CENNI DI RELATIVITÀ RISTRETTA
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Classe 4D-‐-‐-‐-‐-‐> 5D 2012/2013-‐-‐-‐-‐-‐>2013/2014 CENNI DI RELATIVITÀ RISTRETTA (A.Einstein 1879-1955) La descrizione dei fenomeni meccanici è racchiusa nelle tre leggi della dinamica: • prima legge: un corpo su cui non agiscono forze rimane in quiete o si muove con velocità costante (moto rettilineo uniforme) • seconda legge: l’accelerazione di un corpo è proporzionale alla forza che agisce su di esso (F=ma) • terza legge: azione e reazione sono uguali e contrarie. Affinché tali leggi siano verificate e numericamente soddisfatte esse devono essere definite in un sistema di riferimento, altrimenti non avrebbe senso parlare di quiete e di moto: questi possono essere definiti solo in relazione ad un osservatore ed ad un sistema di misura dello spazio e del tempo, cioè rispetto ad un sistema di riferimento. Un sistema di riferimento in cui le leggi della meccanica siano verificate numericamente si chiama sistema di riferimento inerziale. Dal punto di vista delle forze la 1° e 2° legge della dinamica implicano che sistemi che si muovono a velocità costante uno rispetto all’altro sono equivalenti, quindi osservatori che si trovano in un sistema di riferimento che si muove di moto rettilineo uniforme rispetto ad uno in cui siano verificate le leggi di Newton, verificheranno pure le stesse leggi. Possiamo affermare quindi che se S è un sistema inerziale, qualunque altro sistema S’ che si muove con moto rettilineo uniforme rispetto a questo sarà ancora inerziale: esistono quindi infiniti sistemi di riferimento inerziali e sono tutti equivalenti per la descrizione dei fenomeni meccanici. Le implicazioni di questa definizione di sistemi inerziali sono notevoli e lasciano aperti una serie di problemi che lo stesso Newton aveva individuato, ma ai quali non aveva dato una soluzione precisa e definitiva. Einstein riuscì a eliminare tali problematiche fisiche e logiche tramite una rianalisi dei concetti fondamentali di spazio e tempo che culminano nella teoria della relatività generale. Si nota infatti che le prime due leggi della meccanica non possono essere valide in generale perché implicano la necessità di un sistema assoluto in cui definire lo stato di quiete. Su un corpo in quiete in questo sistema non agiscono forze, ma in qualsiasi altro sistema accelerato rispetto ad esso, si osserverebbero delle forze agenti sul corpo. Questo sistema è stato individuato da Newton come lo “spazio assoluto”, per cui le leggi della meccanica andrebbero enunciate come: esiste un sistema (che consideriamo in quiete) in cui valgono le leggi della meccanica come solitamente enunciate. Questo enunciato vale poi per tutti i sistemi in moto uniforme rispetto ad esso. Questa classe di sistemi privilegiata è la classe dei sistemi inerziali. Guardando la situazione dall’altro lato, dire che sistemi inerziali verificano numericamente le stesse leggi equivale ad affermare che le leggi della dinamica sono le stesse per tutti i sistemi inerziali, e quindi osservatori diversi possono osservare una stessa classe di fenomeni e descriverla con le stesse leggi: il passaggio da un osservatore all’altro, entrambi inerziali, lascia immutate le leggi. Questa affermazione è nota come il principio di relatività galileiana. Da ciò segue che esperimenti che si effettuano all’interno di un sistema inerziale non sono in grado di mettere in evidenza il moto di questo sistema rispetto ad un altro sistema inerziale. Bisogna notare che non tutti i sistemi di riferimento sono inerziali. Per es. la Terra è inerziale solo in prima approssimazione: fintanto che si trascura il suo moto di rotazione, il quale
genera delle forze apparenti (che sono alla base di fenomeni come la forza di Coriolis, il pendolo di Foucault, la caduta dei gravi verso est...) Le trasformazioni che permettono di passare da un sistema inerziale S ad un altro S’, mettendo in relazione le coordinate spazio temporali dei due sistemi, furono espresse da Galileo e sono le seguenti: x’ = x-vt y’ = y z’ = z (1) t’ = t (fig. 1) dove (x,y,z)sono le coordinate di un sistema, mentre (x’,y’,z’) quelle del secondo, costituito da una terna di assi paralleli ai primi e la cui origine si muove lungo x con velocità v costante. Da esse segue la famosa regola di composizione delle velocità: u = u’ + v (2) e che le accelerazioni misurate nei due sistemi sono uguali a = a’ (3) Applicando tali trasformazioni alle leggi della meccanica (in particolare a F=ma) il principio di relatività galileiana viene verificato: le leggi della meccanica sono invarianti rispetto alle trasformazioni di Galileo. La trasformazione relativa alla coordinata temporale implica che un orologio solidale al primo sistema di riferimento ed uno solidale al secondo, una volta sincronizzati, segneranno poi sempre la stessa ora. Il principio di relatività e le trasformazioni di Galileo implicano perciò la non esistenza di uno spazio assoluto, in quiete assoluta, rispetto al quale tutte le velocità possono essere definite, ma ammettono l’esistenza di un tempo assoluto, uguale per qualsiasi osservatore. Il principio di relatività di Galileo era riconosciuto unanimemente come un caposaldo della fisica, fino a che la formulazione delle equazioni di Maxwell sembrò porlo in crisi, aprendo una serie di problemi: 1. le eq. di Maxwell prevedono una forza ( la forza di Lorentz) che dipende dalla velocità del corpo che la subisce. Secondo il principio di composizione delle velocità galileiano, osservatori inerziali in moto relativo uno rispetto all’altro misurerebbero forze di Lorentz diverse, per cui le eq. di Maxwell non sarebbero verificate contemporaneamente nei due sistemi. Si dice che le equazioni di Maxwell non sono invarianti rispetto alle trasformazioni di Galileo. 2. le eq. di Maxwell contengono esplicitamente il termine 1/c2 =εoµo dove c è la velocità della luce: si dovrebbe supporre l’esistenza di un sistema di riferimento assoluto in cui tale velocità viene misurata. Questo sistema fu individuato nell’etere, considerato come il mezzo di propagazione delle onde elettromagnetiche. Misurando la velocità della luce in sistemi inerziali in moto uno rispetto all’altro, utilizzando ancora il principio di composizione delle velocità, si sarebbe in grado di definire le loro velocità rispetto all’etere, il che significherebbe che i fenomeni elettromagnetici non obbediscono ad un principio di relatività 3. la caratterizzazione dell’etere era molto difficoltosa ( rigidità, densità, elasticità....) 4. Oltre questi problemi di carattere teorico, una serie di esperimenti volti a determinare la velocità della luce in diverse direzioni rispetto al moto terrestre e quindi a misurare la
velocità della Terra rispetto all’etere diedero risultati negativi ( vedi esp. di Michelson e Morley , sul testo di 4°) Tutte queste considerazioni portavano perciò alla incompatibilità delle eq. di Maxwell con il principio di relatività: si deve rinunciare a questo o modificare le eq. di Maxwell? La risposta venne dal lavoro di A. Einstein, che si basava sul concetto che non si poteva rinunciare a nessuno dei due, e che anche le leggi dei fenomeni elettromagnetici dovessero essere valide in modo equivalente in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Questo è il principio della relatività ristretta di Einstein: tutti gli osservatori inerziali sono equivalenti per la descrizione di tutti i fenomeni fisici. Tutte le leggi fisiche (sia della meccanica che dell’elettromagnetismo quindi) sono le stesse per osservatori inerziali. Questo principio fu assunto da Einstein come postulato, insieme al postulato che la velocità della luce è indipendente dal moto dell’osservatore e della sorgente. Questi postulati nascono dalla deduzione teorica necessaria per risolvere i dilemmi precedentemente descritti: • ci garantiscono che non esiste un sistema di riferimento privilegiato per i fenomeni elettromagnetici, e che le eq. di Maxwell soddisfano automaticamente un principio di relatività • eliminano il problema dell’etere in quanto diventa un ente non osservabile e per cui senza alcun significato fisico, e viene tralasciato e vengono confermati dai risultati sperimentali di Michelson e Morley. In base al secondo postulato, la velocità di un raggio luminoso emesso da una sorgente in movimento non si somma o sottrae alla velocità della sorgente, per cui non vale per essa la legge di composizione delle velocità come prevista dalle trasformazioni di Galileo. Sono proprio queste che sono da modificare in seguito alla introduzione dei due postulati: bisogna individuare delle nuove trasformazioni tra sistemi inerziali che mantengano invarianti tutte le equazioni della fisica e la velocità della luce. Il punto focale nel passaggio tra due sistemi inerziali, introdotto da Einstein, è che non si può considerare, come fece Galileo; il tempo come una variabile privilegiata e supporre l’esistenza del tempo assoluto, ma anche questa grandezza fisica deve essere considerata relativa all’osservatore che la misura: un evento avviene in un continuo spazio-temporale ed è caratterizzato da quattro coordinate (x,y,z,t) che variano da sistema a sistema. Le trasformazione che soddisfano tali principi erano già state ricavate matematicamente da H.A.Lorentz (proprio ponendo la condizione che lasciassero invarianti le eq. di Maxwell) e vennero assunte da Einstein all’interno della sua teoria della relatività. Sono dette quindi trasformazioni di Lorentz: x − vt t − vx x' = y' = y z' = z t' = c2 (4) 2 2 1- v 1- v c2 c2 e rappresentano il cambiamento di variabili per passare da un sistema inerziale ad un altro in moto con velocità v lungo l’asse x ( vedi fig.1). Si noti che per velocità v « c le trasf. di Lorentz approssimano quelle di Galileo, e per v/c = 0 coincidono con esse. Quindi le trasf. di Lorentz lasciano invariate sia le eq. della dinamica che le eq. di Maxwell. CONSEGUENZE DELLE TRASFORMAZIONI DI LORENTZ
A seguito delle trasformazioni di Lorentz bisogna riformulare tutte le leggi della meccanica, sviluppando quella che viene indicata come meccanica relativistica. La differenze tra la meccanica classica e quella relativistica assumono però importanza per velocità prossime a quelle della luce, mentre per velocità basse, in cui v/c2 è piccolo (quelle solitamente sperimentate nei fenomeni meccanici) sono trascurabili. Questo è il motivo per cui la meccanica classica rimane una teoria fisica applicata con successo in una grandissima classe di fenomeni. • Dilatazione dei tempi Δt ' Δt = ⇒ Δt > Δt’ (5) 2 1− v c2 La durata di un fenomeno visto in movimento (Δt) è maggiore della durata del fenomeno visto in un sistema di riferimento solidale (fermo) rispetto ad esso (Δt’, detto tempo proprio). La dimostrazione è rimandata al testo Una conseguenza di tale dilatazione è il famoso paradosso dei gemelli (vedi testo pag. ) Una conferma sperimentale è fornita dalla osservazione dei mesoni µ prodotti dai raggi cosmici a livello del mare ( vedi testo pag. ) • Contrazione delle lunghezze 2 d = d' 1− v ⇒ d < d' (6) c2 Un oggetto in moto appare più corto nella direzione del suo moto. (d’ è la lunghezza della dimensione lungo x in un sistema solidale rispetto all’oggetto, d la lunghezza misurata in un sistema rispetto al quale l’oggetto è in moto). La dimostrazione è rimandata al testo • Trasformazione delle velocità Le formule per le trasformazioni delle componenti della velocità misurate nei due sistemi di riferimento inerziali seguono algebricamente dalle trasformazioni di Lorentz u' x + v uy ' uz ' ux = uy = uz = vu' vu' x vu' x 1+ x 2 γ (1 + ) γ (1 + ) c c2 c2 (7) 1 con γ = 2 1− v c2 • Massa relativistica m0 m= ⇒ m > m0 ( massa a riposo) (8) 2 1− v c2 La massa di un oggetto cresce al crescere della sua velocità. La dimostrazione di questo risultato è piuttosto laboriosa e non sarà vista in dettaglio. Notiamo solamente che segue dal principio di conservazione della quantità di moto. A seguito delle (7) osservatori inerziali differenti misureranno componenti delle velocità diverse e non
verificheranno più il principio di conservazione della quantità di moto classica q=mv Ciò che si conserva sarà la cosiddetta quantità di moto relativistica mv q= (9) 2 1− v c2 da cui si ricava la (8). • Equivalenza massa-energia Dalla definizione relativistica di q seguirà che anche l’espressione della energia cinetica e della energia totale di un corpo da un punto di vista relativistico dovranno essere modificate. L’espressione corretta si ricava sempre basandosi sul postulato di relatività per cui leggi come quella della conservazione dell’energia o il teorema delle forze vive1 debbano essere invarianti per le trasf. di Lorentz. cioè debbano valere in tutti i sistemi inerziali, a patto di scrivere l’equazione corretta per tutte le grandezze in esame. Anche tale dimostrazione sarà saltata, ma le conclusioni prevedono che la energia totale relativistica di un corpo di massa a riposo m0 è E = Ecin + m0 c2 = γ m0 c2 = m c2 (10) Cioè sarà costituita da una componente dovuta al moto della particella dipendente dalla sua velocità (Ecin ) e da una energia di riposo, proporzionale alla massa a riposo. L’energia e la massa sono quindi grandezze equivalenti, legate numericamente dalla costante c al quadrato. Tale equivalenza è verificata in esperimenti di fisica nucleare e di fisica delle particelle. Prevede la possibilità che la massa si trasformi in energia e viceversa. Ciò è stato osservato nelle reazioni nucleari, nei decadimenti radioattivi, nei fenomeni di creazione ed annichilazione di coppie particella-antiparticella. Ad esempio coppie elettrone-positrone urtandosi a grandi velocità scompaiono generando energia sotto forma di radiazione elettromagnetica ( di frequenza ν tale che E=hν ). Viceversa tale radiazione , attraversando la materia, può dare vita ad una coppia elettrone-positrone). Esempi: 1) La massa a riposo di un elettrone è m0= 9.1 10-31 kg. A questa corrisponde un energia a riposo E0= m0 c2 =9.1 10-31 kg * (3 108 m/s)2 = 0.511 MeV Se ora l’elettrone si muove con velocità v= 0,8 c, calcoliamo Etot., Ecin, e quantità di moto 1 1 Per prima cosa si calcola γ = = = 1.67 1− v 2 1 − 0.64 c2 Etot = m c2= γ m0 c2 = 1,67 * 0.511 Mev = 0.853 Mev 1 Il teorema delle forze vive afferma che la variazione di energia cinetica di un corpo come il lavoro compiuto su di esso dalla forza che ne causa il cambiamento di velocità. Ricordiamo inoltre che l’espressione relativistica di una forza si ricava dalla 1° eq. cardinale della meccanica F=dq/dt
Ecin = Etot - E0 = m c2- m0 c2 =0.853 Mev -0.511 Mev =0.342 Mev q = γ m0 v= γ m0 v (c2/ c2) =Etot v/ c2= Etot 0.8/c = 0.683 Mev/c 2) Un deutone è costituito dall’unione di un protone ed un neutrone (è il nucleo del deuterio, isotopo di H) Quanta energia devo fornire per scindere n e p? La massa a riposo delle varie particelle è m0p = 1.6726 10-27 Kg m0n = 1.6749 10-27 Kg m0d = 3.3435 10-27 Kg a cui corrisponde una energia a riposo per il protone m0p c2 = 938.28 Mev per il neutrone m0n c2 = 939,57 Mev per il deutone m0d c2 = 1875.628 Mev Si può notare che la somma delle masse di p e di n (3.3475 10-27 Kg) e delle energie a riposo (1877.8 Mev ) è maggiore della massa, e quindi della energia a riposo, del deutone. Tale differenza Δm = 0.004 10-27 Kg e ΔE= 2.22 Mev è chiamata difetto di massa ed e l’energia che tiene legato il deutone. Quando un protone ed un neutrone si legano viene liberata tale massa e quindi tale energia sotto forma di radiazione elettromagnetica. ___________________________________________________________________________ Bibliografia • Nuovo corso di fisica per licei scientifici vol.3. P.Caldirola, G.Casati, F.Tealdi . Ghisetti e Corvi editore. • La relatività generale.Fondamenti fisici della teoria Dennis W.Sciama. Zanichelli editore. Biblioteca di monografie scientifiche • La relatività e il senso comune. Herman Bondi. Zanichelli editore. Biblioteca di monografie scientifiche • Sette lezioni su Einstein. Amaldi, De Alfaro, Galletto, Geymonat, Pacini, Rasetti, Regge. Stampatori didattica • Sulla teoria generalizzata della gravitazione. A.Einstein. Le Scienze, 1979 (ops,...non so il numero) • Einstein aveva ragione? C.H. Will. Bollati Boringhieri, 1989 • L’ABC della relatività. Bertrand Russel. Bur Saggistica
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