Curzio Malaparte alle isole eolie - Vita al confino, amori e opere Giuseppe La Greca
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Giuseppe La Greca Curzio Malaparte alle isole Eolie Vita al confino, amori e opere Prefazione di Gian Antonio Stella Edizioni del Centro Studi Eoliano www.centrostudieolie.it malaparte_new_2.indd 5 24-04-2012 11:09:18
Curzio Malaparte alle isole Eolie Vita al confino, amori e opere di Giuseppe La Greca © 2012 Edizioni del Centro Studi Eoliano Centro Studi e Ricerche di Storia e Problemi Eoliani Via Maurolico, 15 - 98055 Lipari (Messina) Tel. e Fax 090.9812987 - e-mail: info@centrostudieolie.it www.centrostudieolie.it Design: LE TRE ARANCE, Milano Prima edizione: maggio 2012 Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma elettronica, meccanica o fotocopie senza autorizzazione scritta da parte dei detentori del copyright. Printed in Italy ISBN: 978 88 97088 011 Questa pubblicazione è stata realizzata in collaborazione con: - Ministero per i beni e le attività culturali - Regione Siciliana, Assessorato dei beni culturali e dell’identità siciliana e Assessorato Regionale Turismo, Sport e Spettacolo - Provincia Regionale di Messina - Comune di Lipari malaparte_new_2.indd 6 24-04-2012 11:09:18
Indice Prefazione 11 di Gian Antonio Stella NOTA INTRODUTTIVA 15 di Lina Paola Costa Introduzione 19 Capitolo I 25 L’arresto In viaggio verso Lipari 38 Capitolo II Le Eolie negli anni di Malaparte 41 1933 - 1934 Capitolo III Lipari 51 Le visite Mediche Caro Esilio 64 Senza titolo 69 Fedra 71 Il lebbroso di Lipari 72 La capra prigioniera 76 Sesta Sinfonia 81 L’otre di Ulisse - Epistola a Vincenzo Cardarelli 83 L’inglese in Paradiso Ovvero L’arte di diventare inglese 86 88 Capitolo IV Flaminia 95 Brano 101 Donnamare 103 Donna sul prato 103 Nulla più mi resta di te 104 malaparte_new_2.indd 7 24-04-2012 11:09:19
Capitolo V In giro per l’isola 105 Quattropani 107 Canneto 110 Capitolo VI 113 Vulcano 114 Omertà 116 Madre che cerca il suo bambino 119 Caneluna Capitolo VII 121 Vita a Marina Corta 123 Emigrazione 126 Mattino a marina corta 127 Alba Marina 128 Il Mare Ferito 132 Cani in riva al mare 136 Elegia dell’Alba Capitolo VIII 139 Candido 143 Ulisse in Piazza 147 Scirocco 152 La Murena 156 L’isola di pietra galleggiante 160 Il pianto del mare 165 Capitolo IX Febo 168 Cane come me 171 Febo Cane Metafisico 179 “La Pelle” malaparte_new_2.indd 8 24-04-2012 11:09:19
Capitolo X 185 Addio Lipari L’Albero Vivo 193 Poesia 196 Idillio, I 198 Idillio, II 200 Sparse nel Vento 201 Idillio sesto 205 Ex-voto 207 Le Conchiglie 209 I Cani 210 Disteso fra i sepolcri 211 Non m’accontento più 212 Un tempo era l’orgoglio 213 Idilli e Inni Sacri 214 Capitolo XI 217 Appendice Un Uomo a Lipari 218 L’isola dei Cani 224 Alba Marina 229 Febo Cane Metafisico 230 Capitolo XII 239 Una Breve Biografia La morte di Curzio Malaparte dopo lunghe e gravi sofferenze - di Carlo Bo Malaparte (1959) - di Indro Montanelli Amare l’Italia significa saperne dire male Conclusione 245 Una proposta Bibliografia 247 malaparte_new_2.indd 9 24-04-2012 11:09:19
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PREFAZIONE di Gian Antonio Stella «Al libro, alla falce ed al martello / la borghesia tiranna ci strappò. / I ferri ai polsi, a bordo di un battello / sull’isola lontan ci relegò...» Curzio Malaparte non avrebbe mai potuto riconoscersi, in quel «Canto dei confinati» che spicca tra le più belle canzoni clandestine nate sotto il tallone fascista. Un po’ perché si riferiva in particolare ad Ustica, dove Antonio Gramsci avrebbe scritto per i suoi figlioletti quella meravigliosa favola ecologica che ruota intorno a un topolino che, per farsi perdonare da un bimbo malato cui ha rubato il latte, convince la montagna a dare le pietre al muratore e il muratore a riparare la fontana e la fontana a dare acqua e l’acqua a bagnare il prato e il prato a sfamare la capra col risultato che «il bambino ha tanto latte che si lava anche con il latte». Un po’ perché l’autore de «La pelle» finì a Lipari non perché comunista ma semmai perché, come spiega Giuseppe La Greca nel primo capitolo di questo libro, si considerava un fascista così perfettamente fascista da bacchettare i fascisti «ingrassati» dal potere come Italo Balbo. In una delle strofe di quella meravigliosa canzone, però, avrebbe sì potuto ritrovarsi. Quella in cui i confinati rivendicano, nel loro esilio solitario, la fierezza di non essersi piegati: «Ed or sereni siam sulla scogliera / saldi nell’almo, con la fronte altera». L’aveva già scritto, del resto, nella cella di Regina Coeli dove, dopo il primo sconforto («Le idee mi si spappolano in testa… E se la prigione annullasse in me anche lo scrittore?») aveva confidato nero su bianco: «Non mi sono mai sentito libero come da quando sono entrato in prigione». C’è da credergli: nel momento in cui tutti erano diventati fascisti e osannavano il Duce, quella condanna per «attività antifascista all’estero», se non avesse avuto in allegato un mucchio di problemi a partire dall’impossibilità di scrivere, non doveva poi dispiacergli troppo. In fondo era come se il regime gli avesse confermato la patente del cane sciolto. Patente alla quale teneva più che a qualunque altra cosa. Come avrebbe raccontato anni dopo il comunista e amico fraterno Davide Lajolo a Massimo Fini in uno splendido ritratto su l’«Europeo», Malaparte «non seguiva mai una moda: ci arrivava prima. Poi, quando si accorgeva che arrivavano anche gli altri, si metteva a predicare l’opposto perché era un bastian contrario». Nell’Italia indecisa sull’entrata in guerra non poteva essere che interventista (fino ad arruolarsi sedicenne nella Legione Garibaldina, inquadrata nella Legione straniera francese), nell’Italia liberale ammaccata di Giovanni Giolitti e di Luigi Facta non poteva che diventar fascista (anche se Piero Gobetti lo stimava tanto da pubblicargli «Italia Barbara»: «Pubblico il libro di un avversario ma riconosco in Curzio Suckert la migliore penna del fascismo»), nell’Italia fascistizzata non poteva che convertirsi antifascista, nell’Italia democristiana non poteva che essere comunista. Fino a convertirsi all’ultimo istante al cattolicesimo riponendo la sua anima nelle mani di padre Virginio Rotondi, un gesuita diventato famoso anni prima per una violenta invettiva in un cinegiornale della Incom contro l’ipotesi che il divorzio fosse inserito nella Costituzione: «Dichiariamo che il divorzio è un attentato contro Dio e contro la nazione!». Se la conversione meravigliò il mondo intero, sbalordì su tutti Enrico Falqui: «Malaparte era un ribelle autentico. Non si faceva mettere il basto da nessuno, diavoli o santi che fossero». Un giorno andò a trovarlo alla Sanatrix dov’era ricoverato: «Di fianco, sotto la finestra, su una lunga e stretta mensola di marmo, erano allineati tutti gli idoli religiosi del mondo, da Budda a Cristo. Lo guardai meravigliato. “Curzio, che vuoi dire?”. “Eh, 11 malaparte_new_2.indd 11 24-04-2012 11:09:19
eh, chi m’aiuta m’aiuta”, ghignò lui. E io: “Senti, Malaparte, lo dico per scaramanzia, ma se ti trovassi veramente di fronte a Lui, chiunque egli fosse, cosa faresti, come te la caveresti?” E Malaparte: “Farei quello che ho sempre fatto: protesterei». Certo, avrebbe confermato Lajolo infischiandosene dell’incoerenza, «l’uomo non è un robot. Malaparte in fondo ti fa capire che l’incasellamento, l’adagiarsi su schemi retorici, qualsiasi essi siano, è sempre sbagliato e che la vita va vissuta, ognuno ovviamente nei propri limiti, da primattore». Probabilmente, quel giorno in cui gli dissero che la sua destinazione era Lipari, tirò un sospiro di sollievo ricordando un reportage del grande Mino Maccari. Era stato lui stesso, quando era al timone della Stampa di Torino, dove era diventato direttore giovanissimo a 31 anni (persino Stalin a Mosca, avrebbe raccontato, l’aveva squadrato pensando «così giovane e direttore della Stampa!»), a mandare nel 1930 quel formidabile inviato speciale a farsi un giro tra i confinati. E dopo avere visitato Ponza, Maccari era appunto sbarcato con il piroscafo «Adele» nel porto di Lipari. «L’Adele ha costeggiato il singolarissimo isolotto di Vulcano, sui cui dorsi scabrosi s’arrampicano, come enormi ramarri, vegetazioni selvagge», aveva scritto il giornalista con rara finezza letteraria, «Dai crateri colate lente di zolfo si stendono come sbavature di lumache, dal bagliori di verde smeraldo e dalle trasparenze d’oro pallido; intorno, quasi a formare una sempre rinnovantesi corona, le spirali del fumo alimentano piccole panciute nuvolette che mi fanno ricordare quelle degli shrapnells del tempo di guerra: ma tutto è silenzio, una pace sonnolenta sovrasta». «Poi, verso Lipari, come un fanciullo che invochi l’aiuto del padre. Vulcano stende un moncherino bruciato, dalle piaghe ancora aperte, dove alcune chiazze più chiare sembrano davvero carne nuova di ferita che si rimargini. (…) L’isola è (…) grande, con molte campagne e contrade, con varie industrie, con vari approdi; e il paese è una vera cittadina che raccoglie, essa sola, molte migliaia d’abitanti, e si stende comodamente fra la Marina Lunga e la spiaggia di Portinente. Entro le antiche mura, il castello e gli avanzi di bellissime chiese, che contengono opere d’arte, vegliano grigi e severi sul gregge ordinato di quartieri settecenteschi e ottocenteschi, le cui case sono ornate, quasi ad ogni finestra, di graziosi balconi colmi di piante e di fiori». A suggestionare il grande giornalista, erano state in particolare le strade che («salvo quelle più grandi, dedicate come di consueto agli eroi del Risorgimento») erano «intitolate quasi tutte alle deità pagane; e ho potuto leggere, un po’ sorpreso “Vico Giove”, “Vico Venere”, “Via Marte”, “Vico Proserpina”, “Vico Fortuna”, “Vico Minotauro”, “Vico Urano”, “Vico Apollo”. Mi sembrava d’essere capitato in pieno Olimpo». C’erano in quel reportage annotazioni struggenti: «Nelle straducole appartate gironzolavano uomini montati su minuscoli asinelli, e li usano cavalcare proprio sopra la coda, in modo che questa sembra penzolare piuttosto dall’uomo che dalla bestia… » Va da sé che a un amante appassionato del gentil sesso qual era Malaparte dovettero essere di consolazione, tuttavia, altre annotazioni: «Ho visto donne piacentissime, e giovinette sufficientemente al corrente in fatto di moda e di portamento». Di più: «Nelle vie centrali c’è un certo sfoggio di eleganze maschili e femminili, il passeggio si prolunga fino a tarda ora». Dettaglio interessante, per uno come lui che amava alzarsi a metà mattinata preferendo tirare tardi la sera. Il confino, a differenza di quanto avrebbe detto molti anni dopo Silvio Berlusconi in una sventurata dichiarazione a Boris Johnson e Nicholas Farrell, del settimanale «The Spectator», non era affatto una «villeggiatura». E se anche si trattava di una cosa ben 12 malaparte_new_2.indd 12 24-04-2012 11:09:19
diversa dalle prigionie nei lager nazisti o nei Gulag comunisti, come ha fatto notare Mario Cervi, si trattava comunque di una prigione. Con la consolazione del cielo meraviglioso, delle spiagge bagnate da acque blu cobalto, dei profumi intensi del mare, della menta, del mirto, del rosmarino, di una cucina dai mille sapori. Ma una prigione. Dove i confinati, pur potendo contare su una «varietà di passeggiate alcune delle quali veramente deliziose», non solo non potevano uscire prima che il sole sorgesse o fosse tramontato, ma avevano il divieto di discutere di politica, di conservare somme di denaro in eccesso ai bisogni ordinari, di spedire o ricevere lettere e pacchi se non attraverso la censura della direzione della colonia o di andare in barca per diporto. Insomma, per quanto bella fosse Lipari si trattava di una colorata, bellissima, affascinante gabbia. Che lo stesso Maccari, da vecchia volpe qual era, riuscì a raccontare ai lettori (dopo aver incontrato uno ad uno tutti i prigionieri senza la premurosa sorveglianza della polizia) servendosi di una sottile ironia: «Per entrare nell’ambiente del confino di Lipari ho dovuto, ancora, come a Ponza, pur dolente di mostrarmi un poco sgarbato, sfuggire ad una fitta rete di gentilezze e di continue attenzioni, dovute questa volta soprattutto all’energico dinamico e volitivo Direttore della Colonia, il Cavalier Grasso, Commissario di P.S., siciliano, il quale voleva, con cortese pensiero, risparmiarmi perfino la noia di avvicinare direttamente i confinati, e aveva cominciato con il presentarmeli egli stesso, chiamandomeli nel suo ufficio». Senza dubbio, ammiccava il giornalista facendosi beffe della censura, «la cosa sarebbe stata molto comoda e spiccia, ma ormai io avevo dato alla mia visita un carattere diverso, e ho dovuto far intendere al commissario come non mi convenisse cambiar sistema». Fino all’ultima stilettata, di velenosa leggerezza: «D’altra parte, in sua presenza, poteva darsi anche il caso che qualche confinato alterasse la verità, esagerando i lati meno piacevoli e gli inconvenienti del confino, o tacendo per non far la figura del piaggiatore e dell’adulatore, le benemerenze dello stesso direttore». Sic… Come potevano, i custodi del regime, farsi prendere per i fondelli in quel modo? E forse fu anche per quel reportage che avevano descritto tanti confinati senza demonizzarli e anzi con qualche cenno di simpatia come verso Fortunato La Camera («“Lei può esser sicuro che il suo nome è tra quelli di coloro che noi comunisti manderemo al confino!”. Ci rechiamo, così cordialmente parlottando, verso il centro del paese...») che lo stesso Maccari sarebbe stato poi espulso dal partito e Malaparte mandato al confino. Troppo ironici, entrambi. Troppo insofferenti alla mordacchia. Il licenziamento dalla Stampa, come avrebbe raccontato quello che forse fu il suo migliore amico, il giornalista Augusto Mazzetti, fu motivato con una scusa: «La Stampa aveva pubblicato fra i nomi degli intervenuti al tradizionale omaggio di Capodanno al sovrano anche quello del conte della Trinità, morto da vari mesi. Un banale errore. Agnelli colse la palla al balzo e chiese la testa del redattore-capo, che era Maccari. Malaparte difese Maccari e fu cacciato. Ricordo che allora la questura gli fece pesanti pressioni perché lasciasse Torino dove era considerato un indesiderato». In realtà, ricordava Mazzetti che Massimo Fini incontrò quando, anziano, trascorreva «le sue giornate scrivendo poesie scaramantiche sulla morte», Malaparte «s’era messo a dirigere la Stampa a modo suo, infischiandosene delle direttive di Agnelli e indirettamente, di quelle di Mussolini. Andò in Unione Sovietica, pubblicò articoli duramente critici sul confino, si oppose all’introduzione del sistema Bedaux (un sistema che consentiva un intensivo e disumano sfruttamento degli operai) alla Fiat. Insomma non rinunciò mai, come era suo costume, alla libertà e alla indipendenza di giudizio». Per questo, nei primi anni del dopoguerra, si era sentito offeso dall’ostilità di certi 13 malaparte_new_2.indd 13 24-04-2012 11:09:19
antifascisti militanti che di lui ricordavano solo gli iniziali entusiasmi fascisti dimenticando il suo licenziamento dalla «Stampa», la sua condanna al confino o ancora il divieto del Duce a pubblicare in Italia il libro «Technique du coup d’état» che già nel 1931, come avrebbe ricordato Maria Antonietta Mazzocchi che a dispetto delle proteste l’aveva voluto come collaboratore a «Vie Nuove», descriveva un Hitler simile a quello che sarebbe stato preso in giro nel film «Il grande dittatore» da Charlie Chaplin: «un austriaco paffutello, con il baffo poggiato come un nodo a farfalla sotto il naso. Il suo eroe è Giulio Cesare in costume tirolese». Un’ostilità esagerata, perfino per tantissimi comunisti (dagli amici Pietro Secchia e David Lajolo allo stesso Palmiro Togliatti che dopo averlo incontrato lo definì «uno degli uomini più intelligenti mai conosciuti») e a maggior ragione per i critici riottosi agli schemini, come Giuseppe Scaraffia che nel suo «Gli ultimi dandies» ha scritto che Malaparte «sgusciò fra i totalitarismi del XX secolo facendosi scudo di una sfacciata, eccessiva eleganza». A tanta animosità reagì battagliando da par suo: «Chi può scagliare la prima pietra, in Italia? Nessuno, neppure Croce. E perché dovrei sentirmi più colpevole di tanti altri?» Dio sa quanto avesse ragione. E quanto avesse ragione Lajolo a dire che in realtà ciò che veniva rinfacciato a Malaparte era di avere «rifiutato con troppa arroganza certo comodo conformismo o certo conformismo dell’anticonformismo». O, se volete, prima il conformismo fascista poi quello antifascista. Ci sono, nella sua biografia, due scene in qualche modo parallele. La prima è lo sbarco a Lipari: «Quando la barca si accostò al molo, venti braccia si protesero, agguantarono i remi che Valastro e i suoi rematori sollevavano in alto, e ad uno ad uno i passeggeri furono issati sul molo. Ultima, che sedeva a poppa, fu mia madre». La seconda è il suo ritorno in Italia dalla Cina dove aveva voluto a tutti i costi andare e dove aveva intervistato Mao. Ormai spossato da un cancro («lo stramaledetto», lo chiamava) aveva la bocca coperta da una mascherina e doveva farsi aiutare in tutto. Avrebbe scritto: «L’altra mattina, all’aeroporto di Pekino, quando ho cominciato a salire la ripida scaletta del turboreattore sovietico, messo a mia disposizione dal governo cinese per ricondurmi in Italia, la piccola folla di autorità, di giornalisti, di medici, di infermieri, di funzionari dell’aeroporto, di scrittori, di diplomatici, che era venuta a salutarmi (…) è ammutolita all’improvviso. Io non riuscivo a salire quei ripidi gradini e mi ero accasciato mezzo svenuto. Il comandante del turboreattore sovietico, un biondo russo dalle mani enormi, è sceso di corsa e mi ha sollevato quasi di peso, issandomi, gradino per gradino, verso la cabina dell’aereo. La folla, colpita dallo spettacolo penoso, taceva». «Giunto in cima alla scaletta con il fiato rotto (da più di tre mesi respiro con un solo polmone), mi sono fermato per riprendere forza. Ed è allora che mi sono accorto del silenzio della folla. Volevo dire qualcosa per salutare i miei amici, per ringraziare, e mi sono venute spontanee alle labbra tre parole cinesi, che ho pronunciato lentamente, con grande fatica: “Uò ai zungkojen”, che vuoi dire: “Io voglio bene ai cinesi”. E la folla si è messa a piangere». Lacrime che troppo pochi versarono, in Italia, quando se ne andò a soli 59 anni lasciando un vuoto enorme tra le persone che amavano il suo spiritaccio anarchico e ribelle, libero fino alla strafottenza. Ma qui, al di là dei torti e delle ragioni, lo ricordiamo per il suo rapporto con quella «gabbia» meravigliosa che furono per lui le isole Eolie: «Dalla mia finestra vedo, azzurre in lontananza, l’alta rupe di Scilla e la gobba di Cariddi. Il sole nasce dietro Scilla. Ecco uno spunto di cui terrò nota: questo mio sole ironico che ogni mattina mi guarda stringendo l’occhio, di dietro la rupe di Scilla...» 14 malaparte_new_2.indd 14 24-04-2012 11:09:20
NOTA INTRODUTTIVA AAAAA leggere le bozze di questo bel lavoro, si viene di sicuro presi da stupore per tanta messe di notizie e carteggi, foto e proposte, raccolta attorno ad un episodio di vita che dura sette mesi. Una raccolta certosina, da parte di Pino La Greca, che conferma la curiosità per la storia e tradisce la tenerezza per la propria terra, con la sua gente e le sue atmosfere. Pagina dopo pagina, l’autore dichiara inconsapevolmente la volontà di scoprire – tra le righe dell’esperienza di un protagonista della storia e delle letteratura qual è stato Malaparte – la possibilità di riconoscere alle isole Eolie quegli aspetti positivi di luoghi belli dalla buona gente, che le rinfrancassero dal temporaneo bieco ruolo di terra di confino. AAAAMolti lettori avranno poi modo di riconoscere scorci e ricordare personaggi della vita di paese, perché non si perda la memoria di un piccolo luogo. AAAASette mesi nodali e negletti vengono dunque raccontati attraverso vari registri documentali. Sette mesi, vissuti da Curzio Malaparte con tutte le sfumature dell’angoscia, della noia, dell’avvilimento, di chi per ragion di stato si trova catapultato dal carosello di una vita spericolata e mondana verso una dimensione assolutamente isolata. AAAAUna dimensione di noia ed estraneità quasi disperata, per chiunque giungesse in un luogo di confino, dove la frequentazione con la letteratura e lo sguardo poetico divengono l’arma del riscatto per conquistare un occhio bonario, persino divertito, verso le più piccole cose. Perché nella scrittura - che era il suo mestiere - Curzio Malaparte trova rifugio e consolazione per la condizione di confinato; nelle reminiscenze culturali trova la cifra espressiva per canalizzare lo sconcerto e poi la composizione idillica, più volte esercitata e riprovata, volta a intrattenere se stesso prima che a destinarla ad altrui lettura. E così il verso, la strofe, la pagina divengono la strada di quella che oggi diremmo resilienza, il percorso per resistere in una condizione che non si sarebbe voluta sperimentare, altrimenti insopportabile. La padronanza metrica intrattiene la tristezza dell’esilio, …e il ciel s’imbianca e freme oscuro in mare… Il luogo di confino all’inizio percepito con fastidio e desolato sconforto, riserva persino l’occasione di avvertire come “care” le isole, quasi inconscio ermo colle, con le sponde e le rupi a fare da orizzonte leopardiano, una volta che Malaparte 15 malaparte_new_2.indd 15 24-04-2012 11:09:20
aveva iniziato a familiarizzare con isolani, cani e panorami, senza smettere di sperare di cambiare il proprio destino. M’è caro ormai l’esilio, mi son care/ ormai quest’alte rupi e queste rive/ gialle di zolfo e di ginestre… L’addio a Lipari sarà dunque modulato dallo scrittore attraverso uno struggente ossimoro: Ma in te sola ritrovo la felice/ tristezza dell’esilio… A Pino La Greca vada il nostro ringraziamento di lettori curiosi, che nel terzo millennio scopriamo altre pagine di cronaca del nostro tempo da frequentare con diletto. AAAA Lina Paola Costa 16 malaparte_new_2.indd 16 24-04-2012 11:09:20
“Su questa poca terra Immensamente io vivo. Smisurati orizzonti al mio cuor fanno guerra.”1 1 Poesia Isola (1934) di C. Malaparte, in “L’Arcitaliano e tutte le altre poesie”; ed. Vallecchi 1993 anche in “Malaparte”, vol. III di E. Ronchi Suckert, ed. Ponte alle Grazie 1992 17 malaparte_new_2.indd 17 24-04-2012 11:09:20
INTRODUZIONE Curzio Malaparte è stato una delle personalità culturali italiane più interessanti e discusse del secolo appena scorsoi. Scrittore, giornalista, fondatore di periodici politico-letterari, come La conquista dello Stato, Prospettive, condirettore della Fiera, Italia letteraria, direttore de La Stampa di Torino dal 1929 al 1931, collaboratore e corrispondente del Corriere della Sera, redattore dal 1953 per il settimanale Tempo con la rubrica “Battibecco”, Malaparte fu sempre al centro dell’itinerario culturale e letterario del nostro Paese, anche negli anni calamitosi del ventennio e nel difficile periodo del dopoguerra. Dotato di straordinario fiuto di giornalista fu vivace organizzatore di cultura, spesso precorrendo i tempi e spesso seminando nel suo percorso sconfitte o delusioni.1 Malaparte risulta essere lo scrittore italiano più famoso d’Europa. Dovunque si trovano i suoi libri, nelle Università, nelle accademie, nelle scuole, in edizioni tascabili. Poirot-Delpech, il critico più autorevole dell’Accademia di Francia, scrive su Le Monde: “Nel grande suicidio degli anni Quaranta, ben pochi sono stati gli artisti europei che hanno saputo insultare l’avvenire per ciò che esso aveva di tragico. Occorreva sentirsi depositari di valori superiori a quelli in nome dei quali gli eserciti venivano scaraventati gli uni contro gli altri. Occorreva sfidare l’accusa di tradimento, rischiare l’apparente disonore della prigione”. L’interesse per l’uomo e l’artista, per Malaparte testimone del suo tempo, non è morto certo con lui. Escono infatti postume molte raccolte di suoi scritti: “Io in Russia e in Cina” nel 1958, “Mamma marcia” nel 1959, “Benedetti italiani” nel 1961, “Diario di uno straniero a Parigi” nel 1966, “Battibecco, 1953-1957” nel 1967, ed ancora oggi resta un personaggio ed uno scrittore da scoprire e riscoprire.ii Curzio Malaparte peraltro ha sempre suscitato giudizi discordi, fra i quali scegliamo alcuni esempi. Il padre Erwin: “Io non capisco perché tutta questa gente stia a imitare Curtino. é un imbecille”. Pietro Gobetti: “Pubblico il libro di un avversario (“Italia barbara”), ma riconosco in Curzio Suckert la migliore penna del fascismo”. Benito Mussolini (nel ‘39, quando Malaparte andò in Etiopia per il Corriere): “È capace di mettersi a capo di qualche banda ribelle e di voler conquistare l’Italia”. Antonio Gramsci: “È un camaleonte capace di ogni scellerataggine”. Palmiro Togliatti: “Un esponente tipico del dilettantismo della cultura borghese. Un pezzo d’Italia con cui il Pci deve fare i conti”. Leo Longanesi: “A un 1 Curzio Malaparte, il narratore, il politologo, il cittadino di Prato e dell’Europa, a cura di Renato Barilli e Vittoria Baroncelli. 19 malaparte_new_2.indd 19 24-04-2012 11:09:20
matrimonio vuole essere la sposa, a un funerale il morto”. Alberto Moravia: “La sua qualità principale era un’ingenuità quasi animalesca ”. Eugenio Montale: “Rimescolatore di idee, non possedette le virtù del distacco e dell’obbiettività che trasformano il giornalista in un moralista, in uno scrittore di idee”. Curzio Malaparte trascorre al confino di Lipari circa sette mesi: dal 30 novembre 1933 alla fine di giugno del 1934; in suo soccorso verrà Galeazzo Ciano, suo ammiratore e nemico di Balbo e i prescritti cinque anni di confino si ridurranno di molto. Malaparte sarà trasferito prima ad Ischia e, nell’ottobre del 1934, a Forte dei Marmiiii, dove tutto si può dire, tranne che egli sia costretto a fare vita di confinato. Il suo totale proscioglimento arriverà nel giugno 1935. Il periodo di confino, dunque, dura sette mesi, benché Malaparte per tutta la vita abbia parlato di cinque anni come se fossero davvero trascorsi a Lipari.2 Malaparte non scrive un diario del suo soggiorno a Lipari; i ricordi sono distribuiti nei suoi lavori: Fughe in prigione; Sangue; Donna come me (Fantasie), Mamma marcia. Si tratta di scritti nei quali la personalità dell’autore si identifica con molteplici forme diverse, comunque legate da una profonda e inquieta vena lirica. Affiorano memorie delle proprie origini, episodi vissuti e luoghi reali, frammisti a visioni fantastiche; sentimenti che insieme a semplici spunti quotidiani riescono a comporre un quadro di straordinaria freschezza espressiva. Con la data del 1934, infine, è stato ritrovato nel suo archivio un “Quaderno di appunti” con poesie e prose (poi riversate nei racconti), del periodo di Lipari. Nell’isola, la costrizione obbligata si trasforma lentamente in una visione di serena e composta libertà, poeticamente espressa nell’osservazione della natura e della classicità greca dell’isola. Per lui, che della libertà di vita e di pensiero aveva sempre fatto una bandiera, l’idea stessa di prigione era inconcepibile, e infliggeva una ferita profonda all’orgoglio dello scrittore, tanto sicuro della sua fama da potersi spesso permettere irrequietezze anche nei confronti del fascismo. L’isolamento inizialmente gli appare intollerabile, “Venite all’ombra degli antichi olivi, Ionie Muse, e qui con me sedete, in quest’isola errante dove sola compagna al prigioniero è la noia infinita, azzurra, eguale. Che vale tanto cielo 2 «30 giugno 1947. Ritorno finalmente a Parigi dopo quattordici anni di esilio in Italia. Questi quattordici anno sono stati i più tristi, i più pericolosi della mia vita. Nel 1933 lasciai Parigi, rientrai in Italia, vi fui arrestato, chiuso per lunghi mesi nel carcere romani di Regina Coeli, poi condannato a cinque anni di deportazione nell’isola di Lipari. Durante questo triste periodo, fra i numerosi amici che contavo all’estero, in Inghilterra, in America, in Svizzera, soltanto i miei amici di Parigi, perlomeno qualcuno, non mi hanno dimenticato, mi sono sempre stati vicini, mi hanno difeso nei giornali, nelle riviste…» “Diario di uno straniero a Parigi”, Curzio Malaparte [a cura di Enrico Falqui]. 20 malaparte_new_2.indd 20 24-04-2012 11:09:21
e tanto mare a così breve scoglio, a questo cuor che vale?”3. Malaparte tenterà ogni mezzo per ridurre la condanna, rivolgendosi ai molti amici influenti, ma lentamente proprio la costrizione, la forzata, continua osservazione di quanto lo circonda, lo iniziano all’apprezzamento di quella natura e di quella gente isolana: “L’isola entra nella notte come una nave in porto... i pescatori con i lunghi remi sulle spalle scendono alla marina uscendo dai vicoli intorno alla mia casa, e passando davanti alla mia porta alzano il capo salutando. I piedi nudi sull’acciottolato fan un lieve fruscio, come se camminassero tra l’erba. Il mare è fermo, piatto, teso, lucido come un’immensa lastra di marmo rosso che i riflessi d’acciaio della notte percorrono guizzando. Seduto presso la finestra, nella mia grande stanza fredda e nuda, con un libro aperto sulle ginocchia, io seguo Achille tra i canneti dello Scamandro...” (…) “..un lungo mormorio corre lungo il mare fremente, parole segrete corrono di riva in riva, le chiglie delle barche suonano come percosse da lievi mani. Un mormorio che dura tutta la notte, finché l’alba spunta dai monti greci e rompe il mare. Io quelle voci udendo esco sull’alto tetto della mia casa, e ascolto il dolce parlottare sommesso...” “Sbarcai anch’io, come l’eroe dell’Odissea, sulla nera riva di Marina Corta, quasi sugli scalini della chiesa del Purgatorio, costruita su uno scoglio alla estremità del piccolo molo, ai piedi dell’alta rupe a picco della rocca d’Eolo.” Quelli che ne ‘La Pelle’ diventeranno “..i miei deserti anni d’esilio in quella triste isola, così cara al mio cuore...” sono in realtà mesi durante i quali Malaparte si immerge nell’atmosfera liparota, rileggendo anche i classici in greco e dedicandosi alla poesia. È progressivamente conquistato, e vinto, dalle suggestioni di Lipari e dal mito della classicità; nell’animo del poeta dunque la prigione diviene la vera libertà, così come aveva sentito già nella cella di Regina Coeli. “La cella era stretta, buia, sorda, ma io mi ci sentivo come in uno sconfinato, immenso, immisurato spazio. La finestra era chiusa da grosse sbarre... ma io mi ci sentivo come davanti a un cielo aperto, a un orizzonte immenso...”4 “Gli parve che fosse passato un secolo dal giorno del suo arresto, soltanto allora si rese conto che durante quei due mesi di prigione era trascorso un tempo enorme. Sentiva che la cella n.461 del IV braccio di Regina Coeli era dentro di lui, era rimasta dentro di lui: era divenuta la forma segreta del suo spirito. Pensò ad un uccello che avesse ingoiato la propria gabbia. Si portava la sua cella con sé, dentro di sé, in quel viaggio verso Lipari, come una donna incinta porta il suo bambino nel ventre...”5 3 “Che vale tanto cielo?”- in E.R.S., “Malaparte”, vol. III. 4 da “Il lebbroso di Lipari”, in E.R.S., vol. III. 5 da “La passeggiata”. 21 malaparte_new_2.indd 21 24-04-2012 11:09:21
Nella corrispondenza privata lo scrittore continua a dolersi della sua condizione di costrizione,“...La mia vita qui continua tranquilla, fin troppo tranquilla, in una monotonia esasperante. Sempre le stesse cose, lo stesso orario, lo stesso incerto clima morale, gli stessi pensieri. Il vivere, il vivere obbligato in un’isola, è quanto di più deprimente si possa inventare per un uomo attivo e pieno di cervello. Saper che non si può uscire di qui, e vedere ogni giorno l’arrivo e la partenza del piroscafo, e la gente che scende e sale, e il traffico delle merci e dei passeggeri, e le barche dei pescatori che tutte le sere prendono il largo e se ne vanno, passando proprio sotto le mie finestre...6” ma contemporaneamente assimila le immagini, i colori, le asprezze e le grazie di quella natura di cui a lungo scriverà in seguito, anche inconsciamente, in molti brani composti durante i soggiorni a Capri.iv Vulcano e Lipari, “l’isola di pietra galleggiante”, sono per lui simbolo del contatto con un ambiente selvaggio e al contempo pieno di fascinazioni mitologiche misteriose, che nel corso della sua vita saranno spesso rimpiante. Questa è la memoria di Lipari che rimane in lui, incancellabile. Abbiamo raccolto i suoi scritti, le sue poesie dedicate alle Lipari, alla sua gente, al suo mare, per offrirli agli amanti delle Isole Eolie. 6 lettera alla sorella Edda del 6 aprile 1934 22 malaparte_new_2.indd 22 24-04-2012 11:09:21
Note i Fu idealista o opportunista, ribelle o camaleonte, protagonista o millantatore? Quando si parla di Kurt Erich Suckert, divenuto dopo il 1925 Curzio Malaparte, simili domande sono inevitabili. I suoi biografi sono stati finora impegnati a sciogliere l’alternativa. Compito tutt’altro che facile nel caso di uno scrittore che fu interventista combattente nella Grande Guerra, poi apologeta dei vinti di Caporetto, e poi ancora fautore di un fascismo rivoluzionario totalitario. Che fu amico di Piero Gobetti e testimone in favore degli assassini di Matteotti; che fu cantore di Mussolini, di Farinacci, di Balbo, di Ciano finché furono potenti, per denigrarli quando il loro potere declinò o cadde in rovina. Vedi: Le metamorfosi di Malaparte di Emilio Gentile – Il Sole 24 Ore, 17 luglio 2011. ii Vedi Curzio Malaparte quella vita da Cagliostro raccontata ai Francesi, di Bernardo Valli – Repubblica, 01 giugno 2011. iii (…) Tutte le mattine un uomo camminava lungo la spiaggia. Dicevano che era uno scrittore che viveva a Forte dei Marmi “al confino”. Doveva presentarsi tutti i giorni alla polizia e non poteva andare via. Aveva, al guinzaglio, uno strano cane bianco, magro, esile, simile a una pecora, che veniva dall’Isola di Lipari dove tenevano gli uomini politicamente indesiderabili. Princess Jane ha detto al bagnino di andare a dire a quell’uomo che voleva parlargli. (…) Così l’uomo si è avvicinato, camminando sulla sabbia asciutta, che sotto il sole diventava bollente; stringeva gli occhi per ripararsi dalla luce. Aren’t you Malaparte? Vieni qui gli ha detto Princess Jane. Voglio che tu mi parli. You are very good looking. Lo era, bello, in una strana maniera esotica. Aveva i capelli neri, liscissimi, lucidi come velluto, tirati all’indietro su una testa molto rotonda. Le ciglia, che erano una cornice spessa intorno agli occhi scuri e brillanti, facevano parte del suo sguardo. Quando sorrideva le sue labbra si incurvavano e scomparivano; i suoi denti erano bianchi e animaleschi, dalla testa ai piedi era coperto di un olio luccicante; aveva le ascelle rasate. Si è messo a ridere, un riso triste e crudele. Si è seduto al sole e ha incominciato a intrattenere Princess Jane che stava seduta all’ombra. Era un maratoneta affascinante. Poi è tornata mia madre. Era bella, fragile, aveva trentacinque anni: era la madre, praticamente squattrinata, di sette figli che avrebbero un giorno ereditato un’immensa fortuna. Amava la vita e l’allegria, era del tutto ineducata, scriveva l’italiano con incredibili errori di ortografia, era follemente generosa sia con gli amici che con gli estranei. Sempre, e fondamentalmente, era una ragazza. Pensavo a lei come se fosse mia figlia. Volevo proteggerla, volevo che fosse felice. Quando partiva vivevo nel terrore agghiacciante, che, anche lei, potesse morire. Adorava il mare. Malaparte tornava a intrattenere Princess Jane, sulla spiaggia. Guardava mia madre con intensità. Si sedeva e parlava di sé, della guerra, della sua fuga, a quindici anni, dal Liceo Cicognini: delle decine di duelli in cui si era battuto; dei suoi incontri con Mussolini; della prigione; dell’isola di Lipari. Quando parlava, le cose che raccontava diventavano storie meravigliose. Lo avrei ascoltato per sempre e lui non avrebbe mai smesso di parlare. Malaparte viveva in una casa di pietra, protetta verso la strada da una spessa siepe di oleandri, verde e umida. 23 malaparte_new_2.indd 23 24-04-2012 11:09:21
Qualche volta mamma ci portava a casa di Malaparte. Ci sedevamo nella stanza quasi vuota e Malaparte ci dava da bere la Malvasia di Lipari, dolce e dorata. (Susanna Agnelli, “Vestivamo alla Marinara”). iv “...un’aria densa di odori violenti dove il sentore acuto del vento si mescolava a quello dei licheni, degli aranci, dell’uva... L’odore caldo del mare si alzava davanti a me, come un alto muro... Lì enormi rupi piombavano a picco sul mare. È come una conca, un arco che per lungo tratto abbraccia un profondissimo specchio d’acqua, dove le barche dei pescatori trovan rifugio nei giorni di tempesta..” (da “Calagrande all’Argentario”, Corriere della Sera, 19 ottobre 1937) “..Ed era in quelle ore..che Stefano assaporava la severa purezza della natura e quel senso mortale.. della bellezza dell’isola...la nuda, aspra, dura, severa nudità di Capri, quella precisa, immediata, definitiva presenza di acque, di scogli, di alte pareti di rocce precipiti, quelle rupi a picco, quelle macchie di verde nei crepacci del monte, quell’improvviso trascolorar argenteo di olivi contro la rossa e dura roccia, quell’argenteo verde trascolorar dei rosmarini, quei bianchi cieli stellati delle selve di asfodeli lungo il sentiero di Matromania e, a ponente, l’architettura guerriera, mitica dei faraglioni..” [da “Un delitto cristiano - VI”, in E. Ronchi Suckert - cit. vol. VI (1942-1945), 1993, pagg. 535-536]. 24 malaparte_new_2.indd 24 24-04-2012 11:09:21
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