Descrivere la traduzione: lo sviluppo di metodologie contemporanee

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Descrivere la traduzione:
        lo sviluppo di metodologie contemporanee
                                                                          FABBRETTI, Matteo

                                                 要約

  本稿「翻訳を記述する―現代における方法論の進化」は,西洋における翻訳の思想について,
その起源から現代までの変遷をたどる。その際に,最重要な理論家と,実践者たる翻訳家の言
葉をひろっていく。そして,歴史をこえた翻訳の規範性が,いかにして 20 世紀半ばにおいて翻
訳学の理論的支柱を作りえたかみていくであろう。さらには,翻訳学にとってより新しいアプ
ローチも提示する。すなわちフェミニズムやポストコロニアル,非専門的な角度からのそれで
ある。

    Gli scritti documentati sul tema della traduzione nella civiltà occidentale risalgono ai tempi
antichi del mondo greco e romano. La pratica della traduzione è stata cruciale per la diffusione di
importanti testi e concetti, e modi diversi di tradurre sono stati discussi, fra altri, da Cicerone (106
a.C. - 43 a.C.), Orazio (65 a.C. – 8 a.C.) e San Girolamo, (347 – 419). Questa illustre genealogia ha
esercitato una influenza importante sul pensiero Occidentale sul tema della traduzione, ma è solo a
partire dalla seconda metà del ventesimo secolo che lo studio sistematico della traduzione e la
disciplina accademica degli studi della traduzione (in inglese, Translation Studies) comincia.
    In questo periodo di circa duemila anni, la discussione principale sulla traduzione si centra sul
tema ricorrente della traduzione letterale (parola per parola) e libera (senso per senso). Questo
tema ha dominato la maggior parte della teoria della traduzione fino al ventesimo secolo, “emerging
again and again with different degrees of emphasis in accordance with differing concepts of
language and communication” (Bassnett 2013: 53).
    Secondo Jeremy Munday, la distinzione tra la traduzione letterale e libera risale a Cicerone.
Munday cita lʼintroduzione di Marco Tullio Cicerone alla sua traduzione dal Greco delle orazioni di
Eschine (389 a.C. – 314 a.C.) e Demostene (384 a.C. – 322 a.C.):
         And I did not translate them as an interpreter, but as an orator, keeping the same ideas
         and forms, or as one might say, the ʻfiguresʼ of thought, but in language which conforms
         to our usage. And in so doing, I did not hold it necessary to render word for word, but I
         preserved the general style and force of the language.
                                                  (Cicero 46a.C/1960 AC: 364 in Munday 2016, 31) 1)
    Il discredito della traduzione letterale è un tema ricorrente in questi antichi scritti, per esempio
Orazio descrive il fine della traduzione la produzione di un testo poetico esteticamente piacevole e

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creativo (Munday 2016, 31). Questa attitudine ha avuto una grande influenza nei secoli successivi, e
anche San Girolamo cita lʼautorità di Cicerone nel giustificare la sua revisione in latino della
traduzione della Bibbia, conosciuta come La Vulgata, la prima traduzione completa in lingua latina
della Bibbia. Munday riporta un passaggio da una lettera scritta da San Girolamo dove il teologo
spiega il suo approccio alla traduzione:
          Now I not only admit but freely announce that in translating from the Greek – except of
          course in the case of the Holy Scripture, where even the syntax contains a mystery – I
          render not word-for-word, but sense-for-sense 2).
                                                             (St Jerome 395/1997: 25 In Munday 2016, 32)

     La storia della teoria della traduzione procede per secoli in questa maniera sconnessa, nella
forma di prefazioni e commenti che spesso ignorano, o non sono a conoscenza, di scritti precedenti.
Questa progressione disordinata è in parte responsabile, secondo Flora Amos, per la lentezza che
ha afflitto la capacità dei traduttori di mettere per scritto, in maniera chiara e inequivocabile, i loro
scopi e metodi (Amos 1920/1973: x in Munday 2016, 40).
     Un esempio di questo problema si può osservare nel modo in cui gli antichi traduttori spesso
differiscono in maniera considerevole nellʼuso di termini come fedeltà, accuratezza, e persino
nellʼuso del termine ʻtraduzioneʼ stesso (Amos 1920/1973: xi in Munday 2016, 41). Per esempio, il
concetto di fedeltà fu inizialmente respinto da Orazio come traduzione letterale, parola per parola.
Fu solo nel sedicesimo secolo che il concetto di fedeltà viene a essere associato con fedeltà al
senso, invece che alle parole dellʼautore (Kelly 1979, 205 in Munday 2016, 41).
     Una tappa fondamentale nel processo dello studio sistematico della traduzione avviene in
Inghilterra nel sedicesimo secolo, quando intellettuali e poeti Inglesi si imbarcano nella traduzione
in inglese di versi classici greci e latini. In questo contesto, la traduzione viene a essere valutata
come un esercizio in creatività, e di conseguenza viene favorito un approccio estremamente libero.
Ma, secondo Amos, lʼaspetto più interessante è che gli intellettuali Inglesi hanno la capacità di
spiegare chiaramente i loro obiettivi. (Amos 1920/1973: 137 in Munday 2016, 42).
     Per esempio, il poeta e traduttore inglese John Dryden (1631-1700), nella prefazione alla sua
traduzione delle Epistole di Ovidio, delinea tre categorie di traduzione: ʻmetaphraseʼ (parola per
parola, traduzione letterale), ʻparaphraseʼ (traduzione senso per senso) e ʻimitationʼ (traduzione
libera, che oggi si potrebbe definire come adattamento, per esempio modificare unʼopera letteraria
o musicale per renderla compatibile con un diverso mezzo espressivo. (Dryden 1680/1992: 25 in
Munday 206, 43).
     In generale, Dr yden e gli altri traduttori di questo periodo sono decisamente prescrittivi.
Dr yden, per esempio, chiaramente favorisce la ʻparaphraseʼ ed è critico della ʻmetaphraseʼ e
ʻimitationʼ. I suoi scritti inoltre riflettono il linguaggio del suo tempo, e si rifanno per esempio al
ʻgenioʼ dellʼautore o del linguaggio fonte, alla ʻforzaʼ e lo ʻspiritoʼ del testo originale, e allʼ ʻarteʼ della
traduzione, per spiegare in dettaglio come ottenere una buona traduzione (Munday 2016, 44). Un

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altro lavoro importante sulla traduzione in questo periodo viene composto dallo scrittore e avvocato
Scozzese Alexander Fraser Tytler (1747–1813). Il saggio ʻEssay on the principles of translationʼ
(Saggio sui principi della traduzione), pubblicato nellʼanno 1790, rappresenta il primo studio
comprensivo sulla traduzione. Tytler definisce la ʻbuona traduzioneʼ quella che si orienta verso il
lettore della lingua di destinazione (in inglese, il ʻtarget language readerʼ) e propone che una buona
traduzione non dovrebbe presentare ostacoli o difficoltà per il lettore (Munday 2016, 45).
    In contrasto a questo orientamento verso il lettore, i poeti e filosofi tedeschi del milleottocento,
influenzati dal Romanticismo, intendono la traduzione come un mezzo per arricchire la lingua a la
cultura tedesca. Lo scritto più notevole di questo periodo viene prodotto dal filosofo Friedrich
Schleiermacher (1768-1834). Schleiermacher, nel suo famoso saggio Über die verschiedenen
Methoden des Übersetzens (ʻSui differenti metodi di traduzioneʼ) del 1813, definisce due tipi di
traduttori che lavorano su diversi tipi di testi: quelli che traducono testi commerciali
(ʻDolmetscherʼ) e quelli che traducono testi accademici e letterari (ʻÜbersetzerʼ).
    Secondo Schleiermacher, questo secondo tipo di traduzione letteraria ha la capacità di portare
nuova vitalità a una lingua (Schleiermacher 1813/2012, 44 in Munday 2016). La questione che
Schleiermacher pone è semplice: Either the translator leaves the writer in peace as much as
possible and moves the reader toward him, or he leaves the reader in peace as much as possible
and moves the writer toward him 3) (Schleiermacher 1813/2012: 49 in Munday 2016, 48). Al
contrario della maggior parte della teoria della traduzione fino a questo punto, la strategia che
Scheleimarcher favorisce è la prima: per far apprezzare ai lettori il testo originale, il traduttore lo
deve por tare allʼestero, usando strategie di traduzione alienanti ed estranianti. Secondo
Schleiermarcher, questo era il metodo corretto per introdurre concetti e culture straniere nella
lingua tedesca. Queste idee di Scheiermarcher hanno tuttora una grande influenza nello sviluppo
dello studio della traduzione, particolarmente con i teorici tedeschi dedicati alla teoria dello Skopos
(lo studio della traduzione come attività intenzionale).

          Lo sviluppo della moderna disciplina degli studi della traduzione.

    La disciplina accademica degli studi della traduzione (o, alternativamente, degli studi
traduttivi), nella sua forma contemporanea in lingua inglese, emerge negli anni Settanta. Il volume
edito da Lawrence Venuti, The translation studies reader (Venuti 2000), contiene diversi articoli
fondamentali che segnano lʼinizio di questa disciplina. Fra i più importanti meritano di essere citati
gli articoli di Holmes, Even-Zohar, e Toury.
    Lʼarticolo di James S. Holmes “The Name and Nature of Translation Studies” (Holmes 1972)
(Il nome e la natura degli studi della traduzione) è considerato il documento fondatore della
disciplina degli studi descrittivi della traduzione (descriptive translation studies). Come abbiamo
visto, la maggior parte della teoria della traduzione fino a questo punto venne condotta in maniera
prescrittiva e disorganizzata. Holmes, nel suo ar ticolo, propone un approccio sistematico e

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descrittivo.
     Secondo Holmes la disciplina degli studi della traduzione dovrebbe essere una disciplina
empirica con obiettivi precisi. Prima di tutto: descrivere i fenomeni di traduzione come si
manifestano nel mondo delle nostre esperienze. Secondo: stabilire principi generali che permettano
di spiegare e anticipare questi fenomeni. Questi due rami di studi puri della traduzione vengono
chiamati ʻdescriptive translation studiesʼ (DTS) e ʻtranslation theoryʼ (Holmes 2000, 176).
     Homes inoltre propone tre campi di ricerca descrittiva della traduzione: primo, la ricerca sui
prodotti della traduzione (product-oriented DTS), che si propone di ricercare le traduzioni esistenti.
Questo tipo di ricerca prende come spunto la descrizione di testi e traduzioni individuali, e può
inoltre includere diverse traduzioni dello stesso testo nella stessa lingua o in diverse lingue
(Holmes 2000, 176). La descrizione individuale e comparativa può anche portare allo studio di
gruppi di testi più grandi, per esempio le traduzioni di specifici periodi storici, lingue, o tipi di testi.
     Il secondo ramo di ricerca viene definito da Holmes come “function oriented DTS” (Holmes
2000, 177). Questo tipo di ricerca si incentra sul contesto socio-culturale che circonda le traduzioni
e la traduzione, e ha come obiettivo capire quali testi furono tradotti (o non tradotti!) in un
par ticolare periodo storico o in un par ticolare luogo, e quali influenze vennero esercitate di
conseguenza. Il terzo ramo proposto da Holmes è quello del “process-oriented DTS” (Holmes 2000,
177). Questo tipo di ricerca si interessa al processo della traduzione, inteso come lo studio di ciò
che avviene nella mente del traduttore nel momento che crea un nuovo testo in una lingua diversa.
Questo tipo di ricerca viene generalmente svolto in condizioni di laboratorio, utilizzando per
esempio metodologie empiriche come ʻthink aloud protocolsʼ e ʻeye tracking movementʼ che
of frono una rappresentazione di attività mentali che altrimenti non sarebbero direttamente
osservabili.
     Il secondo ar ticolo che merita di essere menzionato qui è “The Position of Translated
Literature within the Literary Polysystem” (Even-Zohar 2000). In questo articolo, Itamar Even-
Zohar discute la posizione e la funzione della letteratura in traduzione nel contesto dei sistemi
letterali nazionali. Secondo Even-Zohar, la letteratura straniera tradotta viene a occupare posizioni
diverse a seconda della funzione che occupa. In circostanze normali, la letteratura tradotta di solito
occupa una posizione periferica, e segue i modelli stilistici del canone letterario domestico.
     Even-Zohar propone lʼipotesi che ci sono tre situazioni nelle quali la letteratura straniera
tradotta può venire a occupare una posizione centrale in un sistema letterario straniero: uno,
quando una letteratura è ʻgiovaneʼ; due, quando una letteratura è minore o ʻdeboleʼ nel contesto di
corrispondenti letterature nazionali; tre, quando avvengono crisi o punti di svolta o vuoti letterari in
una letteratura nazionale (Even Zohar 2000, 194). In queste situazioni, la letteratura straniera può
venire a svolgere una funzione innovativa per arricchire il repertorio letterario di una nazione, ed e
quindi anche più probabile che la traduzione venga condotta con lʼintenzione di introdurre nuovi
modelli letterari, nuovi linguaggi poetici, e nuove tecniche di composizione. Queste priorità quindi
avranno un effetto sia sul tipo di testi stranieri selezionati sia sul modo in cui vengono tradotti

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(Even-Zohar 2000, 193).
     La ricerca di Even-Zohar viene a influenzare il quella del suo studente Gideon Toury. Il volume
di Toury ʻDescriptive Translation Studies and beyondʼ (Toury 2012) sviluppa le idee di Even-Zohar
e introduce il concetto di norme della traduzione (translation norms) che tuttora domina lo studio
descrittivo della traduzione. Secondo Tour y, la traduzione è una pratica sociale: I traduttori
professionisti sono soggetti a forze e vincoli socio-culturali che in pratica possono essere teorizzati
come ʻistruzioniʼ che regolano il comportamento dei traduttori. Secondo Toury:
             Norms have long been regarded as the translation of general values or ideas
             shared by a community – as to what would count as right or wrong, adequate or
             inadequate – into performance ʻinstructionsʼ appropriate for and applicable to
             concrete situations 4). (Toury 2012, 63).

     In pratica, le norme della traduzione teorizzate come ʻistruzioniʼ appar tengono sia alla
comunità (intesa come la comunità a cui appartiene il traduttore), sia al traduttore. In altre parole,
queste norme sociali vengono internalizzate dal traduttore nel processo di socializzazione che ha
luogo nella formazione professionale dei traduttori. Queste istruzioni quindi rappresentano vincoli
(nel senso che restringono le possibili scelte del traduttore) ma inoltre guidano e semplificano il
lavoro del traduttore. Nella formulazione di Toury, le norme della traduzione non sono rigide come
le regole o le leggi. Le norme possono venire contestate, e diverse norme possono co-esistere nello
stesso campo di traduzione. Il carattere mutevole delle norme rende possibile il processo di cambio
e innovazione. Per ogni problema, i traduttori possono quindi decidere di assecondare le norme
stabilite dalla comunità, ma hanno anche la capacità di negoziare queste norme, o di sovvertirle.
     Lʼ obiettivo degli studi descrittivi della traduzione, secondo Toury, è in primo luogo ricostruire
le norme di traduzione vigenti in un certo luogo o periodo storico che hanno potenzialmente
influenzato il lavoro dei traduttori. La metodologia che Tour y propone prende come punto di
partenza i problemi di traduzione: confrontando il testo di fonte e il testo di arrivo, il ricercatore
risale ai problemi di traduzione affrontati dal traduttore e quindi alle strategie adottate per risolvere
questi problemi (Toury 2012, 117). Lʼuso consistente di certe strategie dunque suggerisce un certo
orientamento, verso la lingua e la cultura di fonte o verso la lingua e la cultura di arrivo. Questa
prima fase di studio è descrittiva, e si basa sullʼanalisi di un testo o di un corpus di testi
sufficientemente rappresentativi di un periodo storico o genere per garantire validità empirica. Le
norme di traduzione sono comunque costrutti teoretici, e vengono formulate nella forma di ipotesi
testabili.
     In una seconda fase, la ricerca sulla traduzione si pone lʼobiettivo di spiegare le origini delle
norme di traduzione ipotizzate. Qui Toury si ricollega alla ricerca di Even-Zohar e propone una
visione più ampia dello studio delle traduzioni che va oltre la descrizione (dunque il ʻbeyondʼ del
titolo). Tour y propone diverse ipotesi che altri ricercatori possono cercare di confermare, o
confutare, con studi empirici sulla traduzione. Un esempio delle ipotesi generali proposte da Toury

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è lʼidea che più la composizione del testo di fonte viene presa in considerazione nella formulazione
della sua traduzione, più ci si può aspettare che la traduzione por ti segni di inter ferenza 5)
(linguistica e culturale) (Toury 2012, 312).
      Inoltre, Tour y aggiunge, la tolleranza verso lʼinter ferenza – e quindi tolleranza verso la
manifestazione di interferenza – tende ad aumentare quando la traduzione avviene da una lingua o
una cultura considerata prestigiosa, specialmente se la cultura di arrivo viene considerata ʻminoreʼ o
ʻdeboleʼ in qualche senso 6) (Toury 2012, 314). Per finire, Toury argomenta che lʼindesiderabilità
dellʼinterferenza in traduzione non è ʻnaturaleʼ ma è sempre una funzione di fattori socio-culturali, e
che differenti comunità differiscono in termini di resistenza verso lʼinterferenza 7) (Toury 2012,
313).
      Un esempio pratico dellʼapplicazione di queste idee viene fatto da Javier Franco Aixelá nel
campo della traduzione scientifica (Aixelá 2009). Aixelá discute la traduzione di testi scientifici
dallʼinglese allo Spagnolo, e nota la numerosa presenza di neologismi Inglesi. Lʼipotesi di Aixelá è
che la presenza di interferenza in traduzione dallʼinglese viene favorita dalla comunità scientifica
spagnola sia per la necessità di adottare le convenzioni dei giornali accademici internazionali
pubblicati in inglese, sia per evitare la creazione di nuovi termini di dubbia popolarità 8) (Aixelá
2009). Questo riportato è solo un esempio per illustrare il tipo di domande cui la disciplina degli
studi descrittivi della traduzione cerca di rispondere.
      Lʼempirismo della metodologia descrittiva proposto da Toury può venire criticato perché non
considera gli interessi personali (vested interests) che inevitabilmente guidano la selezione di un
particolare problema o di un gruppo di testi per lo studio delle norme della traduzione (Pym 1998,
24). Di conseguenza, la disciplina degli studi traduttivi, armata con queste chiare metodologie
empiriche inspirate dalle scienze sociali, a partite dagli anni Novanta integra approcci decisamente
più ʻattivistiʼ, che hanno come fine non solo la descrizione, ma anche la critica culturale. Per
esempio, Lawrence Venuti, nel suo volume ʻThe Translatorʼs Invisibilityʼ (1995), traccia una
genealogia di pratiche di traduzione alternative che hanno come fine la resistenza a quella che
Venuti critica come ʻdomesticazioneʼ dei testi stranieri tradotti in inglese, in particolare nel contesto
delle traduzioni poetiche e letterarie in America a partire dal dopoguerra.
      Altri ricercatori adottano una posizione femminista (Von Flotow 1997, per esempio), con
lʼobiettivo di recuperare e promuovere testi letterari di scrittrici donne ʻpersiʼ nella storia delle
letterature (Von Flotow 1997, 30). Simili approcci teorici vengono adottati nel contesto degli studi
della traduzione post-coloniale (Bassnett e Trivedi 1999), dove la traduzione viene criticata per
come ha facilitato scambi culturali ineguali fra le colonie e i colonizzatori (Bassnett e Trivedi 1999,
5).
      In conclusione, vorrei qui introdurre uno sviluppo recente nel campo degli studi della
traduzione che mi è di particolare interesse. Si tratta dei fenomeni di traduzione amatoriale che di
recente sono emersi su internet; fenomeni che riguardano il Giappone in gran parte, dove per
esempio testi che per diverse ragioni (economiche, politiche, estetiche) non ricevono traduzioni

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ufficiali, e che vengono invece tradotti da traduttori non-professionali e rilasciati su internet gratis.
Questi fenomeni riguardano, per esempio, i manga e gli anime giapponesi, e altri testi simili
(videogiochi, visual novels, etc.). La mia ricerca si interessa sia a come questi fenomeni di
traduzione amatoriale influenzano la rappresentazione della cultura visuale giapponese allʼestero,
per esempio tramite lʼuso delle note del traduttore (Fabbretti 2016) sia a come nuove pratiche di
traduzione emergono in questi ambiti, per esempio nel campo della traduzione dal giapponese
allʼinglese come lingua franca, per un pubblico di lettori internazionale (Fabbretti 2017).

Note
  1)“E non li ho tradotti come un interprete, ma come un oratore, mantenendo le stesse idee e forme o, come
    si dice, la figura del pensiero, ma in un linguaggio che si adegua al nostro uso. E così facendo, non ho
    ritenuto necessario rendere parola per parola, ma ho preservato lo stile generale e la forza del linguaggio”
    (la traduzione è mia).
  2)“Io non solo confesso, ma proclamo liberamente che nella traduzione dal greco, con lʼeccezione delle
    sacre Scritture, dove anche lʼordine delle parole è un mistero, non rendo parola con parola, ma senso con
    senso.” (Zanichelli 2010).
  3)O il traduttore lascia lʼautore in pace, per quanto possibile, e porta il lettore verso di lui, o lascia il lettore
    in pace, per quanto sia possibile, e porta lʼautore verso di lui.
  4)Le norme sono state a lungo considerate come la traduzione di valori o idee generali
    condivise da una comunità - su ciò che potrebbe essere considerato giusto o sbagliato, adeguato o
    inadeguato – come “istruzioni” di esecuzione appropriate e applicabili a situazioni concrete (traduzione
    mia).
  5)The more the make-up of a text is taken as a factor in the formulation of its translation, the more the
    target text can be expected to show traces of interference (Toury 2012, 312).
  6)Tolerance of interference – and hence the endurance of its manifestations – tends to increase when
    translation is carried out from a ʻmajorʼ or highly prestigious language/culture, especially if the target
    language/culture is ʻminorʼ, or ʻweakʼ in some other sense (Toury 2012, 314).
  7)The alleged undesirability of inter ference is thus not ʻnaturalʼ in any sense. Rather, if and when
    manifestations of that phenomenon are rejected, its undesirability is always a function of a cluster of socio-
    cultural factors, which may therefore be said to serve as conditions for our law. Here it would be quite safe
    to start by arguing, very generally, that communities differ in terms of their resistance to interference,
    especially of the ʻnegativeʼ type (Toury 2012, 313).
  8)[...] these specialists and their colleagues are already familiar with such terms through their own
    readings and they are easier to import (just copying or slightly adapting) than having to coin new terms
    whose potential acceptance would be at least questionable [...]. Since globalisation means that more and
    more specialists wish to publish their research in international English-language journals, and more and
    more read their bibliography directly in English, there is a growing use of English technical macro- and
    micro-conventions even in publications written originally in the TL, much to the annoyance of purist agents.
    From the point of view of the technical and scientific translator, there are many text types in which, as
    Toury writes in the aforementioned quotation, interference is indeed preferred to ʻpureʼ TL instances.
    (Aixela 2009, np).

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Bibliografia
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