CENNI DI RELATIVITÀ RISTRETTA

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CENNI DI RELATIVITÀ RISTRETTA
                                                                                                (A.Einstein 1879-1955)

La descrizione dei fenomeni meccanici è racchiusa nelle tre leggi della dinamica:

• prima legge: un corpo su cui non agiscono forze rimane in quiete o si muove con velocità
  costante (moto rettilineo uniforme)
• seconda legge: l’accelerazione di un corpo è proporzionale alla forza che agisce su di esso
  (F=ma)
• terza legge: azione e reazione sono uguali e contrarie.

Affinché tali leggi siano verificate e numericamente soddisfatte esse devono essere definite in
un sistema di riferimento, altrimenti non avrebbe senso parlare di quiete e di moto: questi
possono essere definiti solo in relazione ad un osservatore ed ad un sistema di misura dello
spazio e del tempo, cioè rispetto ad un sistema di riferimento.
Un sistema di riferimento in cui le leggi della meccanica siano verificate numericamente si
chiama sistema di riferimento inerziale.
Dal punto di vista delle forze la 1° e 2° legge della dinamica implicano che sistemi che si
muovono a velocità costante uno rispetto all’altro sono equivalenti, quindi osservatori che si
trovano in un sistema di riferimento che si muove di moto rettilineo uniforme rispetto ad uno
in cui siano verificate le leggi di Newton, verificheranno pure le stesse leggi.
Possiamo affermare quindi che se S è un sistema inerziale, qualunque altro sistema S’ che si
muove con moto rettilineo uniforme rispetto a questo sarà ancora inerziale: esistono quindi
infiniti sistemi di riferimento inerziali e sono tutti equivalenti per la descrizione dei fenomeni
meccanici.
Le implicazioni di questa definizione di sistemi inerziali sono notevoli e lasciano aperti una
serie di problemi che lo stesso Newton aveva individuato, ma ai quali non aveva dato una
soluzione precisa e definitiva. Einstein riuscì a eliminare tali problematiche fisiche e logiche
tramite una rianalisi dei concetti fondamentali di spazio e tempo che culminano nella teoria
della relatività generale.
Si nota infatti che le prime due leggi della meccanica non possono essere valide in generale
perché implicano la necessità di un sistema assoluto in cui definire lo stato di quiete. Su un
corpo in quiete in questo sistema non agiscono forze, ma in qualsiasi altro sistema accelerato
rispetto ad esso, si osserverebbero delle forze agenti sul corpo. Questo sistema è stato
individuato da Newton come lo “spazio assoluto”, per cui le leggi della meccanica andrebbero
enunciate come: esiste un sistema (che consideriamo in quiete) in cui valgono le leggi della
meccanica come solitamente enunciate. Questo enunciato vale poi per tutti i sistemi in moto
uniforme rispetto ad esso. Questa classe di sistemi privilegiata è la classe dei sistemi inerziali.
Guardando la situazione dall’altro lato, dire che sistemi inerziali verificano numericamente le
stesse leggi equivale ad affermare che le leggi della dinamica sono le stesse per tutti i sistemi
inerziali, e quindi osservatori diversi possono osservare una stessa classe di fenomeni e
descriverla con le stesse leggi: il passaggio da un osservatore all’altro, entrambi inerziali,
lascia immutate le leggi.
Questa affermazione è nota come il principio di relatività galileiana.
Da ciò segue che esperimenti che si effettuano all’interno di un sistema inerziale non sono in
grado di mettere in evidenza il moto di questo sistema rispetto ad un altro sistema inerziale.
Bisogna notare che non tutti i sistemi di riferimento sono inerziali. Per es. la Terra è inerziale
solo in prima approssimazione: fintanto che si trascura il suo moto di rotazione, il quale
genera delle forze apparenti (che sono alla base di fenomeni come la forza di Coriolis, il
pendolo di Foucault, la caduta dei gravi verso est...)
Le trasformazioni che permettono di passare da un sistema inerziale S ad un altro S’,
mettendo in relazione le coordinate spazio temporali dei due sistemi, furono espresse da
Galileo e sono le seguenti:

         x’ = x-vt
         y’ = y
         z’ = z                                                                             (1)
         t’ = t

                                                             (fig. 1)

dove (x,y,z)sono le coordinate di un sistema, mentre (x’,y’,z’) quelle del secondo, costituito da
una terna di assi paralleli ai primi e la cui origine si muove lungo x con velocità v costante.
Da esse segue la famosa regola di composizione delle velocità:
                                            u = u’ + v                                          (2)
e che le accelerazioni misurate nei due sistemi sono uguali
                                               a = a’                                           (3)
Applicando tali trasformazioni alle leggi della meccanica (in particolare a F=ma) il principio
di relatività galileiana viene verificato: le leggi della meccanica sono invarianti rispetto alle
trasformazioni di Galileo.
La trasformazione relativa alla coordinata temporale implica che un orologio solidale al primo
sistema di riferimento ed uno solidale al secondo, una volta sincronizzati, segneranno poi
sempre la stessa ora. Il principio di relatività e le trasformazioni di Galileo implicano perciò la
non esistenza di uno spazio assoluto, in quiete assoluta, rispetto al quale tutte le velocità
possono essere definite, ma ammettono l’esistenza di un tempo assoluto, uguale per qualsiasi
osservatore.

Il principio di relatività di Galileo era riconosciuto unanimemente come un caposaldo della
fisica, fino a che la formulazione delle equazioni di Maxwell sembrò porlo in crisi, aprendo
una serie di problemi:
1. le eq. di Maxwell prevedono una forza ( la forza di Lorentz) che dipende dalla velocità del
    corpo che la subisce. Secondo il principio di composizione delle velocità galileiano,
    osservatori inerziali in moto relativo uno rispetto all’altro misurerebbero forze di Lorentz
    diverse, per cui le eq. di Maxwell non sarebbero verificate contemporaneamente nei due
    sistemi. Si dice che le equazioni di Maxwell non sono invarianti rispetto alle
    trasformazioni di Galileo.
2. le eq. di Maxwell contengono esplicitamente il termine 1/c2 =εoµo dove c è la velocità
    della luce: si dovrebbe supporre l’esistenza di un sistema di riferimento assoluto in cui tale
    velocità viene misurata. Questo sistema fu individuato nell’etere, considerato come il
    mezzo di propagazione delle onde elettromagnetiche. Misurando la velocità della luce in
    sistemi inerziali in moto uno rispetto all’altro, utilizzando ancora il principio di
    composizione delle velocità, si sarebbe in grado di definire le loro velocità rispetto
    all’etere, il che significherebbe che i fenomeni elettromagnetici non obbediscono ad un
    principio di relatività
3. la caratterizzazione dell’etere era molto difficoltosa ( rigidità, densità, elasticità....)
4. Oltre questi problemi di carattere teorico, una serie di esperimenti volti a determinare la
    velocità della luce in diverse direzioni rispetto al moto terrestre e quindi a misurare la
velocità della Terra rispetto all’etere diedero risultati negativi ( vedi esp. di Michelson e
    Morley , sul testo di 4°)
Tutte queste considerazioni portavano perciò alla incompatibilità delle eq. di Maxwell con il
principio di relatività: si deve rinunciare a questo o modificare le eq. di Maxwell?
La risposta venne dal lavoro di A. Einstein, che si basava sul concetto che non si poteva
rinunciare a nessuno dei due, e che anche le leggi dei fenomeni elettromagnetici dovessero
essere valide in modo equivalente in tutti i sistemi di riferimento inerziali. Questo è il
principio della relatività ristretta di Einstein: tutti gli osservatori inerziali sono equivalenti
per la descrizione di tutti i fenomeni fisici. Tutte le leggi fisiche (sia della meccanica che
dell’elettromagnetismo quindi) sono le stesse per osservatori inerziali.
Questo principio fu assunto da Einstein come postulato, insieme al postulato che la velocità
della luce è indipendente dal moto dell’osservatore e della sorgente.
Questi postulati nascono dalla deduzione teorica necessaria per risolvere i dilemmi
precedentemente descritti:
• ci garantiscono che non esiste un sistema di riferimento privilegiato per i fenomeni
    elettromagnetici, e che le eq. di Maxwell soddisfano automaticamente un principio di
    relatività
• eliminano il problema dell’etere in quanto diventa un ente non osservabile e per cui senza
    alcun significato fisico, e viene tralasciato
e vengono confermati dai risultati sperimentali di Michelson e Morley.
In base al secondo postulato, la velocità di un raggio luminoso emesso da una sorgente in
movimento non si somma o sottrae alla velocità della sorgente, per cui non vale per essa la
legge di composizione delle velocità come prevista dalle trasformazioni di Galileo. Sono
proprio queste che sono da modificare in seguito alla introduzione dei due postulati: bisogna
individuare delle nuove trasformazioni tra sistemi inerziali che mantengano invarianti tutte le
equazioni della fisica e la velocità della luce.
Il punto focale nel passaggio tra due sistemi inerziali, introdotto da Einstein, è che non si può
considerare, come fece Galileo; il tempo come una variabile privilegiata e supporre l’esistenza
del tempo assoluto, ma anche questa grandezza fisica deve essere considerata relativa
all’osservatore che la misura: un evento avviene in un continuo spazio-temporale ed è
caratterizzato da quattro coordinate (x,y,z,t) che variano da sistema a sistema.
Le trasformazione che soddisfano tali principi erano già state ricavate matematicamente da
H.A.Lorentz (proprio ponendo la condizione che lasciassero invarianti le eq. di Maxwell) e
vennero assunte da Einstein all’interno della sua teoria della relatività.
Sono dette quindi trasformazioni di Lorentz:

              x − vt                                                       t − vx
      x' =                           y' = y          z' = z         t' =              c2      (4)
                    2                                                             2
             1- v                                                          1- v
                        c2                                                            c2

e rappresentano il cambiamento di variabili per passare da un sistema inerziale ad un altro in
moto con velocità v lungo l’asse x ( vedi fig.1).
Si noti che per velocità v « c le trasf. di Lorentz approssimano quelle di Galileo, e per v/c = 0
coincidono con esse.
Quindi le trasf. di Lorentz lasciano invariate sia le eq. della dinamica che le eq. di
Maxwell.

CONSEGUENZE DELLE TRASFORMAZIONI DI LORENTZ
A seguito delle trasformazioni di Lorentz bisogna riformulare tutte le leggi della meccanica,
sviluppando quella che viene indicata come meccanica relativistica.
La differenze tra la meccanica classica e quella relativistica assumono però importanza per
velocità prossime a quelle della luce, mentre per velocità basse, in cui v/c2 è piccolo (quelle
solitamente sperimentate nei fenomeni meccanici) sono trascurabili. Questo è il motivo per
cui la meccanica classica rimane una teoria fisica applicata con successo in una grandissima
classe di fenomeni.

• Dilatazione dei tempi
                                          Δt '
                          Δt =                                                     ⇒ Δt > Δt’                      (5)
                                       2
                                  1− v
                                      c2
La durata di un fenomeno visto in movimento (Δt) è maggiore della durata del fenomeno visto
in un sistema di riferimento solidale (fermo) rispetto ad esso (Δt’, detto tempo proprio).
La dimostrazione è rimandata al testo
Una conseguenza di tale dilatazione è il famoso paradosso dei gemelli (vedi testo pag.     )
Una conferma sperimentale è fornita dalla osservazione dei mesoni µ prodotti dai raggi
cosmici a livello del mare ( vedi testo pag.     )

•   Contrazione delle lunghezze
                                            2
                       d = d' 1− v                          ⇒ d < d'                      (6)
                                    c2
Un oggetto in moto appare più corto nella direzione del suo moto.
(d’ è la lunghezza della dimensione lungo x in un sistema solidale rispetto all’oggetto, d la
lunghezza misurata in un sistema rispetto al quale l’oggetto è in moto).
La dimostrazione è rimandata al testo

•   Trasformazione delle velocità

Le formule per le trasformazioni delle componenti della velocità misurate nei due sistemi di
riferimento inerziali seguono algebricamente dalle trasformazioni di Lorentz

                      u' x + v                                   uy '                             uz '
             ux =                                uy =                             uz =
                       vu'                                       vu' x                            vu' x
                    1+ x 2                              γ (1 +                )          γ (1 +                )
                              c                                          c2                               c2
                                                                                                                   (7)
                                  1
             con      γ =
                                      2
                             1− v
                                          c2

• Massa relativistica
                    m0
           m=                                                        ⇒ m > m0 ( massa a riposo)                    (8)
                       2
                  1− v
                           c2
La massa di un oggetto cresce al crescere della sua velocità.
La dimostrazione di questo risultato è piuttosto laboriosa e non sarà vista in dettaglio.
Notiamo solamente che segue dal principio di conservazione della quantità di moto. A seguito
delle (7) osservatori inerziali differenti misureranno componenti delle velocità diverse e non
verificheranno più il principio di conservazione della quantità di moto classica q=mv Ciò che
si conserva sarà la cosiddetta quantità di moto relativistica
                                                mv
                                        q=                                                (9)
                                                   2
                                             1−  v
                                                     c2
da cui si ricava la (8).

•   Equivalenza massa-energia

Dalla definizione relativistica di q seguirà che anche l’espressione della energia cinetica e
della energia totale di un corpo da un punto di vista relativistico dovranno essere modificate.
L’espressione corretta si ricava sempre basandosi sul postulato di relatività per cui leggi come
quella della conservazione dell’energia o il teorema delle forze vive1 debbano essere
invarianti per le trasf. di Lorentz. cioè debbano valere in tutti i sistemi inerziali, a patto di
scrivere l’equazione corretta per tutte le grandezze in esame.
Anche tale dimostrazione sarà saltata, ma le conclusioni prevedono che la energia totale
relativistica di un corpo di massa a riposo m0 è

                                   E = Ecin + m0 c2 = γ m0 c2 = m c2                                      (10)

Cioè sarà costituita da una componente dovuta al moto della particella dipendente dalla sua
velocità (Ecin ) e da una energia di riposo, proporzionale alla massa a riposo.
L’energia e la massa sono quindi grandezze equivalenti, legate numericamente dalla costante
c al quadrato. Tale equivalenza è verificata in esperimenti di fisica nucleare e di fisica delle
particelle. Prevede la possibilità che la massa si trasformi in energia e viceversa. Ciò è stato
osservato nelle reazioni nucleari, nei decadimenti radioattivi, nei fenomeni di creazione ed
annichilazione di coppie particella-antiparticella. Ad esempio coppie elettrone-positrone
urtandosi a grandi velocità scompaiono generando energia sotto forma di radiazione
elettromagnetica ( di frequenza ν tale che E=hν ). Viceversa tale radiazione , attraversando la
materia, può dare vita ad una coppia elettrone-positrone).

Esempi:

1) La massa a riposo di un elettrone è m0= 9.1 10-31 kg.
   A questa corrisponde un energia a riposo
   E0= m0 c2 =9.1 10-31 kg * (3 108 m/s)2 = 0.511 MeV
   Se ora l’elettrone si muove con velocità v= 0,8 c, calcoliamo Etot., Ecin, e quantità di moto

                                               1                1
    Per prima cosa si calcola       γ =                   =              = 1.67
                                            1− v
                                                 2
                                                              1 − 0.64
                                                     c2

    Etot = m c2= γ m0 c2 = 1,67 * 0.511 Mev = 0.853 Mev

1
 Il teorema delle forze vive afferma che la variazione di energia cinetica di un corpo come il lavoro compiuto su di
esso dalla forza che ne causa il cambiamento di velocità.
Ricordiamo inoltre che l’espressione relativistica di una forza si ricava dalla 1° eq. cardinale della meccanica
F=dq/dt
Ecin = Etot - E0 = m c2- m0 c2 =0.853 Mev -0.511 Mev =0.342 Mev
   q = γ m0 v= γ m0 v (c2/ c2) =Etot v/ c2= Etot 0.8/c = 0.683 Mev/c

2) Un deutone è costituito dall’unione di un protone ed un neutrone
   (è il nucleo del deuterio, isotopo di H) Quanta energia devo fornire per scindere n e p?

   La massa a riposo delle varie particelle è                m0p = 1.6726 10-27 Kg
                                                             m0n = 1.6749 10-27 Kg
                                                             m0d = 3.3435 10-27 Kg
   a cui corrisponde una energia a riposo
                             per il protone           m0p c2 = 938.28 Mev
                              per il neutrone         m0n c2 = 939,57 Mev
                              per il deutone          m0d c2 = 1875.628 Mev
   Si può notare che la somma delle masse di p e di n (3.3475 10-27 Kg) e delle energie a
   riposo (1877.8 Mev ) è maggiore della massa, e quindi della energia a riposo, del deutone.
   Tale differenza Δm = 0.004 10-27 Kg e ΔE= 2.22 Mev è chiamata difetto di massa ed e
   l’energia che tiene legato il deutone. Quando un protone ed un neutrone si legano viene
   liberata tale massa e quindi tale energia sotto forma di radiazione elettromagnetica.

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Bibliografia

• Nuovo corso di fisica per licei scientifici vol.3. P.Caldirola, G.Casati, F.Tealdi . Ghisetti e Corvi editore.
• La relatività generale.Fondamenti fisici della teoria Dennis W.Sciama. Zanichelli editore. Biblioteca di
  monografie scientifiche
• La relatività e il senso comune. Herman Bondi. Zanichelli editore. Biblioteca di monografie scientifiche
• Sette lezioni su Einstein. Amaldi, De Alfaro, Galletto, Geymonat, Pacini, Rasetti, Regge. Stampatori didattica
• Sulla teoria generalizzata della gravitazione. A.Einstein. Le Scienze, 1979 (ops,...non so il numero)
• Einstein aveva ragione? C.H. Will. Bollati Boringhieri, 1989
• L’ABC della relatività. Bertrand Russel. Bur Saggistica
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