nelle “informazioni storiche”, che, badate, mi dicono nelle edizioni successive del libro sia
stata tolta, Brown dice:“Tutte le descrizioni di opere d’arte e architettoniche, di documenti e
rituali segreti contenute in questo romanzo rispecchiano la realtà”. Allora, come la mettiamo?
Se volessimo fare i pignoli, potremmo comunque notare che Brown ribadisce, anche in questa
seconda citazione che si tratta di un romanzo; inoltre, rispecchiare la realtà vuol dire
semplicemente riferirsi a vicende che hanno il tono della verosimiglianza ma non della realtà e
tanto meno della verità. Pensate ai Promessi sposi. Non è anch’esso un romanzo? Non
rispecchia anch’esso la realtà? Manzoni non si serve forse dell’artificio di un manoscritto?
Siete forse convinti che siano esistiti veramente un Renzo Tramaglino e una Lucia Mondella?

Già da queste semplici osservazioni, il sottoscritto s’è messo il cuore in pace e s’è detto:
“proviamo un po’ a leggere e vediamo cosa ne viene fuori”. Prima, però, per scrupolo, mi sono
anche letto Angeli e demoni ed ho scoperto che quest’ultimo libro è l’antecedente de Il codice
da Vinci. Comunque la conclusione delle mie letture è stata alquanto deludente. Se proprio
volete, è un libro – sono due libri – avvincenti, scritti in modo semplice e già finalizzati ad
essere una probabile sceneggiatura per un prossimo film (come è puntualmente accaduto).
Però, al di là di questo, non mi hanno soddisfatto anzi mi hanno irritato perché molta gente
sembra prendere per vero, per oro colato, quello che viene raccontato da Brown. Ma è
possibile che la gente possa cambiare parere o rimanere dello stesso solo dopo aver letto un
libro? Mi sembra un insulto alla intelligenza comune! Come si può credere ad una cosa
qualunque dopo aver semplicemente letto un libro?

A questo riguardo è meglio spendere due parole. Possibile che una persona possa essere
condizionata a tal punto da un testo scritto? Personalmente lo ritengo un insulto alla mia
intelligenza. Sarà che, per deformazione professionale, sono abituato a leggere le opinioni più
disparate. Ma chiunque, credo, è in grado di leggere opinioni diverse senza per questo
necessariamente cambiare idea ad ogni piè sospinto, a seconda di come tira il vento. Mi
sembra, ripeto, un insulto all’intelligenza media delle persone e alla capacità di discernere il
vero dal falso o il bene dal male. In altri termini, il relativismo di cui oggi tanto si vocifera, è
qualcosa di molto antico e già Socrate lo aveva confutato. Insomma, ritengo che la prima cosa
da fare, la prima regola, quando si vuole esprimere un parere o sostenere un’idea sia quella di
motivarla, giustificarla in maniera documentata e non superficiale. Finché si chiacchiera del
più e del meno può anche andar bene ma quando si entra in un ambito più serio, beh, buona
regola è quella di parlare solo se si ha una opinione adeguata a riguardo altrimenti si sta zitti e
ci si informa meglio. Tutto qui. E questo mi sembra sia capitato col libro di Dan Brown. È
possibile che si prenda per oro colato tutto quello che viene detto nel Codice da Vinci? Mi
sembra una sciocchezza… per non definirla altrimenti.

Un altro appunto. Mi sembra che tutto questo clamore denunci una ignoranza diffusa
soprattutto in ambito storico e religioso. Certo ognuno la può pensare come vuole, ma oggi
molti sembrano vantarsi di non sapere nulla sulle problematiche religiose salvo poi
pontificare altrimenti, pur riconoscendo la loro ignoranza. Il che allora porta a sostenere le
idee più strambe, piene di pregiudizi e, appunto, di ignoranza. Dunque, seconda regola: vi
invito a conoscere meglio la religione, in primo luogo la cristiana – perché siamo figli volenti o
nolenti di duemila anni di cristianesimo - e poi tutte quelle che volete. La conoscenza farà sì
che vi formiate un giudizio e poi… a voi decidere il vero o il falso. Ma, ripeto, prima si conosce
e poi eventualmente si giudica.
Un’ultima cosa, di carattere psicologico. Leggere certi libri ti può far lavorare di fantasia, ci si
può sentire presi da un senso del misterioso, del proibito, del nascosto, e questo ci dà una
sensazione di ebbrezza, di piacere, di scoperta di cose nascoste ai più e rivelate a pochi che
mantengono un segreto a costo della vita. Ci può anche far piacere sentirci superiori agli altri
che…non capiscono nulla e vivono nella loro beata ignoranza. Ma è un atteggiamento di
orgoglio intellettuale che lascia il tempo che trova. Infatti se si approfondiscono poi le cose, si
scopre che non stanno come sembrano.

Vogliamo fare degli esempi prendendoli dal libro? Eccoli.

Una prima osservazione è rispondere all’affermazione secondo cui Gesù si sarebbe sposato
con Maria Maddalena ed avrebbe avuto dei figli! Ci sarebbero ancora in giro dei figli di Cristo,
dei nipoti di Dio! Il buffo è che per motivare questa notizia per lo meno insolita viene detto
che questa informazione fu eliminata dai testi originali (cfr. pp. 134 e 105 de Il codice da
Vinci). Ma se così fosse, allora posso dire tutto e il contrario di tutto! Ad es. che Napoleone in
realtà non era nato in Corsica ma in California, solo che questa notizia è stata finora tenuta
nascosta eccetera eccetera. Nel caso di Dan Brown, sembra che voglia negare, per dirla in due
parole, l’unicità del cristianesimo. Ma allora è una storia vecchia… di duemila anni!

Non è finita. Prendiamo il dipinto della Ultima cena di Leonardo: Dan Brown dice che la
figura accanto a Gesù è una donna e si tratta della Maddalena (cfr. op. cit. pp. 285 ss.). Ma chi
ci dice che sia proprio Maria Maddalena? Non potrebbe essere la Madonna o un’altra pia
donna?è una illazione del tutto gratuita. E se da quello si costruisce tutto un universo, beh,
non so che dire. Anche Tolkien ha creato dal nulla il mondo degli elfi, degli hobbit eccetera
senza però mai pretendere di trasformarlo in verità.

Per non parlare poi della faccenda della dea madre, dell’eterno femminino eccetera. Mi sono
documentato su un testo che ritengo al di là di ogni sospetto, la Storia delle donne edita da
Laterza. Ebbene, ho scoperto delle cose interessanti. Per esempio oggi confondiamo la parola
dea con un essere femminile: ebbene, non è così, come ci dimostra la storia e l’antropologia.
In primo luogo il divino non ha sesso. Le divinità maschili e femminili sono tali per nomi,
attributi, caratteristiche, non tanto proprie ma solo di catalogazione. È una questione di
grammatica, di linguaggio. Ad esempio in greco ci sono due modi corretti per indicare una
dea: nulla ci dice che in una dea il femminile prevalga sullo statuto divino. Ancora una volta,
sembra proprio che sia il dio-divino-maschile a dominare sulla dea. Dunque la dea non è una
donna. Con la virginità divina le parthènoi (Atena, Artemide, Estia) dell’Olimpo affermano
che essere thèa non è essere donna.

Riguardo al femminino sacro, ovvero alla figura della Grande Madre, purtroppo “in fondo non
c’è niente di sicuro”. Per cui essa è un mito, “mito della femminilità in azione come mistero
riconciliatore del mondo”. È dunque una sorta di archetipo, per dirla con Jung, o di una “idea
dominante”, per dirla con Bachofen. Considerare alcune statuette come prova del culto antico
della Grande Madre, è un “libro di immagini senza testo”, è, ripeto, confondere il mito con la
storia. È un sogno, quello di installare una Grande Dea alla testa del pantheon. Mentre nulla
autorizza a proclamare la preminenza antica di una Grande Dea delle origini. È una sorta di
fantasma molto potente ma, appunto, solo un fantasma. È reale come è un fantasma quando
resiste alle prove del reale. In principio poi sembra che non ci fosse una Grande Madre ma
addirittura due madri! Leggiamo dalla Teogonia di Esiodo: da un lato c’è Gaia ma si dimentica
che c’è anche la Notte. In più anche ammesso che all’inizio ci furono le dee, “ora Zeus padre
regna”. Dunque è da relegare nel mondo del passato pre-istorico un potere che adesso di fatto
nella storia non c’è più (e forse in concreto non c’è mai stato). È una mania attuale di una
certa corrente femminista radicale voler vedere per forza alle origini la predominanza
femminile e interpretare con gli occhi di oggi le cose del passato! (ricordiamo en passant
l’inferiorità della donna stabilita da Aristotele). Siamo noi,oggi, che cerchiamo di modificare la
situazione della donna cercando tracce della sua – per noi presunta – uguaglianza o
superiorità nei confronti del maschio. Purtroppo la storia, l’archeologia, l’antropologia ci
dicono il contrario. Le tesi di Brown saranno dunque politicamente corrette, come si dice oggi,
ma non hanno fondamento.

Anche in ambito religioso la subordinazione della donna era in Grecia e a Roma un dato di
fatto: il sacerdozio era maschile (e non aveva nulla a che fare con il clero come lo intendiamo
noi) con l’eccezione delle sei vergini Vestali e della coppia (marito e moglie) dei flamini.

Dunque cosa c’è da stupirci? Perché vogliamo per forza interpretare con le nostre categorie il
passato? Nel passato non c’è mai stata nessuna esaltazione della donna ma anzi è considerato
naturale il suo contrario, la sua subordinazione e inferiorità.

Ai tempi di Gesù, in Israele, le donne sono ad esempio esentate dalla frequentazione delle
cerimonie religiose e in casa le preghiere sono recitate dagli uomini ecc. Gesù sembra operare
una rottura nel senso che ha una relazione molto libera con le donne; si rivolge alle straniere,
a quelle più disprezzate ecc. Ribadisce però che in cielo non ci sono differenze sessuali. Nella
Chiesa inoltre le donne non occupano ministeri particolari (anzi, dal IV al VI secolo i concili
ripeteranno il divieto per le donne di accedere al ministero dei leviti e ciò che è proposto loro
sono gli stati di verginità e di vedovanza consacrata). L’atteggiamento della Chiesa nei
confronti della donna, per quanto riguarda la possibilità che essa diventi sacerdote-
sacerdotessa è sempre stata no, senza che con questo sminuisse il suo valore. Ad ognuno il suo
compito, senza vedere in questo nessuna discriminazione. Anzi, mi permetto di aggiungere
che non dobbiamo mai giudicare la storia con la nostra mentalità: ogni fenomeno va
inquadrato nel suo contesto storico, capendo la mentalità dell’epoca. E comunque Maria non è
addirittura proclamata madre di Dio? E l’annuncio della resurrezione non viene affidato alle
donne? E la genealogia di Matteo non cita ben quattro donne tra le antenate del Messia? E
Cristo non è forse nato da una vergine senza che questo implichi la maledizione e la sua
punizione come avrebbe imposto la mentalità dell’epoca? Nella Bibbia c’è scritto che Dio creò
l’uomo a sua immagine, maschio e femmina li creò (cfr. Genesi,1,27)! Molto peggio la
condizione femminile in tutto il mondo antico circostante!

Quindi le donne avevano un loro ruolo specifico all’interno della chiesa, però il deposito della
fede, l’ortodossia è assicurata dalla successione apostolica e gli apostoli sono esclusivamente
uomini maschi. D’altra parte, non si dimentichi il valore attribuito da sempre alla verginità,
sia maschile che femminile, segno del compimento dei tempi: da qui deriverà più tardi il
celibato ecclesiastico all’interno della chiesa cattolica e ortodossa. Si dice che l’ebraismo
rifiuta il celibato: ma non è esatto! Pensate a Giovanni il Battista, pensate agli Esseni, pensate
al detto di Gesù “ci sono alcuni che si sono fatti eunuchi per il Regno dei Cieli”. Si dimentica
che l’ebraismo e il cristianesimo sono nati dallo stesso ceppo, anzi, al tempo di Gesù, c’erano
tanti ebraismi e appunto Gesù era uno dei tanti: farisei, sadducei, esseni, discepoli del
Battista, e seguaci di Gesù. Mi sembra insomma che ci si arrovelli su minuzie di nessun conto
e si trascuri l’essenziale.

Se scorriamo tra le pagine di questo romanzo, ad un certo punto possiamo imbatterci in
affermazioni del genere: “Tutte le religioni del mondo sono basate su falsificazioni. È la
definizione di “fede”: accettare quello che riteniamo vero, ma che non siamo in grado di
dimostrare”(p. 401). Però poi aggiunge che “vivere in quella realtà aiuta milioni di persone ad
affrontare la vita e a essere migliore”(p. 402). Ma allora come la mettiamo? Allora con una
presunta falsificazione si vivrebbe meglio? Insomma, non è chiaro. Da un lato le religioni sono
false, dall’altro gli uomini vivono meglio sapendo che sono false. C’è qualcosa che mi sfugge.
Alla fine del libro, comunque, il cattolicesimo, con un colpo di scena, riacquista valore: Brown
stempera i toni polemici; è una conclusione oggi di moda, politically correct. Brown dice
inoltre che “sono il mistero e la meraviglia a muovere le nostre anime, non il Graal in se
stesso. La bellezza del Graal sta nella sua natura inafferrabile” (p. 513). Pensate: il Graal non è
più la coppa in cui è raccolto il sangue di Cristo (ma provate a chiedere ad un ebreo se ha
senso che si raccolga il sangue di un morto: vi riderebbe in faccia! Questo per dire che non ha
senso parlare del Graal in quei termini; sono cose inaccettabili e assurde per un ebreo come
era Giuseppe di Arimatea ed erano tutti i discepoli di Gesù). Comunque, almeno in questo, la
soluzione di Brown è diversa. Infatti, che cosa è alla fine il Graal? Ebbene, udite udite: è solo il
luogo dove inginocchiarsi davanti alle ossa di Maria Maddalena (p. 523). Ma se così fosse io
dovrei sprecare un mucchio e mezzo di tempo della mia vita per giungere ad una simile
conclusione? Tutta quella fatica per che cosa? E molti uomini sarebbero morti per custodire
un simile segreto? Anche se alla fine il segreto non è comunque del tutto svelato e il Graal
rimane misterioso: e io dovrei dare credito ad un libro che alla fine lascia insoddisfatti perché
non mi risolve nulla e che conferma allora indirettamente che è stata tutta una invenzione?
Infatti quod gratis adfirmatur, gratis negatur. Insomma, tanto rumore per nulla…

Potrei anche fermarmi qui. Ho detto l’essenziale. Libri come quelli di Brown possono essere
attraenti ma lasciano il tempo che trovano, anzi fomentano la disinformazione, i pregiudizi, la
superficialità e quindi non rendono un buon servizio né alla storia né alla letteratura né tanto
meno agli uomini. Direi di non fare il gioco dei mass media: se invece ne parliamo poco, non
gli diamo molta importanza e lo lasciamo cuocere nel suo brodo, svanirà come neve al sole.
Facciamo una scommessa: chi parlerà ancora tra dieci anni de Il codice da Vinci?

Se volete un elenco dei grossolani errori di Dan Brown nel libro, leggetevi gli interventi di
Massimo Introvigne e di Sandra Miesel.

P.S. Ritengo di aver fatto il mio "mestiere", cioè di aver espresso chiaramente un parere su un
argomento di, come si dice, scottante attualità. Non intendo dire altro proprio per non
suscitare ulteriori polemiche che lasciano il tempo che trovano. La verità è figlia del tempo,
diceva ad es. Bacone. Lasciamo che il tempo faccia il suo corso...
copyright by Ernesto Riva
Puoi anche leggere