Arold il giovane vichingo - Pierantonio Marone - Romanzo - Questa è la pagina di Pierantonio Marone

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Pierantonio Marone

Arold il giovane vichingo

            Romanzo

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Personaggi

Arold Harvik                   il biondo ragazzino
Ervik Harvik                    il nonno saggio
Fedrik Torvald                 l’insegnante scolastico
Jacob Torvald                  il fratello istruttore surf
Nikas Matos                    il borgomastro di Hoddevik
Lucia Matos                     l’amica studente
Mariek Demetris                 l’assistente sociale
Melissa Danton                  la ragazza di Jacob
Ada Torvald                     la buona matrigna
Tom Torvald                      il carpentiere delle barche
Strobel                          l’avvocato per la società Amacket
Tommy e Franz                   gli amici surfisti
Marie Danton                    la lady viaggiatrice del treno
Filipe Grampek                  il geologo Norway
Lion Amacket                   il direttore società Amacket
Lucia Stettla                   reporter della CNS Norway
Harald V                       Sua Maestà Re di Norvegia
Sonja Harpldsen                  Sua Maestà la Regina
Haakon Magnus                   Sua Altezza il Principe ereditario

                  Amuleto di ODINO - il dio nordico

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Norway 2019

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Penisola di Hoddevika, tra i fiordi della Norvegia del nord

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Capitolo Primo

    Arold in quel mattino domenicale, dal cielo grigio e plumbeo, si era
alzato ancora assonnato e svogliato, trovandosi a guardare fuori dalla
finestra la neve fresca, che cadeva dalla sera prima attorno alla casa, sul
mezzo altipiano del monte. Capendo con disappunto, di aver perso
l’interesse a quell’avvenimento invernale lì, nella valle di Hoddevika. Un
luogo adatto per la sua conformazione di spiaggia tra le due montagne ai
lati nell’ampia valle piatta, fatto apposta per gli appassionati surfisti, sia
d’estate che d’inverno, con il vento che proviene dal nord dell’Atlantico e
del mare di Norvegia, ad infrangersi sulla spiaggia e tra le scogliere laterali
del posto, da essere il luogo adatto per divertirsi, anche con quel tempaccio
dalle temperature ghiacciate invernale, da farsi gelare la muta addosso.

 Arold si trovò a ripensare alla sua giovane vita, iniziata con durezza, già
nella sua tenere età, nel perdere i propri genitori in mare a pescare. Si
erano imbattuti in una dura tempesta da non fare più ritorno a casa e il
buon nonno Ervik si era preso cura di lui, a farlo crescere e studiare con
amore. Ma ormai centenario se ne era andato a sua volta, lasciandolo
ancora solo a soli nove anni. Da supporre una vera scalogna capitata?

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Era proprio qualcosa di malefico ch’era calato sulla sua antica dinastia,
mai saputa per bene qualcosa di preciso essa sia: Era discutibilmente
difficile da capire, se lui era veramente un discendente dei vichinghi
norvegesi? Forse non lo potrà mai sapere, essendo rimasto a metà del
racconto veritiero del nonno. E presto arriveranno gli assistenti sociali da
sistemarlo in qualche buco di casa famiglia e personalmente lui odiava
quella soluzione imposta dallo stato. Stava ripensando malamente Arold.

 Ormai si era abituato con il nonno ad andare oltre il bosco sull’alta
scogliere ad osservare il mare, in attesa di vedere da un momento all’altro
spuntare la grossa barca da pesca dei suoi genitori. Ma nulla da fare. Il Dio
Odino nordico, non li aveva salvati dal mare in tempesta. “Un vero
peccato!” Si trovò ancora a dire tra se dispiaciuto, dopo cinque duri anni,
d’attesa invano. Quel mare ingrato li aveva inghiottiti per bene...
 Alla fine si destò da quel torpore dove si era infilato dentro nella nostalgia
dei vecchi ricordi e si fece coraggio, nel bere il caffè e latte ormai freddo,
com’era abituato a prepararlo per se e per il nonno Ervik. Poi s’infilò il
piumino addosso, si mise il berretto di lana per bene sulla testa e infine si
prese un pezzo di focaccia preparata il giorno prima nel forno a legna, ed
usci fuori casa con decisione avventuriera.
 Al momento aveva smesso di nevicare e Arold con istinto pionieristico si
avviò verso il bosco poco lontano, da affondare per bene nella neve alta e

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fresca, senza ripensamenti a voler rinunciare. La sua intenzione era di
arrivare sull’altipiano roccioso della montagna, dov’era una cosa abituale
 da fare assieme al nonno, ad andare sul crinale della montagna a guardare
e meditare, mentre assieme osservavano quel mare invernale impetuoso.
 Arold si era fermato lassù a guardare quella nuda montagna incappucciata
di neve, nell’ampio golfo di Hoddevika, anch’esso la in basso, ed era tutto
coperto da un vasto mantello bianco, dall’abbondante nevicata notturna.
Intanto sul mare dalle alte onde, vi erano già gli accaniti surfisti che
scorrazzavano sulle onde in quel mare agitato e gelido a far degli stupendi
salti sotto zero gradi, per il piacere di divertirsi a volare in alto, appagati
dal piacere a superare con durezza il freddo pungente dell’inverno ormai
per bene inoltrato. La forza e la costanza li stava ripagando.
 Arold si fermò tra gli alti abeti abbarbicati alla montagna e sfidare il vento
gelido, da far scrollare in parte la neve d’addosso. Trovandosi a sorridere e
pensare che aveva già fatto nelle sue vacanze estive il surf su quel mare
che invogliava chiunque lo ami scorrazzarci sopra. Lui a sei anni, sapeva
già surfare bene e a quasi nove anni, era un bravo ragazzino voglioso a
migliorare maggiormente le sue prodezze da esperto surfista in quel posto.
 Ma al momento, era abbastanza svogliato e un poco troppo depresso di
quel lutto precoce. Dove ogni cosa non lo esaltava per niente, i troppi
ricordi del suo breve passato gli annebbiavano la vista, a confonderlo
tanto, dove quell’interesse a divertirsi era sparito via da disarmarlo.
 Arold alla fine, tentò di scrollare d’addosso quei pensieri retorici che
l’accompagnavano sovente e proseguì oltre, da arrivare sull’alta scogliera
a strapiombo sul mare nordico. Da guardare giù a cinquecento metri più
sotto e rimanere in vacua contemplazione e per un buon momento si trovò
incantato a guardare l'orizzonte grigio e cupo dell’Oceano Atlantico.
Tentando al tempo stesso di non pensare proprio a nulla. Ma purtroppo,
senza volerlo i tanti ricordi si affacciavano insistentemente nella sua
giovane memoria, a sviarlo e ricordargli i tanti racconti di storie ataviche,
che erano capitate nel passato da quelle parti, proprio in quei luoghi
solitari. Da far fatica a capire per bene se erano vere o fasulle le tante
storie. O soltanto il frutto di una bella fantasiosa favola d’altri tempo, che
il buon nonno gli raccontava sovente, a volerlo instradare a ricordare, sulla
loro discendenza, abbastanza misteriosa e oltretutto troppo fantasiosa a
rivivere, da pensare se fossero veramente vere?.. Ma in fondo a tutto,
Arold gli piaceva sentire quei racconti, seduti accanto al camino ad
assaporare il caldo che emanavano i ceppi di legna ben accesi, nel sentire il
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loro crepitio provocato, a ravvivare assieme la fiamma dei tanti ricordi. Da
dover pensare, che quel nonno era proprio bravo ad accattivarsi chi
l’ascoltava, nel raccontare il passato atavico dei propri antenati vichinghi
in quel luoghi, con giusta maestria. La fama di quei viking predatori, si era
sparsa per bene attorno, dal 700 al 1100. Ma nel mescolare poi, le razze
con gli schiavi catturati, dove i caratteri delle persone si mescolavano a
cambiare e modificarsi il comportamenti di una certa nobiltà stabile e
dominante in futuro. Ed ora nell’era 2000 era ormai tutt’altra cosa svanita.
Oltre a descrivere con certezza, che talvolta il nonno, aveva un bel micione
che gli scaldava i piedi a letto. Ma lui Arold non l’aveva mai visto
aggirarsi per case un gatto nordico in camera del nonno? Era veramente
bravo a raccontarsi e stupire chi l’ascoltava. Comunque Arold non
insisteva ad approfondire su quei racconti del nonno, gli piacevano sentirli
e basta. Rammentandosi anche, quando andavano già in autunno inoltrato,
a far una specie di bivacco tra gli alberi del bosco sull’altro versante della
montagna, e figurare di far del campeggio, con un bel fuoco per riscaldarsi
e la marmitta piena di patate e carne che bolliva sulla fiamma, da
mangiarla poi con gusto tra gli alti abeti, quasi come i loro antenati in
accampamenti nei momenti di quiete, tra guerre e finte pace.
 Arold era felice nel trovarsi con il nonno ed ascoltarlo, su altri racconti
atavici dei lontani parenti vichinghi trapassati. Capendo che quel nonno
sapeva creare l'atmosfera giusta ha esporre la storia sul loro passato e se
veramente era quella. Ma cosa importa, erano pur sempre bella d’ascoltare.

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Capitolo Secondo

   Erano veramente dei bei ricordi sul trascorso passato, capendo che mai
più sarebbero ritornati indietro, dove il tempo scorreva via inesorabile
senza fermarsi un solo attimo. Proprio un vero peccato. Si trovò a
ripensare Arold scrollando il capo. Da tener presente che il nonno gli
aveva anche insegnato come poter sopravvivere con niente, in quei posti
fra intemperie e bel tempo.
  Poi qualcosa attirò la sua attenzione, laggiù sullo sfondo del mare cupo,
dove si vedeva un puntino nero. Sembrava una piccola barca in balia della
onde del Mare di Norvegia che faticava a solcare quel mare burrascoso. Da
capire poi che era soltanto un mercantile che si dirigeva più a nord a
rifornire settimanalmente le isole attorno al capoluogo di Alesund.
 Arold stava rammentando che il nonno gli aveva prospettato che un giorno
d’estate sarebbero andati a fare un bel giro su da quelle parti, con una di
quelle navi traghetto e visitare quei posti attorno alle isole, ch’erano
bellissimi da vedere tra i fiordi norvegesi. Ma al momento tutto era stato
rimandato, l’interesse era finito così malamente...
 Arold restò ancora un poco a guardare giù nella vallata, tra la foschia
dell’ultimo nevischio, all’inizio della giornata per ben imbiancata.
 Dove tre accaniti surfisti, insistevano sulle loro tavole a scorrazzare sulle
alte onde del mare a divertirsi. Uno era senz’altro Jacob, l’istruttore surf.

  Arold si tirò sul il collo del piumino e si avvicino maggiormente il
cappuccio sulla fronte da ripararlo al meglio, quel vento gelido lo stava
rinfrescando per bene. Ma lui testardi non voleva allontanarsi, quasi nel
guardarsi attorno a cercate il proprio nonno, che non c’era più a dagli
conforto e sicurezza. “Peccato!” si trovò a dire da solo abbastanza triste,
da trovarsi a piangere, su quell’unica presenza cara, sparita via a sua volta,
e difficile da ingoiare facilmente. < Acciderba. Noo!! Un vero peccato! >
Arold si trovò ad urlare al vento arrabbiato un po’ con tutti...
  Poi, si fece coraggio e decidere di ritornare verso casa, sprofondando
nell’alta neve caduta nella notte, e in quel punto maggiormente, da essere
sospinta dal vento dell’Est, tra le alte conifere della foresta.
Poi più avanti, oltre il dosso che lo riparava un poco dal vento, s’imbatté
per caso in una bella lince nordica, da farlo sussultare a quell’improvviso
 incontro inaspettato.“Accid..!” sbottò tra se confuso, ma non spaventato.
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Per un buon momento si erano fermati entrambi a guardarsi per bene, poi
con un piccolo miagolio sgraziato, la lince si mostrò al ragazzo decisa, ma
non aggressiva, a far intendere che lui, aveva sconfinato.

 Arold gli sembrò di aver compreso quel miagolare, capendo di essere
entrato un po’ troppo dentro la foresta innevata, nel provare a parlargli con
voce suadente: < Tranquilla amica Lince! Non sono qui per rubarti la tua
selvaggina! > allargando le mani a mostrarle vuote. < Adesso me ne vado
via, torno alla mia casa... > Ma non poté finire di parlare, nel girarsi per
allontanarsi dal felino che l’osservava curioso, di colpo sprofondò sotto
terra, la neve aveva ceduto sotto i suoi piedi da sprofondare decisamente,
dentro una grotta sconosciuta e mai immaginata che c’era da quelle parti.
  Arold fece un bel volo, scivolando dentro velocemente e da cadere poi,
sul fondo a una decina di metri più sotto. < Acci… denti!! > urlò.
Per un buon momento, Arold si trovò stordito, non capendo bene cosa gli
era successo. Faticò molto, prima di capacitarsi di non aver nulla di rotto,
così gli sembrava al primo impatto. Soltanto qualche escoriazione sulle
ginocchia sotto i calzoni dal dolore e un bernoccolo in testa, nel toccarsi e
sentire il suo sangue caldo che gli bagnava la mano, da arrossare la neve
rimasta sul palmo della sua mano. “Sono finito in un bel guaio?”sbottò.
Alla fine nel guardandosi attorno e cercare di capire per bene cos’era
successo. Lì, a terra, sotto di lui vi erano delle vecchie tavole di legno, che
da tempo hanno sorretto per bene il terreno, ma al momento fradice negli
anni e con il suo leggero peso, non l’hanno più sorretto, da sprofondare
decisamente dentro. Da farlo imprecare e tentare di capire per bene il
guaio, ma senza spaventarsi e agitarsi disperato, per la brutta caduta

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capitata all’improvviso. “Adesso come faccio ad uscirne fuori?” stava
pensando il ragazzo, non ancora troppo convinto, per il guaio capitato
all’improvviso, oltre trovarsi dentro a quel buco di grotta o cos’altro era,
dove lui era andato a finire così malamente?.. < Accidenti, acc..! > sbottò
 il giovane Arold sull’agitato e deluso, guardando verso l’alto, da dove
proveniva la luce e a pensare come fare per ritorno su a casa, senza l’aiuto
di qualcuno che gli lanci una corda dall’alto, per risalire su da quel buco,
dove la poca luce che entrava da lassù e scendeva dentro assieme ai fiocchi
di neve, da aver poche speranze di farcela... Cercando di ricordare i buoni
insegnamenti del nonno ad arrangiarsi in caso di bisogno, ed era il
momento giusto da mettere in pratica, ma come, se non aveva nulla?

 Era ciò che si andava concependo da solo Arold, nel grosso casino, dove
si era infilato senza saperlo per bene e come?.. Ma purtroppo era capitato.
Da essere finito veramente un bel guaio, senza che nessuno del borgo
s’immagini dove fosse veramente finito il solitario ragazzo. Sparito!
  Magari poi da trovarlo in primavera ancora surgelato in quel buco di
grotta dove incoscientemente e malauguratamente si era infilato dentro.
 Arold si sforzò a provare a muoversi e vedere se non aveva altri danni e
traumi addosso, rimasti nascosti. Infine riusci ad alzarsi in piedi e per un
attimo ebbe la vaga sensazione di avercela fatta. Ma poi le gambe gli
tremarono e si trovò a terra nuovamente intontito. La testa gli doleva e
tutto gli girava attorno e per un buon momento, non sapendo cosa fosse
capitato veramente, da perdere la coscienza e la nozione del tempo
stremato, da svenire in quel posto di buco, dov’era caduto dritto dentro.

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Quando si riprese era già buio, nero pesto. Da non vedere più nulla
attorno e la paura si faceva sentire maggiormente, nel faticare a pensare
avanti: “Cosa posso fare? E come uscire fuori se non ho qualcosa
d’aggrapparmi? Che casino ho combinato!” Quello era il primo guaio
sorto e gli altri che sarebbero arrivati appena dopo. Stava rimuginando tra
se sconfortato e deluso duramente, dal suo bislacco comportamento di quei
giorni di voluta depressione. Purtroppo lui non possedeva un cellulare e al
momento forse sarebbe stato utile, se non aveva campo in quel buco?
 Poi, trovarsi la dentro al buio e gelido, da non riuscire a vedere nemmeno
la sua mano, a toccarsi il viso un po’ dolorante. Da aver veramente paura e
far la fine del topo in gabbia e non poterne uscire fuori e purtroppo da
capire per bene, che presto quella grotta sarebbe diventata la sua tomba in
futuro. E il tutto, soltanto a nove anni, non gli garbava affatto. Era bloccato
per bene in quel maledetto anfratto, buco di grotta?
  Immaginando che non serviva urlare per farsi sentire, se non c’era
nessuno la fuori attorno. Poi in verità lui ormai da poche settimane, viveva
da solo nella casa tra i boschi sull’altipiano. Purtroppo il nonno Ervik
centenario, da pochi giorni l’aveva lasciato e la gente del villaggio, in parte
preoccupata, e ancora non avevano allertato gli assistenti sociali per
provvedere a quel ragazzino di nove anni di nome Arold, che s’arrabattava
molto bene da solo, come aveva sempre fatto ad aiutare il vecchio nonno,
pieno di piccoli acciacchi reumatici, da faticare a muoversi liberamente e
pertanto Arold pensava un po’ a tutto. Oltre andare a scuola e provvedere a
preparare il pranzo e cenare assieme al nonno, contento di quella giovane
compagnia, che non reclamava e protestava mai nulla per il disagio di aver
per compagnia in casa un vegliardo vichingo d’altri tempi.
 Soltanto in quel momento precario Arold capiva da solo la gravità di
quell’inaspettata caduta, lo stava preoccupando molto? “Proprio non ci
voleva adesso?..” sbottò tra sé sconfortato. “Come fare, senza lasciarsi
prendere dal panico e poter uscire fuori indenne, senza una fune o scala,
questo è il mio guaio? Accidenti!”.sbottò avanti inutilmente.
 Poi di colpo, si fermò dal pensare, bloccato da qualcosa accanto? C’era
stato un leggero rumore al suo fianco? Capendo che c’era qualcosa che si
stava muovendo li accanto, da fargli mancare il respiro per non capir bene
cosa stesse capitando attorno: “Acciderbola è proprio la fine?” sbottò tra
s’è più che spaventato. Mentre dentro di se, il panico rapidamente
avanzava a ruota libera, da fargli aumentare i battiti del suo piccolo cuore
in un precipitoso e tumultuoso spavento.
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Capitolo Terzo

  Arold sentiva qualcosa di viscido gli stava sfiorando il viso, c’era
qualcosa la vicino, forse un serpente delle grotte? Immaginò agitato e
spaventato. Comunque sembrava, fosse qualcos’altro, come una lingua che
prova ad assaggiare la polpa del suo viso, nel tastare il terreno e capire se
era commestibili. Da fargli aumentare la paura e il terrore, da bloccargli
l’urlo fermato in gola dallo spavento...
 Il terrore l’aveva aggredito fortemente, da non poter dire qualcosa o urlare
disperato, con l’angoscia affannosa in gola ormai capitatole addosso da
traumatizzarlo per bene, da non potersi nemmeno muovere.
 Mentre quella specie di animale, quale esso sia, lo stava leccando sempre
più avidamente e assiduo. Arold in quella paura addosso, non riusciva a
reagire, si sentiva disarmato, da lasciarsi andare e nell’aspettare il primo
morso, seguito dagli altri a divorarlo per bene in pochi bocconi.
  Solo le lacrime gli scendevano silenziose sul viso, capendo che era
arrivata molto presto la sua fine. Senza dagli il tempo di pensare, nel
borbottare dentro di se dispiaciuto: “E’ proprio un vero peccato!”
  Era ormai l’unica cosa giusta che poteva dire e pensare, prima che
l’animale quale sia, lo divori ancora vivo, da sbranarlo per bene in pochi
bocconi appetitosi. Ma dato l’insistente calma di quel presunto animale a
leccargli il viso, Arold si fece coraggio e provò ad allungare le mani al
buio e scoprire cos’era che aveva davanti e ancora non si era deciso a
divorarlo?.. Forse era un lupo o un orso, ma dal leggero respiro e odore,
non sembrava. Lui era caduto nella sua tana e la belva si beava ha gustarsi
il succulente cibo a portata di bocca, senza avere troppa fretta, così gli
pareva Arold ad immaginare?
 In fine con il cuore in gola, Arold si fece coraggio e toccando con le mani
tremanti qualcosa che si muoveva la di fianco, capendo all’istante, che tra
le dita, aveva una pelliccia morbida, forse era una volpe nordica? Ma
quell’animale aveva il pelo corto, caldo e spesso?..
  Alla fine da sentire un piccolo miagolare emesso dall’animale, da
rinfrancarlo un poco. Capendo che ciò che toccava era senz’altro il pelo di
una lince di montagna. Forse era quella appena vista di sopra, prima di
cadere dentro a quel buco di grotta? Oltretutto l’animale non reagiva a
morderlo, da stupirlo e Arold si fece coraggio e incominciò ad accarezzare
meglio l’animale, trovandosi al tempo stesso a piangere, senza saper bene
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il perché gli capitava di lasciarsi andare. Lui non era mai stato il tipo di
lagnarsi e piangere. Ma ora si trovò a farlo senza ritegno, forse in una
specie di contentezza a non essere divorato al momento. E tra un
singhiozzo ed un’altro provò a dire al felino accanto, che al tempo stesso
lo stava scaldando abbastanza bene, con la sua calda pelliccia: < Allora sei
proprio tu, la bella lince di montagna. Grazie nel riscaldarmi! > commentò
Arold tremante come una foglia al vento, tra la paura e il freddo che lo
stava aggredendo ormai da lunghe ore, dov’era capitato in quel posto della
malora: < Grazie amica lince! Senz’altro sei tu, che prima fuori ci siamo
guardati e io non volevo rubarti la tua selvaggina... Credimi! Ma ora come
vedi sono in un bel guaio... Come posso uscire fuori? Sono proprio messo
male. Credimi! > si trovò a raccontarsi al felino accanto.
 Quel felini che al buio ci vedeva benissimo, sembrava avesse capito le
parole del ragazzo sfinito e spaventato per la caduta e per caso finito in un
bel guaio cadendo di sotto. Da lanciargli un altro miagolio, diverso, forse a
farsi intendere che aveva compreso il suo grave problema capitato.
 Erano bloccata la dentro al buio, di quella specie di grotta, mentre lei, la
grossa lince lo rassicurava con la sua vicinanza calda a confortarlo...
 L’animale restò la tranquilla, al suo fianco a riscaldarlo nella parte dov’era
appoggiato e Arold si assopì sfinito, tra i diversi dolori e la stanchezza
addosso, da addormentarsi rassicurato da quella lince che aveva accanto a
vegliarlo e dargli una calda compagnia.
 Più tardi, ormai mattino Arold si era svegliato per i crampi della fame che
aveva addosso, quando la luce di un altro giorno incominciava a penetrava
dentro dall’alto, dal buco di quei dieci metri. Da capire che era ormai già
mattina inoltrata e la luce del giorno, al nord del paese nel periodo
invernale durava poche ore, da poter vederci un poco attorno e Arold si
rinfrancò ad aver accanto quella lince, che gli stava dando calore, conforto
e rassicurarlo un poco sul suo guaio capitato.
 Poi, dai miagolii della lince a far intendere che doveva muoversi e tentare
di spostarsi. Sembrava d’intuire quell’invito a seguirla, da inoltrarsi nel
profondo della stretta galleria, che intravvedeva la davanti, dove il buio
aumentava da non saper bene dove andare, da aggrapparsi al pelo
dell’animale che sembrava capire la paura del ragazzo, da procedere al
passo e portarselo appresso, come una devota madre che si prende cura del
suo piccolo cucciolo sperduto e spaventato dal buio di quella caverna.
  Arold sembrava risollevato, capendo che quella lince lo stava aiutando e
magari portarlo fuori da quella grotta dove si era malauguratamente
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infilato dentro, anzi caduto dentro e nel procedere a tentoni, tenendosi
stretto alla pelliccia dell’animale che procedeva tranquilla al suo fianco.
Arold a fatica gli sembrava che più avanti aumentava una imprecisata luce,
man mano che camminavano in quel budello di caverna preistorico, la luce
aumentava da incominciare a vedere al suo fianco la bella lince nordica
che procedeva tranquillo e dare il tempo al ragazzo di aver fiducia, rimasto
ancora aggrappato alla sua pelliccia e lo segua senza intoppi a protestare
per la fame e i diversi dolori che aveva nel corpo, tutti assieme.
 Infine la luce del giorno aumentò un poco, ma non troppo, da vederla
penetrare dentro alla grotta da un lato, dove si affacciava sulla nuda
scogliera a precipizio sul mare impetuoso di sotto, dove le raffiche di vento
gelido entravano a folate e gli lambivano il viso, da fargli aumentare il
freddo addosso. La sua giacca a vento che aveva addosso, lo riparava un
poco, ma in tutta quella notte all’addiaccio, non è che si era per ben
riscaldato, sebbene la lince al suo fianco lo riparava un poco dal freddo
pungete e assopire un poco i suoi tanti dolori.
 Arold si avvicino all’apertura, da comprendere subito, che da quel lato
non poteva uscire. Cadeva diritto in mare se si sporgeva troppo dal piccolo
budello che usciva fuori all’aperto, sulla nuda parete rocciosa. Comunque
da essere nascosta quella piccola apertura, per chi da anni avesse guardato
dal mare, la parete rocciosa della montagna di fronte, piena di crepe e
rughe, da nascondere quei tanti misteri che il ragazzo stava scoprendo.
 Mentre la lince si era fermata indietro ad aspettarlo, cosi gli sembrava di
capire, da riprendere poi la marcia appena il ragazzo le si era avvicinato ad
accarezzarla contenti entrambi, nel parlarle sotto voce alla bella lince
nordica: < Grazie amica lince! Ti seguo tranquillo e immagino che mi
condurrai fuori da questa grotta secolare.. > tentando di rassicurarla ed
esserne contento del suo prezioso aiuto. Nel camminare un po’ a tentoni,
poi si trovarono davanti ad un’altra apertura che scendeva ripida più giù
nel buio profondo, da farlo impensierire, ma vedendo l’animale che
scendeva tranquilla, si mise a seguirla scivolando decisamente dentro a
quel budello sempre più buio. Pensando a dove andavano a finire,
sperando di non finire in mare la più sotto in quel buio pesto e freddo?..
 Il sedere gli scottava per la lunga discesa a scivolare sul granito, per
fortuna arrivarono veloci alla base e si trovavano in un ampia caverna, che
veniva illuminata da un paio di piccole apertura sulla parete della
montagna che si aprivano sul mare di fianco, da sentirne il rumore delle
onde che s’infrangevano contro la montagna poco più in basso e la
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salsedine entrava dentro alla caverna a folate accompagnate dal vento
gelido dell’inverno in corso, da risvegliarlo per bene da quella specie di
disavventura capitatogli addosso.
 Capendo però che quella gallerie erano state fatte dall’uomo, molti anni
prima in quel posto. Immaginò sorpreso Arold, ed era ormai più che sicuro
di ciò che affermava. Erano senz’altro grotte scavata da antichi vichinghi,
per ripararsi dalle intemperie e sadici predatori a quei tempi di ferruginose
guerre tra tribù rivali? Oltre svernare lì, nei lunghi freddi inverni nordici.
 Arold si girò e guardò la lince che si era fermata su di un rialzo a
guardarlo tranquilla in attesa, forse il suo compito era giunto al termine
nell’aiutarlo, immaginò il ragazzo, un po’ rinfrancato per la sua presenza e
amicizia, che si stava rinfrancando man mano che passavano le ore.
 Comunque Arold, al momento doveva trovare una via d’uscita. Mentre si
prendeva nella mano un po’ d’acqua che scendeva dal soffitto della grotta,
a berne un poco per l’arsura che aveva addosso, oltre la fame addosso, dai
tanti crampi che scuotevano il suo stomaco vuoto.

 Poi si guardava attorno, capendo che la luce esterna volgeva ormai al
tramonto in quel sbiadito sole invernale la fuori. Dovevano essere le
quattro pomeridiane, immaginò tra sé Arold, in quei primi giorni di
gennaio, dove l’inverno nordico accorciava le ore di luce, perciò molto
corte e pertanto bisognava avere un fuoco o una torcia almeno per vedere?
Arold si ricordò nel toccarsi il piumino addosso, se per caso aveva dei
fiammiferi in tasca, come sovente li teneva, avendo sentito qualcosa? Da
frugare dentro e scoprire di avere un buco in tasca e qualcosa era passato
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oltre. Trafficò un buon momento e alla fine, riuscì a far uscire dalla tasca
qualcosa, una piccola torcia che aveva da tempo immaginato di aver perso.
Invece era la in fondo al bordo interno del suo piumino e ben nascosta..
Arold provò ad accenderla e fu contento che funzionava ancora, da
guardarsi per bene attorno e da trovare forse, quella benedetta uscita, con
un po’ di luce in mano a ridargli speranza e fiducia.
 Guardando in quelle tante piccole gallerie che finivano subito orbe. Poi
infine trovò invece, un’altra galleria che proseguiva e s’immetteva in
un’altra stanza più grande e questa volta, la trovò piena di cianfrusaglie,
cose vecchie del passato, da restare stupito per quel ritrovamento
preistorico, immaginando che mai nessuno era entrato in quel posto.
 Era un posto ricolmo di cose vecchie e antiche, dove c’erano armature
d’illustri personaggi, cose da principi e capi tribù, elmi di condottieri
vichinghi. Vestigia di sovrani che hanno conservato le armature dei
contendenti guerrieri nemici, vinte in battaglie cruenti in quei luoghi, mai
immaginate fossero successe. Nessuno nei dintorni ne sapeva qualcosa?

 Arold si sorpreso e stupito da tanta roba antica deposta da anni in quelle
caverne, un posto ch’era senz’altro solenne e funerario a quei tempi.
 E lui, quel ragazzino biondo, che per caso aveva fatto una straordinaria
scoperta archeologica sul passato vichingo a dimostrare le vestigia di un
tempo in quella grotta, dove mai nessuno aveva ancora menzionato, che ci
fossero stati insediamenti di antichi condottieri vichinghi, da quelle parti?..
Era una cosa veramente straordinaria, da arrivare indenni fino ai giorni
nostri. Una mirabolante scoperta! Ma al momento per Arold, la sua vera

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preoccupazione, era quella di trovare una via d’uscita, altrimenti sarebbe
diventato altrettanto vecchio, come quei cimeli del passato ammucchiati la
dentro, in vari momenti e tempo di quella fantastica storia mai scritta e
raccontata ancora da nessuno. Forse il nonno lo sapeva?
 Impegnandosi a guardare meglio, spostando la torcia a visionare la grotta
e scoprire ancora in un angolo su di un rialzo di duro granito, c’era una
quantità enorme di suppellettili. Tanti gioielli di varie fatture, bracciali in
oro e spade da sovrani. Cose mai viste e sentita menzionare da quelle parti,
di un favoloso tesoro rimasto da secoli nascosto. Trovandosi a lanciare un
fischio di sorpresa, per la grande scoperta fatta proprio per caso: < Wauh!
Che magnificenza! > esplose esterrefatto Arold.
 Dove il buon nonno senz’altro non si sarebbe mai immaginato e accennato
che ci fosse un tesoro vichingo, nascosto lì, sotto casa, tra le montagne ad
Hoddevika? Roba da non credere possa capitare ancora adesso nell’era
2000, da trovare un favoloso tesoro vichingo: < Accipicchia che scoperta
ho fatto! > sbottò euforico il biondo ragazzino un po’ tutto ammaccato, ma
risoluto dal bel risultato che gli era capitato proprio per caso.
  Arold si guardava per bene attorno, da stupirsi da solo, per tutta quella
immensa e tanta roba ammucchiata a dimostrare la solennità del posto,
come una tomba antica e regale, magari gli antenati del posto, venivano lì
a pregare sulle investiture dei propri defunti. Dove i corpi dei defunti,
venivano arsi su di una canoa più che regale e sospinta in mezzo al mare in
fiamme, tra le braccia del Dio Odino a purificarsi e glorificarle in eterno.

 Alla fine Arold scrollando il capo divertito nel guardare la lince rimasta
seduta sulla roccia, che lo fissava incuriosita al vederlo sorridere. Mentre
si faceva luce attorno e scoprire dove fosse quella benedetta via d’uscita.
Comunque, trovò sulla sua destra una piccola galleria che saliva verso
l’alto a gradoni, forse quella conduceva veramente ad un’altra uscita sopra
alla montagna? “Speriamo bene.” suppose Arold a provare.

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Capitolo Quarto

  Nel capire Arold, che forse era veramente la galleria giusta quella,
vedendo la lince salire i lunghi gradino di quella buia galleria a ritornare di
sopra, verso la sommità del monte Mosekievhòmet, sopra la sua testa.
 Ad un certo punto della salita, Arold si trovò al fine dei gradoni e constatò
che era chiusa da una battola dal coperchio di legno spesso e molto
vecchio, che ha fatica tentava di riuscire al alzare una parte di quel
coperchio, con forza, spingendola con la schiena, mentre la lince era già
sgusciata di sopra, attraverso una stretta apertura ai lati tra la roccia.
  Quando Arold a fatica riuscì ha sollevarla, era sfinito e uscire fuori, a
respirare a pieni polmoni per quell’ultimo sforzo fatto e capì appena dopo
che era arrivato a sorpresa dentro la doppia cantina di casa del nonno. Era
stata adibita a cantina e far stagionare il vino che produceva per se stesso.
Riconoscendo gli oggetti che il nonno adoperava sovente per imbottigliare
il vino, le botti e il mastello per far fermentare il grappoli d’uva appena
raccolta dalle viti dietro casa, ed esposta al sole in quelle pochi vite di uva
rossa. “Ecco svelato il mistero?” si trovò a pensare Arold con una certa
contentezza. Capendo soltanto ora come talvolta il nonno spariva via da
casa, da non trovarlo. Nemmeno in cantina. Lui scendeva più sotto, a far
visita ai suoi antenati, forse i più recenti sepolti la sotto. Forse? E quelle
fiabe antiche che raccontava, erano per la maggior parte veritiere, come
ultimo discendente dei vichinghi lì ad Hoddevika, i principi Hervik. Roba
mai immaginata fosse vera. E quella benedetta lince, era la complice di
quei silenziosi racconti, che talvolta serviva al nonno Ervik per scaldarsi i
piedi e fargli compagnia... “Quanti piccoli segreti e misteri svelati ormai
troppo tardi.. Forse il nonno glie li avrebbe raccontati tra qualche anno.
Forse?” immaginò Arold sorpreso e dispiaciuto a non averlo ancora lì
accanto. Borbottando ancora arrabbiato, per averlo lasciato proprio da
solo: < Purtroppo il mondo cammina e non lo si può fermare. Un vero
peccato! > sbottò toccandosi l’unico dono del nonno, che gli aveva donato
prima di morire, l’anello infilato nella catenina di sua madre che teneva al
collo e a ricordargli le sue segrete parole: ( Tienilo ben nascosto Arold. E’
il sigillo dei nostri avi. Non fartelo rubare…) borbottò, mentre se lo
guardava quel giovane ragazzo, ad infilarsi l’anello nella catena di sua

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madre che teneva sempre al collo a ricordo perenne. ( Tranquillo nonno! E’
al sicuro... ) aveva risposto Arold al ricordo.
 Comunque Arold si stava ricordando che da qualche parte, forse a scuola
aveva sentito parlare di quei antichi principi vichinghi, un po’ dimenticati
da tutti A Selije... Non avendo mai ritrovato nulla nei dintorni, sulla storia
degli antichi principi Harvik di Hoddevika. Da farlo inorgoglire, nel capire
che alla fine di quel lungo percorso nella storia del passato e proprio in
quel posto, lui Arold Harvik, era veramente rimasto, quasi in segreto,
l’ultimo dei principi vichinghi lì, al borgo di Hoddevik... Trovandosi a
ridere per la buffa scoperta appena fatta.
 Capendo che nel ritornare al passato Arold, sarebbe stato un ricco giovane
principe che aveva uno stuolo di sudditi e molti soldati al suo comando.
E la, sulla nuda spiaggia di Hoddevika, c’erano le poderose navi vichinghe
a solcare i mari nordici a dar battaglia agli intrusi gallesi e danesi.

 Proprio come il vecchio ritratto di navi vichinghe, che teneva il nonno in
soggiorno a memoria del passato, su quelle scogliere norvegesi.
  Poi il miagolio della lince lo richiamò alla realtà del momento, nel
ricordarsi che avevano entrambi, molta fame e sete, da chiudere l’apertura
per per bene, ad evitare che fosse scoperta per caso, da possibili intrusi a
curiosare, spostando il pesante tavolo a bloccare l’apertura e poi salire di
sopra in casa a mangiare qualcosa, per la fame che avevano e tanta, oltre i
tanti dolori addosso difficili da contare al momento.
Frattanto erano passato nello scantinato superiore, e Arold provò ad aprire
un momento l’apertura del portellone all’esterno per cambiare aria, sapeva
di stantio, da troppo giorni chiusa nel dimenticatoio senza il nonno.
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Trovandosi alla fine ad accarezzare quella benedetta lince che gli aveva
salvato la vita giù di sotto, in quella inimmaginabile grotta o caverna.
 Mentre la lince dal tavolo dov’era salita a curiosare, saltargli addosso
felice da appoggiare le grosse zampe sulla spalla a dimostrare la sua
spassionata amicizia e a sua volta Arold abbracciandola felice, di avere una
valida e sincera amica fidata accanto e trovarsi alla fine a parlare
fraternamente alla lince: < Ti voglio bene! > sbottò Arold deciso e
contento. Nel riprendere a chiederle serio: < Non ti dispiace se ti chiamo
Bella. Mi sembra che si adatta bene a te come nome. Non sapendo come il
nonno ti chiamava.. Comunque, grazie Bella! Sei la mia fidata lince... >
provò a esporre all’animare che la guardava attenta come una sfinge.

  Alla fine dei festosi abbracci, Arold, richiuse l’apertura esterna, da
ritornare di sopra a prendersi qualcosa da mangiare, oltre ricordarsi che in
frizer aveva un pezzo di carne da dare all’amica lince, visto che è rimasta
al suo fianco a fargli coraggio, senza mangiare a sua volta. E lei da
lanciargli subito uno strano miagolio d’approvazione. Bella a quella vista a
ricevere un bel pezzo di polpa da mangiare era più che contenta.
 Arold di fretta si lavò le mani e si portò a tavola da divorare in pochi
bocconi quello che restava della focaccia, con una caraffa di acqua fresca
per dissetarsi e un bel pezzo di formaggio per secondo. Poi smorzato
l’appetito che aveva addosso, si stava per buttarsi sul suo lettino, quando si
ricordò dei documenti del nonno, ch’erano riposti nell’armadio nella sua

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stanza, da andare a prenderli ed infilarli in una spessa cartella. Assieme
alle fotocopie già fatte ai giorni scorsi in municipio per precauzione. Da
trovargli subito un vero e scuro nascondiglio altrove?.. Avendo avuto una
vaga premonizione sul suo futuro, non troppo ben messo e scuro?
 Poi, ormai tardi si mise sul suo lettino nel tentare di dormire un poco, era
veramente stressato e dolorante da faticare ad addormentarsi.
 La lince aveva divorato velocemente il pezzo di carne e alla fine, Bella
fini a sua volta da mettersi sul lettino del ragazzo tutto dolorante a
guardare il vuoto attorno era veramente sfinito, ma un po’ contento del
risultato da avere Bella lì al suo fianco da infondergli fiducia e alla fine
s’addormentò proprio di colpo, e Bella restò la tranquilla a fargli da
guardiano e compagnia.
  Bella, sembrava che capisse che quel suo amico Arold avesse bisogno di
protezione, da non muoversi dove si era messa a riposare a sua volta.

Nella notte però, c’erano stati dei rumori strani e la lince andò a controllare
cosa poteva essere? Trovando della persone che si aggiravano attorno alla
casa. Poi uno borbottò qualcosa all’altro sotto voce: < Andiamo via,
torneremo un’altra volta. C’è la luce accesa in cucina.. Andiamo! >
allontanandosi dalla casa, mentre la lince sbuffava nel suo modo, forse
pronta ad aggredirli. Poi ritornò dentro casa a controllare il suo amico che
dormiva tranquillo. Infine uscì di nuovo e seguì le tracce degli intrusi, da
trovarli più a valle in casa di un trafficante stagionale, che era ben
intenzionato a far loschi affari ed era uno di quelli che andava in giro a dire
che aveva comperato per poche corono tutto il terreno del vecchio Harvik.

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La lince s’infilò dentro al magazzino e controllò quell’incontro tra i due
visitatori notturni su a casa del piccolo Arold. E l’altro uomo che chiedeva
ai due: < Beh’, allora avete recuperato quei documenti? >
      < C’era la luce accesa in casa. Quel ragazzino è da spedire via alla
veloce, se vogliamo fare un buon affare con quegli inglesi che intendono
costruirci sopra. Dovremo cambiare tattica e magri far sparire proprio tutto
in un solo colpo. Senza documenti, niente prove. Giusto? >
      < D’accordo! Diamoci da fare uno di questi giorni. Io faccio un salto
a Londra, ha rassicurare il grasso compratore... >
 Vedendoli andar via, la lince capì che poteva tornare dal suo amico Arold.
Doveva fargli da guardia del corpo, adesso che non c’era più il nonno.

 Arold si era svegliato di soprassalto e un po’ spaventato, guardandosi
attorno e capire di aver fatto un brutto sogno, anzi era un incubo che
sembrava scaturito fuori dal suo inconscio passato in quella grotta.
  La testa gli doleva ancora un poco, e la ferita sulla fronte sotto i capelli,
sembrava rimarginata da sola. Poi si alzò con fatica a cercare di riordinare
per bene le sue idee, più che confusa, a rimescolare ciò che gli era capitato
il giorno prima, lavandosi il viso e cambiarsi i vestiti sporchi dalla sua
brutta avventura, di aver trovato e per caso scoprire i suoi vecchi antenati...
 Da rammentarsi per bene, che sotto casa aveva un immenso tesoro, dal
valore inestimabile da valutare per bene in seguito, oltre la storia che si
portava dietro racchiuso in quelle caverne preistoriche dei suoi antenati del
passato più che lontani e trapassati. Ma al momento potevano diventare
preoccupante se lo si veniva a sapere attorno, da far veramente gola.
Capendo che a soli nove anni appena compiuti il 5 gennaio. Non poteva
svelare quell’immenso patrimonio archeologico a qualsivoglia. Nemmeno
allo stato norvegese, da trovare per caso o per davvero qualche scaltro e
furbo ministro, interessato alla favolosa scoperta, esposta per caso
innocentemente ai quattro venti dal giovane Arold fiducioso. E pertanto,
l’avrebbero subito sistemato, da tagliarlo fuori dal risultato finale e magari
far figurare che lui, il ragazzino non centrava un bel niente, da avere avuto
delle belle allucinazioni fantasiose, a raccontare storie, dopo che il bottino
era ormai sparito altrove. Da risultare strambe le storie raccontata dal
vecchio nonno rincitrullito e non per nulla vere. Rammentandosi che al
funerale del nonno, aveva sentito dei bisbigli tra i conoscenti e altri
sconosciuti, dove qualcuno sembrava già interessato alla casa del nonno,
immaginando che da certi documenti in mano ad altri, si vociferava che la
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casa era già stata ipotecata e pertanto altri in sordina, erano divenuti i
nuovi proprietari alla sua insaputa? Erano soltanto voci, ma potevano
essere vere, e qualcuno aveva già falsificato dei documenti, da perdere
ogni cosa e avere per Arold, che ne dubitava fortemente, sapendo che il
nonno avrebbe mai chiesto dei prestiti da altri del borgo o dalla città più
vicina, il capoluogo Selije? Ma l’ingordigia era sempre presente e molti ne
avrebbero approfittati di sistemare alla svelta il ragazzino racconta storie,
in qualche casa famiglia ed appropriarsi facilmente della casa e terreni
attorno, con un bel colpo magistrale e avere tutto quel terreno libero e
pronto da essere edificare al progresso virtuale in espansione? Certo che
bisognava prima controllare le eventuali firme sui documenti?..
 Oltretutto poi, se qualcuno s’immagina dell’esistenza di quella galleria
sotto casa e trovare un immenso tesoro ammucchiato all’interno, avrebbero
venduto anche l’anima per averla e dichiarare anche il falso per arraffare
tutto e frodare anche il governo assieme, dove la capitale Oslo era
abbastanza lontana a vederci chiaro.
 Proprio la sotto la casa del nonno, in quelle grotte da esplorare per bene,
senz’altro non c’era e non c’è scritto da qualche parte che lui Arold era ed
è l’unico erede di quegli antichi principi viching predatori. Pertanto come
minorenne, lo stato norvegese avrebbero dovuto affiancargli un tutore, per
instradarlo ad una buona crescita ad istruirlo al meglio e magari, nel
frattempo il tesoro sparire via silenziosamente nel finire in casa di ricchi
amanti d’archeologia e storia antica, da possedere avidamente una buona
parte di antica storia vichinga, inglobata nella propria dimora altrove, oltre
gli Oceani nel mondo... “Con il danaro si può ammucchiare altri soldi”.
  Capendo Arold che ciò che pensava non era lontano dalla verità odierna.
Alla fine tralasciò quei pensieri farlochi al momento e si impegnò a
sistemarsi al meglio. Era già ormai mattino e lui doveva andare a scuola,
per non perdere le vecchie abitudini e non dar dei falsi dubbi e pretesti ai
concittadini, che non sempre erano d’accoro, sulle questioni comunali del
loro villaggio lì, in quelle tre case, sparpagliate nella loro valle che sfocia
sul mare nordico norvegese. C’era sempre chi si preoccupava degli affari
d’altri e pertanto erano quelli che creavano confusione e scompiglio, al
come pensare a sistemare da qualche parte e possibilmente lontano, il
ragazzino senza genitori o parenti prossimi? Quello era in primo pensiero
che Arold andava a immaginarsi per d’avvero.

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Capitolo Quinto

 Alla fine Arold si mise la sua giacca a vento e il capello di lana in testa,
infilare i guanti di lana e prendersi il suo zainetto con dentro i libri di
scuola e scendere dal monte con un paio di racchette per non sprofondare
nella neve alta, salutando la lince Bella che lo stava osservando silenziosa.
Mezz’ora dopo era già davanti alla scuola del borgo di Hoddevik.
 Il giovane insegnante era già all’interno ad aspettare gli alunno del posto.
Aveva da istruire quattordici ragazzini, sei maschi e otto femmine, dai sette
anni ai tredici anni, compreso Arold Harvik, il biondino vichingo come lo
chiamavano i compaesani scherzosi.
  L’insegnante aprì la porta da far entrare i primi alunni rientrati dopo le
festività, appena lasciate alle spalle: < Buon giorno ragazzi! Tutto bene? >
        < Buon giorno a lei professore Fedrik! < rispose deciso Arold per
primo. Seguito da altri compagni, ancora assonnati e brontoloni.
  Poi l’insegnante, rivoltosi ad Arold nel dire: < Mi dispiace Arold per la
perdita di tuo nonno. Comunque per qualsiasi cosa se hai bisogno, noi
siamo qui, assieme a mio fratello Jacob, se occorre. D’accordo?... Dai
ragazzi mettetevi comodi ai vostri posti. > consigliò il professore. Mentre
l’aula della scuola si stava riempendo dei giovani alunni un po’ ammusoliti
per il rientro e riprendere le lezioni scolastiche.
  La ragazzina Lucia si era affrettata a sedersi accanto ad Arold, nel
chiedergli: < Ciao Arold! Come ti sei fatto quella ferita sulla fronte? >
       < Mentre rincorrevo la lince del nonno, ho sbattuto la testa contro un
spigolo dell’armadio. Ecco tutto qui! E tu come hai passato le festività
natalizie? Ho sentito dire che eravate a Bergen. Giusto? >
      < Sì! Eravamo a casa di parenti... > ma interrotti dal trambusto dei
compagni che guardavano fuori dalla finestra, nel dire un po’ stupiti di ciò
che c’era la fuori sulla neve: < Guardate! C’è un bella lince la fuori! >
 Prontamente a tale vista Arold, sbottò a dire deciso: < E’ la lince di mio
nonno ed è venuta a aspettarmi all’uscita da scuola. Si sente sola senza il
nonno a giocare. > commentò velocemente Arold ha calmare quel troppo
interesse e con la paura che qualcuno del borgo vedendo la lince presso la
 scuola non tenti d’impallinarla con la doppietta. Da sentire alle sue spalle
dire i compagni stupiti: < Hai una lince per amica? >

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Anche il professore Fedrik, provò a dire qualcosa per far ritornare gli
alunni ai propri posti: < Mi sembra una bella cosa che il nonno di Arold
abbia ammaestrato quella lince da far compagnia al nipote. Ed ora che è
sola nel venire ad aspettarlo davanti la scuola... Bene! Adesso ragazzi
mettetevi comodi e vediamo di riprendere le nostre lezioni. >
 Mentre la piccola Lucia che aveva un debole per il solitario ragazzo,
provava a bisbigliare ad Arold: < Ma non hai paura che ti morda? Io ne
avrei, averla per casa.. > commento di soppiatto.
    < E’ come avere un grosso gatto affezionato che ti fa le fuse. > rispose.
    < Acciderba! Dev'essere bello.. > rispose Lucia guardando il professore
che la riprendeva con una occhiata severa. E Arold di nascosto le faceva
intendere che avrebbe provato a farla conoscere alla ragazzina Lucia. Poi
s’impegnarono nel dedicarsi alle lezioni che il professore stava illustrando
alla classe lo svolgimento del programma scolastico per l’anno nuovo.
 Lucia incuriosita, stava guardando a cosa stava scrivendo Arold sul suo
quaderno. Mentre fuori la lince da lontano li teneva d’occhio oltre o vetri
doppi delle finestre della scuola. Guardando l’insegnante intento ad istruire
quei pochi alunni del borgo, della valle di Hoddevika.

 A mezzo giorno la campanella in mano al professore stava suonando la
fine delle lezioni e tutti euforici, via di volata verso le proprie abitazioni.
Oltre approfittare a guardare da lontano la lince tranquilla, rimasta seduta
sul cassonetto dalla stalla di fronte, senza scomporsi al baccano dei
ragazzini a gridare contenti la fine della lezione e correre nella neve.
 Arold e Lucia uscirono assieme, da far vedere la lince da vicino, da non
saper bene se l’animale accetti un’estranea. Ma essendo in compagnia del

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ragazzo la lince sembrava che acconsenta a essere avvicinata. D’altronde
la lince in silenzio, era arrivata giù dal monte da sola da restare tutte quelle
ore la ferma ad aspettare il suo amico Arold. Mentre loro si avvicinavano
all’animale, lei tranquilla saltò giù dal cassonetto da correre incontro al suo
amico. Arold si abbassò ad accarezzarla e lei a far le fuse girandogli
intorno alle sua gambe e strofinarsi contro. < Ciao Bella! > Arold alzò il
capo e guardò Lucia: < Vuoi provare ad accarezzare Bella? > gli chiedeva.
  Lucia al principio era un po’ titubante, poi provò a toccarla leggermente,
da capire che la lince non reagiva a scacciarla, mentre Lucia provava a dire
 sorpresa: < Che morbida pelliccia calda, hai Bella! Sei veramente bella! >
  Anche il professore Fedrik era rimasto fermo la sulla porta della scuola, a
 osservare quell’approccio dei due ragazzini con quella bella lince nordica,
da vedere Lucia a sorridere al contatto vivo e poi con le mani
nell’accarezzare e toccare l’animale più che tranquilla e fiduciosa. Nel dire
al compagno: < Non mi avevi mai detto che avevi una lince in casa? >
      < In verità prima era sempre con il nonno. E adesso si sente sola e mi
viene dietro. Come vedi, è rimasta qui tutte queste ore ad aspettarmi. >

Mentre si avvicinava il professore con una ciotola in mano, nel chiedere al
ragazzo: < Piacciono alla tua lince i crostacei? > abbassandosi e allungare
la mano, da vedere con una certa diffidenza la lince avanzare sospettosa,
ad annusare il pesce, era il pranzo del professore e alla fine da accettarlo,
aveva fame l’animale.
     < Penso che gli vada bene è da ieri senza pranzo.. > stava spiegando
Arold, guardando Bella, la sua lince che affondava il muso nella ciotola e
si mangiava il pranzo offerto dal professore.. Alla fine visto che la lince si
avviava verso casa, Arold provò a dire: < Grazie professore per il cibo...
Beh’, adesso vado su a riassestare la casa e mangiare qualcosa. > rispose.

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Poi salutò: < Ci vediamo a domani. Ciao Lucia! > alzando il braccio.
      < Ciao Arold. Arrivederci professore a domani! > andandosene via la
ragazzina contenta, di aver accarezzato una bella lince nordica.
      < Ciao Lucia! > la salutò l’insegnante < Salutami tuo padre. Il nostro
borgomastro di Hoddevik. > mentre Lucia si allontanava, sulla strada
innevata verso casa sua, poco distante dalla scuola.
  Quando Arold si avvio zoppicando verso casa, il professore lo richiamò
sorpreso: < Arold! Cosa ti è capitato che zoppichi? >
  Arold si girò nel rispondere: < Sono caduto sulle scale all’esterno, il
ghiaccio mi ha sorpreso. Comunque va tutto bene professore! >
        < Non mi sembra affatto ragazzo! Anzi puoi fermarti un momento e
entrare in classe vorrei chiederti una cosa importante.. >
        < Certamente! D’altronde anche io avrei da chiederle qualcosa
professore? Su certe supposizioni che circolano in giro... >
Mentre entrava in classe e sedersi su di una panca dietro la porta. Il
professore provò a dire, con fare tranquillo: < Tra le cose di tuo nonno, hai
per caso guardato se vi sono dei documenti della vostra casa? Sai quelle
scartoffie che servono ai giorni nostri e dissipare dubbi? Documenti
catastali della casa e terreni attorno, che tuo nonno possedeva? >
        < Ha sentito anche lei professore, quelle dicerie strambe, sul conto di
mio nonno? Cose che qualcuno blatera di aver già comperato e pagato
bene la case e il terreno attorno, da mio nono? > espose deciso Arold.
        < Già, proprio di quelle voci che circolano qua attorno? >
        < Ha perfettamente ragione! Siamo una trentina di famiglie qui in
valle e già c’è chi pensa agli affari degli altri. Roba da matti!? Io sono
sicuro che il nonno non ha mai venduto nulla. Lui amava molto la sua casa
e il terreno attorno... Posso esprimere una mia opinione, professore? >
       < Certamente Arold! Anzi così ci si comprende meglio. >
       < Vedrà che tra poco verrà qualcuno degli assistenti sociali, per farmi
sistemare altrove e prendersi la mia casa.. Giusto? >
        < Hai perfettamente ragione Arold. Già l’altro giorno in una riunione
comunale ho dovuto discutere e controbattere. C’è già chi ha proposto di
mandarti a Maley, in una bella casa famiglia, a 130 km. Da qui.. >
       < Fin laggiù! Non ci sono mai stato.. Qui nessuno vuole farmi da
tutore? Poi spedirmi il più lontano possibile da non vedere nulla e
appropriarsi di tutto.. Questo è quello che succederà e io, non posso dire e
pretendere nulla di ciò che è mio adesso. Col fatto che ho solo nove anni. >
       < Hai perfettamente ragione Arold! Sei l’ultimo degli Harvik. >
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< Capisco che la legge è fatta per essere rispettata, ma ciò non vuole
dire che a nove anni sono deficiente e non so ragionare come un adulto. >
      < Arold conosci bene mio fratello Jacob e la sua ragazza Melissa? >
      < Certo che li conosco, vado sovente da loro in negozio a prendere
qualcosa per il nonno, prima. Adesso non ho più la pensione del nonno e
non ho soldi da spendere. Mi arrangio con quello che ho in casa e mi
fornisce l’orto di casa d’estate. In verità sono un po’ messo male…
Comunque il nonno mi aveva insegnato come sopravvivere... >
      < Beh’, si! Se ne parlava alla riunione e loro due, mio fratello e
Melissa, sarebbero disposti a farti da tutore. Sempre se ha te ti sta bene. Tu
cosa ne pensi? Di avere un tutore qui e rimanere nella tua casa e poter
arrivare fino ai diciott’anni? > espose il professore.
      < Sarebbe straordinario possa succedere! E alla fine del loro mandato
li saprei ricompensare per bene.. Jacob mi ha insegnato a fare del surf. >
       < Già, ricordo bene, come sai navigare bene sulle onde del mare.
D’altronde bisognerà far intendere agli altri nella commissione comunale,
per confermare assieme all’agente statale. Quelli dell’assistenza sociale. >
      < Professore Fedrik, ma la mi parola non conta proprio niente? >
       < Per fortuna che abbiamo il borgomastro dalla nostra parte ad essere
solidale e ha dimostrare che è la cosa migliore da fare, senza traumatizzarti
tanto a spedirti lontano. Vedrò di trovare altri sostenitori per farti restare
qui nella nostra comunità. Oltre tutto sei un alunno per ben inserito.
Tranquillo!.. Approposito, che è già tardi.. Dai vieni con me a casa nostra a
pranzo. Dovrebbero arrivare anche Jacob e Melissa, il vento sta calando e
perciò basta fare del surf per oggi. Sono laggiù sulla spiaggia, a farsi
gelare il culo. Con sto freddo fare del surf è proprio da matti!.. >

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< Ma anche a lei piace fare il surf, ed è bravo professore!.. >
     < In verità preferisco d’estate. Poi sono impegnato qui a scuola. E fin
ora non hanno trovato un insegnante fisso, da mettere qui.. Dai andiamo a
casa a mangiare tutti assieme. Vieni Arold! >
      < Grazie professore! Non vorrei disturbare. Poi a casa ho abbastanza
roba da mangiare, il nonno vi aveva insegnato a preservare il cibo per i
mesi duri dell’inverno.. Oltretutto ho la lince che è laggiù che m’aspetta.
In verità gli devo molto, mi ha salvato la vita, dal morire assiderato e con
la sua pelliccia mi ha riscaldato per bene.. Ed incomincio ad affezionarmi
veramente. Non l’avrei immaginato di avere per amica una lince. >
     < Tu non me la racconti giusta. Come ti sei fatto quelle ammaccature e
lo zoppicare.. Dai raccontami per bene? Mi sa che dovresti farti vedere da
un dottore. Anzi Melissa come farmacista ti potrà dare una sbirciatina e un
primo suggerimento.. Anche le ferite lievi bisogna curarle bene, per non
avere in seguito di problemi. Dai seguimi a casa a pranzare assieme. Così
Melissa appena rientrano ti darà un’occhiata. La nostra matrigna Ada sa
fare delle buone pietanze.. Dai adiamo! La lince se ha piacere può venire a
sua volta. > guardandosi attorno uscendo fuori dalla scuola, mentre Fedrik
chiudeva la porta dell’istituto scolastico.
Arold guadò a sua volta dove fosse la sua lince, poi la vide era la sulla
neve che li osservava, da provare a dire: < Dai Bella, vieni con noi! >
     < L’hai chiamata Bella, si adduce bene alla lince nordica. >
Lei la lince era la dietro l’angolo sdraiata sulla neve, che li sbirciava e
quando Arold gli fece segno di seguirli si accodò a loro tranquilla. Poi quel
nome che gli aveva dato sembrava che alla lince gradiva essere chiamata.

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