CORSO DI SPECIALIZZAZIONE IN PSICOTERAPIA DELL'Età EVOLUTIVA SPP MILANO - OPL
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CORSO DI SPECIALIZZAZIONE IN PSICOTERAPIA DELL’Età EVOLUTIVA SPP MILANO Newsletter maggio 2020 Prime riflessioni sul continuare le psicoterapie con i bambini “a distanza” Alessandra Sala L’emergenza sanitaria che stiamo attraversando, con le precauzioni di distanziamento rese necessarie per contrastare la diffusione del coronavirus, ha imposto per il lavoro clinico la scelta obbligata, che tutti abbiamo sperimentato, tra l’interruzione dei trattamenti psicoterapeutici per un periodo indefinito o il ricorso a modalità di incontro con i pazienti a distanza, via telefono o videochiamata. Una scelta effettuata in modo improvviso, senza la possibilità di preparare preventivamente i pazienti e noi stessi al cambiamento di setting. La riflessione su come adattare al meglio alle differenti relazioni terapeutiche il ricorso ai dispositivi telematici è dunque attuale. Bolognini (2020) ricorda il criterio della “sartorialità” necessario nella confezione di un setting temporaneo personalizzato per ogni paziente, concordato nel rispetto della preferenza espressa: per chiamate solo telefoniche, per videochiamate, per la sospensione in attesa della possibilità di riprendere in presenza. Riflettendo su cosa sta accadendo al nostro bisogno di prossimità e di come sta trasformandosi in questi giorni non facili l'idea stessa dello stare vicini, il filosofo Pieraldo Rovatti (2020) osserva chetra contatto digitale e prossimità reale si sta costruendo un ibrido che rappresenta una trasformazione dell'idea tradizionale di prossimità. Rovatti, pur apprezzandone le potenzialità, mette in guardia dai rischi impliciti del rinunciare a riconoscerne i limiti, nel tentativo di rendere più "vera" una simile semplificazione della complessità dell'esperienza della prossimità. Con questa consapevolezza, osserviamo come l’incontro nella seduta online imponga di confrontarsi ad un tempo con aspetti di prossimità e di lontananza e richieda un riassetto della distanza relazionale. Il superamento della distanza spaziale propone una presenza virtuale in cui l’assenza della fisicità dell’altro può far comunque sperimentare un sentimento di mancanza, mentre può essere percepito come una vicinanza eccessiva, intrusiva, l’ingresso del terapeuta nella casa, nelle stanze dei pazienti, come per il terapeuta può essere perturbante il loro ingresso nel suo spazio privato, se lavora da casa. E’ verosimile pensare che questo aspetto giochi un ruolo significativo almeno per alcuni dei pazienti che declinano la possibilità delle video-sedute, e che per loro le questioni avanzate rispetto ad una insufficiente privacy possano, più che da aspetti di realtà, dipendere da un vissuto soggettivo che rimanda ad una vulnerabilità personale nell’acquisizione di uno “spazio privato del sé”, che si traduce nell’impossibilità a sostenere la mutata declinazione del livello di intimità e di distanza interpersonale. Se dunque è vero che i confini spaziali del setting , non più delimitati dalla stanza di terapia, vengono definiti anche dal paziente attraverso la scelta del luogo in cui svolgere la seduta, della posizione dello schermo, di cosa decide di mostrare di sé e del suo contesto al terapeuta, e che in questo senso il paziente partecipa, in maniera ancor più attiva, alla co-costruzione dello spazio terapeutico (Gruppo di Studio SIPsIA sul Digitale 2020), anche per il terapeuta si pone la questione di come mostrarsi nel proprio spazio privato,
e di cosa mostrare. Non a caso questo è un aspetto curato con attenzione nelle linee guida dell’IPA sulle terapie online, che invitano a salvaguardare la “neutralità” oltre che la stabilità del contesto in cui si è ripresi dalla videocamera quando si lavora vis a vis. Algini (2020) scrive come nelle sedute via telefono o skype ci sia a volte la percezione di una più intensa intimità, spesso perturbante, e si chiede quanto possa dipendere dal fatto che quei mezzi fungono da limite rassicurante e alcune difese si possono pertanto allentare. Aggiunge che, nella situazione attuale, occorre tener conto che a questa inconsueta modalità di comunicazione siamo costretti perché accomunati da un evento epocale, che enfatizza le simmetrie inconsce tra paziente e terapeuta, accomunati dalle ansietà sollecitate dalla minaccia reale costituita dalla pandemia. Il cambiamento di setting presenta ulteriori complessità per quanto riguarda il lavoro con i bambini: se esistono esperienze ormai consolidate e una discreta letteratura per quanto riguarda le psicoterapie via internet con adolescenti ed adulti, per i più piccoli non disponiamo di contributi teorico-tecnici condivisi che ci aiutino ad affrontare i numerosi interrogativi che si impongono nel pensare se e come proporre sedute online. In assenza di una validazione empirica comparata, proviamo ad utilizzare con cautela la tecnologia, interrogandoci su quali possano essere gli effetti benefici e i rischi, o gli eventuali effetti collaterali per ciascun piccolo paziente nelle diverse situazioni e rispetto ai diversi momenti del processo psicoterapeutico. La relazione a distanza con i pazienti bambini presenta una serie di sfide specifiche per l’approccio a orientamento psicoanalitico, che prevede sedute non strutturate fondate principalmente sulle modalità espressive alternative al dialogo verbale, gioco, disegno, condivisione di giochi di ruolo e di movimento. Nelle sedute con i bambini la presenza fisica, la corporeità del piccolo paziente e del terapeuta, svolgono un ruolo importante, come l’ascolto attento alle comunicazioni espresse non verbalmente, la tonalità affettiva rivelata dalla gestualità, dai movimenti di avvicinamento e dagli allontanamenti, l’uso dello spazio, gli odori, l’atmosfera emozionale, in un setting che garantisce privacy e sicurezza, due aspetti che non sono pienamente regolabili dal terapeuta nel corso di una seduta in cui non si è fisicamente presenti nella stessa stanza. Si tratta dunque di immaginare la possibilità di ricreare un setting a distanza che permetta di continuare a giocare in modo terapeutico attraverso il dispositivo video, ricreando con sufficiente approssimazione un buon contesto di incontro e contenimento. Sarà importante poter contare sull’aiuto dei genitori, con cui avremo discusso le potenzialità e le criticità implicate nel passaggio alle sedute virtuali, e a cui affidiamo il compito di contribuire alla regolazione degli affetti sollecitati, se necessario. Nei contatti telefonici con i genitori potremo monitorare l’andamento della nuova esperienza. Per questo, oltre a tener conto dei diversi funzionamenti mentali dei piccoli pazienti, e dunque della effettiva possibilità di trarre vantaggio dal contatto virtuale sembra cruciale ancora più che nelle sedute in presenza, poter contare su una buona alleanza con i genitori, che non solo devono acconsentire alla nuova modalità terapeutica, ma fattivamente contribuire a renderla possibile collaborando con il figlio e il terapeuta nel definire le condizioni concrete per un buon incontro nel rispetto della privacy del figlio, quindi collocando il pc o il telefono in modo da garantire una buona ripresa e lasciando il bambino solo nella stanza, restando però a disposizione in caso di una “connessione instabile”, di rete o di contatto nel nuovo setting. Alle incertezze rispetto a se e come si modificheranno le relazioni terapeutiche si aggiungono per molti di noi quelle relativo all’uso dei dispositivi digitali, delle cui potenzialità non necessariamente siamo esperti. In questo i bambini possono sorprenderci: poiché la maggior parte di loro sono effettivamente “nativi digitali”, possono adattarsi con un’inaspettata prontezza all’interazione mediata dal video, e proporre loro stessi modalità di dialogo e gioco a partire dalla loro competenze nell’uso del pc, del cellulare, dei programmi via internet.
Per alcuni bambini inibiti nell’espressione emozionale l’utilizzo del dispositivo tecnologico sembra risultare persino facilitante, come se fosse maggiormente possibile attraverso la sua mediazione dare espressione alle proprie ansietà e alle tensioni del mondo interno : Lorenzo, 10 anni, che non ha mail voluto disegnare nei primi mesi della sua psicoterapia, negli incontri via skype mostra alla dottoressa cosa può fare utilizzando un programma di disegno digitale: i suoi disegni sono tridimensionali, estremamente suggestivi delle tematiche critiche collegate alla difficoltà di integrare l’intensità degli aspetti di pulsionalità sollecitati dalla fase preadolescenziale, li invia alla terapeuta che li stampa e li conserva nella sua cartelletta, dove li potrà ritrovare al ritorno in studio. Gemma, 10 anni, in terapia da qualche mese, appare più spontanea e sciolta di quanto non sia stata in studio. Nella prima seduta in video, quando la mamma esce dalla stanza, mostra alla terapeuta con evidente piacere la sua cameretta, il suo letto, i suoi giochi. Con naturalezza prende le barbie e dà inizio al gioco, la dottoressa (dal video) darà voce alla mamma, Gemma muove le due figlie, una dinamica narrativo molto ricca mette in scena le determinanti emozionali che alimentano il suo conflitto di separazione- individuazione. Rosa, 7 anni, che in seduta utilizzava il disegno come modalità privilegiata da cui partire per raccontare storie, nel primo incontro online spontaneamente mantiene questa modalità. Il pc è disposto dalla mamma in modo che riprenda la bambina seduta al tavolo del soggiorno, Rosa disegna, mostra il disegno alla terapeuta che lo commenta, e poi comincia a raccontare con una modalità che evidentemente cerca di riprendere il filo della relazione là dove era stata sospesa dopo l’ultimo incontro in presenza. La dottoressa esplicita “Anche se da lontano ci ritroviamo e ritroviamo le nostre storie” e come sempre trascrive il racconto di Rosa e interviene con le sue osservazioni. Con Paola, 12 anni, che soffre di un disturbo alimentare di tipo restrittivo, la terapeuta ha sempre utilizzato l'immagine, nelle sue diverse forme (disegni, carte dixit, fotografie, fotolinguaggio), per parlare ed "ascoltare" a fronte di una altrimenti notevole difficoltà nel mettere in parola spontaneamente i contenuti interni. Nel lavoro in remoto, è lo strumento della whiteboard, la lavagna interattiva, che permette di continuare a produrre disegni condivisi ricchi di comunicazioni e significati. Compaiono così una moltitudine di personaggi che permettono alle varie declinazioni del sé e degli oggetti interni di comparire sulla scena e di essere riconosciuti e considerati. La terapeuta di Paola può così realizzare quanto sia il setting mentale flessibile ma coerente a permettere alla sua paziente di continuare a sentirsi parte di una relazione significativa che le fornisce un contenimento emozionale sufficientemente adeguato, per quanto fornito “in remoto”. In alcune situazioni emergono i limiti che il lavoro a distanza impone, e si evidenziano con maggiore chiarezza le difficoltà con cui confrontano gli aspetti di ambivalenza nell’alleanza e le difficoltà nella triangolazione genitori-figlio-terapeuta: Nonostante la proposta di passare alle sedute via skype si stata accettata volentieri dal bambino e dai suoi genitori, per Giovanni (9 anni, in terapia per un’importante sintomatologia ansiosa in disturbo dello sviluppo emozionale) è molto difficile stabilire a distanza un setting stabile in cui il paziente si senta sufficientemente sicuro. In prima seduta vuole la mamma in seduta, nella seconda quando la terapeuta apre il collegamento tutto è stato evidentemente predisposto nel soggiorno perché all’incontro possa partecipare anche il fratello, nella terza, dopo un chiarimento telefonico con la mamma, la seduta avviene nella camera di Giovanni, con la mamma presente che “metterà a posto un armadio”. Il bambino è inquieto e agitato, a brevi momenti di contatto e dialogo con la terapeuta alterna il riavvicinamento alla madre, come se fosse esposto a un’intensificazione del conflitto di lealtà. La terapeuta scopre solo nel successivo contatto telefonico con la madre, dopo quasi un anno di terapia, che Giovanni non riesce a stare da solo in una stanza a casa…. .
Comprensibilmente appare più praticabile proseguire le psicoterapie a distanza nelle situazioni in cui è stato possibile costruire una buona alleanza con i piccoli pazienti e con i loro genitori, e quando il funzionamento del bambino è tale da consentirgli di fare un uso costruttivo dell’incontro virtuale. Nel caso di David (5 anni), un bambino con un disturbo dello sviluppo emozionale, per cui la presenza virtuale della terapeuta non basta a garantire un contesto di adeguato contenimento, per mantenere la continuità terapeutica sembra necessario modificare ulteriormente il setting, proponendo di continuare nel lavoro a distanza con sedute congiunte madre-figlio, con il doppio obiettivo di fornire al bambino un contenimento empatico rispetto alle ansietà che sottendono i suoi comportamenti disorganizzati e disturbanti e potenziare la capacità riflessiva della madre, in modo da facilitare una migliore sintonizzazione delle sue risposte. In altre situazioni appare possibile solo mantenere un contatto in funzione di ponte per preservare un senso di continuità, nell’attesa di poter riprendere il trattamento in presenza. Angela è una bambina di 8 anni con un disturbo generalizzato di sviluppo. Dopo qualche tempo dall’interruzione delle sedute in presenza, la terapeuta contatta la madre in video-chiamata e, per proporre almeno una breve prova della possibilità di mantenere la continuità della relazione, saluta anche Angela, che la “porta con sé” a vedere come sta innaffiando i fiori sul balcone…. . Nell’unico contributo psicoanalitico sulle psicoterapie a distanza per l’età evolutiva rintracciato in letteratura, Sehon (2015), a partire dai trattamenti di due preadolescenti, conferma di non aver riscontrato interferenze nel processo terapeutico dovute alla necessità di ricorrere alle video-sedute in un periodo in cui i pazienti erano lontani ed impossibilitati a raggiungere lo studio, e di non aver osservato differenze significative rispetto al lavoro in presenza, avendo potuto preparare e predisporre anche a distanza un setting adeguato in cui declinare l’attitudine analitica nell’ascolto delle comunicazioni dei ragazzi. Lo schermo non ha per Sehon compromesso o ridotto la capacità di giocare in modo terapeutico, analizzare i sogni, riflettere sul transfert, considerare il controtransfert ed esplorare i sintomi e i conflitti dei pazienti. In particolare, rispetto alla capacità di sviluppare un gioco terapeutico, l’impressione di questa autrice è che dipenda di più dalle capacità di gioco simbolico del paziente che non dal contesto, e dal livello di alleanza terapeutica precedentemente raggiunto, poiché la modalità di presentare i contenuti del mondo interno da parte dei due pazienti, in un caso soprattutto attraverso il racconto dei sogni, veniva mantenuta e risultava analizzabile. Ringrazio le psicoterapeute e le specializzande che condividendo i loro casi in supervisione mi hanno permesso di imparare molto sulle potenzialità dell’uso dei dispositivi telematici nel lavoro con i bambini. Bibliografia Algini, M.L. (2020) Strane sedute nel tempo del Covid. Note per una circolazione di pensieri…, www.sispia.org Bolognini, S.(2013) Inaugural speech, International Psychoanalytical Association, www.ipa.org.uk Bolognini, S. (2020) Dialogo con S. Bolognini, a cura di F. Bollorino, www.psychiatryonline.it Gruppo di Studio SIPSIA sul digitale (2020) L’emergenza dei pensieri: praticare la distanza, www.sipsia.org Rovatti, P. (2020) Come sta cambiando lo stare vicini, Il Piccolo, 4/4/2020 Sehon, C. (2015) Teleanalysis and teletherapy for children and adolescents? In Scharff, J. Psychoanalysis Online 2, Impact of Technology on Development, Training, and Therapy, Routledge, NY
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