CAPITALISMO DELLA SORVEGLIANZA E DEMOCRAZIA LIBERALE - Giulio Terzi di Sant'Agata - Global ...

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CAPITALISMO DELLA SORVEGLIANZA E DEMOCRAZIA LIBERALE
                        Scuola di Liberalismo, 6 novembre 2020

                             Giulio Terzi di Sant’Agata
  Ambasciatore, Presidente del Comitato Global per lo Stato di Diritto “Marco Pannella”
CAPITALISMO DELLA SORVEGLIANZA E DEMOCRAZIA LIBERALE - Giulio Terzi di Sant'Agata - Global ...
I)    CAPITALISMO DELLA SORVEGLIANZA DURANTE LA PANDEMIA

In questi ultimi dieci anni, la lunga crisi pandemica che il mondo sta vivendo ha trasformato – ancora
una volta, in modo più esteso e profondo di quanto sino ad ora accaduto, equilibri geopolitici e
rapporti di potere tra i principali protagonisti sulla scena internazionale. La pandemia ha sovvertito
percezioni e obiettivi dei leaders politici, dei comandanti militari, dei dirigenti di società e imprese, di
ricercatori e scienziati, e dell’opinione pubblica mondiale.

Il più rilevante tessuto connettivo sotteso alla trasformazione generata dalla pandemia è,
nuovamente, quello informatico.

Già da molti anni, senza dover ricordare la “legge di Moore” degli anni ’60, la dimensione cyber e la
sua penetrazione in tutti gli ambiti della vita umana registra una progressione esponenziale e
geometrica: siamo ora a una fase avanzatissima nello sviluppo e applicazione di interconnessioni IOT,
G5, nel calcolo quantistico, nel dialogo tra macchina e macchina, nell’AI, nella tendenzialmente
infinita capacità di raccolta, gestione, elaborazione di meta-dati. Tutte funzioni che migrano
rapidamente dalla realtà fisica dei server, a quella immateriale del “software” e del Cloud.

L’Europa si trova, per ora, ancora arretrata in diversi settori del dominio cyber, rispetto ai due
principali Paesi che rappresentano per l’Europa e per l’Italia “sfide” di competitività e di potere
globale. Ma si tratta di sfide ben diverse. Gli Stati Uniti, infatti, costituiscono una sfida per la
concorrenza americana nei nostri settori dell’hi-tech, specialmente telecomunicazioni, gestione e
elaborazione dati, l’innovazione, l’economia digitale. Peraltro, gli Stati Uniti sono al tempo stesso
un’enorme opportunità di libero trasferimento di tecnologie, basato su rispetto delle regole,
reciprocità, economia di mercato.

Inoltre, gli USA sono il fondamentale riferimento della nostra sicurezza e difesa atlantica, per la
garanzia della nostra libertà e la tutela del nostro stato di diritto.

Il secondo principale competitore dell’Europa anche e soprattutto nell’hi-tech, è la Cina comunista.
Si tratta di un sistema politico, economico, sociale antitetico e antagonista, rispetto a tutto ciò che
l’Europa rappresenta.

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La Cina è un immenso mercato, che ha fatto e continua a fare passi da gigante nell’innovazione e in
molte delle più cruciali tecnologie dell’ICT, Cyber, e-conomy, elaborazione e controllo dati, AI e altri
settori strategici. È un efficiente “Sistema Paese”; interamente verticizzato in un potere assoluto che
appartiene al PCC e al Presidente a vita Xi Jinping.

Le sue imprese di Stato sono interamente controllate dal PCC; recentemente tale controllo è stato
esteso anche a quelle c.d. “private” con leggi ad hoc.

Gli europei devono trovare forme di dialogo e di partenariato con la Cina che rispondano
interamente, negli accordi stipulati e nella loro concreta attuazione, alla regola madre della
reciprocità; del rispetto di patti che siano sanzionabili da giurisdizioni indipendenti ed efficaci; così
come avviene tra Europa e gli altri Paesi partners, a cominciare dagli USA. Con la Cina, la definizione
e l’accettazione della piena reciprocità di diritti e di doveri, assume una connotazione ancora più
cogente e vitale. Ma sino ad ora è completamente irrisolta.

Sin dal suo ingresso nel 2000, nell’organizzazione mondiale del commercio (WTO) sistematiche sono
le violazioni cinesi di numerosissimi impegni, di Trattati, accordi internazionali: in misura ancor più
frequente e palese in questi otto anni di Presidenza Xi Jinping. Basti ricordare l’arrogante rifiuto cinese
di osservare l’obbligo dell’immediata notifica dei primissimi casi di coronavirus a tutti i Paesi firmatari
dell’Accordo IHR del 2005 e dei Regolamenti OMS.

Le forti delusioni che moltissime aziende occidentali subiscono nel mercato cinese a causa di tutto
questo, i flussi di reshoring di filiere strategiche, la disparità di trattamento nelle joint-venture con
partners cinesi, l’impossibilità o l’inutilità di adire Tribunali cinesi e non sottoposti al PCC, la
sottrazione di dati di P.I., di tecnologie innovative creano un quadro problematico e sempre più
dissuasivo per chi vuole investire nella Cina comunista. C’è bisogno di un forte cambiamento. Esso
non può che avvenire con il rafforzamento della concertazione e del coordinamento tra i Paesi
occidentali, in tutte le Istituzioni multilaterali nelle quali dobbiamo ricominciare a contare veramente,
per contrastare – contenendolo – il dilagare del dominio cinese; come al WHO, all’ITU, alla FAO, e
persino al Consiglio Diritti Umani dell’ONU. A tale riguardo è un ottimo passo l’avvio di un frequente
e strutturato coordinamento sulla Cina tra Washington e Bruxelles, annunciato dal Segretario di Stato
Michael R. Pompeo e dall’Alto Rappresentante Josep Borrell a fine ottobre.

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Il Capitalismo della sorveglianza assume nell’attuale quadro geopolitico, una natura, all’apparenza,
simile sia in Occidente che in Oriente; simile per tecniche e potenzialità di condizionamento della
persona, e della società.

Tuttavia, il Capitalismo della sorveglianza assume connotazioni diametralmente diverse quanto ai
soggetti che lo praticano e alle loro finalità. Infatti, nelle democrazie europee, americane, asiatiche
e africane, i soggetti che lo praticano sono essenzialmente i “grandi dell’informatica”, “GAFAM”
(Google, Amazon, Facebook, Alphabet, Microsoft) e le loro finalità sono – almeno per ora –
concentrate sulla loro costante crescita di mercato e di profitto. Ben diversamente, invece, in Cina,
Russia, Iran, è il controllo orwelliano del potere sull’intera società ad assume valore esclusivo,
essenziale e dominante.

C’è di più. Se un crescente controllo e utilizzo dei dati e un’influenza tendenzialmente dominante
sull’economia e sull’intera società, sono obiettivi perseguiti con tecnologie avanzate e risorse
pressoché illimitate, tanto nel mondo a democrazia liberale quanto nei regimi autocratici e totalitari,
in America e in Europa lo strapotere dei giganti “GAFAM” preoccupa da tempo il pubblico, Parlamenti
e i Governi. Perché i rischi sono evidenti. È generalizzata la percezione che il potere reale, in
Occidente, si stia spostando; che la sovranità dei cittadini si sta trasferendo altrove, al di fuori delle
Istituzioni rappresentative del popolo; verso i quartieri generali di mega società informatiche, che
pregiudicano la libertà di concorrenza e di mercato: essendo ormai i “GAFAM”, e Google in primis,
una sorta di monopolio epocale della conoscenza che determina scelte politiche, economiche e di
mercato.

II)   PROCEDURE ANTI-TRUST NEGLI USA; DIGITAL SERVICE ACT/DIGITAL
      MARKET ACT IN EUROPA.

L’impressionante aumento di ricchezza, di profitti e di fatturato delle cinque società “GAFAM” nei
primi 9 mesi 2020 – in piena pandemia - dimostra i vantaggi monopolistici da loro acquisiti: su base
annua le loro capitalizzazioni sono aumentate tra il 48% e l’86%. Al 28 ottobre 2020 il “Total Stock
Market Capitalization” delle cinque società “GAFAM”, era il seguente:

           1) Amazon                             $ 1,00 Trillion
           2) Google – Alphabet                  $ 1,032 Trillion

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3) Microsft                             $ 1,552 Trillion
          4) Facebook                             $ 1,789 Trillion
          5) Apple                                $ 1,902 Trillion
                    TOTAL                         $ 6,275 Trillion

La cifra corrisponde a 1/3 dell’intero GDP americano e a 1/3 circa di quello complessivo dei 27 Paesi
UE; a quattro volte il GDP russo, a una volta e mezzo quello tedesco.

Non desta, quindi, alcuna sorpresa se sui due lati dell’Atlantico, negli USA e nell’Unione Europea,
stiano parallelamente avanzando importanti iniziative legislative e regolamentari che hanno un
comune denominatore: riportare il potere politico delle nostre democrazie dove esso deve risiedere;
nelle istanze stabilite dalle nostre Costituzioni, rivitalizzando i sistemi regolatori preposti a garantire
le libertà di mercato, la concorrenza, la libertà di informazione e di espressione. Tali iniziative sono
riconducibili a due ambiti:

 1) norme e procedure antimonopolio, soprattutto in America, ma anche in Europa;
 2) norme e iniziative europee a garanzia della libertà di informazione e di espressione, della tutela
      e sicurezza nel quadro dei preesistenti GDPR e NIS, ma ora con una incisività accresciuta dalla
      esigenza di ulteriori quadri normativi resi ancor più urgenti dalla pandemia.

 Sul primo punto è da segnalare l’azione antimonopolio avviata dal Ministero della Giustizia
 americano nei confronti di Google a metà ottobre. La decisione dell’Amministrazione Trump segna
 il ritorno di Washington a un ruolo che molti temevano fosse stato abbandonato: quello di
 “disciplinare” i più grandi e potenti monopoli americani. È sempre stata una questione di
 fondamentale importanza nella storia del capitalismo americano e occidentale, e un tratto
 fortemente distintivo tra le democrazie liberali e i regimi autocratici dell’Est europeo e dell’Asia.

 Si è mai sentito parlare di un’azione antimonopolio del Cremlino nei confronti di Gazprom, o
 Rosfnet, o contro gli ultramiliardari russi, o affiliati al Governo cinese come i dirigenti di Huawei, o
 Alibaba? Sarebbe folle solo il pensarlo perché del tutto innaturale per quei sistemi. Sistemi politici
 dove se qualche gigante diventa scomodo lo si sopprime fisicamente e se ne ripartiscono con gli
 amici le spoglie. Negli USA e in Europa è ben diverso, non soltanto per quanto riguarda gli ultimi
 trent’anni.

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Quando il Presidente Theodore Roosevelt chiese al proprio Dipartimento della Giustizia, nel 1982,
 di lanciare un’indagine antitrust contro la Northern Securities Company creata da JP Morgan e soci,
 Roosevelt scrisse ad un amico: “è questione assolutamente vitale che il Governo abbia il potere di
 controllare i Trusts” perché “l’immenso potere di una ricchezza così aggregata – sono sempre le
 parole di Theodore Roosevelt – può essere solo limitato dall’ancor maggior potere dell’intero
 popolo nel suo insieme”.

 Può il potere del popolo prevalere su Google e sugli altri giganti informatici? I “GAFAM” sono assai
 più potenti delle grandi multinazionali monopoliste del passato. Lo sono molto di più dei giganti
 petroliferi, bancari, ferroviari che preoccupavano Theodore Roosevelt. Oggi è una fase
 completamente nuova: quella del “monopolio della conoscenza”. È un’assoluta libertà slegata da
 qualsiasi responsabilità (se non quella, modesta anch’essa, verso gli azionisti) a preoccupare la
 politica e il pubblico.

 La capacità di lobbying, sconfinata e molto più forte di quelle dei precedenti monopoli, rende la
 battaglia particolarmente aspra. Storicamente, tanto in America quanto in Europa la reazione alle
 concentrazioni monopolistiche ha preso due strade:

a) in primo luogo, quella di una loro accettazione indiscriminata, nel convincimento di parte degli
    stessi economisti liberali, che l’iniziativa privata dovesse essere lasciata a sé stessa dato che in
    “mercati quasi perfetti” e sgombri dalle interferenze dello Stato le forze dell’economia, fossero
    in grado di ristabilire equilibri benefici per tutti i cittadini;
b) in secondo, luogo la reazione ai monopoli ha preso anche un’altra forma, che definiremmo
    “statalista”: una strategia di nazionalizzazione aggressiva, con lo scopo di convertire grandi
    aziende, ad es. dell’energia, dei trasporti, della finanza in docili servitori del potere politico e del
    Governo, sempre con il miraggio che, un’azienda di Stato per sua stessa natura, eroghi al pubblico
    servizi e beni in modo più equo, economico ed efficiente di un’azienda a capitale privato.

In Italia abbiamo sperimentato ogni degenerazione possibile di tale impostazione, sostanzialmente
socialista, tra la fine degli anni ’60 e la metà degli anni ’80: nonostante all’inizio tale esperimento
fosse stato alla base, con indiscutibile successo iniziale, dell’enorme sforzo della ricostruzione post
bellica, come nel post Prima Guerra Mondiale e nel ’29, e poi della ricostruzione in Europa dopo la
Seconda Guerra Mondiale.Nella tradizione anglo-britannica che ha, sin dagli anni ’70, ispirato anche

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l’Unione Europea, si è tuttavia affermata una terza strada: quella di contenere o limitare il potere
del monopolio privato senza doverlo nazionalizzare, inducendo riorganizzazioni che liberino alla
concorrenza alcune delle sue attività; e attraverso una riconfigurazione, complessiva di alcuni
monopoli che apre il mercato alla concorrenza. Il caso Google si colloca in questa terza strategia.

Il Department of Justice (DoJ) americano ha avviato la procedura contro Google non solo perché la
società controlla circa il 90% dell’intero “search market” su internet, ma soprattutto perché, insieme
alla consociata Alphabet, Google sta usando i suoi “strumenti finanziari” per tagliare fuori da qualsiasi
accesso ai canali della distribuzione le altre aziende che operano nel “search market” acquisendo in
tal modo il ruolo di vero e proprio “gatekeeper monopolista” su internet.

Considerazioni analoghe possono sempre più valere anche per Amazon nei moltissimi mercati di
servizi e di consumi nei quali opera il gigante di Jeff Bezos: oltre che, in misura crescente nei comparti
finanziari, e nel controllo e gestione dei dati su Cloud, dove Amazon con la sua “AWC” è rapidamente
diventata - anche lì - un gigante, quasi, monopolista.

In Europa, tutto questo ha un profondo significato soprattutto per l’esperienza acquisita nell’azione
effettuata nei confronti di Microsoft al tempo della Commissione Prodi e del Commissario Monti.

È chiaro che l’azione antitrust non è sufficiente a mitigare rapidamente lo strapotere monopolistico
e, in ultima analisi, politico delle “GAFAM”. Esse dispongono di impressionanti capacità di resistenza;
con forti strumenti legali, di influenza politica, sull’opinione pubblica, sulla scienza. Già trent’anni fa,
negli USA ci sono voluti sette anni – dal 1993 al 2000, affinché l’azione intentata del Governo
statunitense contro Microsoft avesse effetto. E tempi lunghi sono in seguito, occorsi all’Europa nella
analoga azione antitrust contro la società di Bill Gates.

In questo momento, la Commissione Europea si concentra soprattutto su controllo e gestione dei dati
informatici, e delle responsabilità e libertà che riguardano i social media e le piattaforme
informatiche.

L’atroce decapitazione del Professore francese Samuel Paty, a metà ottobre, ha rilanciato il dibattito
sul ruolo dei social media. Il killer diciottenne passava notti intere nell’incubo dell’universo
cibernetico jihadista.

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In Francia, e più in generale in Europa, cresce la pressione per regolamentare le piattaforme social.
Thierry Breton ha recentemente sottolineato l’importanza del Digital Service Act europeo in via di
ultimazione.

Infatti la normativa UE ora vigente è del tutto inadeguata: si tratta della direttiva per l’e-commerce
risalente al 2000, quando esistevano solo Microsoft e Apple. Google era ancora in embrione, in un
garage californiano. Facebook, Twitter, Instagram, Tik Tok, non erano nati o interessavano solo gruppi
ristretti di nerd e di adepti.

Il Commissario Breton ha giustamente definito il “cyber”, lo “spazio del non-diritto”. È assurdo che
l’economia, il territorio, la società siano regolate da leggi, consuetudini, diritti e responsabilità precise
e sanzionabili mentre la dimensione cyber, divenuta dominante su tutto il resto, viene
completamente lasciata all’anarchia, al dominio di chi è più forte per conoscenza, ricchezza e
tecnologia.

Il Digital Service Act EU intende essere un primo importante passo. Ad esempio, su una piattaforma
pubblica un contenuto illegale dovrà risponderne come avviene con le leggi sulla stampa; dovrà
rivelare chi ne è all’origine. Il contenuto illegale dovrà immediatamente essere fatto sparire dalla rete.
In caso contrario, la piattaforma subirà sanzioni economiche; se recidiva, sarà esclusa dalla rete.

In ogni Paese UE sarà istituita un’autorità di controllo sullo spazio informatico. Vi saranno
responsabilità – accertate da apposito “audit” – per verificare se gli algoritmi rendano artificialmente
“virali” messaggi particolarmente controversi, falsi, di istigazione all’odio.

Parallelamente, la Commissione UE sta preparando il “Digital Market Act” per individuare le imprese
informatiche che, per loro dimensione o peso nel mercato, bloccano l’emergere di nuovi soggetti nel
mercato o rappresentano un passaggio obbligato – cioè dei veri e propri “gatekeepers” per quanti
ricorrono ai servizi informatici: pensiamo, ad esempio, ai motori di ricerca, servizi e_mail, veicolazioni
su Cloud.

Le “imprese sistemiche” dell’informatica saranno sottoposte a obblighi e a divieti allo scopo di
impedire gravi distorsioni del mercato interno. “Imprese sistemiche” sono certamente quelle che si
ritengono “troppo grandi per sbagliare”, e hanno la supponenza di ritenersi talmente solide e
indispensabili da ignorare l’ambiente e l’ecosistema nel quale agiscono. Esattamente la mentalità e
la “cultura” (o sottocultura) imprenditoriale che ha provocato la crisi finanziaria del 2008.

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III)   UNA NUOVA FORMA DI CAPITALISMO

Una tesi che è stata recentemente sviluppata è la seguente: nessuna declinazione del pensiero
liberale può scendere a compromessi con il “capitalismo della sorveglianza” così come questo si è
radicato nella democrazia e nell’economia di mercato dell’Occidente. E neppur possono esservi delle
compatibilità tra un modello di società liberale o “capitalismi della sorveglianza” a matrice autocratica
e/o comunista come la Cina.

a) La sua definizione

Partiamo quindi dalla definizione: di cosa parliamo esattamente? La risposta è fornita da Shoshana
Zuboff, professore merito alla Haward Business School, con un poderoso lavoro di grande successo,
pubblicato lo scorso anno “The Age of Surveillance Capitalism. The fight for a human future at the
new frontier of power”. La professoressa Zuboff sintetizza anzitutto questo epocale genocidio in
alcuni punti essenziali:

1)     un nuovo ordine economico che sfrutta l’esperienza umana come materia prima per pratiche
       commerciali segrete di estrazione, previsione e vendita;
2)     una logica economica parassitarie nella quale la produzione di beni e servizi è subordinata a una
       nuova architettura globale per il cambiamento dei comportamenti;
3)     una mutazione del capitalismo caratterizzata da concentrazioni di ricchezza, conoscenza e
       potere senza precedenti nella storia dell’umanità;
4)     un’importante minaccia per la natura umana nel Ventunesimo Secolo, proprio come il
       Capitalismo industriale lo era sempre più diventato nei secoli Diciannovesimo e Ventesimo per
       il rispetto dell’ambiente e dell’ecosistema sulla terra;
5)     l’origine di un nuovo potere strumentalizzante che impone il proprio dominio sulla società e
       sfida la democrazia e la libertà dei mercati;
6)     un’evoluzione che cerca di imporre un nuovo ordine collettivo basato alla sicurezza assoluta:
7)     un’espropriazione dei diritti umani fondamentali proveniente dall’alto: sovvertendo la
       sovranità del popolo.

Partiamo quindi dalla definizione.

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Il modello digitale sta prendendo il sopravvento. Ridefinisce qualunque cosa prima che ci sia offerta
la possibilità di riflettere e decidere. Possiamo apprezzare gli aiuti e le prospettive che ci offre
l’interconnessione; ma allo stesso tempo vediamo aprirsi nuovi territori fatti di ansia, pericoli e
violenza. Oggi miliardi di persone, di ogni strato sociale, età e provenienza, devono rispondere a
enormi interrogativi.

Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione raggiungono tre dei sette miliardi di persone
sulla Terra. I dilemmi intrecciati della conoscenza, dell’autorità e del potere non sono più limitati ai
luoghi di lavoro come negli anni Ottanta, ma sono ramificati in tutte le necessità quotidiane, e
mediano quasi ogni forma di partecipazione sociale.

Nel 2000, un gruppo di scienziato e ingegneri informatici della Georgia Tech collaborò su un
progetto chiamato Aware Home, la “casa consapevole”. L’obiettivo era creare un “laboratorio
vivente” per studiare “l’uso dell’informatizzazione in ogni luogo”. Immaginarono una “simbiosi uomo-
casa”, nella quale molti processi animati e inanimati sarebbero stati catturati da una complessa rete
di “sensori consapevoli del contesto”. Il design mirava a una “collaborazione automatizzata wireless”
tra la piattaforma che ospitava le informazioni personali ottenute dai computer indossati e una
seconda piattaforma che ospitava le informazioni ambientali ricavata dai sensori.

Il lavoro rispettava i seguenti assunti: gli scienziati e gli ingegneri erano consapevoli che il nuovo
sistema di dati avrebbe prodotto un abito di conoscenza inedito; si presumeva che i diritti di quelle
nuove conoscenze e la capacità di utilizzarle sarebbero appartenuti esclusivamente a chi viveva nella
casa; il team ipotizzò che malgrado tutte quelle diavolerie digitali, Aware Home avrebbe rivisitato in
chiave moderna le convinzioni arcaiche che ritengono la casa il santuario privato di chi la abita.

Si poneva l’accento sulla fiducia, sulla semplicità, sulla sovranità dell’individuo e sull’inviolabilità
della casa come dominio privato. Aware Home era pensata come un semplice “circuito chiuso” con
due soli nodi, interamente controllati dagli occupanti; il team stabilì fosse doveroso “garantire agli
occupanti la conoscenza e il controllo della distribuzione di tali informazioni”. Tutto il materiale
raccolto sarebbe stato archiviato nei computer indossati dagli occupanti “per assicurare la privacy
delle informazioni”.

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Da qualche anno i presupposti dai quali partiva Aware Home si sono volatilizzati. Dove sono finiti?

b) Il ruolo primario della “privacy” sta evaporando

L’aspetto più critico è che nel 2000 questa visione presumeva il ruolo primario della privacy
dell’individuo. Si pensava cioè che la persona che avesse deciso di digitalizzare la propria vita avrebbe
detenuto i diritti esclusivi sulla conoscenza ricavata da simili dati e sul suo possibile uso. Oggi, al
contrario, il diritto alla privacy, alla conoscenza e al suo uso è stato usurpato da un mercato aggressivo
che ritiene di poter gestire unilateralmente le esperienze delle persone e le conoscenze da esse
ricavate.

Il “capitalismo della sorveglianza” si appropria dell’esperienza umana usandola come materia
prima, da trasformare in dati sui comportamenti. Alcuni di questi dati vengono usati per migliorare
prodotti o servizi. Il resto diviene un “surplus comportamentale” privato, sottoposto a un processo
di lavorazione avanzato noto come “intelligenza artificiale” per essere trasformato in prodotti
predittivi in grado di vaticinare cosa faremo immediatamente, ora o in futuro. Infine, questi
prodotti predittivi vengono scambiati in un nuovo tipo di mercato per le previsioni
comportamentali o mercato dei comportamenti futuri. Grazie a tale commercio i capitalisti della
sorveglianza si sono arricchiti straordinariamente, dato che sono molte le aziende bisognose di
conoscere i nostri comportamenti futuri.

I processi automatizzati non solo conoscono i nostri comportamenti, ma il formato. Il focus passa
dalla conoscenza al potere, e non basta più automatizzare le informazioni che ci riguardano; il
nuovo obiettivo è automatizzarci.

I mezzi di produzione sono subordinati a “mezzi di modifica del comportamento” sempre più
complessi e completi. In tal modo, il capitalismo della sorveglianza dà vita a nuovi tipi di potere
nella categoria dell’ideologia strumentalizzante che conosce e indirizza i comportamenti umani
verso nuovi fini. Anziché usare eserciti e armi, impone il proprio potere tramite l’automazione e
un’architettura computazionale sempre più presente, fatta di dispositivi, oggetti e spazi smart
interconnessi.

Questo tipo di mercato è dotato di tentacoli che si estendono ovunque: l’indottrinamento degli
innocenti giocatori di Pokèmon Go; l’atto di mangiare, bere e fare acquisti in ristoranti, bar, fast food

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e negozi che pagano per avere una parte del mercato dei comportamenti futuri; la spietata
espropriazione del surplus dai profili Facebook per delineare i profili individuali, che si tratti
dell’acquisto di una crema di un qualunque venerdì o di un paio di nuove scarpe da ginnastica dopo
una lunga corsa di sabato mattina. Come il capitalismo industriale era spinto dalla continua crescita
dei mezzi di produzione, così il capitalismo della sorveglianza e i suoi operatori di mercato sono
costretti ad accrescere continuamente i mezzi per la modifica dei comportamenti e il potere
strumentalizzante.

Il capitalismo della sorveglianza si muove in senso opposto all’antica utopia digitale, facendo
sembrare preistorico il progetto Aware Home.

c) Asimmetria della conoscenza

Il capitalismo della sorveglianza opera sfruttando un’asimmetria senza precedenti della conoscenza
e del suo potere. I capitalisti della sorveglianza sanno tutto di noi, mentre per noi è impossibile
sapere quello che fanno. Predicono il nostro futuro perché qualcuno altro ci guadagni, ma non noi.
Finché il capitalismo della sorveglianza, e il suo mercato dei comportamenti futuri, potranno
prosperare, la proprietà dei nuovi mezzi di modifica, dei comportamenti eclisserà i mezzi di
produzione come fonte della ricchezza e del potere capitalista nel Ventunesimo Secolo.

Ognuna delle cinque principali internet company - Apple, Google, Amazon, Microsoft, Facebook,
GAFAM - pratica il capitalismo, ma non tutte praticano solo il capitalismo della sorveglianza, almeno
non ancora. Ad esempio, Apple, ha finora tracciato un limite proponendosi di evitare molte delle
pratiche che appartengono al regime del capitalismo della sorveglianza. Il suo comportamento, al
riguardo, non è perfetto, e a volte il confine è labile, e Apple potrebbe benissimo cambiare o
contraddire le proprie intenzioni.

d) Il “surplus comportamentale”

Il surplus comportamentale spiega i grandi ricavi di Google. Già tre anni fa, l’89% dei ricavi della sua
società madre, Alphabet, derivava dai programmi di targeted advertising di Google. Le dimensioni
di tale flusso riflettono il modo in cui Google domina internet, processando in media più di 40.000
“query” di ricerca al secondo: più di 3,5 miliardi di ricerche al giorno. Sulla spinta delle sue
invenzioni innovative, il valore sul mercato di Google era pari a 400 miliardi di dollari, nel 2014, cioè

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solo sedici anni dopo la sua fondazione e superava quello di Exxon Mobil al secondo posto per
capitalizzazione sul mercato, rendendola la seconda azienda più ricca del mondo. Subito dopo c’era
– sempre nel 2014 - Apple con una capitalizzazione sul mercato di più di 649 miliardi di dollari”. Al
26 ottobre 2020 solo cinque anni e mezzo dopo, la capitalizzazione di Google è di 1 trilione di dollari,
quella di Apple di 1,9 trilioni di dollari. Sull’onda di otto mesi di pandemia, le capitalizzazioni
complessive dei GAFAM sono ora di circa 6,3 trilioni di dollari.

Il fatto che nell’era del capitalismo della sorveglianza il comportamento sia diventato una merce ci
proietta verso una società nella quale il mercato sarà protetto da fossati di segretezza, indecifrabilità
e competenza.

Anche quando riavremo indietro conoscenze derivate dal nostro comportamento come do ut des
per la nostra partecipazione, ad esempio con la cosiddetta “personalizzazione”, ci saranno
operazioni parallele che convertiranno il surplus in affari che non ci riguardano. Non ne abbiamo, né
avremo alcun controllo formale perché in questo mercato non siamo necessari.

Conoscenza, autorità e potere appartengono sempre più ai capitalisti della sorveglianza. Per loro,
noi esseri umani siamo solo delle “risorse naturali”. L’esproprio della nostra identità digitale non è
un singolo episodio, ma una combinazione incessante di azioni, di tecniche e di materie prime.

Le analisi della personalità a fini commerciali, si basano sul surplus comportamentale – i cosiddetti
metadata, o mid-level metrics – perfezionati e testati da ricercatori, e pensati per contrastare
chiunque ritenga di poter controllare la “quantità di informazioni personali che rivela nei social media.
Ad esempio, per ottenere un’assicurazione automobilistica efficace dobbiamo venire codificati come
giudiziosi, ben disposti e aperti. È difficile fingere di esserlo, perché il surplus utilizzato per l’analisi è
appositamente oscuro. Non è la sostanza che viene esaminata, ma la forma. Il prezzo che ci viene
offerto non deriva dagli argomenti dei quali scriviamo, ma da come ne scriviamo. Non conta che cosa
c’è nelle nostre frasi, ma la loro lunghezza e complessità; non che cosa elenchiamo, ma il fatto che
facciamo un elenco; non la foto che postiamo, ma il filtro o la saturazione che abbiamo scelto; non
cosa riveliamo, ma il modo in cui lo condividiamo o meno; non dove abbiamo deciso di incontrarci
con gli amici, ma come lo faremo: dicendo loro semplicemente “a dopo” o fissando un’ora e un luogo
precisi? I punti esclamativi e gli avverbi che usiamo rivelano molto di noi, in modo potenzialmente
dannoso. Il volume e la profondità nel nuovo surplus che tali operazioni di estrazione consentono di
raggiungere sono senza precedenti; non è mati stato neanche ipotizzabile qualcosa di simile. Come

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ha detto Kosinski nel 2015 in una intervista, pochi capiscono che aziende come “Facebook,
Snapchat, Microsoft, Google e altre ancora hanno accesso a dati che degli scienziati non sarebbero
mai stati in grado di raccogliere. Ci sono “data scientist” che hanno predetto in modo efficace i
tratti del modello a 5 fattori usando il surplus ricavato dalle foto profilo di Twitter (colore,
composizione, tipo di immagine, informazioni demografiche, presentazione del volto), dai selfie
(colo, stile di fotografia, texture del viso, ecc.) e dalle foto su Instagram (tonalità, luminosità,
saturazione, ecc.).

e) Il bisogno di fortificazioni

I leader di Google hanno subito capito che avrebbero avuto bisogno di fortificazioni per difendere il
proprio “peccato originale” da contrattacchi e tentativi di ridimensionamento. Quando nel 2004
Google venne quotata in Borsa, Page e Brin introdussero per primi una struttura azionaria e di
governance a doppia classe. I due avrebbero controllato la super classe B, che dava dieci voti per
quota, a differenza della classe A, che dava solo un voto. “Abbiamo impostato una struttura aziendale
che renderà difficile, a degli estranei, scalare o influenzare Google”, dichiaravano allora i vertici della
società.

E nel 2011, a un reporter del Washington Post, citò la formula antidemocratica dell’ex Ceo di Intel
Andy Grove, sottolineando di ritenerla “personalmente valida”. Google era decisa a proteggersi dalla
lentezza delle istituzioni democratiche: “l’hi-tech va tre volte più veloce di un business comune. E i
Governi vanno tre volte più lenti di un business comune. Di conseguenza il gap ammonta a nove volte.
Per questo motivo bisogna assicurarsi che il Governo non si metta in mezzo rallentando le cose”.

La tecnologia va tanto veloce che i Governi non dovrebbero provare a darle delle regole. Cambia tanto
in fretta che ogni problema verrà risolto dalla tecnologia stessa. Ci muoviamo molto più velocemente
di qualunque Governo”.

Le “fortezze” per proteggere Google e, in seguito altri capitalisti della sorveglianza, da critiche e
interferenze politiche, sono state erette in alcuni ambiti chiave:

1)    per dimostrare che Google è in possesso di competenze da sfruttare anche nelle campagne
      elettorali;

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2)    per sfumare deliberatamente le differenze tra interessi pubblici e privati tramite collaborazioni
      e attività di lobbying;

3)    per creare un sistema di “porte girevoli” tra il personale di Google l’Amministrazione USA;

4)    per campagne d’influenza sulla ricerca accademica e sul discorso culturale complessivo.

La campagna di Obama del 2008 ha raccolto dati significativi su più di 250 milioni di americani,
compresa “una vasta gamma di dati relazionali e comportamentali ricavati dal sito della campagna e
da social media esterni come Facebook”. Con le “fortezze” costruite dai “capitalisti della sorveglianza”
si combina una strategia di “conquista” verso il mercato, il potere politico, e l’opinione pubblica. Si
tratta di speciale forma di conquista.

f) La “conquista tramite dichiarazione”

Il capitalismo della sorveglianza si è presentato con sei dichiarazioni che Google proclamò per la prima
volta. Stregati dai risultati di un’azienda tanto giovane, i fondatori di Google, i fan e una stampa
adorante lasciavano passare sotto silenzio le immagini contenute in queste asserzioni, che evocano
invasioni e conquiste. Le sei dichiarazioni sono state spiegate da David Hart, “On the Origins of
Google” (National Science Foundation, 17agosto 2004) e appaiono come le fondamenta di una
propria strategia di esproprio:

1.    rivendichiamo l’esperienza umana come una materia prima di cui impossessarsi liberamente;
2.    affermiamo il diritto di impossessarci dell’esperienza di un individuo per trasformarla in dati
      comportamentali;
3.    tale nostro diritto ci conferisce il diritto di essere proprietari dei dati comportamentali derivati
      dall’esperienza umana;
4.    di conoscere quel che essi rivelano;
5.    di decidere come usare la nostra conoscenza;
6.    di stabilire le condizioni che salvaguardano tale nostro diritto.

 L’era del capitalismo della sorveglianza, osserva la professoressa Shoshana Zuboff, è stata
 pertanto inaugurata da sei dichiarazioni che l’hanno definita come era di conquista.

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IV)   DAL CAPITALISMO ALLO “STATO DELLA SORVEGLIANZA”: LA CINA COMUNISTA DI XI JINPIN

Il Governo cinese sta sviluppando un sistema di “credito sociale” destinato, secondo la definizione di
uno studioso, a essere il “nucleo” dei suoi piani per internet. Lo scopo è “fare leva sull’esplosione dei
dati per migliorare il comportamento dei cittadini. Individui e imprese saranno valutati su vari aspetti
della loro condotta – dove vai, che cosa compri e chi conosci – e questi punteggi saranno integrati in
un database completo in grado non solo di inviare le informazioni al Governo, ma di collegarle con i
dati raccolti dalle imprese private”.

Il sistema traccia comportamenti “buoni” e “cattivi” in una serie di attività sociali e finanziarie,
assegnando automaticamente ricompense e punizioni per formare un comportamento volto alla
“costruzione della sincerità” nella vita economica, sociale e politica: “L’obiettivo è fare in modo che
ogni cittadino cinese lasci una scia di dati ricavabili da fonti pubbliche e private rintracciabili partendo
dalle impronte digitali e da altre caratteristiche biometriche.

Per quanto questo credito sociale cinese venga inevitabilmente descritto come una visione di
“totalitarismo digitale” e venga spesso paragonato al mondo di 1984, il modo migliore per capirlo è
definirlo come l’apoteosi del potere strumentalizzante foraggiato dai dati pubblici e privati, e
controllato da uno Stato autoritario. Il resoconto dei suoi programmi pionieristici rappresenta un
vivido esempio dell’economia di scala e dei mezzi di modifica del comportamento di massa propri
delle economie capitaliste della sorveglianza.

Lo scopo è automatizzare la società con il tuning, gli herding e il condizionamento delle persone per
dare vita a comportamenti predefiniti, ritenuti desiderabili dallo Stato, e in tal modo, per dirlo con le
parole di un esperto di studi strategici, “prevenire l’instabilità”. In altri termini, lo scopo è usare i
mezzi di modifica del comportamento per raggiungere risultati garantiti a livello sociale e non di
mercato. Il risultato è un sistema emergente che ci consente di intravedere un futuro definito da una
fusione totale di potere strumentalizzante e statale.

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I GAFAM americani hanno sviluppato negli ultimi due decenni avanzatissime tecnologie grazie a un
“ecosistema” di ricerca di sviluppo e di mercato completamente libero. Un sistema che si è orientato
con il tempo ad accrescere, diversamente dal principio di libertà generalizzata che costituiva il valore
più prezioso per gli utenti di internet, la sorveglianza e il condizionamento sull’individuo: con finalità
prevalenti di profitto e di potere economico. Le stesse tecnologie sono state in misura crescente
acquisite nell’ultimo decennio dalla Repubblica Popolare Cinese. Un risultato ottenuto da Pechino
attraverso trasferimenti diretti dagli Usa alla Cina. In una certa misura si è trattato di trasferimenti
leciti, come partenariati, joint venture, acquisizioni, controlli azionari cinesi su società high-tech
americane; ma allo stesso tempo anche con un enorme numero di sottrazioni illecite sostenute
dall’intelligence economica, dall’attrazione di ricercatori americani ed europei verso la Cina, da forti
incentivi economici. Ne è esempio il “Thousand Talents Program”.

Sono decide di migliaia gli studenti e i ricercatori cinesi che ogni anno si iscrivono a università e si
inseriscono in centri di ricerca americani e occidentali. Non lo fanno solo per motivi di studio.
Moltissimi di loro, se non la totalità, hanno potuto lasciare la Cina per studiare e fare ricerca all’estero
solo in virtù di precisi obblighi e collegamenti con il PCC, con la sua organizzazione e i suoi obiettivi.
Sono tutti studenti ricercatori che non hanno alcuna scelta, o autonomia, rispetto alle istruzioni che
vengono impartite dalle Autorità cinesi, attraverso norme di comportamento e regolamentazione
della loro attività, nonché con compiti specifici che vengono loro assegnati. Migliaia di indagini per
spionaggio sono state avviate negli ultimi anni dall’FBI nei confronti di molti di loro.

Le tecnologie informatiche per creare lo “stato della sorveglianza” sull’intero “Sistema Paese” della
Cina Comunista, sono usate in modo massiccio soprattutto nelle regioni più critiche secondo Xi
Jinping: Xinjiang, Tibet, Mongolia meridionale e da ultimo il territorio di Hong Kong. Esse sono state
acquisite, in gran parte, attraverso una diffusa ed efficiente strategia di intelligence economica: con
operazioni di spionaggio, attività di influenza, di condizionamento, e di corruzione nei confronti di
ambienti politici, economici, scientifici. È certo che ricerca e sviluppo nell’ICT, AI, nel 5G e nel 6G,
nelle “smart cities”, nel “quantum computing” e in altri campi dell’informatica hanno negli ultimi anni
fatto passi da gigante anche in Cina tanto da essere ormai Pechino in competizione diretta con
America ed Europa nell’AI, nella capacità di raccolta e gestione di volumi immensi dei meta-dati
necessari a ulteriori balzi in avanti, ad esempio nell’AI e nel “quantum computing”.

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Il Governo cinese sta acquisendo tutte le caratteristiche di un vero e proprio Stato orwelliano della
Sorveglianza. Il possesso esclusivo del dominio cyber assume rilevanza determinante per il PCC per
controllare ogni secondo della giornata di un’immensa popolazione. Tale possesso esclusivo è
determinante per distillare ogni anche più piccola informazione pubblica adatta alle convenienze
della leadership.

È altresì determinante nell’“analisi predittiva” che lo Stato fa dei comportamenti individuali o
collettivi; nell’animare o nello spegnere dibattiti critici; nell’incitare (spesso) o moderare (raramente)
le emozioni nei confronti di nemici interni di Xi o esterni, secondo la direzione di marcia utile al Partito
Comunista e del suo leader a vita.

Da un punto di vista economico-commerciale sono sempre i giganti americani dell’informatica –
essenzialmente, ma non soltanto i GAFAM - ad avere nel loro insieme una quota di mercato stimata
attorno al 70% del valore globale. Per questo settore, la competizione USA-UE-Cina è resa
particolarmente aspra per il fatto che il dominio cyber è da Pechino considerato come lo spazio di
dominio globale, contrapposto a principi, regole, identità, cultura, interpretazione stessa della storia
e delle religioni, essenziali alle democrazie liberali.

Nel comunicato del Plenum del PCC, il 30 ottobre u.s., sulle linee che dovranno ispirare il 14° Piano
quinquennale 2021-2025, il messaggio è stato molto chiaro. Per diventare un Paese moderno la Cina
deve contare ormai su sé stessa, sul un progresso tecnologico a tappe forzate. I termini, “innovazione”
e tecnologia” ricorrono più di venticinque volte nel comunicato del Plenum. Xi Jinping insiste
continuamente sull’importanza della scienza e della tecnologia quantistica. Il comunicato del Plenum
reitera l’obiettivo di conseguire entro il 2027 la “modernizzazione completa delle Forze Armate”,
contando sul “pensiero di Xi Jinping per rinforzare la People’s Liberation Army”. La “sicurezza” sarà
d’altra parte una componente essenziale per il 14° piano quinquennale del Partito Comunista Cinese.

Ed è, ancora, in tale quadro che il Comitato Centrale ha dichiarato che il Paese farà maggiori progressi
nella modernizzazione del proprio apparato militare, rafforzando la formazione e la prontezza
operativa delle truppe. Progressi nell’innovazione e nell’autosufficienza tecnologica vedono ai primi
posti:

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a) Intelligenza Artificiale; e-economy; 5G e 6G;

b) economia circolare – cioè autonomia dall’estero nei semiconduttori, infrastrutture e software
      informatici e ICT;

c)    riposizionamento cinese nel sistema monetario e finanziario mondiale.

Si conferma quell’enfasi tecnologica e scientifica espressa da tempo da Xi Jinping con l’Agenda 2025,
mirata a dominare in pochi anni la corsa verso l’AI e il quantum computing. Ma perché la volontà di
Pechino di competere così aspramente con USA ed Europa, rappresenta una diretta minaccia per la
democrazia liberale, e non solo, una contrapposizione di interessi politici ed economici?

Le principali ragioni possono essere individuate a proposito del tema che qui interessa (capitalismo e
Stato della sorveglianza), in alcune profonde diversità strutturali e politiche.

- Lo Stato Cinese della sorveglianza detiene il controllo assoluto dell’intera, vastissima gamma delle
     tecnologie acquisite; ne dispone al di fuori di qualsiasi limitazione, condizionamento, interferenza
     di istituzioni nazionali o multilaterali. Non deve risponderne a mezzi di informazione,
     organizzazioni politiche, sindacali, religiose, di opinione, che nelle società a democrazia liberale
     tutelano libertà di espressione, di informazione, di assemblea. Nello Stato totalitario e assolutista
     del PCC non esiste alcuna nozione di privacy, di rispetto per un’informazione libera, per la tutela
     di dati informatici per la dignità e i diritti della persona per le garanzie e la proprietà delle aziende
     private, per i patrimoni degli azionisti, i brevetti e i processi industriali. Lo Stato orwelliano della
     tecnologia informatica è in Cina, l’unico detentore del dominio cyber. Vi è così molto da dubitare
     sulla veridicità di una Cina che controlla il coronavirus, dopo averlo lasciato scappare da qualche
     laboratorio o mercato e diffondersi in tutto il mondo. È una realtà che dimostra come la minaccia
     dello Stato orwelliano cinese al futuro della libertà e al progresso dell’umanità sia ben più grave
     della pandemia stessa.

- La seconda stridente diversità tra capitalismo della sorveglianza negli USA e in Europa è che lo
     Stato della sorveglianza in Cina si traduce in una impressionante enfasi, ribadita dal messaggio
     conclusivo del Plenum del 30 ottobre, sulla militarizzazione dell’intero Paese, in omaggio alla
     strategia neo-imperialista e di dominio globale del presidente Xi Jinping. Da circa trent’anni la
     “fusione civile – militare” rappresenta l’asse portante dello sviluppo economico e della crescita

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cinese. Ne costituisce l’elemento chiave nella ricerca, scientifica, nell’innovazione tecnologica,
 nelle “aperture” verso l’esterno avvenute con l’ingresso di Pechino nel WTO, negli intensi
 programmi di promozione commerciale e di partnership internazionali.

Non è mai esistito un solo ambito di questa colossale strategia di crescita nell’innovazione, che non
abbia riguardato contemporaneamente la crescita militare del Paese. Il suo rapidissimo aumento di
potenza si è concentrato negli ultimi dieci – quindici anni. È andato di pari passo con l’acquisizione
delle tecnologie informatiche che costituiscono, come in tutti i Paesi avanzati, il tessuto connettivo
più dinamico e promettente anche per la difesa.

Non vi è tuttavia alcun raffronto possibile tra la pervasività che il principio della “fusione civile -
militare” assume in Cina e la rilevantissima sottostima che ciò comporta ad esempio in percentuali
di crescita del bilancio ufficiale per le Forze Armate cinesi, dove la “fusione civile-militare” fa si che
ogni investimento nella ricerca – ad esempio nel 5G o nell’IoT – sia al tempo stesso un investimento
da considerare anche come investimento militare.

Le interazioni fra la ricerca civile e quella militare sono ovviamente importanti in tutti i Paesi
avanzati, ma non vi è nessun paragone possibile sull’incidenza che questa interazione ha per la Cina.

                                               CONCLUSIONE

Molti studiosi parlano di “recessione democratica” e “disgregazione” delle democrazie occidentali,
un tempo ritenute al sicuro da minacce. Queste sensazioni di disagio e alienazione sono state
condivise da persone di tutto il mondo, ascoltate in una inchiesta tenuta da Pew Research in 38
nazioni un paio di anni fa. Stando ai risultati, la democrazia non sembra essere più un imperativo
sacro, anche per i cittadini delle società democratiche più mature. Il 78% del campione sostiene che
la democrazia è “buona”, ma il 49% approva anche un “Governo di esperti”, il 26% auspica il
“Governo di un leader forte” e il 24% preferisce un “Governo militare”.

L’indebolimento dell’amore per la democrazia negli Stati Uniti e in moti Paesi europei è molto
preoccupante. Secondo l’indagine della Pew, solo il 40% degli statunitensi sostiene la democrazia
e rifiuta le alternative. Ben il 46% trova accettabili sia le alternative democratiche, sia quelle non
democratiche, e il 7 è a favore solo di quelle non democratiche. Il campione USA è meno devoto

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alla democrazia di quelli di Svezia, Germania, Olanda, Grecia e Canada ma ci sono importanti
democrazie occidentali, come Italia, Gran Bretagna, Francia e Spagna, insieme a Polonia e
Ungheria, che si posizionano sotto alla mediana del 37% di sostegno esclusivo della democrazia,
rilevata sulla totalità dei 38 Paesi.

Secondo molti, la democrazia di mercato, alla gente non sembrerebbe più di vitale importanza,
malgrado mercato e democrazia abbiamo apportato benefici all’umanità. C’è chi propone di
rinunciare ai mercati, e chi sostiene che la democrazia è obsoleta.

Qualcuno propone economie dal volto più umano o prevede un lungo declino, mentre altri, che
detestano la complessità sociale, preferiscono una miscela di potere elitario e politica dirigista che
possa imitare l’autoritarismo cinese.

Hannah Arendt si è occupata di queste cose più di sessant’anni fa nelle “Origini del totalitarismo”,
dove ha seguito il percorso che porta dall’annullamento dell’individualità alle ideologie totalitarie.

L’era del capitalismo della sorveglianza ci sta insegnando il valore insostituibile delle nostre più
grandi conquiste morali e politiche proprio perché minaccia di distruggerle. Ci ricorda che la
fiducia condivisa è la sola che possa proteggerci dall’incertezza.

La buona notizia è che il pluralismo e i valori veramente liberali restano popolari. Molte persone
vogliono essere trattate come individui, non come parte di un gruppo; giudicano ciò che viene
detto, non solo chi lo sta dicendo. Molte ferite che affliggono la vita pubblica riflettono il clima dei
social media e dei campus, non quello della società in generale. La maggior parte degli studenti
non sottoscrive la visione della sinistra radicale nei campus universitari. Tuttavia, i sostenitori
della democrazia liberale farebbero bene a ricordare che i grandi liberali del dopoguerra, in un
modo o nell’altro, hanno tutti affermato come gli individui debbano avere la forza di resistere
all’oppressione dei grandi gruppi. Questo, sicuramente, è il punto dove inizia il pensiero liberale.

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