BICOCCA DOMANI 2019-2015 DOMANDE & RISPOSTE

Pagina creata da Jacopo Grillo
 
CONTINUA A LEGGERE
BICOCCA DOMANI 2019-2015 DOMANDE & RISPOSTE
BICOCCA DOMANI 2019-2015

                                        DOMANDE & RISPOSTE
1. CHI HA DECISO I CRITERI PER LA DIVISIONE DELLE RISORSE (PUNTI ORGANICO) TRA I DIPARTIMENTI? SI
POSSONO RIMETTERE IN DISCUSSIONE?

RISPOSTA BREVE
Li ha decisi, e riconfermati ogni anno, il CdA. Sì, si possono cambiare, ma sono già buoni indicatori, attentamente
esaminati da tutti i CdA passati e riconfermati nella seduta di marzo 2019 dal CdA attuale. Il modello è fatto in
modo da adattarsi ad eventuali cambiamenti di esigenze o obiettivi dell’Ateneo: per farlo basta cambiare i pesi
relativi degli indicatori, senza modificare gli indicatori stessi.

RISPOSTA ESTESA
Nell’autunno/inverno del 2013/14 il Rettore e la governance mi chiesero di sviluppare indicatori qualiquantitativi
per un modello trasparente e flessibile di distribuzione delle risorse, ispirato ai parametri che usa il MIUR per
finanziarci. Sviluppai diverse ipotesi di indicatori, che furono portati alla discussione del CdA nel febbraio 2014 con
dettagliata spiegazione delle proprietà di ciascuno. Il CdA optò per la forma attuale, che prevede due indicatori
compositi (ricerca dipartimentale e efficacia didattica), ed uno semplice (turnover dipartimentale). Nel modello ad
ogni indicatore sono applicati dei pesi, per renderlo flessibile ed adattabile agli obiettivi dell’Ateneo. Il CdA scelse
di attribuire il peso maggiore alla ricerca (50%), leggermente inferiore all’efficacia didattica (30%), e residuale
al turnover dipartimentale (20%). Ogni anno, tra Febbraio e Marzo, il CdA ha esplicitamente ridiscusso tanto gli
indicatori quanto i pesi loro attribuiti: ed ogni anno, fino ad oggi (marzo 2019), ha riconfermato l’adeguatezza degli
indicatori e la scelta dei pesi 50%, 30%, 20%. Tuttavia, il modello è nato per essere trasparente e flessibile: il CdA
può discutere ed adottare indicatori differenti, e soprattutto è molto facile per il CdA attribuire pesi differenti agli
indicatori, qualora ritenga che gli obiettivi dell’Ateneo siano cambiati. Quello che ritengo fondamentale non è la
natura degli indicatori o la quantificazione dei loro pesi, ma il mantenimento di un modello quali-quantitativo
trasparente e flessibile, basato sulla valutazione dei risultati, per la distribuzione delle risorse ai Dipartimenti.

2. MOLTO SPESSO GLI APPLICATIVI PER LA DIDATTICA E L’AMMINISTRAZIONE SONO INCOMPATIBILI TRA
LORO E OBBLIGANO I DOCENTI E IL PERSONALE A INSERIRE GLI STESSI DATI PIÙ VOLTE. CHI DECIDE QUALI
APPLICATIVI USARE? QUALI PROVVEDIMENTI PRENDERAI NEL CASO TU DIVENTASSI RETTORE?

RISPOSTA BREVE
Quali applicativi usare e quali acquistare finora l’ha sempre deciso l’amministrazione. I docenti, compresi
Prorettori e Presìdi di Qualità, sono sempre stati sentiti in un secondo tempo, per aiutare a profilarli nel modo
opportuno. Se sarò eletto Rettore istituirò immediatamente un Prorettorato per l’Università Digitale per meglio
armonizzare lo sviluppo delle nostre piattaforme con le esigenze degli utenti finali, e cioè – nel caso della didattica
e degli acquisti – i docenti universitari, i Presidenti di Scuole e CCD, i Direttori di Dipartimento e – infine – gli
studenti di ogni ordine e grado.

RISPOSTA ESTESA
Questo è un argomento che ha provocato molti malumori, in passato e attualmente. C’è un netto bipolarismo
nella digitalizzazione del nostro Ateneo. Da una parte abbiamo piattaforme uniche e fantastiche. Ne cito due:
il nostro moodle è di facile uso, open source, equipaggiato di così tanti “accessori” da essere considerato il
moodle più potente e flessibile d’Italia; i nostri strumenti di business intelligence, come il Cruscotto Didattico, il
Cruscotto della Ricerca, il Cruscotto dell’Internazionalizzazione, ecc., pur richiedendo una basilare competenza
tecnica, offrono un’impareggiabile ricchezza e granularità di informazioni sulle nostre attività, utilissima per
monitorarle e quindi orientarle nel migliore dei modi. Dall’altra parte abbiamo le suite CINECA, adottate da
sempre dall’amministrazione in tutte le loro fasi di sviluppo, potentissime per molti aspetti, e certamente non da
“condannare in toto”, ma sviluppate senza considerare le esigenze reali di lavoro del docente universitario. Non
solo dialogano difficilmente con piattaforme di terze parti, ma ogni volta che richiediamo un aggiornamento o
una miglioria dobbiamo aspettare mesi o anni perché sia implementata. In alcuni casi le loro performance sono
abissalmente lontane dalle esigenze del docente (come nel caso di U.P., del quale proibii personalmente l’adozione
a regime, dopo una sperimentazione molto deludente), e devono essere sostituite da piattaforme di terze parti (in
sostituzione di U.P. l’amministrazione adottò EasyAcademy: migliore, anche se ancora non ottimizzato). Ma per
                                                           1
BICOCCA DOMANI 2019-2015 DOMANDE & RISPOSTE
rispondere direttamente alla domanda: fino ad ora le piattaforme le decide e le compra l’amministrazione; noi
docenti siamo potuti intervenire solo in un secondo momento per “suggerire” come profilarle meglio, adattarle,
e – nella maggior parte dei casi – “metter delle pezze qua e là”. Personalmente, ho sempre sentito molto la
mancanza di un Prorettore dedicato a curare tutti gli aspetti di digitalizzazione dell’Ateneo, interloquendo con
l’Area Sistemi Informativi e con tutte le altre aree amministrative, e in grado di concentrarsi full time sullo sviluppo
di sistemi integrati facilmente usabili. Le piattaforme devono semplificare (ottimizzando la usability) e rendere
“piacevole” (ottimizzando la user experience) il lavoro del docente: non renderlo più sgradevole e complicato.
Devono facilitare le procedure che gli studenti sono tenuti a seguire per iscriversi agli esami, immatricolarsi,
pagare le tasse, presentare le domande Erasmus, cambiare i piani di studio, ecc. Chiesi di istituire un Prorettorato
del genere anni fa al Rettore, ma a suo parere i tempi non erano ancora maturi. Ritenendo che adesso lo siano, se
sarò eletto Rettore istituirò immediatamente un Prorettorato per l’Università Digitale, e lo metterò in condizione di
lavorare con efficacia sulle nostre piattaforme: migliorandole dove possibile, superandole dove necessario.

3. NEGLI ULTIMI MESI ABBIAMO ASSISTITO A DIVERSI TRASFERIMENTI DA PARTE DEL PTA. A COSA
ATTRIBUISCI QUESTO FATTO? COME PENSI SI POSSA RIMEDIARE NEL BREVE E MEDIO PERIODO?

RISPOSTA BREVE
Le grandi fuoriuscite degli ultimi anni sono dovute solo in parte a cause naturali o imprevedibili. Per il resto sono
dovute al deterioramento delle condizioni di lavoro del nostro personale, e al mancato ascolto delle loro istanze.
Intendo cominciare immediatamente a lavorare con il nostro personale, insieme al Prorettore per lo Sviluppo
del Capitale Umano, per riqualificare le loro condizioni di lavoro e per ricreare quel senso di comunità e di
appartenenza che è andato smarrito.

RISPOSTA ESTESA
È difficile parlare “collettivamente” di un agglomerato di scelte individuali. È vero che ci sono state molte
più fuoriuscite nel 2017 e 2018 rispetto agli anni precedenti. In parte questo è dovuto a cause naturali (molto
del nostro personale era sui 40 anni quando arrivò alla Bicocca vent’anni fa, e ora arrivano in blocco molti
pensionamenti), o a cause imprevedibili (trasferimenti familiari, ecc.). Ma se mi è consentito semplificare e
generalizzare, ritengo plausibile che ci siano state tre cause in azione, oltre a quelle naturali, che congiuntamente
hanno contribuito all’aumento del deflusso: 1) i nostri salari non sono più competitivi perfino rispetto ad altre
amministrazioni pubbliche che sono oggi in grado di offrire salari e integrazioni più alte ai loro dipendenti; 2)
le competenze del personale non sono state adeguatamente valorizzate, né sviluppate con piani di formazione
mirati, e come risultato molti colleghi del personale TA si ritrovano con mansioni disallineate alle loro competenze,
lavori poco gratificanti, o lavori per i quali non sono adeguatamente formati, riducendo significativamente il
loro benessere e il loro senso di appartenenza all’Ateneo; 3) il recente cambio di dirigenza apicale ha indotto
un’ulteriore riduzione nell’ascolto delle loro istanze; molti tra il personale TA sentono che ai loro problemi
e aspirazioni non è dato il giusto grado di considerazione. Per rallentare questo deflusso occorre tornare a
valorizzare il personale TA: a) trovando tutti i modi possibili (e ce ne sono diversi) per sostenere il loro reddito
deteriorato; b) concordando piani di formazione mirati e correttivi alla riorganizzazione, che riportino il personale
TA a lavorare “in squadra” con il personale docente, rinsaldando così quel “senso di comunità” che è andato in
gran parte smarrito dopo la riorganizzazione del 2015; c) prestando maggiore ascolto ai problemi e alle aspirazioni
del personale, e trovando insieme a loro i modi più utili per incontrare le loro richieste, quando giuste. Mi occuperò
personalmente di questi aspetti, ma avrò bisogno dell’aiuto full time di un Prorettore per lo Sviluppo del Capitale
Umano.

4. LA RICETTA PER RIMEDIARE AI DISASTRI DELLA RIORGANIZZAZIONE È MOLTO SEMPLICE: RIPORTARE IL
PERSONALE NEI DIPARTIMENTI COME PRIMA. PERCHÉ NON SI PUÒ FARE?

RISPOSTA BREVE
Si può, e si deve, fare. Nei Dipartimenti devono essere fisicamente presenti alcuni colleghi del personale TA. La
centralizzazione deve esistere, è una necessità post-riforma, ma è una centralizzazione delle procedure, non
necessariamente del personale. Per far sì che questo si realizzi occorre fare azione di empowerment sul personale,
per consentire la realizzazione di ciò che era inizialmente previsto ma non si è realizzato: cioè la dipendenza
funzionale del personale TA dal personale Docente con incarichi gestionali (Direttori di Dipartimento e Presidenti
di CCD).

                                                           2
RISPOSTA ESTESA
Se per “riportare il personale nei dipartimenti” si intende “far sì che ci sia personale TA, o altro personale
d’appoggio, fisicamente presente nei dipartimenti per assistere il lavoro del personale docente”, chi ha detto
che non si può fare? Si deve fare. Dipende da come lo si fa. Distinguiamo la riorganizzazione in due parti. La
“parte virtuosa” della riorganizzazione è: in tutte le aree e in tutti i dipartimenti bisogna seguire le stesse
procedure, trasparenti e rendicontabili, per fare le medesime cose. Nell’organizzazione precedente, insostenibile
post-riforma, anche solo su cose come la gestione dell’offerta formativa, l’assegnazione dei compiti didattici,
le modalità di acquisto, la gestione dei bilanci dei Dipartimenti, ognuno seguiva le sue regole e i suoi stili;
era impossibile monitorare l’andamento dell’Ateneo, impossibile ottimizzare l’uso dei suoi spazi e delle sue
risorse. Dato che sono gli aspetti su cui si giocano le nostre premialità e il nostro accreditamento, se avessimo
mantenuto quella disintegrazione procedurale ci saremmo schiantati, invece di crescere. La parte meno virtuosa
della riorganizzazione invece è il concetto che per centralizzare e standardizzare le procedure occorra togliere,
fisicamente, il personale dai dipartimenti. Per uscire dall’impasse va molto rafforzato il concetto di dipendenza
funzionale: era scritto nella riorganizzazione, ma mal digerito da tutti (docenti e amministrativi), ben poco
applicato, ed in modo molto approssimativo. Il personale TA e altro personale di supporto (penso, nella prima
fase, a servizi esterni) deve essere presente nei dipartimenti, per assistere il personale docente; e il personale TA
deve rispondere funzionalmente a Direttori e Presidenti di CCD, che danno loro gli obiettivi da raggiungere e ne
monitorano il raggiungimento. Lo si può fare mantenendo la dipendenza amministrativa e organizzativa sulle aree
amministrative, purché sia chiaro che il personale TA deve lavorare “in squadra” con i Direttori e i Presidenti di
CCD, dipendendo funzionalmente da loro, e non porsi “in contrapposizione”.

5. NON È VERO CHE ABBIAMO POCO PERSONALE, È UNA FAKE NEWS MESSA IN GIRO DA CHERUBINI. IL
PERSONALE C’È MA È DISTRIBUITO MALE. BASTA UNA SEMPLICE RIDISTRIBUZIONE.

RISPOSTA BREVE
Da un confronto diretto con altre università italiane ed europee emerge chiaramente che la nostra dotazione di
personale tecnico-amministrativo è sottodimensionata. Il D.M. 585 dell’ 8/10/2018 recita: “criterio del costo del
personale tecnico amministrativo: si attribuisce una dotazione standard pari ad una unità di personale per ogni
docente”. Oggi – 7 aprile 2019 – siamo 953 docenti, e 710 TA (790 se si contano anche i tempi determinati, che
tuttavia non sono conteggiati dal DM 585). A me sembra proprio che manchino un bel po’ di TA.

RISPOSTA ESTESA
Questa tabella è tratta dall’ultimo “rapporto biennale sullo stato del sistema universitario e della ricerca 2018”:

Nel nordovest il rapporto TA/docenti è 1,01, nel nordest è 1,09. Questi grafici sono tratti dallo stesso rapporto:

                                                           3
Ovunque in Italia tranne che al sud i rapporti PTA/docenti salgono, ed è uno sforzo necessario, dato che, come
si vede dal grafico sulla destra, il numero di PTA ogni 100 studenti regolari in realtà cala (grazie allo sforzo che
facciamo per aumentare gli studenti regolari). Non riporto altri grafici, ma pur con tutte le differenze tra paese e
paese, gli andamenti medi in Europa sono gli stessi. Se già con un rapporto PTA/docenti di 0,75 abbiamo raggiunto
risultati così, se mai raggiungeremo un rapporto “sensato”, non dico 1 ma almeno superiore a 0,9, non ho proprio
idea di dove riusciremo ad arrivare.

6. I NOSTRI TUTOR, ESERCITATORI E DOCENTI ESTERNI SONO PAGATI MENO DI QUANTO VIENE FATTO NELLE
ALTRE UNIVERSITÀ MILANESI. QUESTO FATTO È FONTE DI MOLTE DIFFICOLTÀ NEL TROVARE PERSONALE
QUALIFICATO. PERCHÉ SUCCEDE QUESTO? CHI LO HA DECISO? È POSSIBILE TORNARE SU QUESTA DECISIONE
IN TEMPI BREVI?

RISPOSTA BREVE
Purtroppo è vero. Dato che i nostri tutor ed esercitatori sono pagati meno che altrove, vediamo crescenti difficoltà
nell’organizzare una didattica di qualità per i nostri corsi di studio. Ed è difficile superare gli ostacoli burocratici per
riconoscere a docenti esterni un compenso adeguato. Non è semplice spiegare il perché si è giunti a queste tariffe
(cfr. sotto), ma certamente ora che il bilancio è molto solido si può avviare un tavolo di lavoro per incrementare le
retribuzioni di tutor, esercitatori e contrattisti.

RISPOSTA ESTESA
Sì, è possibile tornare su quella decisione in tempi brevi, ma per rispetto verso gli elettori desidero spiegare il
motivo per cui le attuali tariffe furono deliberate dagli organi di governo. Prendiamo ad esempio un corso di laurea
triennale (identico discorso, in proporzione, per gli altri corsi di studi). Nel modello standard MIUR della didattica
universitaria sono conteggiate 900 ore interne di docenza (circa 15 insegnamenti), 180 delle quali da ricercatori,
oltre a 270 ore di didattica “a contratto” (3-4 insegnamenti), finanziata a 100 €/h; quindi 27.000 € totali per questa
didattica. Questo è tutto, non ci sono altri finanziamenti ministeriali. Al MIUR non hanno considerato che le ore
dei ricercatori a tempo indeterminato devono essere retribuite e quindi i 27.000 € devono coprire 270+180 (ore
dei ricercatori) = 450 ore, facendo scendere la retribuzione a 27.000/450 = 60 €/h. Poi, non hanno considerato che
la nostra offerta formativa include non solo lezioni, ma anche esercitazioni e laboratori, senza i quali i nostri corsi
sarebbero di bassissima qualità. Per farlo raddoppiamo quelle 450 ore per conteggiare esercitazioni e laboratori
(ed è una sottostima di tutti i laboratori, esercitazioni, e tutorati che offriamo ai nostri studenti). La retribuzione
finanziata dal MIUR scende a 30€/h, ovvero 40 €/h alle lezioni, e 20 €/h alle esercitazioni. In sintesi le nostre
tariffe attuali (45€/h e 25€/h) di fatto sono superiori al finanziamento ministeriale per la didattica retribuita. Per
pagare di più, dobbiamo essere sicuri di avere un bilancio molto solido, poiché pagare di più è totalmente a
nostro carico, senza alcuna forma di copertura finanziaria nel modello di finanziamento del Sistema Universitario
Nazionale. Grazie al grande impegno di razionalizzazione della didattica che abbiamo concluso in questi anni, da
quest’anno abbiamo un bilancio davvero molto solido. Nel 2018 è stata la prima volta che abbiamo raggiunto il
186% di rigenerazione dei punti organico usciti nel 2017. Tanto per spiegarmi senza formule né tabelle, se nel 2017
avessimo speso, per la didattica a contratto, 1.500.000 in più, invece di ricevere 40,53 punti organico (su 21,8 usciti)
ne avremmo ricevuti circa 39. Un sacrificio che il CdA può accettare, ora che abbiamo raggiunto quei livelli. Più
difficile sarebbe stato accettarlo in passato: nel 2017 ricevemmo complessivamente 31 p.o., e rinunciare a 1,5 di
loro per pagare tariffe più alte ai contrattisti non era accettabile. E ancor meno negli anni passati. Quindi penso che
solo ora sia il momento giusto per aprire un tavolo di lavoro con tutte le parti interessate, compreso il Prorettorato
alla Didattica e il Prorettorato al Bilancio, e discutere un aumento significativo sia per gli esercitatori, sia per i
docenti esterni.

7. NON C’È SCRITTO DA NESSUNA PARTE CHE I DOCENTI DEVONO FARE ALMENO 120 ORE DI DIDATTICA
FRONTALE. COME AL SOLITO IL REGOLAMENTO PER L’ASSEGNAZIONE DEI CARICHI DIDATTICI DI BICOCCA È
INUTILMENTE VESSATORIO E CI OBBLIGA A INSEGNARE MOLTO DI PIÙ CHE NEGLI ALTRI ATENEI

RISPOSTA BREVE
È scritto nel comma 16 dell’art 1 della legge 230 del 2005, cosiddetta “riforma Moratti”. Anzi, non è scritto
“almeno 120”, come hai detto nella domanda; è proprio scritto “120”, cioè “esattamente 120”: quasi impossibile
da applicare. Nello stesso comma è però scritto che le 120 ore sono da intendersi in modo “flessibile”. I decreti
attuativi per implementare quella flessibilità non sono mai usciti. Quindi, le università hanno applicato le “120
ore” con una certa ragionevole flessibilità, lettura condivisa dai diversi decreti e linee guida successivi che hanno
                                                             4
ripreso il tema delle “120 ore”. Per quanto riguarda l’ultima parte della domanda: tutte le università di cui conosco
i regolamenti compiti didattici – e sono diverse, visto che la materia è stata dibattuta in CRUI – applicano le “120
ore”, e molte di loro in modo molto più categorico di noi. Tuttavia, ora che la nostra didattica è perfettamente
sostenibile, sono il primo avvocato di una maggiore flessibilità nella politica dei compiti didattici, per riconoscere
maggiormente le diverse attività didattiche dei colleghi medici con incarichi ospedalieri, riconoscere alcune
ore svolte nel dottorato, e offrire sconti didattici ai colleghi impegnati a gestire importanti progetti di ricerca
internazionali.

RISPOSTA ESTESA
Il comma 16 dell’art. 1 della legge 230 del 2005 non è mai stato abrogato né esplicitamente né implicitamente, e
dice:“16. Resta fermo, secondo l’attuale struttura retributiva, il trattamento economico dei professori universitari
articolato secondo il regime prescelto a tempo pieno ovvero a tempo definito. Tale trattamento è correlato
all’espletamento delle attività scientifiche e all’impegno per le altre attività, fissato per il rapporto a tempo pieno
in non meno di 350 ore annue di didattica, di cui 120 di didattica frontale, e per il rapporto a tempo definito in
non meno di 250 ore annue di didattica, di cui 80 di didattica frontale. Le ore di didattica frontale possono variare
sulla base dell’organizzazione didattica e della specificità e della diversità dei settori scientifico-disciplinari e del
rapporto docenti-studenti, sulla base di parametri definiti con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università
e della ricerca. Ai professori a tempo pieno è attribuita una eventuale retribuzione aggiuntiva nei limiti delle
disponibilità di bilancio, in relazione agli impegni ulteriori di attività di ricerca, didattica e gestionale, oggetto di
specifico incarico, nonché in relazione ai risultati conseguiti, secondo i criteri e le modalità definiti con decreto
del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentiti il Ministro dell’economia e delle finanze e il
Ministro per la funzione pubblica. Per il personale medico universitario, in caso di svolgimento delle attività
assistenziali per conto del Servizio sanitario nazionale, resta fermo lo speciale trattamento aggiuntivo previsto
dalle vigenti disposizioni.” I decreti per attuare la flessibilità del punto che ho indicato in corsivo non sono però
mai stati emanati. Sono però stati emanati:DM 47 2013, che calcolava il massimo di ore di didattica “assistita”
erogabili dall’ateneo (DID) conteggiando 120 ore per ogni professore a tempo pieno, 90 per ogni professore a
tempo definito, 60 per ogni ricercatore; poi abrogato dal DM 987 2016, ma sostituito dall’indicatore “massimo di
ore didattiche erogabili” pubblicate annualmente dal MIUR, e calcolate nello stesso identico modo.DI 585 2018 che
riformula il finanziamento per costi standard dello studente in corso, nulla cambiando rispetto al precedente DI
893 2014 per quanto riguarda le ore finanziate di didattica assistita per ogni classe di studenti pari alla numerosità
di riferimento del corso di studi: 120 per ogni prof a tempo pieno, 90 per ogni prof a tempo definito, 60 per
ogni ricercatore. Ultimi tre appunti: in molti altri paesi europei le ore in aula indicate dalle diverse normative
per i professori sono più di 120 all’anno. Per esempio, in Germania sono 202, in Francia 128, in Spagna 240. Le
medie italiane - medicina è esclusa dal calcolo - sono 115 per gli ordinari, e 119 per gli associati (fonte: ANVUR).
La seconda cosa: possiamo benissimo insegnare meno di 120 ore a testa senza violare la legge: su questo sono
d’accordo (in parte già lo facciamo). Ma le ore che non insegniamo noi strutturati, dobbiamo farle fare a qualche
contrattista, perché, bene o male, dobbiamo continuare a erogare gli insegnamenti che servono ai nostri studenti.
I contrattisti costano (e costeranno di più; cfr. domanda precedente), e il loro costo è contabilizzato sui “costi per
il personale”: cioè, contribuisce ad abbassare il tasso di rigenerazione dei punti organico dell’ateneo. Se l’ateneo
vorrà fare insegnare meno i suoi professori strutturati, così rinunciando ad alcune risorse di reclutamento, sarà
libero di farlo: purché sia chiaro il rapporto costi/benefici. Infine: ora che la nostra didattica è perfettamente
sostenibile, sono il primo avvocato di una maggiore flessibilità nella politica dei compiti didattici. Bisogna
riconoscere la reale specificità della didattica dei colleghi medici con incarichi ospedalieri, bisogna riconoscere
sconti didattici ai professori che devono gestire importanti progetti di ricerca internazionali, e bisogna discutere se
e in quale misura riconoscere la didattica erogata nell’ambito dei corsi di dottorato.

8. C’È QUALCOSA NELLA GOVERNANCE PASSATA CHE NON AVRESTI FATTO SE FOSSI STATO TU IL RETTORE?

Questa è una domanda impegnativa; ho la massima ammirazione e gratitudine per Cristina Messa e per il lavoro
enorme che ha fatto per far crescere il nostro Ateneo. L’unico modo per non fare alcun errore è non fare niente: chi
fa molto, qualcosa sbaglia per forza, ma è ingiusto puntare il dito sugli errori senza soppesarli alla luce delle tante
azioni corrette e di successo che sono state fatte grazie al suo e nostro governo. Il bilancio è nettamente positivo,
e i risultati lo dimostrano, come ho scritto nel “Manifesto per la Bicocca di Domani”. Se proprio devo dire qualcosa
che non ho condiviso e avrei fatto diversamente, è l’eccessivo “campo libero” lasciato alla Direzione Generale nella
gestione del personale tecnico e amministrativo (implementazione della riorganizzazione compresa), e la difficoltà
di comprendere il modo con cui sono state scelte alcune persone per ricoprire alcuni ruoli di responsabilità.

                                                            5
9. L’INTERNAZIONALIZZAZIONE È UN PUNTO DEBOLE DEL NOSTRO ATENEO, COME HA RICONOSCIUTO ANCHE
LA CEV. IN PARTICOLARE È MANCATA UNA CHIARA POLITICA DI INDIRIZZO DELL’ATENEO, TUTTI HANNO AGITO
IN AUTONOMIA IN MODO SPESSO CONTRADDITTORIO. CONDIVIDI QUESTA ANALISI? QUALE SARÀ LA POLITICA
DELL’ATENEO NEL CASO TU FOSSI RIELETTO?

RISPOSTA BREVE
La condivido in parte. Abbiamo concentrato i nostri sforzi sugli studenti outgoing, con una chiara politica di
Ateneo: semplificando le procedure dei bandi di mobilità, automatizzando il riconoscimento dei CFU acquisiti
all’estero, e aumentando le borse di mobilità rispetto a quelle finanziate da Erasmus+, abbiamo quasi triplicato
i CFU conseguiti all’estero dai nostri studenti, rispetto al 2013/14. Sugli incoming la strada da percorrere è più
lunga, ma partiamo da buoni esempi. Quattro anni fa avviammo l’ambizioso progetto di avviare 5 corsi di laurea
magistrale (uno a ciclo unico) in inglese; sono stati tutti approvati dal MIUR, e accolti con entusiasmo dagli
studenti italiani e internazionali. Ci siamo impegnati, e ci siamo riusciti: questo sarà lo spirito con cui affronterò
l’internazionalizzazione.

RISPOSTA ESTESA
Dato che richiami l’appunto della CEV, immagino tu ti riferisca a uno solo degli aspetti dell’internazionalizzazione:
la mobilità studentesca. Su quel punto purtroppo la CEV si è concentrata sugli studenti incoming; mentre i nostri
sforzi “centralizzati” si sono concentrati soprattutto sugli studenti outgoing, dato che sono quelli che pesano
di più dal punto di vista dei finanziamenti ministeriali. Sugli outgoing abbiamo semplificato al massimo del
consentito dalla normativa europea vigente le procedure di mobilità; abbiamo automatizzato il riconoscimento
dei CFU; abbiamo potenziato la formazione linguistica in uscita; abbiamo incentivato la mobilità con l’erogazione
di certificazioni digitali. Il risultato è stato oltre le più rosee aspettative, con i CFU acquisiti all’estero saliti dai 7000
del 13/14 ai 17.000 del 17/18. Anche per attrarre studenti incoming si è fatto molto: abbiamo aperto quattro corsi
di laurea magistrale, ed uno a ciclo unico, in lingua inglese; abbiamo cercato di attrarli con una forte scontistica
sulle tasse (quasi un controsenso, come si vedrà dopo: ma se un corso in inglese non ha almeno il 10% di studenti
stranieri, non è considerato pienamente internazionale dal MIUR, e al momento soddisfiamo difficilmente
quella pur bassa soglia); abbiamo recentemente pubblicato il catalogo degli insegnamenti in inglese; abbiamo
aumentato la nostra presenza presso le fiere internazionali della didattica universitaria. Ma abbiamo ancora forti
criticità, tanto nella pubblicizzazione della nostra offerta a livello internazionale, tanto nei servizi di accoglienza e
nella capacità delle nostre segreterie didattiche e del nostro ufficio stranieri di comunicare in lingua inglese con gli
studenti stranieri. Nel mio programma ci sono molte misure di consolidamento e potenziamento per la mobilità
studentesca tanto incoming quanto outgoing, oltre a misure di internazionalizzazione per la ricerca. Ma sul
particolare aspetto degli studenti incoming, varrebbe la pena di fare una riflessione (anche a livello Ministeriale): la
richiesta di formazione universitaria nel mondo crescerà dai 200 milioni di studenti attuali a 260 milioni nel 2025:
circa 120.000 studenti in più al mese, provenienti soprattutto dai paesi emergenti, con economie in forte crescita
e grandi capacità di spesa. Non possiamo scommettere, né come sistema Italia né come Bicocca, sul cercare
di riceverne “fisicamente” molti qui: non ne abbiamo la capacità ricettiva, e siamo fortemente limitati da una
normativa che prevede che lo studente extraeuropeo che pone la sua residenza in Italia per motivi di studio debba
essere tassato con le stesse tariffe “pubbliche” applicate agli europei e agli italiani. Lo studente extraeuropeo che
viene da noi paga pochissimo all’anno per un corso di studi per il quale sarebbe più che disposto a pagare alte cifre
nel suo paese. A mio parere, la politica vincente per intercettare la forte richiesta di formazione proveniente dai
paesi emergenti è quella di esportare la nostra formazione in quei paesi, applicando a quegli studenti le tariffe di
mercato, e non quelle “calmierate” tipiche di un servizio pubblico erogato ai propri cittadini. La stessa politica che,
in Europa, UK ha già adottato su vasta scala.

10. COSA PENSI DEL TRASFERIMENTO DI MILANO STATALE A CITTÀ STUDI? COME PENSI CHE BICOCCA
DOVREBBE COMPORTARSI IN PROPOSITO? È VERO CHE L’ATENEO HA “PRENOTATO” LÌ UNO SPAZIO PER I
MASTER?

RISPOSTA BREVE
Il trasferimento dell’area scientifica di Statale, che avverrà probabilmente nel 2024, comporterà un possibile
aumento dei nostri studenti di al massimo 1500 unità di area scientifica. Equivale a circa 50 docenti, 50 PTA in
più, e 3000 mq in più tra aule e laboratori. Visti i nostri tassi di crescita sul personale e vista l’apertura di U10 nel
2023, siamo tranquilli. Per quanto riguarda lo spazio per il polo alta formazione: gli edifici che Statale lascia sono
poco moderni, con costi di ristrutturazione molto alti; valuterà il nostro CdA se scegliere proprio città studi, o altre
opzioni.
                                                               6
RISPOSTA ESTESA
Nel 2024, se tutto va secondo i loro piani, si sposterà l’area scientifica di Statale. L’area scientifica di Statale riceve
cica 5500 iscrizioni al primo anno ogni anno, di cui circa 3000 in classi di corso di studio sovrapposte alle nostre.
Togli il 18% degli iscritti a questi CdS, che vengono da fuori regione e che quindi probabilmente continueranno
a scegliere Statale. Fa 2460 “lombardi”. Gli studenti dell’area nordovest della provincia di Milano, della Brianza
occidentale, di Varese e di Como non avranno nessun motivo di spostarsi: coprono circa il 30% dei loro attuali
iscritti; e siamo a 1700 circa che potrebbero avere qualche disagio dal trasferimento di Statale. Io non credo
proprio che tutti loro decideranno di venire da noi, anche visto che Comune e Regione potenzieranno i trasporti
verso area expo. Ma se anche volessimo essere iper-prudenti, diciamo che i nostri iscritti alle lauree scientifiche
aumenteranno al massimo di 1500 unità. Bastano 50 docenti per coprire 1500 studenti. Da qui al 2024, all’attuale
tasso di crescita, le nostre aree scientifiche avranno reclutato almeno 100 docenti in più. Per la copertura dei
servizi tecnici e amministrativi, saranno anni in cui avremo a disposizione il personale di supporto in tirocinio
dal corso professionalizzante per PTA, oltre ad aver già reclutato nuovi PTA strutturati. Per gli spazi: nel 2023, un
anno prima del trasferimento di statale, sarà completato U10, capace di accogliere 5000 studenti. Siamo quindi
più che equipaggiati per assorbire eventuali spostamenti di utenza dalla Statale a noi. Per la seconda parte della
domanda: gli spazi di città studi sono fatiscenti. Abbiamo stimato il costo richiesto dalla loro ristrutturazione: da
2000 a 3000 €/mq. Per ora nessuna istituzione vuole sobbarcarsi quel costo, che al momento, per il nostro solo
bilancio, appare eccessivo. Quindi città studi è solo una tra le possibili opzioni che dovrà valutare il CdA per il polo
alta formazione; esistono altre opzioni.

11. SEI FAVOREVOLE AD UN ALLARGAMENTO DEL NUMERO PROGRAMMATO DEGLI STUDENTI?

Sì, ma lasciando costante il livello di qualità della nostra formazione. Abbiamo calibrato i nostri numeri
programmati sul numero di docenti disponibili, e sulla disponibilità di aule e laboratori. Ora che i docenti
aumentano, e gli spazi gradualmente aumenteranno, penso che dovremo aumentare i numeri programmati:
non tanto per aumentare il bilancio del nostro Ateneo, ma per aumentare il servizio che offriamo al territorio che
ci ospita. Ovviamente agiremo gradualmente, sempre in comune accordo con i corsi di studio interessati, e nel
rispetto delle specificità di ciascuno di essi.

12. PARE CHE IN ATENEO NESSUNO SAPPIA QUANDO VERRANNO COSTRUITI I NUOVI EDIFICI IN PARTICOLARE
L’U10. NON CREDI CHE LE DECISIONI SULL’EDILIZIA SIANO OPACHE E CHE CI VORREBBE MOLTA PIÙ
TRASPARENZA?

La domanda non mi sorprende. Le vicende edilizie sono certamente complesse perché è complesso il mondo
dell’edilizia italiano, tra fallimenti di aziende importanti e continui ricorsi sulle gare. Mi fa piacere quindi poter dare
una risposta positiva: il contratto per U10 è stato definitivamente firmato a fine Marzo; l’inizio dei lavori è previsto
per giugno; il progetto prevede la consegna definitiva dell’edificio nel 2023. Anche gli altri cantieri sono a buon
punto. Il primo lotto di Bicocca Stadium è in consegna ora, il secondo lotto è appena stato firmato con opzione sul
terzo lotto – su cui conto molto per aprire “spazi campus”, anche se temo che non li vedremo prima della fine del
mandato del prossimo Rettore. U24b sarà completato al più tardi nel 2022. Le nuove aule studio e biblioteche di
u16 sono in consegna. La residenza di Cinisello è in corso di completamento. La progettazione dello stabulario di
U1 è stata appena assegnata.

13. QUALI SONO LE AREE DELL’ATENEO DA RINFORZARE E QUELLE SOVRADIMENSIONATE?
La politica della distribuzione trasparente delle risorse, basata sui risultati di ricerca e didattici, ha segnato il suc-
cesso della passata amministrazione ed è uno dei pilastri del mio programma. Non intendo cambiarla: continuere-
mo – come si è fatto in passato – a discutere anno per anno con il CdA quali parametri assegnare ai diversi indica-
tori di risultato, e distribuire le risorse di conseguenza. Non bisogna dimenticare tuttavia che il CdA non è “cieco
schiavo di algoritmi”: laddove dovesse ravvedere la necessità di un intervento straordinario di natura strategica
per supportare la crescita di aree critiche per la nostra competitività, potrà attribuire quelle risorse. A mio modo di
vedere, per esempio, servirebbe che il CdA discuta un supporto strategico per potenziare l’offerta didattica nell’a-
rea informatico-statistica-data science, dove i nostri laureati sono una piccola frazione rispetto a quelli che può
assorbire il mercato.

                                                             7
14. RITIENE IMPORTANTE CHE I DOCENTI CERCHINO DI MIGLIORARE LA PROPRIA DIDATTICA? COSA PENSA DI
FARE PER INCENTIVARE I DOCENTI A FARLO? SIA CHE SIANO ALL’INIZIO, SIA CHE SIANO UN PO’ DATATI?

RISPOSTA BREVE
Lo ritengo importantissimo: non importa l’età o l’esperienza del docente, tutti possiamo trarre vantaggio da
occasioni di confronto reciproco e di aggiornamento sugli stili didattici. Ne sono diventato sempre più consapevole
grazie al confronto con le altre università europee in EUA. Ho notato che tutta Europa affronta gli stessi problemi:
disallineamento tra le nostre competenze didattiche e i bisogni di apprendimento dei nostri studenti; mutate
richieste della società e del mercato del lavoro; scarso riconoscimento attribuito alla didattica nelle progressioni
di carriera dei docenti universitari. Per questo in EUA abbiamo sviluppato dieci principi per il miglioramento
dell’apprendimento e dell’insegnamento in Europa, che spero supportino, senza obblighi né vincoli, il
diffondersi di buone pratiche nella maggior parte delle università. Nella nostra abbiamo già iniziato: le nuove
aule multimediali sono un buon esempio di gestione virtuosa dell’Università, perché consentono di coniugare
tradizione e innovazione, in modo che il docente possa scegliere lo strumento didattico che ritiene più idoneo;
i workshop “didattica per la grande aule” e “lezioni senza barriere” sono esempi di iniziative di aggiornamento
per docenti di alta qualità. Ora dobbiamo potenziare, espandere, e far crescere – possibilmente in rete con altre
università e appoggiandoci a un learning & teaching lab – quanto fatto finora.

RISPOSTA ESTESA
Questa domanda tocca uno dei temi che mi stanno più a cuore. Non solo come prorettore didattico e componente
delle commissione didattica della CRUI, ma anche grazie al confronto diretto con i problemi didattici di altre
università europee, ho capito che l’enfasi su una didattica sempre più “centrata sullo studente”, sottolineata dalle
ESG2015 e ripresa dai 10 principi europei per il miglioramento dell’apprendimento e dell’insegnamento sviluppati
in EUA, non deve essere un vuoto “slogan politico”. La società e il mercato del lavoro sono profondamente
cambiati, e chiedono con insistenza percorsi di formazione flessibili che diano altrettanta importanza alle
competenze disciplinari e a quelle trasversali, e che prevedano maggiori periodi di alternanza università-impresa
(principi 1, 2, 5). Contemporaneamente sono cambiati gli studenti: quelli “tradizionali” sono ormai “nativi
digitali”, cresciuti con la banda larga e gli smartphones, abituati a ricevere la maggior parte delle informazioni
da piattaforme multimediali e interattive; quelli “atipici” presentano una forte richiesta di formazione durante
l’intero arco della loro vita produttiva, e sono raramente in grado di frequentare le lezioni tradizionali (principio
8). A queste mutate esigenze dobbiamo dare una risposta noi docenti “immigrati digitali”, formati in gran parte
negli ultimi decenni del Novecento in un modello di università precedente al Processo di Bologna, e che abbiamo
appreso a insegnare soprattutto modellandoci sui prof che ci hanno laureato (di una generazione ancora più
distanti dai nostri studenti). I paesi europei offrono diverse risposte a queste esigenze di aggiornamento: alcuni
prevedono percorsi di formazione obbligatori e certificazioni abilitanti all’insegnamento (un po’ come da noi c’è
l’“abilitazione scientifica nazionale”, che però è limitata alla ricerca). In moltissimi – quasi tutti, Italia compresa – è
un problema reale il fatto che le competenze didattiche non contribuiscono significativamente alle progressioni
di carriera: e quindi i docenti più giovani non sono motivati a investire tempo sulla loro didattica, ma solo sulla
loro produzione scientifica. Un problema da risolvere a livello nazionale e sovranazionale (principi 7, 9, 10).
Personalmente, sono molto a favore di un approccio aperto e “bottom up”:

1. L’Ateneo deve offrire a ogni docente diverse occasioni di formazione e aggiornamento di ottimo livello
   qualitativo, possibilmente in rete con altre università per facilitare il confronto e l’identificazione di best
   practices (principio 5), appoggiate ad un “learning & teaching lab” finanziato dall’università;

2. In questi anni il Nucleo di Valutazione e il Presidio di Qualità - ramo Didattica hanno analizzato a fondo i
   nostri Corsi di Laurea e ora disponiamo di un quadro storico che praticamente nessun altro ateneo italiano
   possiede con il nostro dettaglio. Anche la recente visita CEV lo ha sottolineato. Questa banca dati sarà il punto
   di partenza per strutturare una collezione di “buone pratiche didattiche” sia in ambito gestionale, ma anche
   relativamente a singoli insegnamenti di particolare interesse. Tutto questo sarà messo a disposizione di
   coordinatori e docenti, per fornire esempi che possano ispirare i docenti verso nuove pratiche didattiche;

3. A ogni docente devono essere offerte piattaforme e strumenti tecnologici avanzati – e formazione per imparare
   a usarli – per potenziare digitalmente la sua didattica, se lo desidera;

4. L’università deve riconoscere, incentivare e certificare la partecipazione a queste occasioni di aggiornamento
   e l’uso appropriato di questi strumenti; e deve continuamente rivolgersi agli studenti, non solo per monitorare
   le loro opinioni sugli insegnamenti, ma per raccogliere le loro richieste, i loro bisogni, e i loro suggerimenti per
                                                             8
migliorare l’apprendimento;

5. Al tempo stesso, nessun docente deve essere “obbligato per legge o per regolamento” a seguire questi percorsi
   di aggiornamento, o a usare i nuovi strumenti didattici: impegnarsi per migliorare la propria didattica deve
   essere una scelta motivata intrinsecamente e da incentivi d’ateneo, non un obbligo.

Abbiamo già iniziato questa politica in Bicocca, con i progetti di Faculty Development e il progetto Aule
Tecnologiche. Ora bisogna potenziare queste attività, escogitare modi per incentivare i docenti ad
avvantaggiarsene, istituire e finanziare adeguatamente il learning & teaching lab.

15. I DIRETTORI DEI DIPARTIMENTI SPESSO SONO ALL’OSCURO DELLE DECISIONI PRESE DALLA
GOVERNANCE. NON CREDI CHE NEL SENATO DOVREBBERO STARCI TUTTI I DIRETTORI?

RISPOSTA BREVE
Esistono dei problemi, sia tecnici che di merito, che rendono questa proposta di difficile (non impossibile)
attuazione. Il problema di “merito” principale è che un Senato con tutti i Direttori darebbe un voto all’area medica,
e sei voti all’area scientifica, e questo probabilmente non sarebbe considerato rappresentativo delle “diverse aree
scientifico-disciplinari dell’ateneo” (come richiede la legge) né da una nostra Commissione Revisione Statuto,
né dal MIUR (che vaglia e approva ogni revisione di Statuto). Per i problemi tecnici rinvio alla risposta estesa. Ma
per rendere i Direttori più partecipi e prontamente informati, non è strettamente necessario modificare il Senato:
prima dell’inizio di ogni anno accademico, quando si calendarizzano Senati e CdA, calendarizzeremo anche
quattro incontri ufficiali con tutti i Direttori. Inoltre, su richiesta dei Dipartimenti, Rettore e Governance saranno
disponibili per incontri a piccoli gruppi e occasioni di Question Time.

RISPOSTA ESTESA
Per rendere i Direttori più partecipi e prontamente informati, non è strettamente necessario modificare il Senato:
prima dell’inizio di ogni anno accademico, quando si calendarizzano Senati e CdA (in estate), calendarizzeremo
anche quattro incontri ufficiali con tutti i Direttori. Inoltre, su richiesta dei Dipartimenti, Rettore e Governance
saranno disponibili per incontri a piccoli gruppi e occasioni di Question Time. Per quanto riguarda invece la
modifica del Senato per includervi tutti i Direttori esistono dei problemi, sia tecnici che di merito, che la rendono
di difficile attuazione (anche se non impossibile). La legge (lettera f c. 1 art. 2 L. 240 2010) dice: “costituzione del
senato accademico su base elettiva, in un numero di membri proporzionato alle dimensioni dell’ateneo e non
superiore a trentacinque unità, compresi il rettore e una rappresentanza elettiva degli studenti; composizione
per almeno due terzi con docenti di ruolo, almeno un terzo dei quali direttori di dipartimento, eletti in modo
da rispettare le diverse aree scientifico-disciplinari dell’ateneo”. Per il problema di merito: con tutti i Direttori
in Senato, avremmo un Senato con un voto all’area medica, e sei voti all’area scientifica. Non so se una
commissione di revisione dello statuto prima, e il MIUR dopo, ce lo approverebbero, perché non mi pare soddisfare
adeguatamente il requisito di “rispettare le diverse aree scientifico-disciplinari dell’ateneo”. Per i problemi
tecnici: ora abbiamo 18 senatori, 12 dei quali docenti (2 sono Ricercatori, 4 Direttori). Ricordo che la commissione
statuto, nel 2012, aveva fatto suo l’indirizzo di considerare quel “almeno due terzi” come “esattamente due
terzi” (compresa una rappresentanza di Ricercatori a tempo indeterminato), e quel “almeno un terzo” come
“esattamente un terzo”: in entrambi i casi per lasciare la rappresentanza più ampia possibile alle altre “anime”
dell’Ateneo (docenti non direttori, studenti, personale TA). Naturalmente 14 Direttori non potrebbero essere un
terzo dei rappresentanti docenti, perché avremmo automaticamente un Senato di 63 persone (42 docenti, due
terzi del totale), che è vietato. Non ho idea di quale indirizzo potrebbe prendere una nuova Commissione per
la revisione dello Statuto. Ma se volesse inserire tutti i Direttori nel Senato, dovrebbe giocoforza sacrificare la
rappresentanza dei Professori non Direttori. Per esempio, in via del tutto ipotetica: 14 Direttori, 2 Ricercatori, un
Rettore, sette tra Studenti e Personale TA = Senato di 24 persone. Se la commissione volesse inserire anche solo
un modicum di Professori non Direttori, i numeri diverrebbero difficilmente accettabili dal MIUR per un Ateneo
di medie dimensioni. Per esempio: 14 Direttori, 4 Professori associati o ordinari (uno per area), 2 Ricercatori, un
Rettore, nove tra Studenti e Personale TA = Senato di 30 persone. Ultimo problema tecnico: nell’ipotesi di fusione
di due Dipartimenti, o di costituzione di un nuovo Dipartimento, dovremmo rivedere lo Statuto (cambierebbe il
numero di componenti del Senato), e dato che ogni revisione dello statuto richiede circa un anno e mezzo, questo
scoraggerebbe inappropriatamente, e con forza, ogni ipotesi di cambiamento dell’attuale struttura dipartimentale.

                                                           9
16. PROF., NEGLI INTERVENTI A SUPPORTO DEL REDDITO DEL PERSONALE TA PREVEDE “AVANZAMENTI DI
CARRIERA DEL PERSONALE TECNICO-AMMINISTRATIVO INTERNO, RICORRENDO SIA ALLA POSSIBILITÀ DI
BANDIRE IL 20% DELLE POSIZIONI CHE SCATURISCONO DAL CALCOLO PER LE PROGRESSIONI VERTICALI,
CON CONCORSI RISERVATI AD INTERNI, SIA DI RISERVARE AD INTERNI IL 50% DELLE POSIZIONI BANDITE SU
CONCORSI APERTI AGLI ESTERNI”. FINALMENTE QUALCUNO CHE CONSIDERI DI AVVALERSI DI QUELLE DUE
QUOTE, CHE NEL NOSTRO ATENEO SEMBRANO DIMENTICATE: MA IL 20% COME VIENE CALCOLATO?

RISPOSTA BREVE
A rigor di logica, e per analogia con il modo con cui il MIUR conteggia le “quote” nel reclutamento del personale
docente, il 20% dovrebbe essere calcolato sui punti organico. Invece, una recente lettera del MIUR al CODAU dice di
conteggiarlo sulle teste previste nei fabbisogni del personale. Confermare questa interpretazione sarebbe un grave
errore, che ridurrebbe di molto la portata di quell’importante provvedimento della riforma Madia. I Sindacati si
sono già attivati per contestare quell’interpretazione, e se necessario supporteremo in CRUI le loro richieste.

RISPOSTA ESTESA
Il c. 15 art. 22 d.lgs 75 2017 (“riforma Madia”) prevede “Per il triennio 2018-2020, le pubbliche amministrazioni,
al fine di valorizzare le professionalità interne, possono attivare, nei limiti delle vigenti facoltà assunzionali,
procedure selettive per la progressione tra le aree riservate al personale di ruolo, fermo restando il possesso dei
titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno. Il numero di posti per tali procedure selettive riservate non può
superare il 20 per cento di quelli previsti nei piani dei fabbisogni come nuove assunzioni consentite per la relativa
area o categoria. In ogni caso, l’attivazione di dette procedure selettive riservate determina, in relazione al numero
di posti individuati, la corrispondente riduzione della percentuale di riserva di posti destinata al personale interno,
utilizzabile da ogni amministrazione ai fini delle progressioni tra le aree di cui all’articolo 52 del decreto legislativo
n. 165 del 2001” (nota: l’ultima frase si riferisce al 50% dei posti riservati a interni su concorsi aperti a esterni;
in pratica, il 20% banditi come interni si scalano da quel massimo di 50% riservati a interni su posizioni banditi
anche all’esterno). Logica vorrebbe che il 20% si calcoli sui punti organico: infatti, per analogia, sui reclutamenti
dei docenti abbiamo due limiti simili (20% riservati a esterni “puri”, e un massimo del 50% per avanzamenti
interni), ed entrambi vengono rendicontati dal MIUR sui punti organico, non sulle teste. Invece, purtroppo, su
domande del CODAU al MIUR in merito all’interpretazione della c.15 art. 22 della riforma Madia, il MIUR ha sentito
il Dipartimento della Funzione Pubblica… che gli ha comunicato che il 20% si applica sulle teste (lettera del 2
febbraio 2019 del MIUR al presidente del CODAU). Insomma, due pesi e due misure per il personale docente
(dove decide il MIUR) e per il PTA (dove decide la Funzione Pubblica). Non è un dettaglio di poco conto: a titolo di
esempio, ipotizziamo un’università che nel triennio 18-20 impegni 20 punti organico sul personale TA. Se il 20% si
conta sui punti, 4 punti potrebbero essere impiegati per avanzamenti verticali interni. Dato che un avanzamento
da C a D costa 0,05 punti, e da D a EP costa 0,1 punti, 4 punti vuol dire un bel po’ di avanzamenti (fino a 80 da C
a D, sempre a titolo di esempio). Se invece quei 20 punti sono impegnati per coprire un piano del personale di,
diciamo, 60 posizioni, e il 20% viene contato “sulle teste previste dal piano”… gli avanzamenti verticali interni
potrebbero essere solo 12, un’inezia. La nota del MIUR è solo un’interpretazione, e non è cogente; e per fortuna i
Sindacati si sono già attivati per contestare al Ministro Bussetti quell’interpretazione. Spero abbiano successo, e se
necessario supporteremo le loro richieste presso la CRUI.

17. NEL SUO INCONTRO CON I RICERCATORI DEL 15 APRILE SCORSO SI È PARLATO DEL NUOVO PIANO
STRAORDINARIO ASSOCIATI DEL MIUR. VORREI SAPERE: NEL CASO SARÀ LEI IL PROSSIMO RETTORE DELLA
NOSTRA UNIVERSITÀ, PENSA DI INTRODURRE ULTERIORI CRITERI NECESSARI (NON SOLO PREFERENZIALI)
OLTRE ALL’ASN PER ACCEDERE AD UNA DI QUESTE POSIZIONI, SIA MEDIANTE CHIAMATA CHE TRAMITE
CONCORSI APERTI? IN CASO AFFERMATIVO, QUALI POTREBBERO ESSERE TALI CRITERI? IN GENERALE, CIOÈ
ANCHE OLTRE IL PIANO STRAORDINARIO MIUR, PENSA DI INTRODURRE QUALCHE CRITERIO NECESSARIO
OLTRE ALL’ASN PER POTER PARTECIPARE AI CONCORSI DA PROFESSORE ASSOCIATO?

RISPOSTA BREVE
Sul piano straordinario, i criteri necessari per partecipare non possono essere più stringenti rispetto a quelli
proposti dal MIUR. Come criteri preferenziali, saranno i rappresentanti dei ricercatori a proporre cosa dovrebbe
essere valutato dalle commissioni: a mio parere personale, sarebbe auspicabile che le commissioni valutassero e
valorizzassero i precedenti impegni didattici e istituzionali dei ricercatori candidati, e non solo la loro produzione
scientifica. Discorso simmetrico anche per le posizioni da associato al di fuori del piano straordinario: per
partecipare a un concorso, deve poter bastare l’ASN; come criteri “preferenziali”, insisteremo con gli Organi di
Governo che accolgano quelli proposti dai rappresentanti dei ricercatori (auspicando che vi vengano valorizzati i
                                                            10
compiti didattici e istituzionali).

RISPOSTA ESTESA
Per il piano straordinario MIUR, riservato a 676 ricercatori a tempo indeterminato abilitati, con fino al 50% di
posizioni che possono essere riservate a personale interno (“art. 24”) e il rimanente aperte anche a ricercatori di
altre università, non si possono introdurre “criteri necessari” per partecipare ai bandi che siano più stringenti di
quelli previsti dal MIUR. Invece, per i criteri preferenziali da inserire nei bandi (sia interni sia esterni) in modo che le
commissioni li utilizzino come criteri di valutazione, proporrò agli Organi di Governo di approvare le proposte che
verranno dai rappresentanti dei ricercatori nel Senato e dal Delegato del Rettore per la Valorizzazione del Ruolo
dei Ricercatori (figura che istituirò nello staff di governo). Personalmente, preferirei che le commissioni valutassero
anche la precedente esperienza didattica dei candidati (i nostri ricercatori hanno coperto ottimamente la loro
parte di compiti didattici, tra l’altro con opinioni studenti medie più alte di quelle degli ordinari), e il loro impegno
istituzionale. Infatti, sia i compiti didattici sia quelli istituzionali richiedono tempo e impegno, e sottraggono
tempo e impegno alla produzione scientifica. Infine – ma mi auguro che questo varrà per tutti i concorsi – come
misura di pari opportunità vorrei che gli anni previsti del bando per il conteggio delle pubblicazioni siano estesi
di due per ogni figlio avuto in quel periodo; più ogni altra misura volta a garantire in modo concreto e diretto
le pari opportunità tra i candidati. Per la seconda parte della tua domanda: ho già chiesto alla CRUI, il 18 aprile
scorso, riguardo alla possibilità di estendere il piano straordinario con risorse interne. Per esempio: se il piano
straordinario MIUR ci assegnasse solo 20 posizioni riservate ad avanzamenti di RU a PA, vorrei che il nostro Ateneo
fosse libero di investire nostri punti organico, prorogando la possibilità di applicarvi l’art. 24 per posti riservati
ad interni, per espandere quelle posizioni. Sono ottimista, ma ancora su questo punto non ho avuto una risposta
definitiva. In ogni caso, per tutti i concorsi da associato – anche quelli esterni al piano straordinario – confermo gli
orientamenti prima indicati: i criteri necessari per partecipare dovranno richiedere solo l’ASN; i criteri preferenziali
da inserire nel bando dovranno essere proposti agli organi solo una volta concordati con i rappresentanti dei
ricercatori e con il Delegato per la Valorizzazione del Ruolo dei Ricercatori, e – a mio parere personale – dovrebbero
consentire alle commissioni di valorizzare l’esperienza didattica e l’impegno in ruoli istituzionali dei candidati.

18. PROF, NELLA “RISPOSTA ESTESA” ALLA DOMANDA 3 LEI SCRIVE “PER RALLENTARE QUESTO DEFLUSSO
OCCORRE TORNARE A VALORIZZARE IL PERSONALE TA: A) TROVANDO TUTTI I MODI POSSIBILI (E CE NE
SONO DIVERSI) PER SOSTENERE IL LORO REDDITO DETERIORATO; B) CONCORDANDO PIANI DI FORMAZIONE
MIRATI E CORRETTIVI ALLA RIORGANIZZAZIONE, CHE RIPORTINO IL PERSONALE TA A LAVORARE “IN
SQUADRA” CON IL PERSONALE DOCENTE, RINSALDANDO COSÌ QUEL “SENSO DI COMUNITÀ” CHE È ANDATO
IN GRAN PARTE SMARRITO DOPO LA RIORGANIZZAZIONE DEL 2015”. PERSONALMENTE RITENGO ABBIA
PERFETTAMENTE INQUADRATO IL PROBLEMA, MA MI CHIEDO ANCHE, COSA CI SIA DI NUOVO AD OGGI, QUALI
SIANO I NUOVI NEEDS SIA DEL PERSONALE DOCENTE CHE TA: SONO GLI STESSI ANTE 2015 O QUALCOSA È
VERAMENTE CAMBIATO? RIFACCIAMO TUTTO PER ARRIVARE A COME ERA PRIMA O ANDIAMO VERSO UN VERO
CAMBIAMENTO? E RIUSCIAMO, INSIEME, A SODDISFARE I NUOVI BISOGNI DEI NOSTRI UTENTI?

RISPOSTA BREVE
I needs del personale docente e del personale TA pre-riforma e quelli attuali sono molto differenti. C’è un
concetto chiave che permette di coglierli tutti: “autonomia responsabile delle Università”. Richiede un continuo
monitoraggio strategico di cosa si fa e dei risultati ottenuti. I docenti non sono esperti in questo, ed è uno spreco
di risorse addossare loro gran parte di questo onere. Ogni singola ora che non usano per didattica o ricerca
o terza missione è una perdita di efficienza per l’intero sistema. Il personale TA è già esperto di monitoraggi,
rendicontazioni, e digitalizzazioni delle procedure: e lo sarà sempre di più. Il riavvicinare queste due parti, far
comprendere a ciascuna i loro aspetti complementari, potenziare la loro cooperazione, consentirà di soddisfare i
bisogni dei nostri utenti ancora meglio di quanto facciamo ora, rinsalderà la stima reciproca, ricostruirà il senso di
comunità.

RISPOSTA ESTESA
Sfrutto appieno il vantaggio della “risposta estesa”, perché ho l’impressione che molti abbiano colto i lati negativi
della riforma “Gelmini” (legge 240/2010) e pochi abbiano chiari quali grandi risultati strategici abbia portato
all’Italia.

Per quanto concerne la didattica nell’Università pre-riforma il docente rendicontava solo saltuariamente la sua
attività al Preside di Facoltà, su registri cartacei, rendendo praticamente impossibile qualsiasi monitoraggio
strategico delle carriere studenti e delle attività didattiche. Il Preside di Facoltà, a sua volta, non era tenuto a
                                                             11
Puoi anche leggere