Bibliomania 1 Bibliografia e altra documentazione - Jacques Lacan: "Discorso sulla casualità psichica" (1946)

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       Bibliografia e altra documentazione

Jacques Lacan: “Discorso sulla casualità psichica” (1946)
Sommario

Presentazione………………………………………………………………………………….p. 3

J. Lacan: “Discorso sulla casualità psichica”…………………………………………………p. 4
Presentazione

Il riferimento che presentiamo oggi è Discorso sulla causalità psichica, uno scritto di Jacques
Lacan del 1946 dove introduce una seconda riformulazione della psicosi, dieci anni dopo aver
articolato la sua testi dottorale con lo stadio dello specchio. La causalità psichica è definita
attraverso il concetto di imago (riferimento che sarà un precedente del significante). Se la
causalità psichica è l’identificazione, nella follia si tratta di un’identificazione senza
mediazione.
Ci limiteremo qui a ridurre un aspetto di questa causalità: la libertà del soggetto.
Jacques Lacan comincia facendo una critica delle teorie organiche della follia, in concreto
dell’organo-dinamismo di Henry Ey, e situa che la verità condiziona la follia in quanto
fenomeno. Se per Ey, e la psichiatria dell’epoca, si può avvicinare la follia solo riducendola alla
res extensa, il che implica eliminare il senso, per Lacan ciò che caratterizza la follia è il senso
che il soggetto attribuisce a quello che gli capita. Questo implica una decisione, insondabile,
dell’essere, il che fa entrare in campo la libertà di cui la follia è un limite.
Nel 1967, Jacques-Alain Miller riprende questa questione in un commento estremamente
interessante del testo di Lacan, di cui trascriviamo alcuni paragrafi, per concludere questa
presentazione:

       “Se non intendiamo che l’espressione ‘Il folle è l’uomo libero’ è l’assioma stesso
       dell’esperienza psicoanalitica delle psicosi, questa rimarrà chiusa per noi”. […]
       “Crediamo forse di aver detto tutto sulla casualità psichica delle psicosi quando
       mettiamo in funzione, come altrettanti meccanismi, le formule che Lacan ci ha
       consegnato? Mi riferisco a formule come il fallimento della metafora paterna, la
       preclusione del Nome-del-Padre, ed altre ancora che abbiamo preso dai testi. Lacan
       stesso non lo credeva, visto che ancora nel 1967 cioè dieci anni dopo la Questione
       preliminare…, dice: ‘Il folle è l’uomo libero”.
       “Non dubito affatto che l’elaborazione strutturale della preclusione, come
       condizione essenziale della psicosi, affermata da Lacan nel 1958 -, lo abbia mai
       distolto dalla tesi del suo Discorso sulla causalità psichica, del 1946, tesi di cui
       riparla nel 1967 e di cui scrive nel 1973: è la tesi della libertà nella follia. Tesi che
       è l’unica capace, a mio parere, di distinguere le malattie neuroligiche dalla psicosi
       vera e propria”.
       “Introduco questo riferimento che può sembrare remoto, perché il dibattito tra Ey e
       Lacan non è ancora chiuso, ma continua ancora oggi, è perché siamo chiamati a
       prendervi posto, in quanto analisti, di fronte ad avversari che hanno maggiori
       possibilità di avvenire come dei fautori dell’ organo-dinamismo”.

Note:
1. Lacan J., “Petit discours aux psychiatres”, inedito.
2. Miller J.-A., “Sur la leçon des psychoses”, en Actes de l´ECF, Revue de Psychanalyse, nº 13,
París, 1987, pp. 94-97. Esiste traduzione italiana “La lezione delle psicosi”, La Psicoanalisi,
Studi Internazionali del Campo freudiano, nº. 4, Roma, Astrolabio, 1988. p. 68
3. Lacan, J., “Televisione”, Altri scritti, Torino, Einaudi, 2013, pp. 505-538.
J. Lacan, “Discorso sulla causalità psichica”, Scritti, (a cura di G. B. Contri),
Torino, Einaudi, 2002, pp. 168-186.
Riscrittura di un intervento realizzato nel quadro delle giornate psichiatriche di
Bonneval nel 1946. Pubblicato in Le Problème de la psychogenèse des névroses et des
psychoses.

146-148
“Una dottrina del disturbo mentale che credo incompleta e falsa e che in psichiatria si designa
da sé sotto il nome di organicismo”.
“L’organo-dinamismo di Henry Ey si include validamente in questa dottrina per il solo fatto di
non poter riferire la genesi del disturbo mentale in quanto tale, funzionale o lesionale che sia
nella sua natura, globale o parziale nella sua manifestazione, e dinamica quanto la si vuol
supporre nel suo movente, a nient’altro che al gioco degli apparati costituiti nell’estensione
interna al tegumento del corpo. […] Questo gioco […] poggia sempre in ultima analisi su
un’interazione molecolare secondo il modo dell’estensione parte extra partes in cui si
costruisce la fisica classica, voglio dire secondo quel modo che permette di esprimere questa
interazione sotto forma di un rapporto da funzione a variabile che ne costituisce il
determinismo”.
“La questione della verità condiziona nella sua essenza il fenomeno della follia, e che a volerla
evitare si ottiene di castrare questo fenomeno di quella significazione con cui penso di mostrarvi
che esso attiene all’essere stesso dell’uomo”.

148
[In riferimento al termine follia] “Lodo Ey di mantenere ostinatamente questo termine”.
“Per parlare in termini concreti, c’è qualcosa che distingue l’alienato dagli altri malati, aldilà del
fatto che quando li si ospedalizza li si chiude in un asilo? o anche, l’originalità del nostro
oggetto è di pratica ⎯sociale⎯, o di ragione ⎯scientifica?”.
“Le concezioni di Jackson […] hanno come principio e fine di ricondurre a una comune scala di
dimensioni, turbe neurologiche e turbe psichiatriche. […] E qualunque sottile ortopedia Ey
abbia apportato a questa concezione […] essa non permette di distinguere in modo essenziale
l’afasia dalla demenza, l’algia funzionale dall’ipocondria, l’allucinosi dalle allucinazioni, e
nemmeno certe agnosie da certi deliri”.

150
[In riferimento al caso Schneider analizzato da Gelb e Goldstein] “Domando dunque a Henry
Ey: in che cosa distingue questo malato da un folle?”
151
[Per Ey] “Le malattie mentali sono insulti e impedimenti alla libertà, esse non sono causate
dall’attività libera, cioè puramente psicogenetiche”.

152
“Il movimento di Henry Ey è certo avvincente, ma non lo si può seguire a lungo perché ci si
accorge che in esso la realtà della vita psichica resta schiacciata in quel nodo […], sottraendogli
insieme, per una necessità rivelatrice, la verità dello psichismo e quella della follia”.

156
“La causalità essenziale delle follia”

“Non possiamo dimenticare come la follia sia un fenomeno del pensiero…”.

[In riferimento al fenomeno della follia]. “Penso che la parola d’ordine di un ritorno a Descartes
non sia superflua”.

157-158
“Henry Ey […], nei suoi primi lavori, come Descartes […] mette in luce la molla essenziale
della credenza. […] Ha mirabilmente visto che non lo si poteva eliminare dal fenomeno
dell’allucinazione e del delirio. Ma […] egli risolve la nozione di credenza, che teneva
sott’occhio, in quella dell’errore”.

159
“Si può dire che l’errore è un deficit […] ma non la credenza”.

“Qual è dunque il fenomeno della credenza delirante? Esso è, noi diciamo, misconoscimento,
con l’essenziale antinomia contenuta da questo termine. Misconoscere infatti suppone un
riconoscimento, com’è manifestato dal misconoscimento sistematico, in cui si deve ammettere
che ciò che è negato sia in qualche modo riconosciuto”.

“Mi sembra chiaro che nei sentimenti di influenza e di automatismo il soggetto non riconosce le
proprie produzioni come sue. Il che è ciò per cui siamo tutti d’accordo che un folle è un folle
[…] e la questione non è forse di sapere che cosa in ciò conosce di sé senza riconoscervisi?
159-160
“Un carattere ben più decisivo, quanto alla realtà che il soggetto conferisce a questi fenomeni,
della sensorialità che prova in essi o della credenza che annette loro, è il fatto che tutti questi
fenomeni, quali che siano, allucinazioni, interpretazioni, intuizioni, quale che sia l’estraneità e la
stranezza con cui li vive, lo riguardano personalmente: lo sdoppiano, gli rispondono, gli fanno
eco, leggono in lui, dato che li identifica, li interroga, li provoca e li decifra. E quando ogni
mezzo per esprimerli viene a mancargli, la sua perplessità ci manifesta ancora in lui una beanza
interrogativa: cioè la follia è tutta vissuta nel registro del senso”.

160
“Il fenomeno della follia non è separabile dal problema della significazione per l’essere in
generale, cioè del linguaggio per l’uomo”.

161-162
“Impegnamoci su questa via per studiare le significazioni della follia, secondo l’invito che ci
rivolgono i modi originali che il linguaggio mostra in essa: quelle allusioni verbali, quelle
relazioni cabalistiche, quei giochi d’omonimia, quei bisticci di parole […] quell’accento di
singolarità di cui dobbiamo saper intendere la risonanza in una parola per individuare il delirio,
quella trasfigurazione del termine nell’ineffabile intenzione, quella fissazione dell’idea nel
semantema […], quegli ibridi del vocabolario, quel cancro verbale del neologismo,
quell’impantanamento della sintassi, quella duplicità dell’enunciazione, ma anche quella
coerenza che equivale ad una logica, quella caratteristica che […] segna ogni forma di delirio,
tutto questo è ciò con cui l’alienato, con la parola o la penna, si comunica a noi”.

162
“È in questo che ci si debbono rivelare quelle strutture della sua conoscenza, che […] sono stati
proprio […] un Clérambault, un Guiraud, ad aver disegnato nel modo migliore. […] Lo stesso
riferimento costante dell’analisi di un Clérambault a ciò che egli chiama […] «l’ideogenico»,
non è diverso da questa ricerca dei limiti della significazione. E […] viene così a dispiegare,
secondo un modo la cui unica portata è di comprensione, quel magnifico ventaglio di strutture
che va dai cosiddetti fenomeni basali dell’automatismo mentale”.

“Clérambault è stato il mio solo maestro nell’osservazione dei malati […]. Pretendo di averne
seguito il metodo nell’analisi del caso di psicosi paranoica che costituisce l’oggetto della mia
tesi, caso di cui ho dimostrato la struttura psicogenetica e designato l’entità clinica col termine
più o meno valido di paranoia di autopunizione”.
162-163
[In riferimento ad Aimée] “Questa malata mi aveva colpito per la significazione bruciante delle
sue produzioni scritte, il cui valore letterario ha colpito molti scrittori […]. È noto che il nome
Aimée […] è quello della figura centrale della sua creazione romanzesca. Se riunisco i risultati
dell’analisi che ne ho fatto, credo che ne esca già una fenomenologia della follia completa nei
suoi termini”.

163-164
1. “I punti di struttura che vi si rivelano essenziali si formulano infatti come segue:
2. La discendenza di persecutrici che si succedono nella sua storia ripete quasi senza variazione
la personificazione di un ideale di malignità, contro cui va crescendo il suo bisogno di
aggressione. […] Ma nella sua condotta tende a realizzare, senza riconoscerlo, quello stesso
male che denuncia.
3. Al contrario, la sua rappresentazione di se stessa si esprime in un ideale del tutto opposto di
purezza e di devozione, che la espone come vittima alle imprese dell’essere detestato.
4. Si osserva inoltre una neutralizzazione della categoria sessuale con cui si identifica […]
coerente col platonismo dell’erotomania classica che ella sviluppa nei riguardi di più
personificazioni maschili, e con la prevalenza delle amicizie femminili della sua storia reale.
5. Questa storia è costituita da una lotta indecisa per realizzare un’esistenza comune, pur non
abbandonando ideali che qualificheremo come bovaristi.
6. [L’intervento di sua sorella] l’ha di fatto scaricata dei suoi doveri familiari. Ma nella misura
in cui la «liberava», si scatenavano e si costituivano i fenomeni del suo delirio, che hanno
raggiunto l’apogeo nel momento in cui […] ella s’è trovata del tutto indipendente.
7. Questi fenomeni sono apparsi in una serie di accessi che abbiamo designato col termine […]
di momenti fecondi del delirio”.

164
“Presentazione «elementare» di tali momenti.
g) Va notato che, benché l’ammalata sembri soffrire del fatto che il figlio le sia sottratto dalla
sorella […] ella si rifiuta di considerarla ostile […]. Al contrario, colpirà in un’intenzione
omicida l’ultima, in ordine di tempo, delle persone in cui ha identificato le sue persecutrici. […]
Abbiamo così cercato di isolare la psicosi nei suoi rapporti con la totalità degli antecedenti
biografici, delle intenzioni confessate o no dell’ammalata, e infine dei motivi, percepiti o no,
che sorgono dalla situazione contemporanea del suo delirio, ⎯ cioè, come indica il titolo della
nostra tesi, nei suoi rapporti con la personalità”.
164-165
“Ci sembra che fin da subito ne esca la struttura generale del misconoscimento. Bisogna però
anche saperla intendere. Si può certamente dire che il folle si crede altro da quel che è […]. Ma
[…] conviene anche osservare che se un uomo che si crede un re è pazzo, un re che si crede un
re non lo è meno”.

165
“Qui il momento di viraggio è dato dalla mediazione piuttosto che dall’immediatezza
dell’identificazione, e, diciamo la parola, dall’infatuazione del soggetto”.

168
“La passione di dimostrare a tutti la propria unicità, foss’anche nell’isolamento della vittima.
[…] Quanto al movente della peripezia, essa è data dal meccanismo che riferirò, assai più che
all’autopunizione, all’aggressione suicidaria del narcisismo”.

169
“Un difetto singolare della concezione di Henry Ey, il fatto che questa lo allontana dalla
significazione dell’atto delirante”.

“Guiraud, meccanicista, quando, nel suo articolo sui Muertres immotivés, si occupa di
riconoscere come non sia altro che il kakon del proprio essere”.

“Avrei potuto, invece di Alceste, ricercare il gioco della legge del cuore”.

170
“Giacché il rischio della follia si misura sull’attrazione delle identificazioni in cui l’uomo
impegna ad un tempo la sua verità ed il suo essere.
Lungi dunque dall’essere il fatto contingente delle fragilità del suo organismo, la follia è la
virtualità permanente di una faglia aperta nella sua essenza. Lungi dall’essere per la libertà “un
insulto”, ne è la sua più fedele compagna […]. E l’essere dell’uomo non solo non può essere
compreso senza la follia, ma non sarebbe l’essere dell’uomo se non portasse in sé la follia come
limite della sua libertà […]. “Non diventa pazzo chi vuole”.

“Ma anche che non arriva chi vuole ai rischi che avviluppano la follia. Un organismo debile,
un’immaginazione sregolata, conflitti che superano le forze non bastano. Può avvenire che un
corpo di ferro, identificazioni potenti, compiacenze del destino iscritte negli astri, conducano in
modo più sicuro a questa seduzione dell’essere”.
171
“Badando a mantenere le giuste distanze umane che costituiscono la nostra esperienza della
follia, di essermi conformato alla legge che, alla lettera, ne fa esistere i dati apparenti: senza di
che il medico, come colui che oppone al folle che ciò che dice non è vero, divaga non meno del
folle stesso”.

“Credo infine che rigettando la causalità della follia in quell’insondabile decisione dell’essere in
cui questo comprende o misconosce la propria liberazione, in quel tranello del destino che lo
inganna su una libertà che non ha affatto conquistato, non faccio altro che formulare la legge del
nostro divenire, com’è espressa dall’antica formula: Γένοι, οἷος ἐσσί”.

172
“Per definire la causalità psichica […] identificabile al concetto di imago”.

“La storia del soggetto si sviluppa in una serie più o meno tipica di identificazioni ideali che
rappresentano i più puri fra i fenomeni psichici in quanto rivelano essenzialmente la funzione
dell’imago”.

174
“Conoscenza paranoica […] la sua parentela con il […] transitivismo”

175
“Un tratto essenziale dell’imago: […] implica dunque come primitivo un certo riconoscimento.
[…] Il primo ad apparire degli effetti dell’imago nell’essere umano è un effetto di alienazione
del soggetto”.

177
“Nella mia tesi avevo rilevato questo tratto significativo, quando mi sforzavo di render conto
della struttura dei ‘fenomeni elementari’ della psicosi paranoica”.

“Mi accorgevo nella stessa osservazione della mia malata, che è impossibile situare esattamente
con l’anamnesi la data e il luogo geografico di certe intuizioni, illusioni della memoria,
risentimenti probanti, osservazioni immaginarie, che potevano solamente essere riferite al
momento fecondo del delirio preso nel suo insieme. […] E ammettevo che questi fenomeni sono
dati primitivamente come reminiscenze, interazioni, serie, giochi di specchi, senza che per il
soggetto il loro dato possa essere situato nello spazio e nel tempo oggettivi in modo più preciso
dei sogni”.
181
“Nel punto di partenza di questo sviluppo, ecco dunque legati l’Io primordiale come
essenzialmente alienato, e il sacrificio primitivo come essenzialmente suicidio: Cioè la struttura
fondamentale della follia”.

182
“La stessa causalità psichica […] l’identificazione”.

186
“L’aver riconosciuto questa distanza inquantificabile dell’imago e questo infimo fendente della
libertà come decisivi della follia, non basta ancora a permetterci di guarirla, non è forse lontano
il tempo in cui tutto questo ci permetterà di provocarla. Perché se nulla può garantirci di non
perderci in un libero movimento verso il vero, basta un tocco per farci cambiare verso la follia.
Allora saremmo passati dall’ambito della causalità metafisica di cui ci si può far gioco, a quello
della tecnica scientifica che non si presta al riso”.

“Per ora, vi propongo la messa in equazione delle strutture deliranti e dei metodi terapeutici
applicati alle psicosi, in funzione dei principi qui sviluppati,
⎯ a partire dall’attaccamento ridicolo all’oggetto di rivendicazione, passando per la tensione
crudele della fissazione ipocondriaca, fino al fondo suicidario del delirio di negazione”.
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