CENTENARIO DEL CARNEVALE DI SAN GRUGNONE 1919/2019 - Ravennanotizie.it
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In collaborazione con il Comune di Conselice Con il Patrocinio di Regione Emilia-Romagna Provincia di Ravenna Unione Comuni della Bassa Romagna CENTENARIO DEL CARNEVALE DI SAN GRUGNONE 1919/2019 APPUNTI SULLA STORIADEL BOYSTEN’LAND 1. Le origini Scrive Francesco Balilla Pratella: «A mezzanotte del martedì grasso, ultimo giorno della baldoria, suonava “la lòva” – usanza dei tempi in cui comandava il Papa – campana malinconica, che annunziava la fine del carnevale e il principio della quaresima. Il giorno dopo, il mercoledì delle Ceneri, si chiamava “e’ dè d’ Sén Grugnõn”, il giorno di San Grugnone (da grugno, grinta, smorfia di disgusto e di amarezza), poiché la gente, che si era abbandonata alla pazza gioia durante il carnevale, metteva poi su il grugno, pensando alla noia e alle rinunce doverose imposte dalla quaresima». In realtà in diversi luoghi, per vecchia consuetudine, i fe- steggiamenti carnevaleschi potevano dilatarsi ancora almeno fino alla domenica successiva, e la quaresima non era priva di appuntamenti che ne interrompevano la rigidità, come quello della Segavecchia. E questo non solo durante o dopo l’epoca giacobina, ma anche prima in una consuetudine che era accettata dalle autorità religiose, pure in forma controllata e non senza qualche voce di dissenso. E «anche nel successivo periodo della Restaurazione, malgrado i divieti vigenti – come scrive Paola Sombrero – la discontinuità del rispetto quaresimale riflette le resistenze e le difficoltà a riconfermare rigorose separazioni tra tempo sacro e tempo profano». Le forme del «carnevale in quaresima» potevano essere molto diversificate e il De’ Nar- dis, ad esempio, ci testimonia l’uso campagnolo della mascherata della quaresima nel giorno delle Ceneri: ragazzi mascherati da vecchiette giravano per le case a donare dalla loro sporta cenere, fagioli e cipolle, ricevendo spesso in cambio carne insaccata, formaggio, pane, uova, vino. E scrive anche: «Il tempo di carnevale si conclude tuttavia ufficialmente con la prima domenica che segue il dì delle ceneri. Termine deciso dal popolo, bene inteso che rinnova mascherate e balli e cenoni». Altrettanto accade nell’ottocento ed oltre con l’estensione del carnevale dopo il «martedì grasso», con pratiche dissacranti di violazione dei dettami quaresimali e di ciò che questi rappresentavano in termini di espressione di un «potere» inviso al popolo. E quanto accade col Carnevale di San Grugnone, che più o meno nella forma attuale comincia a celebrarsi a Conselice a partire dal 1920, dopo un esordio estempo-
raneo l’anno precedente. Da subito nasce lo Stato del Boysteland con tanto di Re, il Pangiagleba, ministri come il Causidico Racia, nobili, generali e sottosegretari, con nomi che provenivano dai nomignoli di allora e di cui ancora oggi ve n’è traccia. Originariamente il carnevale conselicese iniziava alle ore 13 del primo giorno di quaresima, quando il Re coi suoi ministri, cortigiani ed uno stuolo di popolani prendevano le mosse per una visita alle colonie, le frazioni di Conselice. Si conta che fossero già oltre una cinquantina a formare una carovana costituita da qualche biroccio, un paio di calessi e diverse persone che seguivano in bicicletta e a piedi. “Erano del tutto assenti i carri allegorici – sottolinea Mentino Preti, autore del libro sulla storia del carnevele, che sarà presentato – ed il Gruppo principale di Buzzetti si manteneva con una divisa ed un cappello a larga tesa che ricordavano quelli delle giubbe rosse canadesi. L’intera carovana era accompagnata da un orche- strina di 7/8 elementi denominata Concertino dal Pèp Róti.” Va considerato come i protagonisti di questa felice intuizione non erano figure casuali nel panorama conselicese di inizio secolo. La loro giovane età – sono tutti poco più che ventenni – l’aver partecipato sulle montagne del Carso alla prima guerra mondiale ed alcuni nello stesso reggimento, una formazione culturale che li eleva da un analfabetismo imperante, li porta a ritrovarsi dentro il canovaccio fantasioso di questo carnevale ideato dalla fantasia di quel tal Zeno Buzzetti. Sarà lui, futuro ragioniere del Comune, a prenderne il comando indiscusso fin agli anni ’50, e sarà questa sua capacità creativa di comporre pezzo dopo pezzo il mosaico di un carnevale che entra prepotentemente nell’immaginario della gente di Conselice. La carovana del Regno del Boystenland abbandonava la piazza di Conselice da via Cavallotti e proseguiva alla volta di San Patrizio, lungo la via Selice Vecchia, poi dopo le pri- me tappe, i banchetti di vino e di dolciumi offerti dai generosi “sudditi” , proseguiva lungo il canale dei Moli- ni, intercettando via Merlo. A quel punto si lasciava alle spalle i paesi per immergersi nella campagna, in una sorta di perle di una collana fatta dai banchetti dei contadini che senza guardare per il sottile facevano a gara nel gioco dell’ospitalità. Ad ogni tavola imbandita ci si inumidiva la bocca di buon vino e si lasciava un mot- to, una citazione , una battuta salace, od una invettiva a secondo di come girava in quel momento la storia. Ed il ritorno da Borgo Serraglio, Chiesanuova si faceva leggero per come si era carichi di vino e sgombri di pensieri. 2. La piazza, il teatro, le colonie La piazza al tramonto, il teatro comunale trasformato per una sera nel teatro imperiale, sono i luoghi principali dove si consumano gli scherzi, i proclami e le “zirudèle” di un regno che governa per una notte Conselice. Si racconta come negli anni ’30 il governo mandò un proprio emissario a verificare che il carnevale di San Grugnone non fosse, sotto mentite spoglie, un focolaio di ribellione. Il funzionario, dal singolare nome di Diomede, venne accolto con grande ospitalità dai cortigiani e dal Pangiagleba. “Fu ospitato in un banchetto in prima fila e gli si dedicò attenzioni e gentilezze da lasciarlo inebriato tanto quanto il vino che aveva bevuto – ci dice Enrico Costa che di quei tempi fu protagonista – poi lo stesso Buzzetti lo volle con lui nel discorso notturno a conclusione della festa carnevalesca. Diomede sul proscenio ormai annebbiato dal vino e il Pan- giagleba dietro il sipario. Alle maschere e alla roboante orchestrina del regno si presento una situazione sur- reale: il funzionario che parlava con la voce altisonante di Zeno Buzzetti e diventava suo malgrado il prota- gonista del carnevale conselicese. L’indomani – conclude Costa – rientrò a Roma e riferì che a Conselice la gente voleva solo divertirsi innocentemente.” Gli aneddoti di quel periodo continuano a disegnare un carne- vale sovrano del suo momento, capace di essere un riferimento per la sua gente e stordire con ingenuità le autorità, con una satira che non lasciava tracce troppo pesanti. E gli stessi oppositori al regime colsero nello Stato del Boysteland un proprio, anche se timido, rifugio. I proclami dal “balcone della piazza” e le “zirudèle” chiudevano la giornata e si ricostruivano attorno ai fatti di paese, mescolando sempre il linguaggio pom- poso del regno inventato a quanto poteva destare interesse. Nella finzione dell’operetta, del colpo di scena, si consumava l’acidità di una realtà quotidiana talmente magra, che non lasciava troppo spazio al sogno. Un sogno che sfidava le intemperie. “Ci fu un anno in cui il tempo fu inclemente – ricorda Enrico Costa – tirava una bufera di neve che spazzava via gli orchestrali. I tromboni si riempivano continuamente di neve
e la corte affagottata nei suoi panni non rinunciò a fare visita alle sue Colonie; anche allora il carnevale si fece.” Ai conselicesi questo carnevale piaceva proprio. Quando Enrico Costa introdusse il gusto per il trucco teatrale, quando la compagnia raccolta attorno a Zeno e Tullio Buzzetti mise in scena il Boystend’s, il trionfo fu assicurato. Tre atti in cui si fonda il mistero del Pangiagleba, successore di Luitpold William Boiste defunto e senza eredi, di Giocondita promessa al Re, ma intrescata con il valoroso Trucidate. Attorno una corte decadente che si interessa solo di sé. Il palcoscenico del teatro comunale si riempì di cinquanta elementi tra attori ed orchestrali, ad ognuno la sua parte e sembrava di entrare nei maggiori teatri del tempo, accomunando un gusto nel vestire che sconfiggeva la miseria. La tradizione filodrammatica era cosa a quei tempi coltivata un po’ ovunque e gli stessi organizzatori del Carnevale amavano frequentare le stagioni teatrali. Ma la vicenda di Buzzetti drammaturgo resta singolare e non va dimenticato come questa commedia e sicuramente “Il terno al lotto della zia Veronica” sia andato in scena anche all’Alighieri di Ravenna. Leggendo tra i proclami roboanti dei dignitari del Boystend’s, nella voglia di salpare per il mondo del 2. vecchio Pangiagleba, tradito dalla grottesca Giocondita, tornano alla mente le situazioni paradossali dell’“Ubu Roi” di Jarry e dei suoi personaggi manigoldi di qualche decennio più vecchi. Le vicende personali dei pionieri del carnevale conselicese ci raccontano di destini diversi, di un amicizia profonda, che trova dentro la metafora del carnevale di San Grugnone la sua realizzazione. Sia sotto il Fascismo sia nel dopoguerra, il filo conduttore resta il legame profondo tra di loro a dispetto di qual- siasi autorità religiosa o civile che attenta alle sorti del San Grugnone. Comprensibilmente la Chiesa si pone il problema del rispetto dei dettami quaresimali e nel momento in cui il Carnevale la prende di mira istituendo la figura finta di un Papa, questa risponde anche con l’arguzia. Si racconta come Don Francesco Gianstefani, profondo conoscitore dei suoi parrocchiani, chiamato al capezzale di un conselicese morente, non risparmiò la sua battuta e si rivolse ai parenti: “Ma come chiamate me umile parroco di campagna, quando in casa avete il “Papa?”. Altrettanto si preoccupò la Prefettura, nel clima aspro del dopoguerra che confondeva facilmente il gusto della satira e dello sberleffo, con una battaglia politica durissima a quei tempi. A farne le spese fu il San Grugnone, che dopo una serie di difficoltà ad ottenere i permessi si vede interrotta, nei primi anni ‘50 l’intera manifestazione carnevalesca. Poi nel febbraio del ‘52 scompare a 55 anni Zeno Buzzetti e per l’intera organiz- zazione è un colpo durissimo. Solo nel ‘57, con un comitato in parte ricostruito, il San Grugnone riprende vita. 3. Il San Grugnone prende il largo “Sono pochi i documenti a cui far riferimento per definire con precisione gli anni in cui a Conselice il Carne- vale non si è potuto celebrare - continua Mentino Preti - quel che è certo è che lo spirito del Grugnone si era talmente radicato a Conselice che a partire dal 1957 un nuovo gruppo di cittadini si è fatto carico dell’orga- nizzazione del carnevale. Il luogo in cui si è ripresa l’iniziativa fu la bottega da barbiere di Gardenghi Elvino, noto a tutti come “Luvèt”, in via Cavallotti. Accanto a Gardenghi, ritornano Enrico Costa, Giovanni Bitelli, il Pangiagleba II, Sante Taglioni, Guerrino Marini, Dante Preti, Luigi Sebastiani, il Causidico Racia ed Enzo Negri. Successivamente entrano a far parte del Comitato Nevio Afflitti, che diventerà il Pangiagleba III, Diego Margotti, Libero Dosi, Mentino Preti, Bruno Grandi, Vando Cricca, Alberti e Silvano Morini.”. In verità pur senza la manifestazione pomeridiana e il veglione nel teatro imperiale, il Grugno a quaresima si faceva comunque sentire: mortaretti e schioppettii notturni non erano mai scomparsi in quel primo giorno di quaresima a Conselice. Per le autorità si mostrò più come un problema di “ordine pubblico” ed al silenzio di quella giornata si preferì il rumore di un Regno che ricominciò dalle sue Colonie. Il ritorno di San Grugnone vede un mercoledì delle ceneri con una banda musicale guidata da Salvo Bartolini e i primi carri organizzati con il coordinamento creativo di Enrico Costa. Per allestirli si utilizzavano capanni sparsi nella campagna conselicese e questa soluzione procurò nuove risorse per l’intera organizzazione del Carnevale. Anche se si cercò di ripristinare l’intera manifestazione carnevalesca, seguendo il ritmo impostato negli anni venti, la novità dei carri allegorici cambiò rapidamente il volto del carnevale, mettendo in secondo piano le risorse oratorie e comiche del primo periodo.
Il nocciolo duro del carnevale ritrova nel veglione mascherato della sera il suo momento più caldo. Se una volta dopo il ballo si teneva il cosidetto “cartoccio di mezzanotte”, dove ognuno mangiava ciò che si era portato da casa, ora è il ballo ed il gusto per le maschere a farla da padrone. Gli anni ‘60 e ‘70 vedono affermarsi questa voglia di mettersi in maschera e per tutta la bassa romagna il veglione di San Grugnone diventa un appuntamento a cui non si deve mancare. Nel teatro imperiale si fatica ad entrare tra la ressa di maschere al singolare o in gruppo e sul palco ruotano le migliori orchestre di liscio romagnolo: Casadei Baiardi, i Castellina Pasi. Per tutti la vera attrazione non sono più i discorsi od i proclami, ma il gioco e il l’ambiguità di mettersi in maschera. A partire circa dalla metà degli anni ’60 prende così il via il corso mascherato cittadino nella seconda do- menica di Quaresima e l’aver introdotto la spettacolarità di carri allegorici imponenti ed un volto noto della televisione, la rende la prima grande manifestazione di Conselice. Nel giro di pochi anni il successo si fa prorompente e continua ininterrotto fino a oggi. Nel decennio successivo entrano nel Comitato Piero Roc- ca, attuale Pangiagleba, Giuliano Domeniconi, Lino Villa, Augusto Casadio e Franco Cavina. Già nei primi anni ’80 il richiamo di pubblico e lo spettacolo offerto sono tali da collocare il Carnevale di Conselice al 2° posto in Romagna, dopo quello di Gambettola. Nel ‘83 Il Comitato è costretto ad abbando- nare il teatro comunale, che viene completamento ristrutturato. La potenza di fuoco dei veglioni è tale che si riempiono le discoteche del Baccara e il Milleluci di Alfonsine. L’affluenza è ancora alta, ma l’atmosfera del teatro è persa per sempre. Nel completare questa breve e sommaria storia del Carnevale di S.Grugno- ne - conclude Mentino Preti - vanno ricordati i progetti del carnevale estivo in notturna, realizzato nell’ 88, con la partecipazione del famosissimo gruppo di samba brasiliano “Cacao meravigliao” e i due corsi suc- cessivi del 2001 e 2002 realizzati con la denominazione di “Carnevale dei fiori”, che hanno avuto un buon successo di pubblico. Altra opera meritoria spesso dimenticata è lo sforzo e il contributo sostanziale che il Comitato di S. Grugnone ha profuso per la realizzazione, nella seconda metà degli anni ’90, di un grande capannone, intestato al Comune di Conselice, in cui vengono realizzati i carri che sfilano durante i corsi. Grazie alla presenza di questa struttura, da alcuni anni un gruppo di giovani conselicesi si ritrova la sera per costruire nuovi carri allegorici sotto la guida indiscussa di Dante Preti.”. Un equivoco e la sua dispensa Quel Santo che durante il corso si trasforma in beato non ha mai fatto dormire sonni tranquilli ai “normalizzatori”. E la ricerca di una dispensa della curia è stato, per oltre un ventennio, un tema su cui si è lavorato, nel tentativo di rendere l’inquieto carnevale un progetto condiviso da tutti i conselicesi . “Già a partire dai primi anni ‘70 la parrocchia di Conselice si era interessata per una eventuale dispensa ecclesiastica destinata al San Grugnone – ci dice Renzo Rossi - - vi- sto che era venuto meno spirito anticlericale e anche per la Chiesa l’iniziativa poteva rimanere legata al giorno originario. L’allora vesco- vo mons. Gobbi, non convinto della possibilità di una dispensa da parte delle autorità vaticane lasciò cadere la richiesta – continua Rossi – a metà degli anni ‘90 il problema si ripropose e la parrocchia di Conselice incaricò il nuovo vescovo mons. Giuseppe Fabiani di studiare una soluzione.” Il tentativo però si arenò su alcuni punti che risultarono invalicabili e che lasciarono le cose come stavano. “La Curia imolese chiese il rispetto del sentimento religioso e un’opera di beneficenza da parte degli organizzatori – continua Renzo Rossi – in più sarebbe stato gradito togliere quel dissacrante “San” davanti al Grugnone. Questo bastò ad allontanare il Comitato da una dispensa in qualche modo auspicata. L’equivoco sospeso per anni, torna di attualità di tanto in tanto – conclude Rossi – con una parrocchia ancora ben di- sposta a dare il suo contributo.” Sta di fatto che i tempi sono cambiati e potrebbe ripresentarsi un’occasione favorevole ad entrambi. Ma per cortesia, quel beato Grugnone fate sì che ritorni a fare il Santo!
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