Cultura digitale e istruzione superiore. La situazione in Italia e l'esempio del Se@, il Centro di Tecnologie per la Comunicazione, l'Innovazione ...

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Cultura digitale e istruzione superiore. La situazione in Italia e l'esempio del Se@, il Centro di Tecnologie per la Comunicazione, l'Innovazione ...
Cultura digitale e istruzione superiore.
       La situazione in Italia e l’esempio del Se@, il Centro di Tecnologie per la
    Comunicazione, l’Innovazione e la Didattica a distanza dell’Università di Ferrara
                                           di Angela De Piano
             Assegnista di ricerca - Dipartimento di Studi Umanistici - Università di Ferrara

Abstract
Da diversi anni l’Unione Europea prende provvedimenti per incentivare lo sviluppo delle competenze
digitali nei paesi membri agendo soprattutto in ambito formativo. Si prevede che tra qualche anno tali
competenze saranno richieste in quasi tutti i posti di lavoro. Vi sono però da parte delle università
ancora grosse difficoltà nel trasmettere cultura digitale.
Questo contributo analizza la situazione degli atenei italiani in materia di competenze digitali citando in
particolare l’esempio del Se@, il Centro di Tecnologie per la Comunicazione, l’Innovazione e la
Didattica a distanza dell’Università di Ferrara che, in un panorama nazionale poco roseo, rappresenta un
buon esempio di integrazione tra formazione e tecnologie digitali.

Abstract
For several years now, European Union has been taking measures to subsidize the development of digital
competence in Europe, acting especially in educational contexts. Today digital competence is a much
sought-after competence and it is expected that in a few years most jobs will request it. But University has
still today difficulty in transmitting it.
This review aims to analyse the current situation of digital culture in Italian universities mentioning the
example of Se@ at the University of Ferrara: in a not very promising national context, the Se@ represents a
bright example of integration of education and digital technologies.

Keywords: Università, Competenze digitali, Unione Europea, Divario digitale.

1. La Società Europea della Conoscenza
Il sistema formativo italiano ha subito recentemente molte modifiche. In particolare l’università è
stata oggetto di riforme aventi lo scopo di creare, insieme agli altri paesi dell’UE, uno spazio
comune di istruzione superiore (EHEA), utile ad incentivare la mobilità degli studenti e a favorire il
reperimento di un’occupazione. Tali provvedimenti hanno voluto far convergere i sistemi
universitari dei vari paesi così da garantire maggior omogeneità e consentire il riconoscimento delle
carriere in contesto internazionale (Commissione Europea et al., 2012) 1.
Forte è stata l’esigenza di assicurare a tutti i cittadini un’ampia gamma di conoscenze, utili per
sostenere lo sviluppo sociale e economico rendendoli più competitivi. Alla base di questi
cambiamenti vi è l’intenzione di fornire un’istruzione di alta qualità, fondamentale per consentire
all’Europa di affermarsi come società della conoscenza e competere in maniera efficace all’interno
dell’economia globalizzata (Alberici et al, 2007). La politica in materia di istruzione è decisa
singolarmente dai vari paesi, ma essi fissano insieme obiettivi comuni e buone pratiche.
Tra queste ultime figurano tutte le azioni volte alla diffusione della cultura digitale in campo
formativo, ritenuta oggi di grande importanza. Già dal 2000 l’UE, con il Consiglio Europeo di
Lisbona, ha cominciato a prendere provvedimenti radicali su questo tema2. Si ritennero le nuove

1
 L’European Higher Education Area è stata avviata nel 2010 durante una Conferenza Interministeriale tra i ministri
europei dell’educazione. Cfr: http://www.ehea.info/ [febbraio 2015].
2
 Nel marzo 2000 si tenne a Lisbona un Consiglio Europeo per dare nuovo slancio alle politiche comunitarie. Si pensò a
una totale revisione del sistema d'istruzione europeo e si decise che in esso le ICT dovessero avere un ruolo di primo
piano perché ritenute una risorsa rilevante per l'occupazione. Disponibile in:
http://europa.eu/legislation_summaries/education_training_youth/general_framework/c10241_it.htm [febbraio 2015].
tecnologie un potenziale rilevante per l'occupazione e si decise che la nuova società della
conoscenza (basata fortemente sulle tecnologie) dovesse essere alla portata di tutti, senza esclusioni.
Occorreva quindi assicurarsi che le transazioni economiche e sociali non emarginassero nessuna
categoria di cittadini e che lo sviluppo avvenisse in modo equo.
Si capì che nel giro di pochi anni la metà dei posti di lavoro in Europa sarebbe derivata dalle ICT
(cosa che infatti oggi sta accadendo) e perciò fu deciso dall’Unione di coordinare azioni collettive
per incentivare negli stati lo sviluppo delle competenze digitali in ambito formativo.
Si prevede che tra cinque anni il 90% dei posti di lavoro richiederà tali competenze3. Vi sono però
grosse difficoltà da parte degli istituti formativi nel trasmetterle. Molte scuole e università non
possiedono mezzi necessari per stare al passo con i tempi e adeguarsi all’evoluzione della società.
Per questo le iniziative dell’UE atte ad aiutare la diffusione delle tecnologie in ambito educativo
sono ancor’oggi numerose4. Con i suoi provvedimenti l’Europa cerca soprattutto di ridurre il
rischio del digital divide (divario digitale): se la formazione e la conoscenza si spostano sulla rete e
sulle tecnologie, c’è il pericolo che coloro che non hanno famigliarità con questi mezzi (o che non
possono utilizzarli) rimangano esclusi dal processo di apprendimento permanente e dalla società
della conoscenza. Occorre dunque intervenire per ridurre questo rischio.

2. Il pericolo del digital divide.
L’Europa si è data un obiettivo preciso: costruire una società della conoscenza in cui tutti abbiano le
stesse opportunità di accesso alle nuove tecnologie. Ma questo avviene nel nostro paese? Siamo in
linea con i parametri dell’UE? E soprattutto, che cosa è in grado di offrire la nostra università in
materia di competenze digitali?
Un adeguato uso delle tecnologie digitali consente di migliorare la diffusione delle informazioni e
della conoscenza (Guglielmo, Cicatelli, 2009). In Italia però vi sono ancora fasce di popolazione
che non hanno accesso alle tecnologie o che le usano senza una corretta coscienza critica. A livello
educativo talvolta nemmeno i docenti sono formati sull’uso dei nuovi media in ambito didattico.
Il nostro paese, rispetto agli altri paesi europei, risulta ancora arretrato in materia di cultura digitale
ed è caratterizzato da un forte digital divide. L’Istat ha pubblicato la percentuale di popolazione che
usa Internet nei vari stati europei (ISTAT, 2014): l’Italia si trova agli ultimi posti seguita solo da
Grecia, Bulgaria e Romania.
Il numero di internauti è dunque molto basso: gli individui tra i 16 e i 74 anni che negli ultimi 3
mesi si sono collegati a internet almeno una volta alla settimana sono risultati il 53% della
popolazione, contro una media europea del 70% (ISTAT, 2014).
Un’altra recente ricerca ha evidenziato che quasi il 40% degli italiani non ha mai utilizzato un
computer e Internet ed è completamente estraneo alle tecnologie digitali (Observa Science in
Society, 2014). La media europea in questo caso è molto più bassa (circa il 20%).
Lo stato di salute dell’Italia non sembra dunque molto positivo per quanto riguarda il rapporto con
le nuove tecnologie. In realtà l’utilizzo del web sta gradualmente aumentando nel nostro paese ma
solo tra i più giovani: gli internauti italiani sono per il 90% ragazzi tra i 15 e i 19 anni (ISTAT,
2013). Tra loro l’uso di internet è in crescita, ad esempio per le azioni di e-commerce, per la
socializzazione, per la ricerca di informazioni.
Sono poi i nativi digitali (15-24 anni) a mostrare le migliori capacità di navigazione quando usano
internet, mentre il resto della popolazione, soprattutto gli over 40, si è rivelato inesperto e maldestro
(ISTAT, 2013). Il digital divide in Italia dunque esiste: si tratta di un divario soprattutto
3
    Dati disponibili in: http://ec.europa.eu/news/culture/130926_it.htm [febbraio 2015].
4
 Citiamo il progetto europeo “Opening up Education” nato nel 2013 per diffondere le competenze digitali in scuole e
università. Cfr.: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-13-859_it.htm [febbraio 2015]. Altri recenti progetti europei
sono nati con l’intento di diffondere competenze e imprenditorialità digitale, come “E-skills for jobs” e “Fostering
Digital Enterpreneurship”. Dati disponibili in: http://www.europarlamento24.eu/formazione-e-promozione-europee-per-
il-lavoro-digitale/0,1254,106_ART_6183,00.html [febbraio 2015].
generazionale che vede la fascia più giovane della popolazione ben alfabetizzata mentre gli over 40
risultano privi di competenze adeguate o tecnologicamente analfabeti. Sono dati importanti,
soprattutto se si considera che la diffusione delle ICT è uno degli scopi fondamentali delle politiche
di inclusione sociale e culturale dell’Unione Europea.

3. Cultura digitale e istruzione superiore
I dati esposti hanno un forte collegamento con la situazione attuale del nostro sistema universitario:
se è vero che i soggetti con meno di 40 anni possiedono buone competenze digitali, è anche vero
che in questa fascia d’età si colloca anche la maggior parte degli studenti universitari.
Invece tra gli individui con più di 40 anni (i meno competenti) si inseriscono proprio i professori
universitari italiani: una recente ricerca infatti ha rivelato che ben l’88% dei docenti universitari ha
più di 40 anni (Observa Science in Society, 2014).
Di fronte a questo quadro viene spontaneo domandarsi come possano docenti poco competenti in
materia di tecnologie fornire competenze a studenti che sono nativi digitali.
Prima di rispondere a questa domanda è necessaria una precisazione. Possedere adeguate
competenze digitali non vuol dire utilizzare un tablet da mattina a sera o collegarsi a internet di
continuo. Non si tratta solo di capacità tecniche o di quantità di utilizzo.
La competenza digitale è supportata da un buon uso tecnico di uno strumento ma il suo obiettivo è
un altro. Nel 2006 l’UE l’ha definita chiaramente: averla vuol dire saper utilizzare con abilità e
spirito critico le tecnologie in ogni campo, nell’apprendimento, sul lavoro, nel tempo libero, nella
comunicazione (Unione Europea, 2006). Il buon uso tecnico di un mezzo deve servire solo da base
per imparare a cercare informazioni, a scambiarle, per valutarle criticamente, per produrre materiali
e partecipare a reti collaborative attraverso il web (Unione Europea, 2006)5.
Con queste competenze gli individui dovrebbero quindi imparare ad accedere ai servizi Internet per
fare ricerche e usarli in modo corretto. Non si tratta di capacità tecniche ma di un insieme di
competenze e meta-competenze anche trasversali utili nell’apprendimento e nella vita. A ben vedere
molte di queste abilità, come lo sviluppo di capacità critiche o l’imparare a produrre informazioni,
devono essere sempre trasmesse dai docenti, con o senza l’uso di tecnologie (anche se nel primo
caso serve ovviamente un’abilità tecnica di base).
Sarebbe quindi importante che il mondo universitario le valutasse maggiormente, sia per rendere
più preparati i suoi studenti, sia per avvicinarsi alla realtà dei nativi digitali in cui le tecnologie sono
protagoniste.
Oggi invece l’Università italiana sembra impreparata e molto lontana dai suoi studenti e le
conseguenze sono queste: la percentuale di laureati nella fascia d’età 25-34 anni è del 21% (OECD,
2013 - Indicatore A1.1), la più bassa d’Europa. Anche considerando l’intera popolazione adulta (25-
64 anni) siamo agli ultimi posti.
La dispersione scolastica, ossia la quantità di studenti che non completano gli studi rispetto agli
iscritti, raggiunge livelli molto alti: circa un terzo degli immatricolati lascia o cambia il corso di
laurea dopo il primo anno, e il 40% di coloro che si iscrivono a una laurea triennale non la porta
termine (ANVUR, 2013).
L’Italia è anche una nazione che investe poco in istruzione: la percentuale di spesa pubblica
destinata a questo settore ci vede ultimi su 32 nazioni. Anche i tagli più pesanti in questo settore
vengono fatti proprio in Italia (OECD, 2013 – Indicatori B4.1 e B2.3)6. Le spese per l’istruzione
sono importantissime per il progresso economico di una nazione: si tratta di uno dei migliori
investimenti che un paese possa fare. L’Italia però non sembra seguire questo ragionamento.

5
   Disponibile in: http://europa.eu/legislation_summaries/education_training_youth/lifelong_learning/c11090_it.htm
[febbraio 2015]. La Raccomandazione 2006/962/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, è
disponibile in http://www.indire.it/db/docsrv/PDF/raccomandazione_europea.pdf [febbraio 2015].
6
 Questi dati derivano dal rapporto OCSE sull’istruzione (OECD, 2013).
Questi dati mostrano una situazione negativa: pochi laureati, forte dispersione scolastica, scarsi
investimenti. Sembra che l’università italiana non sia riuscita, nonostante le riforme, ad avvicinare
la popolazione all’istruzione superiore.
Il basso numero di laureati può essere dovuto anche alla mancanza di corsi professionali, capaci di
rappresentare un collegamento col mondo del lavoro. Rappresentare un ponte tra scuola
occupazione è uno degli scopi principali dell’odierna università. Gli studenti dovrebbero essere
formati per essere competitivi, avere competenze solide, non solo culturali ma anche linguistiche,
civiche e appunto digitali.
Si è già ribadito che inserire le ITC nei contesti formativi è uno degli obiettivi principali dell’UE,
ma in ambito universitario in Italia non si fa molto in tal senso. Così, di fronte ad una folta schiera
di studenti nativi digitali, vi sono tanti docenti non più giovani e poco tecnologici.
I risultati di alcuni studi condotti nei principali atenei italiani hanno mostrato infatti importanti
prove di inadeguatezza in campo digitale.
Obiettivo della ricerca di Future Concept Lab (FCL) è stato quello di capire se gli atenei sono in
grado di soddisfare le esigenze degli studenti in materia di nuove tecnologie (FCL, 2013).
E’ risultata innanzitutto una forte frattura tra il vissuto tecnologico degli studenti in ambito privato
(in cui il digitale è sempre presente), e il loro vissuto tecnologico all’interno delle università (FCL,
2013)7. Da un lato tutti gli studenti possiedono smartphone (85%), computer (89%) e frequentano
social network (90%). L’opinione dei ragazzi sui nuovi media inoltre è positiva: l’idea più diffusa è
che “facciano bene” consentendo di semplificare la vita (FCL, 2013)8.
Al contrario le università italiane sono risultate prive di tecnologie, di strutture e di procedure
didattiche innovative. Il 90% degli studenti si è dichiarato insoddisfatto per la mancanza di
strumenti informatici e postazioni computer, carenti non solo per gli allievi ma anche per i docenti.
I ragazzi si lamentano anche per la mancanza di LIM (77%), di corsi on-line e di lezioni in
streaming, motivo di malcontento per più dell’80% degli intervistati (FCL, 2013).
Soltanto la connessione wi-fi e il sito internet dell’università sono ritenuti soddisfacenti. Mancando
i mezzi adeguati, anche le prassi didattiche risultano poco innovative e obsolete. Tra gli strumenti
più usati prevale la lavagna con pennarelli o gessi, seguita dal proiettore di lucidi. Agli ultimi posti
si trovano computer e LIM. Pochissimi docenti inoltre usano il web durante le lezioni.
Ma chiedendo agli studenti quali strumenti vorrebbero vedere in classe si ottiene una classifica “dei
desideri” addirittura opposta rispetto a quella reale (Immagine 1).

7
  L’indagine, condotta nel 2013 dall’Istituto di ricerca Future Concept Lab (FCL) ha coinvolto un campione di 600
studenti universitari dai 19 ai 29 anni. La ricerca è stata fatta per conto di Samsung a supporto del progetto “Samsung
Young Design Award” che ha avuto nell’edizione del 2013 il tema “Tecnologia per l'Educazione del Futuro”. I risultati
della ricerca sono consultabili sul sito della Samsung: http://www.samsung.com/it/design/samsungyoungdesignaward/
[febbraio 2015]. Per FCL: http://www.futureconceptlab.com/it/ [febbraio 2015].
8
  La pensa così il 44,5% degli intervistati, mentre poco diffusa è l’idea che i nuovi media servano per esprimere il
proprio stile o la propria personalità (13,7%).
Immagine 1: Le tecnologie che gli studenti universitari vorrebbero vedere in aula (FCL, 2013)9

Per i nativi digitali l’uso delle tecnologie è diventato abituale e trova spazio ovunque. Per questo
anche se non è diffuso nelle università, esso si è diffuso ugualmente tra gli studenti per svolgere le
loro attività di studio universitario: la percentuale di coloro che per iniziativa personale usano
risorse digitali per studiare è più dell’80%.
A rivelarlo è un’altra ricerca condotta nel 2014 dall’Associazione Italiana Editori con lo scopo di
capire come gli studenti studino all’interno delle università (Micheli, 2014)10.
Tale dato rivela dunque che la maggioranza degli studenti universitari usa spontaneamente (e non su
consiglio dei docenti) le tecnologie e i materiali digitali per studiare.
Le motivazioni sono diverse: da un lato c’è chi lo fa per approfondire i contenuti trattati (37%) e in
questi casi le risorse più usate sono gli ebook e la ricerca sul web; dall’altro c’è chi lo fa con l’unico
obiettivo di superare l’esame (13,4%) e anche se la motivazione è meno lodevole, il digitale è
comunque presente (Micheli, 2014). Esso entra nel mondo universitario non dalla porta principale
ma dalla porta di servizio ma testimonia comunque la volontà degli studenti di sfruttare queste
risorse in maniera personale per l’apprendimento. Gli studenti però non possono agire solo di
propria iniziativa, non possono costruirsi autonomamente una competenza che, come detto, è
sfaccettata e va trasmessa correttamente dai docenti. Diffonderla maggiormente e ufficialmente
servirebbe a diminuire il divario esistente tra mondo universitario e studenti, un gap che oggi è
molto forte e può avere effetti pesanti come l’abbandono degli studi.

9
  La domanda nella slide è così formulata perché fa riferimento alla domanda precedente: essa chiedeva quali strumenti
i docenti usano abitualmente in classe (FCL, 2013).
10
   Questa ricerca è stata condotta dall’AIE in collaborazione con l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema
Universitario e della Ricerca (ANVUR), il Consiglio Universitario Nazionale (CUN) e la Conferenza dei Rettori delle
Università Italiane (CRUI). Sono stati intervistati più di 1500 studenti universitari dai 18 ai 30 anni.
4. L’esempio del Se@, il Centro di Tecnologie per la Comunicazione, l’Innovazione e
la Didattica a distanza dell’Università degli Studi di Ferrara.
I media digitali, supporto fondamentale per l’apprendimento e passaporto per il mondo del lavoro,
non sembrano dunque entrati a far parte della dimensione accademica in modo efficace.
Esistono però eccezioni in questo panorama. Ne è un esempio il Se@, Centro di Tecnologie per la
Comunicazione, l’Innovazione e la Didattica a distanza dell’Università degli Studi di Ferrara.
Il centro è nato per supportare e coordinare iniziative di ricerca, didattica e fornitura di servizi
collegate alle ICT, da attuarsi attraverso l’apporto congiunto di tutte le discipline presenti in ateneo.
L’obiettivo del Se@ è quello di sostenere i vari dipartimenti nello sviluppo di attività formative che
adottano la modalità a distanza integrando l’insegnamento con le tecnologie.
L’operato del Centro vuole potenziare la qualità dell’offerta formativa, soddisfare una domanda di
formazione non tradizionale e delocalizzata, e rispondere altresì alle esigenze della formazione
permanente. Esso intende essere un punto di riferimento dell’università ferrarese per la
progettazione delle attività di formazione a distanza e per l’individuazione di strumenti tecnologici
adatti a questo scopo.
Le attività svolte sono di vario tipo: erogazione di master e corsi di formazione e perfezionamento
con modalità didattica a distanza, supporto a corsi di laurea che seguono tale modalità, prestazioni
professionali nel settore dell’editoria digitale (progettazione e realizzazione di video, servizi di
riprese, streaming di convegni o seminari, produzione di e-book e altri materiali multimediali),
attività di ricerca nell’ambito delle ICT.
Le modalità didattiche attuate non si limitano però all’e-learning. Quest’ultimo com’è noto permette
agli studenti di frequentare un corso completamente a distanza attraverso l'uso della rete.
Gli studenti dell’Università di Ferrara che scelgono questa modalità sono supportati da tutor che li
accompagnano in tutto il percorso formativo e hanno a disposizione un campus virtuale in cui
possono seguire le lezioni in modalità sincrona, consultare videolezioni in modalità asincrona,
partecipare a forum on-line, fruire di materiale digitale e fare prove di autovalutazione on-line.
Vi sono però altre modalità attivate dal Centro, come ad esempio la Frequenza A Distanza (FAD)
che consente agli studenti di frequentare un corso in presenza da qualsiasi luogo essi si trovino: con
questa modalità è possibile assistere a distanza alle lezioni in presenza di un insegnamento,
risultando regolarmente frequentanti. Ciò può avvenire in diretta (assistendo alle lezioni via
streaming), oppure in un momento successivo (on demand) visionando le registrazioni. Si tratta di
una modalità dunque diversa dall’e-learning.
Gli studenti che decidono di seguire un insegnamento in modalità FAD sono anch’essi supportati da
un tutor e hanno a disposizione un ambiente di apprendimento multimediale in cui possono
interagire con docenti, tutor e altri studenti, fruire di lezioni sincrone (in aula virtuale), utilizzare
materiale didattico multimediale, fare test on-line (questionari, field trip, drill and practice).
Possono inoltre usufruire di tutti i servizi online che gli insegnanti mettono a disposizione
all’interno del proprio corso, come ad esempio il ricevimento via skype.
La modalità FAD è attualmente messa in atto in diversi corsi di laurea dell’Università di Ferrara11.
Una ulteriore modalità usata dal centro è il blended learning, un processo misto che prevede la
componente online (FAD o e-learning) affiancata alla formazione in presenza (interventi in aula,
workshop, seminari, etc.). Questa modalità è stata attuata in diversi Master universitari in cui la
componente e-learning ha occupato il 90% e la parte in presenza il 10%.
Gli studenti lavoratori, i fuori sede, o coloro che hanno difficoltà a frequentare, sono avvantaggiati
da queste modalità didattiche e possono assistere alle lezioni ovunque, rimanendo aggiornati.

11
    Scienze e Tecnologie dei Beni Culturali, Scienze e Tecnologie della Comunicazione, Scienze Filosofiche e
dell’Educazione, Letterature e Lingue Moderne e Classiche, che sono lauree triennali. Ma anche in lauree magistrali
come Culture e tradizioni del Medio Evo e del Rinascimento, e Quaternario, Preistoria e Archeologia. Cfr.
http://fad.unife.it/index.php/lauree-triennali.
Frequenza infatti non vuol dire necessariamente “presenza in aula”: l’Università di Ferrara per
questo prevede che gli insegnamenti dei suoi corsi possano essere attivati anche con modalità a
distanza al fine di favorire chi è impossibilitato alla presenza in aula.
E’ sufficiente un collegamento a Internet per seguire le lezioni da un qualsiasi supporto tecnologico:
smartphone, tablet, pc. Con un codice e una password lo studente può accedere al campus virtuale e
entrare in classe con pochi click per usufruire dei servizi offerti.
In realtà all’Università di Ferrara le esperienze in materia di formazione a distanza e tecnologie
didattiche fanno scuola da oltre un decennio per le metodologie didattiche, per la qualità della
didattica e dei servizi offerti. Già dal 1996-97 l’ateneo ferrarese si è interessato all’e-learning:
partendo da un corso di perfezionamento a distanza, iniziò un progetto innovativo che si estese poi
anche ai corsi di laurea (Felletti, 2004)12. Il Se@ continua questa “tradizione” e attualmente si
registrano centinaia di accessi ai campus virtuali.

5. Conclusioni: l’ateneo di Ferrara punta al digitale.
I tanti cambiamenti subiti negli anni dall’università italiana derivano dalla necessità di garantire
un’istruzione superiore di alto livello a tutti i cittadini dell’UE. Ciò è importante per consentire
all’Europa di competere in maniera adeguata in una società globalizzata. E’ il motivo che porta
l’Unione a prendere continui provvedimenti per diffondere la cultura digitale, soprattutto in campo
formativo. Le tecnologie sono oggi un potenziale enorme per l'occupazione e lo saranno sempre più
in futuro. Anche le scuole e le università dunque devono agire in questa direzione per permettere
agli studenti di padroneggiare le competenze digitali al fine di inserirsi più facilmente nel mondo
del lavoro.
Per tal motivo si è cercato di verificare in questo studio quanto i nostri atenei puntino oggi sullo
sviluppo di queste competenze: purtroppo il quadro che ne è emerso non è positivo e riflette la
situazione dell’intero paese dominato da un profondo divario digitale.
Da un lato vi sono le università, povere di risorse tecnologiche e con docenti ultraquarantenni con
scarse competenze digitali; dall’altro vi sono studenti nativi digitali che usano costantemente le
tecnologie (soprattutto quelle mobili) per ogni attività, compreso naturalmente lo studio.
Quest’ultimo utilizzo deriva però dall’iniziativa personale poiché, come si è detto, le nostre
università non hanno ancora valorizzato adeguatamente i media digitali.
Ai primi posti tra i desiderata degli studenti italiani vi sono proprio gli strumenti e le metodologie
più innovative, come i corsi on-line, le lezioni in streaming, le LIM.
Si tratta di mezzi di cui le nostre università sono ancora carenti e ciò ha ripercussioni anche sulle
prassi didattiche degli insegnanti, che infatti si avvalgono ancora di strumenti analogici (lavagna
con gessi o pennarelli e proiettore di lucidi), mentre Internet è usato di rado.
In questa situazione in cui il divario digitale e generazionale del paese si riflette nel mondo
accademico, ci è sembrato interessante raccontare l’esperienza dell’Università di Ferrara e del Se@.
I servizi offerti dall’ateneo ferrarese coincidono proprio con quelli che, stando a recenti ricerche,
sono i più richiesti dagli allievi: lezioni in diretta streaming, videolezioni on demand, forum sul
web, ricevimenti via skype, materiali didattici digitali, campus virtuali.
L’Università di Ferrara ha dunque impostato una metodologia didattica innovativa in grado di
offrire agli studenti la possibilità di una formazione a distanza di alto profilo e mediata dalle
tecnologie, distinguendosi nel mondo accademico e confermandosi un ateneo che punta in alto.
Questa metodologia, che nasce dallo sviluppo dei nuovi media della comunicazione e del Web 2.0,
si configura come un terreno di sperimentazione e di ricerca didattica che va incontro a molteplici
esigenze. Una di queste, come si è visto, è la forte richiesta da parte degli studenti di un’università
digitale.

12
   Negli anni seguenti furono attuati con modalità didattica a distanza e mista (blended learning), corsi di laurea
triennale, corsi di laurea specialistica, master, corsi di perfezionamento e formazione, utilizzando una metodologia
fondata sul rapporto personale con i tutor e sull'uso di documenti multimediali e ambienti di apprendimento telematici
con forum, videolezioni e mappe cognitive on-line.
Bibliografia
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