Commento al documento Una Politeia per una Europa diversa, più forte e più equa Lorenzo Bini Smaghi
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Commento al documento Una Politeia per una Europa diversa, più forte e più equa Lorenzo Bini Smaghi (Astrid, Roma 15 Ottobre 2018) Il documento Politeia, predisposto dal Dipartimento per gli affari europei della Presidenza del Consiglio, ha tre problemi. Primo, contiene molti errori, fattuali e di analisi. Secondo, è ambiguo, soprattutto nelle proposte, che se interpretate alla lettera rischiano di produrre effetti negativi, in particolare per quel che riguarda la percezione della sostenibilità delle finanze pubbliche italiane. Terzo, è controproducente dal punto di vista politico, e rischia di minare la fiducia, in particolare nei confronti dell’Italia. Il commento è organizzato seguendo queste tre linee. 1. Gli errori Di seguito si evidenziano alcuni errori di analisi e di valutazione contenuti nel documento, in particolare riguardo al contenuto dei trattai e degli accordi europei. Un primo esempio riguarda l’impegno assunto nel trattato a mantenere le finanze pubbliche in ordine. A pagina 4 del documento nel secondo paragrafo si sostiene che il trattato prevede una “clausola della convergenza”, secondo cui: “I paesi che all’epoca della decisione già superavano il 60% nel rapporto debito pubblico/PIL avrebbero dovuto crescere a saggi più elevati degli altri per validare la solvibilità del loro debito sovrano.” Una tale clausola non esiste. Il Trattato chiarisce che i paesi – tutti i paesi - devono evitare disavanzi pubblici eccessivi.1 La Commissione sorveglia l’evoluzione della situazione di bilancio e l’entità del debito pubblico degli stati membri, in particolare affinché i paesi che hanno un debito pubblico superiore al 60% del Pil lo riducano in misura sufficiente ad avvicinare il valore di riferimento con ritmo adeguato. Non è pertanto corretto sostenere che le procedure europee abbiano come obbiettivo di far crescere maggiormente le economie dei paesi ad alto debito “per validare la solvibilità del 1 Articolo 104: 1. Gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi. 2. La Commissione sorveglia l’evoluzione della situazione di bilancio e l’entità del debito pubblico negli stati membri, al fine di individuare errori rilevanti. In particolare, esamina la conformità alla disciplina di bilancio sulla base dei due criteri seguenti: a. Se il rapporto tra il disavanzo pubblico e il Pil supera .. b. Se il rapporto tra debito pubblico e Pil supera… 1
loro debito sovrano”. La solvibilità delle finanze pubbliche è responsabilità degli stati membri. Questo è ciò che è stato concordato e sottoscritto da tutti, a cominciare da Guido Carli che firmò per l’Italia. Il secondo esempio riguarda la politica monetaria e del cambio. A pagina 10 del documento, si sostiene che “I poteri di intervento sul cambio estero dell’euro e quelli di svolgere funzioni da prestatore di ultima istanza (lender of last resort) sono stati attivati da pressioni derivanti da eventi straordinari e dall’abilità del Presidente, ma non sono espressamente previsti nel suo Statuto.” Questa affermazione non è corretta. La BCE ha poteri in materia di cambio ben maggiori di quelli della Riserva federale, della Banca del Giappone o della Banca d’Inghilterra. In quei paesi la decisione se effettuare o meno interventi spetta ai rispettivi Ministeri del Tesoro. L’articolo 3.1 dello Statuto della BCE chiarisce invece che nell’area dell’euro è la BCE che ha la responsabilità di intervenire, e di detenere le riserve valutarie.2 Il trattato indica peraltro che il Consiglio dei ministri finanziari (Eurogruppo) decide l’adozione di un eventuale regime dei cambi, diverso dai cambi flessibili, e può eventualmente adottare orientamenti della politica del cambio. Se gli autori del documento Politeia intendevano proporre un cambiamento del regime di tasso di cambio, sarebbe stato preferibile indicarlo esplicitamente, spiegandone la soluzione proposta e i benefici che ne deriverebbero per l’area dell’euro. Venendo alla funzione di lender of last resort, cioè di prestatore di ultima istanza, Il documento sostiene che la BCE, a differenza di altre banche centrali, non abbia tali poteri. In realtà, nessuna banca centrale, almeno nei paesi avanzati, ha un tale obiettivo scritto negli statuti. Nessuna banca centrale interviene in acquisto di titoli di stato invenduti all’emissione. Eccetto in Italia, prima del cosi-detto “divorzio” tra la Banca d’Italia e il Tesoro avvenuto nel 1981, che impegnava la Banca d’Italia ad acquistare tutti i titoli non collocati all’asta presso il pubblico, finanziando quindi gli ampi disavanzi del Tesoro con base monetaria, creando così inflazione a due cifre, una tassa occulta sui risparmi dei cittadini. Se gli autori del documento ritengono che l’Europa debba adottare un sistema di finanziamento dei tesori nazionali simile a quello in vigore in Italia negli anni 1970, come sostengono apertamente alcuni economisti vicini al governo – e come esplicita in modo chiaro il famoso Piano B - dovrebbero scriverlo esplicitamente. Questo, indubbiamente, richiederebbe un cambiamento dello statuto della BCE. La BCE, come le altre banche centrali, può acquistare, su sua iniziativa, titoli di stato sul mercato secondario, per creare base monetaria al fine di raggiungere l’obiettivo statutario, che è la stabilità dei prezzi. E’ quello che si chiama il QE – quantitative easing. Non ci sono restrizioni nello statuto, contrariamente a quanto affermato al riguardo nel documento (a pag. 9). La Corte di Giustizia europea è stata chiara in proposito. La decisione di adottare la cosi-detta “Capital key”, per distribuire gli acquisti di titoli dei vari paesi in funzione della loro quota azionaria della BCE è una libera scelta della BCE. Il documento chiede implicitamente di attuare il QE solo acquistando titoli 2 Articolo 3.1 dello Statuto della BCE: Conformemente all’articolo 105 del trattato, I compiti fondamentali assolti tramite il SEBC sono: - Definire e attuare la politica monetaria della Comunità - Svolgere le operazioni sui cambi in linea con le disposizioni dell’art. 111 del trattato - Detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri - … 2
di stato italiani, e non di altri stati, per fronteggiare attacchi speculativi. Evidentemente c’è una confusione tra gli strumenti di politica monetaria, ossia tra il QE e l’OMT, il whatever it takes, sul quale tornerò tra breve. Come tutte le banche centrali, la BCE fissa il tasso d’interesse a breve termine, e lascia al mercato il ruolo di determinare il tasso d’interesse di lungo periodo, in funzione delle aspettative d’inflazione, della crescita reale, del rischio di credito dello stato, ecc. La banca centrale non interviene sulle scadenze più lunghe, eccetto quando attua il Quantitative easing, perché altrimenti falserebbe le funzioni allocative del mercato dei capitali. Nell’unione monetaria non esiste un unico tasso d’interesse di lungo periodo, ma tassi diversi, in particolare per quel che riguarda i titoli di stato, determinati dal mercato in funzione dei diversi tassi di crescita, d’inflazione e del rischio di credito degli emittenti. In questo contesto, si possono verificare situazioni nelle quali i mercati non prezzano in modo adeguato il diverso rischio dei vari paesi, determinando dinamiche che possono creare instabilità. Questo è avvenuto nei primi anni dell’unione, quando i tassi sui titoli di stato dei vari paesi erano allineati, forse troppo allineati tenuto conto del diverso rischio. Oppure quando il mercato scontava un rischio generalizzato di ristrutturazione del debito, come nel 2011, o un rischio di ridenominazione, legato ad una potenziale uscita dall’area dell’euro, come nel 2012. Nel Settembre 2012 la BCE ha adottato l’OMT (Outright Monetary Transaction), in seguito alle parole pronunciato da Draghi “We will do whatever it takes”, che per precisione, erano precedute da 3 parole – spesso omesse in Italia – “within our mandate”. Cosa vogliono dire queste parole? che il ruolo della banca centrale è di far fronte a crisi di liquidità, non di solvibilità di uno stato. In altre parole, la banca centrale può intervenire per contrastare rischi di contagio o percezioni errate riguardo alla partecipazione di un paese all’unione monetaria, ma non per finanziare una dinamica insostenibile del debito. Questa è una delle condizioni ben note nella letteratura, dai tempi di Bagehot, che riguardano proprio la funzione di prestatore di ultima istanza (Lender of Last Resort).3 Una banca centrale può stabilire se una banca è solvibile o meno, e erogargli credito di ultima istanza; ma non è suo compito stabilire se un paese sia solvibile o meno. Questo è il compito dell’autorità politica a livello europeo, poiché la BCE è la banca centrale dell’insieme dei paesi europei. Questo è il motivo per cui l’OMT è soggetto ad una valutazione sulla sostenibilità del debito, nell’ambito di un programma deciso dall’Eurogruppo. Il documento Politeia evidentemente considera che tale condizionalità non sia necessaria, perché sostiene che “Se i poteri di intervento contro la speculazione fossero veramente pieni, gli spread tra rendimenti dei titoli sovrani si dovrebbero azzerare.” (pag. 10) In altre parole, il documento chiede che la BCE abbia i poteri – o detto meglio sia obbligata – ad intervenire per azzerare gli spread. Ciò presuppone evidentemente che qualsiasi differenziale tra i rendimenti dei titoli di stato dei vari paesi, indipendentemente dal livello del debito o del disavanzo, sia frutto esclusivo della speculazione. Questa ipotesi è analiticamente malfondata. Lo spiega lo stesso paper di Jan Kregel, allegato al documento, nel quale si sostiene che “just as different private borrowers have different credit risks and face different risk-adjusted borrowing rates, “sovereign” borrowers should have different credit risks determined by the ability of governments to raise revenue as determined by conditions 3 Bagehot, Walter (1873). Lombard Street: A Description of the Money Market. NuVision 2008. 3
of the domestic economy and institutions.” E, facendo riferimento ai primi 10 anni dell’euro Kregel sostiene che “countries with higher borrowing and debt stocks were little penalized by the market imposing higher borrowing rates leading to an allocation of private sector liquidity within the Eurozone which reinforced economic imbalances and contributed to the European financial crisis after the collapse of US financial markets.” Chiedere alla BCE di intervenire per azzerare, o mantenere entro un certo limite, lo spread, senza alcuna condizione riguardo le finanze pubbliche del paese, vanifica qualsiasi distinzione tra rischio di liquidità e rischio di solvibilità, che è essenziale nell’esercizio della funzione di prestatore di ultima istanza. Se la BCE dovesse intervenire per azzerare gli spread, non si tratterebbe più della funzione di prestatore di ultima istanza ma di finanziamento monetario del debito, che nessun altra banca centrale al mondo fa, con l’eccezione della Banca d’Italia prima del divorzio del 1981. Gli inglesi direbbero “call a spade a spade”, che si può tradurre con “se è un mostro, chiamalo mostro”. Invece di usare concetti tecnici come “prestatore di ultima istanza”, sarebbe stato più chiaro parlare di monetizzazione del debito o di tassa dell’inflazione, perché è proprio questo che il documento propone. In realtà, chiedere alla BCE di intervenire per allineare i rendimenti dei titoli dei vari stati equivale di fatto a trasformare questi titoli in Eurobond, con garanzia incondizionata della banca centrale. In altre parole, si vuole una piena condivisione dei rischi tra i paesi europei, azionisti della BCE, senza che ci sia alcuna condivisione di responsabilità, in particolare sulla quantità di titoli emessi dai singoli paesi. Secondo il sistema proposto, ciascuno stato sarebbe libero di emettere i titoli che vuole, tanto vengono garantiti dagli altri. Se un paese fa default, sono gli azionisti della BCE a pagare, ossia gli altri paesi. Ciò comporta un ovvio azzardo morale, cioè l’incentivo a creare più debito a spese degli altri. Mi domando se, nello scrivere il documento, gli autori non abbiano esagerato nel testare il limite dell’intelligenza del lettore, soprattutto quelli degli altri paesi europei. Veramente pensiamo che i nostri partner europei siano così ingenui dall’accettare una cosa del genere? Il culmine si raggiunge a pagina 12, che sintetizza bene l’approccio complessivo del documento: “Non si vede ragione perché i depositi bancari siano tutelati e i titoli sovrani non lo siano.” Questa frase fa dubitare seriamente sulle basi analitiche dell’approccio seguito dagli autori del documento. Come è noto, i depositi bancari sono garantiti, fino ad un certo ammontare, per evitare il contagio e la fuga di depositi da tutto il sistema bancario nel caso in cui una banca si trovi in difficoltà. A fronte di tale garanzia vi è un sistema di regolamentazione e di vigilanza bancaria, basato su regole, su coefficienti patrimoniali, coefficienti di liquidità. Se una banca non rispetta tali criteri, il regolatore può togliergli la licenza bancaria, e la banca non può rispondere “me ne frego”. In alcuni paesi, peraltro, i depositanti pagano per avere tale assicurazione. I titoli di stato emessi da un paese sono garantiti in prima battuta dalle entrate fiscale e dal patrimonio del paese. Qui si chiede che vengano garantiti anche dalle entrate fiscali degli altri paesi, e alla BCE, ma in cambio di quale regolamentazione, di quali vincoli? Se la regolamentazione è quella europea, la garanzia della BCE esiste già. Consiste nello strumento dell’OMT, che comporta acquisto illimitato di titoli di stato, come previsto dalla funzione di prestatore di ultima istanza, che ovviamente è condizionata al rispetto delle regole, come per i depositi bancari. 4
Evidentemente il documento propone che la garanzia altrui venga fornita senza alcuna condizionalità, e senza il rispetto di alcuna regola. Anche in questo caso, il documento sembra basarsi su una ipotesi di scarsa intelligenza degli interlocutori, che sembra un po' lontana dalla realtà. 2. Il contesto Vengo alla seconda parte del mio commento, che riguarda il contesto nel quale vengono avanzate le proposte e la strategia negoziale complessiva per l’Italia. Il documento parte dal presupposto che la disaffezione nei confronti dell’Europa abbia principalmente una motivazione economica, e sia generalizzata. Si afferma in particolare nel documento (pag.9), che “una elevata percentuale di cittadini europei mostrano di aver perso fiducia nel futuro dell’alleanza europea”. Si possono sollevare dubbi al riguardo. Innanzitutto, i dati mostrano che gli altri paesi colpiti dalla crisi hanno registrato negli ultimi anni un recupero di crescita superiore a quello dei paesi cosi-detti core. Come si può vedere dal grafico che segue, l’Italia è il solo paese a non essere ancora tornato sui livelli di reddito pre-crisi. 12 Per l’insieme dell’area dell’euro, la performance degli ultimi 20 anni è comparabile a quella degli Stati Uniti, con alcuni paesi che hanno addirittura fatto meglio, in termini di crescita pro-capite. L’Italia è un caso a parte. Non è sostanzialmente cresciuta negli ultimi 20 anni, come si vede dal prossimo grafico. 5
13 Questo non significa certo che tutto vada bene in Europa, ma semmai che l’Europa non è quella landa desolata che viene spesso descritta in Italia. Inoltre, come si vede nel grafico successivo, l’apprezzamento dell’opinione pubblica nei confronti dell’euro è risalito, in tutti i paesi, tornando in media sopra i massimi iniziali. L’Italia è in contro- tendenza, anche se c’è un rimbalzo nell’ultimo dato, che si riferisce alla primavera del 2018 (forse a seguito della sensibilizzazione connessa alla campagna elettorale). Opinion relative to the European economic and monetary union with one single currency % , 3mma 100 90 80 Euro Area - For 70 Italy - For 60 50 2000 2002 2003 2005 2006 2008 2009 2011 2012 2014 2015 2017 Source: EC Public Opinion 14 Di fatto, le principali preoccupazioni degli europei sono cambiate negli ultimi anni. Non sono più la situazione economica e l’occupazione a preoccupare, come era il caso fino al 2013-14, ma la sicurezza e l’immigrazione, come si può vedere nel prossimo grafico, che riporta l’ultima rilevazione di Eurobarometro. Nei paesi del Nord Europa le spinte populiste – seppur contenute – sono motivate principalmente da problemi di immigrazione, e semmai dall’avversione nei confronti dell’eccessiva generosità europea verso i paesi del sud durante la crisi. Negli altri paesi del sud 6
dell’Europa, come la Spagna o il Portogallo, le opinioni pubbliche hanno una visione dell’euro e dell’Europa molto diversa da quella sottostante al documento italiano. 15 Ritenere che un eventuale successo dei partiti cosi-detti populisti o sovranisti alle elezioni europee del Maggio 2019 porterà un ambiente più favorevole alle proposte del governo italiano rischia di rappresentare un grave errore politico. I partiti e movimenti populisti degli altri paesi non hanno alcuna intenzione di favorire una maggiore condivisione del rischio in Europa, ma vogliono piuttosto un ritorno al “ciascuno per sé”, che isolerebbe ancor di più un paese fragile come l’Italia. Allearsi con questi partiti non porterà a più solidarietà e maggior condivisione, ma all’esatto opposto. Un secondo punto da fare è che vi è una diffusa convinzione in Europa che i problemi economici – non quelli migratori - di cui soffre l’Italia sono il risultato di politiche sbagliate messe in atto dall’Italia negli ultimi 20 anni. Il confronto tra il Belgio e l’Italia è illuminante da questo punto di vista. Entrambe sono entrate nell’unione monetaria con un debito superiore al 100% del Pil - quello del Belgio addirittura più alto dell’Italia – e un surplus primario superiore al 4% (6% nel caso del Belgio). Tuttavia, come si può verificare nel prossimo grafico, mentre il Belgio ha mantenuto un surplus rilevante dal 1997 al 2007, che ha consentito di ridurre il debito fino a sotto il 90% prima della crisi, in Italia il surplus primario è sceso rapidamente. In altre parole, l’Italia ha fatto una politica fiscale di segno espansivo sin dall’inizio dell’euro, nella speranza che tale politica avrebbe stimolato la crescita e ridotto il debito. Ma il debito pubblico si è ridotto di poco, in parte notevole grazie alle privatizzazioni. 7
16 I dati mostrano che in soli 3 degli ultimi 20 anni - ossia nel 2007 e nel biennio 2012-13 - l’Italia ha messo in atto una politica fiscale restrittiva, caratterizzata cioè da un aumento del saldo di bilancio primario (cioè al netto degli interessi sul debito). In tutti gli altri anni, in particolare subito dopo l’entrata nell’euro e negli ultimi 5 anni, dopo l’aggiustamento compiuto dal governo Monti, la politica fiscale è stata di segno espansivo e il surplus primario è stato sistematicamente ridotto. Per questo motivo il debito pubblico italiano ha continuato ad aumentare, in rapporto al Pil. Ciò contraddice peraltro la vulgata secondo cui ci negli ultimi 20 anni l’Italia abbia attuato solo politiche di “austerity”, e che questo è il motivo per cui il debito è salito. L’evidenza mostra il contrario, che l’austerità è stata l’eccezione, l’espansione la regola. Italy: General government primary balance As % of GDP 6 5 4 3 2 1 0 -1 -2 1999 2001 2003 2005 2007 2009 2011 2013 2015 2017 2019 Cyclically-adjusted Headline Source: Thomson Reuters Datastream 17 Un altro mito da sfatare è che l’Italia sia uno dei pochi paesi europei ad avere un surplus primario. Nel 2017 ben 8 paesi dell’area euro (Cipro, Germania, Grecia, Irlanda, Lituania, Malta, Paesi bassi, Slovenia) hanno registrato un surplus primario superiore a quello italiano, pari all’1,3%, nonostante 7 di essi abbiano un debito inferiore a quello italiano. 8
Un terzo problema del documento è l’assenza di riferimenti all’agenda dei lavori europei, in particolare per quel che riguarda il rafforzamento dell’architettura monetaria. In effetti, nessuno sostiene che tutto vada bene in Europa, e che non ci sia bisogno di cambiamenti rilevanti. I lavori sono in corso da tempo. In particolare, il rapporto dei 5 presidenti, del giugno 2015, traccia un percorso, seppur lento e graduale, su temi importanti come il completamento dell’Unione bancaria o la creazione di un bilancio europeo, al fine di rendere l’Eurozona più resiliente. Molti paesi, tra cui l’Italia, hanno predisposto documenti che sono stati esaminati dagli esperti e che fanno parte del processo negoziale. La Commissione europea ha elaborato delle proposte sulla base di tali contributi. Non c’è traccia di tutto ciò nel documento, che sembra voler ricominciare tutto da zero. Sarebbe utile capire cosa pensa in proposito il governo, ad esempio della proposta di completare l’unione bancaria con un meccanismo di assicurazione europeo dei depositi, che è stata bloccata in passato, proprio dall’Italia, per evitare misure di riduzione della eccessiva rischiosità dei bilanci bancari, in particolare gli NPL e i titoli di stato. Questa opposizione ha rappresentato un errore, perché comunque le banche italiane hanno – e di fatto continuano – a ridurre gli NPL, e devono contenere la quantità di titoli di stato a bilancio, sotto la pressione del mercato stesso. Ma in cambio di questo risultato, ottenuto nonostante l’opposizione del governo del tempo, non è stata ottenuta alcuna contropartita politica in termini di condivisione del rischio, come l’assicurazione comune dei depositi. Quella scelta ha indebolito il sistema bancario italiano, e rinviato nel tempo il completamento dell’unione bancaria. 3. L’ambiguità Per fare passi avanti nella costruzione europea è necessario creare le condizioni per una reciproca fiducia tra i paesi. Il pericolo di questo documento, e del contesto in cui viene presentato, è semmai quello di minare la fiducia, invece di rafforzarla, e dunque di fare dei passi indietro. Innanzitutto, la filosofia di fondo del documento non solo ignora del tutto il parallelismo tra condivisione dei rischi e riduzione dei rischi che - piaccia o meno - ha caratterizzato i progressi di questi ultimi anni, ma propone l’esatto opposto, ossia una maggior condivisione dei rischi e al contempo un allentamento dei controlli sui rischi e dei vincoli. Questo è il risultato della richiesta combinata di una garanzia incondizionata della BCE e di un allentamento delle regole, in particolare quelle fiscali. Qual è il risultato di una tale proposta? Qualcuno potrebbe pensare che sia lo status quo. Ma non è così. Per capire il problema della dinamica negoziale europea, può essere utile far riferimento alla lettera congiunta dei governatori delle banche centrali francesi e tedesche, Villeroy de Galhau e Weidmann, del 2016. Quel documento descrive due scenari possibili per l’Europa. Il primo è il proseguimento del percorso di integrazione, su tematiche attinenti alla fiscalità, al bilancio, ma anche alla difesa e sicurezza comune. Questo percorso richiede tuttavia ulteriori condivisioni di sovranità da parte dei governi e dei parlamenti nazionali. Se, tuttavia, manca la volontà politica per fare ulteriori passi avanti verso una maggiore integrazione, "non resterebbe che l'opzione di un approccio decentrato, fondato sulla responsabilità individuale e su regole ancora più strette." In altre parole, se non si prosegue nel parallelismo della ulteriore condivisione e riduzione dei rischi, l’alternativa è di tornare indietro. Che non è solo “ciascuno per sé”, ma anche “ciascuno si protegga dai danni creati dagli 9
altri”. E’ in questo contesto che va letto il documento dei 14 economisti franco-tedeschi dell’inizio di quest’anno, che non nasconde l’intenzione di rendere automatica la ristrutturazione del debito pubblico per i paesi che perdono l’accesso ai mercati finanziari e fanno richiesta di aiuto, secondo lo stesso meccanismo deciso a Deauville da Sarkozy e Merkel, che fu uno dei fattori scatenanti della crisi del 2011.4 L’obiettivo è quello di ridurre il contagio nel caso si verificasse una crisi in uno dei paesi membri, e di ridurre le basi di un eventuale ricatto, portato avanti nel presupposto che un paese sia “too big to fail”. In altri termini, si vuole evitare di trovarsi in una situazione nella quale “L’Italia sia troppo grande per non essere salvata”. Un altro esempio di come il documento sia ambiguo e rischi di minare la fiducia è il riferimento più o meno esplicito alla ristrutturazione del debito pubblico, a fine pagina 16: “Se i timori dei paesi membri creditori che ostacolano la definizione di una politica fiscale fossero dovuti al rischio temuto da alcuni paesi di doversi accollare il debito altrui, esistono le soluzioni tecniche per garantire che ciò non avvenga. Si tratta di attivarle in pratica effettuando scelte politiche, come quelle di concordare un piano di rimborsi a lunghissima scadenza e ai tassi ufficiali praticati, fornendo una garanzia della BCE fino al rientro nel parametro del 60% rispetto al PIL, in contropartita di una ipoteca sul gettito fiscale futuro o di proprietà pubbliche in caso di mancato rimborso di una o più rate.” La proposta non è chiara, ma contiene dei riferimenti all’ipotesi di ristrutturazione del debito. Ricorda il riferimento alla cancellazione del debito italiano detenuto presso la BCE, contenuto della prima versione del programma di governo, poi cancellato, che fece schizzare lo spread nel maggio scorso. Ricorda parole ancor più chiare, pronunciate nell’intervento del Prof. Savona del 2015 per spiegare il cosi-detto piano B: “In ogni caso, ossia si stia o si esca dall’euro, occorre provvedere immediatamente a un’operazione straordinaria di allungamento delle scadenze del debito pubblico e riduzione degli oneri correnti e potenziali… per procurarsi il tempo necessario per un serio negoziato e un altrettanto serio piano di uscita.” 5 Se il cosi-detto piano B poteva essere un esercizio accademico, il documento Politeia non può essere considerato tale, visto che porta stampato in prima pagina lo stemma della Repubblica. L’hanno letto gli investitori, non solo in titoli di stato, ma anche in titoli azionari, in particolare quelli bancari. Non c’è da meravigliarsi dunque se i mercati reagiscono come avvenuto nelle scorse settimane. Sarebbe pertanto utile chiarire se effettivamente si stia preparando un piano per la ristrutturazione del debito italiano. In ogni caso, è bene capire che il presupposto per cui l’Italia sia troppo grande per non essere salvata non sembra essere confermata dai dati. Il mercato ha capito che la situazione è diversa rispetto al 2011 e che la BCE può ora intervenire con l’OMT, in modo anche illimitato. Il mercato ha capito che, per evitare il contagio di una crisi del debito italiano, la Spagna e il Portogallo sarebbero disposti a chiedere un programma di aggiustamento, anche preventivo, per beneficiare dell’OMT. 4 Reconciling risk sharing with market discipline: A constructive approach to euro area reform, CEPR Policy Insight No 91, by Agnès Bénassy-Quéré, Markus K Brunnermeier, Henrik Enderlein, Emmanuel Farhi, Marcel Fratzscher, Clemens Fuest, Pierre-Olivier Gourinchas, Philippe Martin, Florence Pisani, Hélène Rey, Isabel Schnabel, Nicolas Véron, Beatrice Weder di Mauro, Jeromin Zettelmeyer. 5 https://scenarieconomici.it/origini-significato-e-funzioni-di-un-piano-a-e-b-per-litalia-in-europa-di-paolo-savona/ 10
Questo si vede dall’evoluzione dello spread italiano dal maggio scorso (prossimo grafico), che ha avuto un effetto di contagio limitato su quello spagnolo e portoghese, in particolare da settembre, mentre il differenziale con la Grecia si è ridotto di 100 punti. Ciò sementisce peraltro la tesi di chi sostiene che lo spread italiano sia salito per colpa della BCE, e l’annuncio della fine del QE, visto che la BCE non acquista titoli greci. 23 Ultimo esempio della sfiducia nei confronti dell’Italia, che la pubblicazione di questo documento rischia di accentuare, è la quasi contemporanea presentazione della Nota di Aggiornamento del DEF, nella quale si evidenzia una chiara intenzione di non rispettare le procedure e regole di bilancio europee, con il superamento la soglia del 3% del rapporto deficit/Pil, la riduzione del surplus primario, di 1 punto percentuale del Pil, e l’aumento del rapporto debito/Pil. Confronto Previsioni 2018 2019 2020 2021 GPD Growth market 1,2 1,1 0,9 0,7 nadef 1,2 1,5 1,6 1,4 GDP Deflator 1,4 1,2 1,4 1,6 1,3 1,6 1,9 1,7 General Gov. balance -2,0 -3,0 -3,1 -3,1 -1,8 -2,4 -2,1 -1,8 Primary Balance 1,7 0,8 0,7 0,8 1,8 1,3 1,7 2,1 Gross Public debt 130 130 131 131 131 130 128 12725 Una lettura attenta della Nota di aggiornamento, mostra che l’obiettivo annunciato di un disavanzo pari al 2,4% del Pil si basa su una sovrastima del tasso di crescita e dell’inflazione, di circa 1 punto percentuale all’anno, rispetto alle altre previsione disponibile, come hanno spiegato la Banca d’Italia 11
e l’UPB. Quello che non hanno spiegato, ma che spiegano invece gli operatori di mercato, è che se si aggiustano le previsioni e si tiene conto delle sovrastime dell’impatto di alcune misure, e si corregge per l’ipotesi riguardo l’attivazione delle clausole di salvaguardia – cioè che l’IVA non verrà aumentata nel 2020 e 2021 - il disavanzo previsto per il 2019 supera il 3% del Pil e il debito non scende. Se si tiene anche conto dei maggiori tassi d’interesse, delle privatizzazioni improbabili, anzi, se si tiene conto del probabile maggior fabbisogno per ricapitalizzare qualche banca, il disavanzo rischia di avvicinare il 3,5% nei prossimi tre anni. Infine, se si prendono in considerazione scenari di stress internazionali, tenendo conto dei possibili effetti di una Brexit dura (che secondo alcune stime potrebbe sottrarre fino a 1 punto di Pil nell’Eurozona), o di un rallentamento negli Stati Uniti entro il 2020, oppure di un’accentuazione della guerra commerciale in atto, o dell’impatto dello spread sull’erogazione del credito da parte del sistema bancario italiano, emerge una situazione di grande fragilità del debito pubblico italiano. In questo contesto, menzionare in un documento ufficiale italiano l’ipotesi di ristrutturazione del debito non può che minare la fiducia dei risparmiatori e dei nostri partner. Conclusione In conclusione, la costruzione europea è un processo dinamico, democratico – perché richiede il consenso di tutti i paesi - talvolta troppo lento e frustrante. C’è sicuramente ancora molto da fare per rendere l’Europa più forte, più resiliente di fronte alle crisi, più capace di generare prosperità in un mondo complesso e sempre più integrato. Ma sin dall’inizio dell’Unione, 60 anni fa, un fattore è stato fondamentale per consentire di andare avanti, e dimenticare il passato tragico di questo continente: la fiducia reciproca tra paesi. Solo grazie alla fiducia si è accettato di mettere insieme parte della sovranità nazionale e deciso di decidere insieme - anche a maggioranza - su materie essenziali come la concorrenza, le regole del commercio, la moneta, la vigilanza bancaria. La fiducia nell’altro va però conquistata e mantenuta nel tempo, lavorando insieme, discutendo insieme, rispettando i principi e le regole esistenti, anche quando le si vogliono cambiare. Il timore è che le idee contenute nel documento Politeia non contribuiscano ad aumentare la fiducia reciproca, in particolare quella nei confronti dell’Italia. Il timore è che a rimetterci sia soprattutto l’Italia. 12
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