Calcestruzzi rinforzati con fibre di PET

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Calcestruzzi rinforzati con fibre di PET
Calcestruzzi rinforzati con fibre di PET
 Sperimentazioni sull’impiego delle fibre di PET provenienti dalla
 raccolta differenziata nella produzione di conglomerati

Enrico Genova, ingegnere edile - architetto
Salvatore Lo Presti, professore associato (Facoltà di Ingegneria, Università degli Studi di Palermo)
Angelo Mulone, GEOLAB s.r.l

CALCESTRUZZI E SOSTENIBILITÀ
La riduzione delle emissioni di CO2 in atmosfera, il contenimento del consumo di risorse
naturali, il riciclaggio dei rifiuti sono oggi riconosciuti come obiettivi fondamentali per tutti i
settori produttivi. Per quello delle costruzioni e dunque anche per la produzione di
calcestruzzi, il cui consumo a livello mondiale è secondo soltanto a quello dell’acqua [43], una
maggior sostenibilità non può prescindere dal progettare e realizzare opere che siano
durevoli. Eppure attualmente circa un terzo della produzione di calcestruzzi è destinata alla
riparazione e sostituzione di strutture esistenti (non di rado di recente costruzione)[23].
Il quadro normativo europeo è fortemente orientato all’impiego di materiali da costruzione
che rispondano alle esigenze di durabilità, sostenibilità e compatibilità ambientale. Per
rendere più sostenibile la produzione dei calcestruzzi è quindi necessario adoperare materiali
e tecnologie che consentano di ridurre il consumo di risorse, la produzione di rifiuti e le
emissioni di sostanze inquinanti e gas serra in atmosfera [41]. In quest’ottica molte ricerche e
applicazioni riguardano sia i cementi sia gli aggregati.
La produzione di una tonnellata di cemento Portland comporta un consumo energetico
considerevole, che in relazione alla tipologia di processo adottata può essere contenuta fra
2.900 e 3.300 MJ/t di clinker [2, 45]. La riduzione dei consumi energetici è stata possibile
grazie all’introduzione negli ultimi decenni [30] di diverse innovazioni nel processo
produttivo, che consentono anche di contenere le emissioni di CO2 in atmosfera: modificando
le tecniche di macinazione del clinker (che assorbe circa due terzi del fabbisogno di energia
elettrica della produzione di cemento), adoperando combustibili alternativi o adottando
tecniche di cattura e stoccaggio del biossido di carbonio (CCS, Carbone Capture and Storage).
Per ridurre ulteriormente l’emissione di biossido di carbonio specifica di una tonnellata di
clinker è opportuno: rendere più efficiente l’uso del cemento attraverso una corretta
progettazione dei conglomerati (da questo punto di vista rivestono un ruolo importante gli
additivi superfluidificanti) [1, 5, 20]; accrescere l’impiego di cementi speciali ottenuti da
clinker alternativi al Portland (cementi belitici e cementi a base di solfoalluminati di calcio);
soprattutto sostituire parte del clinker con aggiunte minerali e incrementare l’utilizzo dei
cementi di miscela (nel 2010 per la frazione di clinker presente nel cemento, o clinker factor,
CF, è stato stimato un valore medio mondiale di 0,77 contro lo 0,85 del 2003) [30].

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Calcestruzzi rinforzati con fibre di PET
L’impiego di aggiunte minerali consente di riciclare rifiuti altrimenti destinate a discarica,
riduce il calore d’idratazione del cemento, migliora la microstruttura del calcestruzzo e ne
accresce la resistenza chimica nei confronti di molti agenti aggressivi. La cenere volante, in
particolare, è indicata da alcuni autori [20] come il futuro principale sostituto del clinker, dal
momento che la sua considerevole produzione, stimata in cinquecento milioni di tonnellate
nel 2006 [43], la rende una risorsa di ampia disponibilità.
Gli aggregati costituiscono in genere il 70-80% del volume del calcestruzzo, pertanto il
contenimento del loro utilizzo ridurrebbe in modo considerevole non solo le attività estrattive
ma anche il volume dei rifiuti da demolizione. Molti studi e applicazioni riguardano l’impiego
di aggregati derivanti dal riciclo di calcestruzzi dismessi [1, 4, 23, 44]. Inoltre negli ultimi due
decenni si sono moltiplicate le ricerche su aggregati artificiali ricavati da rifiuti solidi di vario
tipo; alcuni sono ottenuti dal riciclo di rifiuti di vetro, da materiali di scarto delle acciaierie,
dalle scorie (opportunamente vagliate e private di sostanze nocive) del processo di
termovalorizzazione dei rifiuti solidi urbani. La maggior parte degli studi riguarda l’utilizzo di
rifiuti plastici come la gomma di pneumatici e i rifiuti di poliuretano espanso, ma anche del
densificato poliolefinico, adoperati principalmente nella produzione di massetti alleggeriti.

IL RICICLAGGIO DEL PET NELLA PRODUZIONE DI CALCESTRUZZI
Dati statistici
Secondo i dati pubblicati da PlasticsEurope [28], la produzione mondiale di materiali plastici è
cresciuta nel 2011 rispetto al 2010 del 3,7 % (10 milioni di tonnellate), raggiungendo circa
280 milioni di tonnellate nel 2011. Un quinto di questa produzione è concentrato in Europa
(Unione Europea, Svizzera, Norvegia), dove la domanda di materiali plastici riguarda
principalmente il settore degli imballaggi (39,4%), seguito da quello delle costruzioni
(20,5%). I sei materiali plastici più diffusi sul mercato sono il polietilene, il polipropilene, il
polivinilcloruro, il polistirene, il polietilentereftalato e il poliuretano. Questi coprono insieme
circa l’80% dell’intera domanda europea di materiali plastici, il 6,5% della quale è costituita
da PET. Secondo le associazioni PETCORE (PET Containers Recycling Europe) ed EuPR
(European Plastics Recyclers) [26, 27] nel 2011 in Europa sono state raccolte per avviarle al
riciclo più di 1,59 milioni di tonnellate di PET, il 9,4% in più del 2010, con una raccolta pari al
51% delle bottiglie immesse sul mercato. Del PET riciclato dalle bottiglie il 50% è stato
adoperato per nuovi imballaggi, il 39% per produrre fibre per imbottiture, tessuti e non
tessuti. Nel “Rapporto sulla Gestione 2012” [3] il COREPLA indica per l’Italia l’immissione al
consumo di 2.052 kton d’imballaggi, quantità leggermente inferiore rispetto al 2011 (2.071
kton), ma comunque molto rilevante. Di queste 2.052 Kton il 22,1% è costituito da imballaggi
(prevalentemente rigidi) in PET. Nell’ambito del consumo domestico (1.321 delle 2.053 kton)
il 23,4 % è costituito da contenitori per liquidi.
La produzione d’imballaggi in PET contribuisce in modo considerevole ad aggravare il
problema delle discariche, soprattutto in scarsità o assenza di una raccolta differenziata dei
rifiuti; il problema appare ancora più grave se si pensa alle centinaia di anni necessarie perché
l’ambiente smaltisca tali imballaggi. In quest’ottica s’inseriscono le ricerche condotte sul
riciclaggio del polietilentereftalato nell’industria del calcestruzzo, in forma di aggregato
leggero strutturale e non strutturale (l’invenzione di S. Lo Presti dell’aggregato leggero di PET,
coperta da brevetto internazionale [15], è stata insignita nel 2007 della medaglia di bronzo al
35ème Salon International des Inventions des Techniques et Produits Nouveux di Ginevra) [11,
12, 17, 18, 21, 22] e di fibre di rinforzo per calcestruzzi [8, 19, 29, 31].

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Stato dell’arte della ricerca
Le ricerche sui calcestruzzi rinforzati con fibre di PET riciclato [8, 19, 29, 31], avviate da S. Lo
Presti nel 2001 e sfociate nel 2003 in un brevetto nazionale [14], sono state condotte su fibre
di varie caratteristiche geometriche, ottenute sia filando prodotti di riciclo del PET [19], sia
dal semplice taglio di bottiglie di PET usate [29, 31]. In base ai risultati conseguiti la ricerca è
stata indirizzata su questa seconda strada, che favorisce anche una maggior sostenibilità della
produzione, essendo le fibre ottenute direttamente dalle bottiglie, senza passaggi intermedi
oltre alla pulitura e al taglio; in questo filone di ricerca s’inseriscono anche i recenti studi di
Pereira de Oliveira et al. (2011) [25]; J.-H.J. Kim et al. (2008) [9], S.B. Kim et al. (2010) [10] e
Won J.-P. et al. (2010) [42] adoperano fibre tagliate da nastri ottenuti dal riciclaggio di
bottiglie di PET. Alcuni studi sono stati condotti su fibre ottenute per estrusione da granuli
(pellets) di PET ricavati dal trattamento delle bottiglie (Ochi et al., 2007) [24] o per estrusione
di ritagli (flakes) di bottiglie (Fraternali et al., 2011) [6]. Nella letteratura scientifica la
maggior parte delle ricerche sull’impiego del polietilentereftalato nella produzione di
calcestruzzi riguarda il riciclaggio del PET nella produzione di calcestruzzi polimerici.

OBIETTIVI E METODO DELLA RICERCA
La sperimentazione qui esposta mira a valutare l’interazione fra conglomerati cementizi e
fibre di PET ottenute per semplice taglio di contenitori per bevande usati. A tal fine è stata
valutata la resistenza a compressione di calcestruzzi con differenti contenuti di fibre di PET; è
stata anche indagata la durabilità di queste ultime se esposte in un ambiente fortemente
basico (qual è la soluzione acquosa che permea la matrice cementizia) ad alte temperature,
condizioni queste che potrebbero presentarsi in alcune applicazioni, ad esempio in una
pavimentazione esterna esposta all’irraggiamento solare.

Gli studi disponibili in letteratura indicano una buona collaborazione meccanica tra
calcestruzzi e fibre di PET di varie caratteristiche geometriche [6, 9, 10, 24, 25]. Per quanto
concerne la durabilità delle fibre in ambiente fortemente basico, secondo Ochi et al. [24] fibre
di PET immerse per 120 ore a 60 ± 2°C in una soluzione ottenuta dissolvendo 10 g di NaOH in
1 dm3 di acqua distillata (soluzione 0,25 M di NaOH) mantengono pressoché inalterata la
propria resistenza a trazione. Del resto un buon comportamento delle fibre di PET in
ambiente alcalino è indicata anche da Silva et al. [42]. Invece Won et al. [42] rilevano una forte
alterazione della superficie delle fibre immerse per 120 giorni in una soluzione a pH 12,6
(ottenuta con 0,16 % di Ca(OH)2, 1 % di NaOH e 1,4 % di KOH), alterazione secondo gli autori
già evidente al trentesimo giorno. Non è tuttavia specificata la temperatura di prova.

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Materiali adoperati
Caratteristiche delle fibre di PET adoperate

Le fibre di PET impiegate nella presente sperimentazione sono ottenute, secondo un
procedimento brevettato [13], da contenitori per bevande usati che, privati delle parti più
difficilmente lavorabili (fondo e collo), sono tagliati in fogli. Attraverso l’azione di strappo
esercitata da tenditori agenti in senso opposto, questi fogli sono ridotti in fibre della larghezza
costante di 2,2 mm e di lunghezza variabile fra 35 e 50 mm. Lo spessore è quello della
bottiglia d’origine, variabile fra 0,12 e 0,26 mm, con un valore medio di 0,17 mm. L’azione di
strappo produce ai bordi della fibra un sistema abbastanza regolare di dentelli ugualmente
orientati, che accresce l’adesione alla matrice cementizia.

Figura 1. Fibre di polietilentereftalato (PET) ottenute da contenitori per bevande usati e adoperate nella
sperimentazione qui esposta

Figura 2. Strappo del foglio di PET effettuato da tenditori agenti in senso opposto

Assumendo rettangolare la sezione trasversale della fibra, il diametro equivalente ha un
valore medio di 0,69 mm e il rapporto d’aspetto risulta compreso quindi fra 51 (per le fibre
lunghe 35 mm) e 72 (per quelle lunghe 50 mm) [40]. Attraverso un picnometro a gas è stata
misurata la massa volumica del PET costituente le fibre, pari a 1,46 kg/dm3.

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Materiali adoperati per il confezionamento delle miscele

È stato adoperato un cemento di tipo Portland al calcare (CEM II/A-LL), di classe di resistenza
42,5 R. Gli aggregati, di frantumazione, sono caratterizzati da dimensioni d/D (in mm) di 0/4
(sabbia), 5,6/11,2 e 10/20 (aggregati grossi) [32]. La massa volumica è di 2,80 kg/dm3 per la
sabbia, 2,79 kg/dm3 per gli aggregati grossi [35]. Delle tre miscele la prima (NFR) è priva di
fibre di PET, la seconda (FR1) le contiene nella misura di 4,5 kg/m3 (3,1% in volume) e la
terza (FR2) nella misura di 6,0 kg/m3 (4,1% in volume).

              Miscela NFR                             Miscela FR1                             Miscela FR2
 Cem II/A-LL 42,5 R        350   kg/m3   Cem II/A-LL 42,5 R        350   kg/m3   Cem II/A-LL 42,5 R        350 kg/m3
 Acqua                     172 kg/m3     Acqua                     172 kg/m3     Acqua                     172 kg/m3
 Add. superfluid. (1,0%)   3,5   kg/m3   Add. superfluid. (1,0%)   3,5   kg/m3   Add. superfluid. (1,0%)   3,5 kg/m3
 Pietrisco 10/20           573 kg/m3     Pietrisco 10/20           568 kg/m3     Pietrisco 10/20           567 kg/m3
 Pietrisco 5,6/11,2        191   kg/m3   Pietrisco 5,6/11,2        190   kg/m3   Pietrisco 5,6/11,2        190 kg/m3
 Sabbia 0/4                1151 kg/m3    Sabbia 0/4                1131 kg/m3    Sabbia 0/4                1123 kg/m3
 Fibre di PET              0   kg/m3     Fibre di PET              4,5   kg/m3   Fibre di PET              6,0 kg/m3

Resistenza a compressione dei calcestruzzi rinforzati con fibre di PET
Per ogni miscela sono stati confezionati in cubiere in PVC dieci provini cubici (di spigolo lungo
100 mm o 150 mm), dei quali due sottoposti a prova di rottura per compressione dopo tre
giorni di maturazione, due dopo sette giorni e sei dopo ventotto giorni [36, 37]. Le prove sono
state eseguite con una pressa Controls (3000 kN) motorizzata con servocomando per il
controllo del gradiente di carico, di classe di precisione 1.

Durabilità delle fibre di PET in ambiente fortemente basico
Sono stati preparati tre campioni, costituiti ciascuno da cinquanta fibre delle caratteristiche
geometriche prima descritte (“fibre corte”), otto fibre aventi la stessa sezione trasversale ma
lunghe da 165 mm a 240 mm (“fibre lunghe”), cinque ritagli di bottiglia delle dimensioni di 25
x 25 ÷ 35 mm. Un campione è stato immerso in soluzione acquosa 0,103 M di NaOH (4,12 g di
NaOH in 1.000 ml di soluzione; pH di calcolo 13, pH misurato 12,6), un secondo in acqua
distillata, il terzo in soluzione 1,75 M di NaOH (70 g di NaOH in 1.000 ml di soluzione).
Quest’ultima soluzione, che riproduce condizioni non riscontrabili usualmente in esercizio,
non è stata adoperata per simulare condizioni di degrado avanzato delle fibre (per le quali si è
impiegata la soluzione a concentrazione 0,103 M di NaOH), ma per comprendere la
vulnerabilità delle fibre di PET in ambienti a concentrazione di alcali molto elevata.

I tre recipienti contenenti le soluzioni sono stati posti per tredici giorni in stufa alla
temperatura costante di 65°C. Dopo tre, sette, dieci e tredici giorni sono state eseguite (con
una bilancia della tolleranza di 0,1 mg) misure di peso di tutti gli elementi costituenti i
campioni (fibre “corte”, fibre “lunghe” e ritagli) e le fibre sono state osservate al microscopio
elettronico a scansione (SEM). Inoltre rispettando le stesse cadenze temporali le fibre
“lunghe” sono state prelevate a coppie e sottoposte a prova di rottura per trazione
adoperando una macchina Galdabini “Micro 2500”.

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RISULTATI DELLA RICERCA
Risultati delle prove meccaniche
I campioni di calcestruzzo non fibrorinforzato (miscela NFR) hanno fornito valori medi di
resistenza a compressione di 38,3 N/mm2 a tre giorni, 47,0 N/mm2 a sette giorni e 53,7
N/mm2 a ventotto giorni di maturazione. Per i campioni con contenuto in fibre di 4,5 kg/m 3
(miscela FR1) i valori medi di resistenza a compressione sono di 36,1 N/mm2 a tre giorni, 46,4
N/mm2 a sette giorni e 48,5 N/mm2 a ventotto giorni. Infine sui campioni con contenuto di
fibre di 6,0 kg/m3 (miscela FR2) è stata rilevata una resistenza media a compressione di 36,2
N/mm2 a tre giorni, 46,8 N/mm2 a sette giorni e 57,5 N/mm2 a ventotto giorni di maturazione.

Figura 3. Il diagramma confronta l’andamento nel tempo della resistenza a compressione delle tre miscele. Le
curve sono costruite sulla base dei valori medi di resistenza meccanica a compressione dopo tre, sette e
ventotto giorni di maturazione.

Dunque la resistenza meccanica a compressione, leggermente maggiore dopo tre giorni di
maturazione per la miscela NFR e con differenze trascurabili fra le tre miscele dopo sette
giorni, assume il suo massimo valore medio a ventotto giorni per la miscela FR2 e il minimo
per la FR1, sottolineando una sostanziale indifferenza all’aggiunta delle fibre.

Per ciascuna miscela sono stati confezionati quattro provini prismatici (di dimensioni
100x100x400 cm per le miscele NFR e FR1 e 150x150x600 cm per la miscela FR2)
successivamente sottoposti a prova di rottura per flessione con applicazione del carico per

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mezzo di due rulli, impiegando una macchina di prova oleodinamica Galdabini tipo “CTM 60”
[38, 39]. La prova è stata condotta su una coppia di provini (per ciascuna miscela) dopo sette
giorni di maturazione e sulla seconda dopo ventotto giorni. Queste preliminari esperienze sul
comportamento a flessione richiedono certamente il conforto di un numero maggiore di prove
(data la maggior dispersione che affligge le prove di rottura del calcestruzzo a flessione
rispetto alle prove a compressione), ma sono comunque indicative dell’influenza non
trascurabile delle fibre di PET nel comportamento post-fessurativo di tipo degradante dei
calcestruzzi rinforzati.           Miscela 2CF/2 con 6.0 kg/m3 di fibre

                       40000

                       35000

                       30000
         Carico [N]

                       25000

                       20000

                       15000

                       10000

                        5000

                           0
                               0   1   2   3       4      5      6      7      8      9   10   11   12   13
                                                                I nflessione [mm]

Figura 4. Diagramma carico-inflessione di un provino prismatico (dimensioni 150x150x600 mm) confezionato
con la miscela FR2 e sottoposto a prova di rottura per flessione dopo sette giorni di maturazione. La
resistenza a flessione ultima è di 4,2 N/mm2
                                               Miscela 2CF/3 con 6.0 kg/m3 di fibre

                       50000

                       45000

                       40000

                       35000
          Carico [N]

                       30000

                       25000

                       20000

                       15000

                       10000

                        5000

                           0
                               0   1   2   3       4     5      6      7      8       9   10   11   12   13
                                                                I nflessione [mm]

Figura 5. Diagramma carico-inflessione di un provino prismatico (dimensioni 150x150x600 mm) confezionato
con la miscela FR2 e sottoposto a prova di rottura per flessione dopo ventotto giorni di maturazione. La
resistenza a flessione ultima è di 5,8 N/mm2

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Durabilità delle fibre di PET

Sono state rilevate una sensibile perdita di peso delle fibre “corte” immerse in soluzione a
concentrazione 1,75 M di NaOH (-42 % rispetto al valore originario) e una riduzione di
spessore di circa un terzo dopo tredici giorni. Le misure condotte sulle fibre immerse in acqua
distillata e su quelle in soluzione 0,103 M di NaOH mostrano invece variazioni trascurabili del
peso, contenute entro la tolleranza della bilancia adoperata (0,1 mg). Risultati analoghi si sono
registrati per le fibre “lunghe” e i ritagli facenti parte di ciascun campione.

Su fibre “lunghe” non soggette a condizioni di prova sono stati misurati valori medi di 4.180
N/mm2 per il modulo elastico e 107 N/mm2 per la resistenza a trazione. Rispetto a queste, le
fibre “lunghe” immerse in soluzione 1,75 M di NaOH hanno mostrato un decadimento delle
prestazioni meccaniche (con una riduzione del 20% del modulo elastico e del 57 % della
resistenza a trazione dopo tredici giorni). Per i campioni in acqua distillata e in soluzione
0,103 M di NaOH si sono rilevate riduzioni del tutto simili di modulo elastico (-12 % in
entrambi i casi) e di resistenza a trazione (-18% per le fibre in acqua distillata e -16 % per
quelle in soluzione 0,103 M di NaOH) rispetto alle fibre non trattate. Nelle fibre in soluzione
0,103 M di NaOH soltanto la deformazione a rottura ha mostrato, a partire dal decimo giorno
d’esposizione, una riduzione più accentuata rispetto a quelle in acqua distillata [7].

Infine sulle fibre in soluzione 1,75 M di NaOH si evidenzia un’alterazione macroscopica della
superficie, che già dopo tre giorni di esposizione si presenta opaca e mostra una riduzione
della dentellatura di bordo. Le fibre degli altri due campioni non mostrano neanche dopo
tredici giorni alcuna differenza d’aspetto né fra loro né con le fibre non soggette alle
condizioni di prova, come confermano le osservazioni al microscopio elettronico a scansione
(SEM).

Figura 6. Immagini al microscopio elettronico a scansione di fibre non soggette alle condizioni di prova

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Figura 7. Immagini al microscopio elettronico a scansione di fibre immerse per tredici giorni a 65 °C in acqua
distillata

Figura 8. Immagini al microscopio elettronico a scansione di fibre immerse per tredici giorni a 65 °C in
soluzione acquosa a concentrazione 0,103 M di NaOH

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Figura 9. Immagini al microscopio elettronico a scansione di fibre immerse per tredici giorni a 65 °C in
soluzione acquosa a concentrazione 1,75 M di NaOH

Figura 10. Confronto tra le mmagini al microscopio elettronico a scansione di fibre immerse per tredici giorni a
65 °C in soluzione acquosa a concentrazione 0,103 M di NaOH (a sinistra) e a 1,75 M di NaOH (a destra)

CONCLUSIONI
L’esperienza condotta studia l’interazione fra calcestruzzo e fibre di PET ottenute dal semplice
taglio di contenitori per bevande usati. Sono state valutate sia l’influenza che differenti
dosaggi di fibre possono avere sulle prestazioni meccaniche del calcestruzzo sia la durabilità
delle fibre di PET in un ambiente fortemente alcalino (qual è la soluzione che permea la
matrice cementizia).

Le prove di resistenza a compressione condotte su campioni cubici hanno evidenziato, in
accordo con i risultati di altre ricerche sperimentate su fibre di PET di differente geometria,
una buona collaborazione con la matrice cementizia, la cui resistenza non risulta inficiata
dall’aggiunta delle fibre. Ciò sembra indicare, con il conforto delle misure di massa volumica

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dei provini, che il sistema dei dentelli di bordo non favorisce un maggior intrappolamento
d’aria nella matrice cementizia, che ne risulterebbe indebolita.

Le fibre di PET sono degradate (- 42 % di peso, - 20 % di modulo elastico, - 57 % di resistenza
a trazione) dall’esposizione a 65°C per tredici giorni ad una soluzione 1,75 M di NaOH, ma
questo ambiente non può a parere degli autori ritenersi rappresentativo di uno stadio molto
avanzato di degrado delle fibre nel calcestruzzo, in quanto riproduce condizioni praticamente
non riscontrabili nelle reali condizioni di esercizio. Già le fibre immerse in soluzione 0,103 M
di NaOH sono soggette a condizioni molto gravose, sia per la continuità dell’esposizione ad
alta temperatura sia per la maggior facilità di trasporto delle macromolecole polimeriche
nella soluzione di prova rispetto a quella che permea la matrice cementizia. Rispetto alle fibre
immerse nelle stesse condizioni di tempo (tredici giorni) e temperatura (65°C) in acqua
distillata, le fibre in soluzione 0,103 M di NaOH hanno mostrato una maggior tendenza a
ridurre la deformazione a rottura superato il decimo giorno di esposizione; invece le riduzioni
rispetto alle fibre non trattate dei valori di modulo elastico (- 12 % per entrambi i campioni) e
di resistenza a trazione (- 18 % per le fibre in acqua distillata, - 16 % per quelle in soluzione
0,103 M di NaOH) sono del tutto paragonabili e quindi ascrivibili all’esposizione ad alta
temperatura più che alla basicità della soluzione.

È opportuno ricercare nuove conferme dei risultati riportati, incrementando il numero dei
campioni sottoposti a rottura per compressione e soprattutto indagando l’influenza delle fibre
sul comportamento a flessione delle fibre; i primi risultati ottenuti, di cui si è data notizia in
queste pagine, sembrano mostrare una buona azione di cucitura delle fibre, come evidenzia
l’elevata deformazione a rottura dei campioni sottoposti a prova. Tuttavia è necessario
svolgere un numero maggiore di prove, soprattutto se si considera la maggior dispersione dei
risultati che le prove di rottura a flessione del calcestruzzo hanno rispetto a quelle a
compressione.

Per quanto concerne la sostenibilità delle fibre è opportuno approfondire l’esperienza
esponendo le fibre alle condizioni di prova per un tempo maggiore ed eseguendo le prove di
rottura a flessione su fibre di lunghezza standard (35 ÷ 50 mm), in modo da contenere la
dispersione dei risultati per effetto della minor probabilità che le operazioni di produzione
producano un indebolimento localizzato della sezione.

I risultati dell’esperienza qui riportata sono comunque indicativi di una buona collaborazione
fra calcestruzzo e fibre di PET; l’esperienza sulla durabilità delle fibre, come già detto,
riproduce condizioni più severe rispetto a quelle che comunemente potrebbero presentarsi in
esercizio. Inoltre le fibre, che hanno un’influenza non trascurabile sul comportamento post-
fessurativo del conglomerato a flessione, non ne inficiano la resistenza a compressione.

RINGRAZIAMENTI
Si ringrazia il personale del laboratorio GEOLAB s.r.l. di Carini (Palermo), presso il quale la
sperimentazione è stata condotta. Si rivolge un ringraziamento particolare al dott. Francesco
Giannici per il prezioso aiuto dato nell’indagine sul comportamento delle fibre di PET in
ambiente fortemente basico.

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