Massime della Cassazione annesse alle vicende processuali inerenti ai casi di abuso sessuale su minori, e la definizione di "Atti sessuali"

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Massime della Cassazione annesse
                       alle vicende processuali inerenti ai casi
                   di abuso sessuale su minori, e la definizione di
                                    "Atti sessuali"
                                      (Ultimo aggiornamento il: 09-07-2015)

Premessa
   L'analisi di seguito proposta altro non è che l'esame delle sentenze emesse dalla
 Cassazione, in particolare della Sez. III, afferenti agli articoli 609 c.p. e seguenti in tema di
 tutela dell'infanzia, che a seguito del riferimento legislativo alquanto vago di "Atti sessuali"1,
 la Suprema Corte è intervenuta, attraverso pronunce e orientamenti giurisprudenziali, a
 definirne il significato. Anche se l'intento del legislatore era quello di unire la precedente
 separazione di reato carnale e quello di libidine in una definizione non lungimirante di
 salvaguardia della sessualità, ha demandato implicitamente al potere giudiziario la più ampia
 definizione del significato di reato sessuale. Tant'è che alcune pronunce giurisprudenziali
 hanno del paradosso nel responsabilizzare l'agente per la sola intenzionalità e idoneità della
 verosimile violenza prevista dall'art. 609 bis del c.p. in consumata o tentata.
   Tuttavia, leggendo le pronunce giurisprudenziali della Cassazione si evince una continua
 mutevolezza del significato di "atti sessuali" da disorientare il cittadino sul limite imposto
 dalla legge, a tal punto che il confine di reato viene determinato di volta in volta con
 motivazione a intenzionalità educativa.
   Dopotutto, una sentenza definitiva deve essere rispettata, sia in un senso che nell'altro, ma
 nel contempo, può e deve essere criticata, perché in ogni caso esiste sempre una
 responsabilità dinanzi ad una assoluzione o condanna.
 Non dobbiamo poi dimenticare quanta importanza il sistema giudiziario fondi sul de relato o
dichiarazione indiretta per valorizzare la responsabilità del soggetto, anche quando l'ascolto
del minore contraddice la testimonianza stessa. La contraddizione viene giustificata con la
consueta rituale pseudo motivazione che il minore ha rimosso la negatività della violenza
subita.
 A nulla vale la dimostrazione scientifica psicologica internazionale dove afferma che le
asserzioni di un disagio, di una emozione, di un trauma... sono aspecifiche e a valore neutro.
Si ricorda che le emozioni si comunicano essenzialmente per mezzo del linguaggio corporeo e

1
 Art. 609-bis. Violenza sessuale.
Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è
punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
 1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
 2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due.
soltanto in misura secondaria e raramente attraverso la comunicazione verbale, così come il
trauma diviene indelebile solo in età adulta e non in quella minorile. Tuttavia il trauma può
dipendere sia da ciò che ci ha offeso, sia da come eravamo predisposti verso l'offesa ricevuta.
  Altresì, è bene ricordare che quando il minore nasce è cognitivamente una scatola vuota, ed è
l'adulto che nel corso della sua crescita riempie il contenitore mnesico con principi e valori,
congiuntamente all'immaginazione.
  Perciò possiamo sostenere che la coscienza non è il frutto del nostro cervello e tanto meno la
consapevolezza primordiale di una proprietà intrinseca della natura, come molti pensano,
bensì la cultura indotta nel periodo dell'infanzia e dell'adolescenza.
  Inoltre, una recente ricerca2 dell'Università di Padova, ha rilevato che 80% dei giovani e dei
minori, visita siti porno on line, in quanto internet è ormai a portata di smartphone. Anche
quando un minore non ha internet è sempre possibile, con la funzione di condivisione
(hotspot) con un amico, visitare qualsiasi sito pornografico, degli oltre due milioni di film a
disposizione,3 e perlopiù senza prevenzione. Pertanto diventa demagogico leggere in sentenza
che la parte offesa non poteva essere a conoscenza di certi gesti, comportamenti o conoscenze
sessuali se non per un vissuto o una violenza con un adulto, se non vi sono riscontri oggettivi.
Anche Frederick Irving Herzberg dimostrò nelle sue ricerche scientifiche che non vi è una
sostanziale differenza fra un bambino abusato e non, per quanto concerne gli agiti in tema di
comportamenti sessuali.
  Per di più, la lettura delle sentenze e degli atti offrono una ulteriore oggettività processuale:
l'inquinamento delle prove dei presunti abusi avviene raramente ad opera dell'indagato, visto e
considerato che nell'immediatezza della denuncia o segnalazione scattano le misure cautelari
o l'allontanamento, bensì dalle indagini, dalle consulenze peritali, dalle difficili valutazioni
intrinseche ed estrinseche delle testimonianze e dalla bassa tassatività della prova, e non da
ultimo dall'immaginazione degli attori di cosa potrebbe essere accaduto. E quando ciò non è
sufficiente si ricorre "per relationem"4. Tant'è che nella fase iniziale di una denuncia per
abuso, quasi sempre, prevalgono gli effetti per relationem, ovvero, data la credenza
incondizionata verso il bambino, la psicosi degli abusi e il de relato fanno si che ogni cosa pur
minima detta dal minore, nella fase delle indagini, viene elaborata con la presunzione
immaginativa del soggetto preposto all'ascolto di ciò che potrebbe essere accaduto, tanto che
le sommarie informazioni non rispecchiano certamente il racconto della presunta parte offesa
ma lo script cognitivo di chi le redige. Tuttavia non mancano gli stereotipi all'incitazione nello
sfogarsi, dell'imbarazzo, del non essere creduto..., affinché l'intertogato riponga la fiducia
incondizionata verso l'ascoltatore, stante la sua autorità, tale da essere indotto
suggestivamente a confermare in modo indiretto l'immaginazione e l'esperienza sessuale
propria dell'intervistatore, creando le premesse e le aspettative del falso positivo (falso abuso).
  E' evidente che stante il sistema di agire degli inquirenti e della procedura processuale,
l'inquinamento del presunto fatto viene infestato già dall'origine in modo irreparabile. Perciò,
se i video e gli atti iniziali non vengono esaminati in modo critico (metodo non verbale) prima
della formazione della prova in dibattimento, il giudizio sarà inevitabilmente di responsabilità
del prevenuto. Aspetto, peraltro, che non viene mai vagliato dalla Cassazione, per effetto
degli stereotipi delle prime dichiarazioni o confidenze, ovvero nessuno ha fatto domande sul
presunto fatto per evitare di rafforzare il ricordo del "trauma subito"..., ancor prima che questo
sia accertato o meno in dibattimento. Questo per effetto del delirio di massa che tutti danno
per certo che abuso vi sia stato e abuso sia confermato con la consueta ritualità: "I giudici del

2
  http://www.falsiabusi.it/notizie/notizie_falsi_abusi/Porno%20on%20line%20giovani%2080%25.pdf
3
  Per ritrovare gli oltre due milioni di siti pornografici è sufficiente digitare su Google.it il vocabolo "scopate"
4
  L'obbligo di motivazione degli atti può essere adempiuto anche "per relationem", ovverosia mediante il riferimento
ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all'atto notificato, quando lo stesso ne
riproduca il contenuto essenziale, cioè l'insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell'atto o del
documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato.
merito hanno affermato la responsabilità del prevenuto in ordine ai reati indicati, sulla base
delle testimonianze delle persone offese5, rafforzate dalle dichiarazioni de relato rese dalle
persone che avevano ricevuto le loro confidenze, nonché sul rinvenimento di materiale
pedopornografico nei computer posseduti dall'imputato". Quando tutto ciò non è sufficiente
si ricorre alla perizia del perito, che pur non essendo una prova decisiva in quanto mezzo neutro,
rimane comunque il giudice libero di adottare la valutazione che reputi più adeguata, purché
ne renda conto con una "idonea" motivazione
 E' sufficiente una sola condizione di quelle esposte perché uno sia condannato alla pena
ritenuta di giustizia.
 Tutto ciò sembra non aver alcun valore per il sistema giustizia, in cui prevale il libero
convincimento del giudice, anche se è discrezionale, presuntivo, inquisitorio o di delega
psicologica, da confermare il detto: "Giudice che trovi sentenza che avrai".
 In altre parole si sostanzia che l'uomo è sempre e comunque responsabile di violenza
sessuale anche dinanzi a un tocco fugace, un abbraccio, un sms, un aiuto o una relazione
umanitaria... verso un qualsiasi minore, stante il meccanismo perverso e incontrollabile della
definizione di atti sessuali.
    Stante si fatta situazione, gli esperti del Centro Falsi Abusi hanno elaborato, per l'analisi
  degli incidenti probatori e delle testimonianze in genere, un sistema altamente scientifico
  sviluppato sul non verbale6, pur essendo una materia scientifica e di dominio pubblico, ove
  la Giustizia diffida e discredita7 i suoi contenuti, anche se il valore probante è pari al 90%
  rispetto al verbale o meglio del dichiarato.8

                                   Comprensione del linguaggio
                                      La comunicazione e la comprensione fra gli esseri umani
                                   avviene attraverso un linguaggio composito, con incidenze
                                   difformi:
                                   1. Non verbale          55% - Immagine visiva - corpo
                                   2. Paralinguistico      35% - Voce - tono
                                   3. Verbale              10% - Parola

                                     Emozioni e sentimenti si manifestano con la postura del corpo e
                                   “la psiche umana vive in un’unione indissolubile con lo stesso”.
                                   Carl Jung
                                     La sola parola non è sinonimo di verità.

     E' evidente che il connubio tra l'orientamento giurisprudenziale in tema di atti sessuali,
    della credibilità e attendibilità con l'analisi delle fermo immagini e la scienza del non

5
  Non ha alcuna importanza che vi siano o meno le dichiarazioni della parte offesa, che siano state indotte o
suggestionate, che vi sia stato fraintendimento...
6
  http://www.falsiabusi.it/documenti/Atti_fatti-.pdf
7
   Un procuratore generale, in udienza, ebbe l'ardire di sostenere che il linguaggio non verbale, presentato con
l'ausilio di mezzi elettronici dalla difesa in occasione di una presunta violenza sessuale, alterava la prova, invitando
la Corte a rigettare la richiesta. La difesa, dopo l'ordinanza di rifiuto, fece verbalizzare dal Cancelliere
l'affermazione, affinché la Suprema Corte di Cassazione avesse l'opportunità di pronunciarsi in merito (dicembre
2014).
8
  Si ribadisce che il valore del metodo non verbale è utilizzato in ogni dove sia come fermo immagini, come moviola
nelle partite di calcio, negli aeroporti internazionali per l'antiterrorismo, dalla Polizia giudiziaria nell'individuare i
responsabili, nella scienza medica, nell'insegnamento didattico e non da ultimo nella vita quotidiana nell'ambito
sociale. Tuttavia, risulta inescusabile e illogico rilevare nel contenuto di una sentenza d'Appello (Bologna) che
l'analisi dell'interazione della comunicazione non verbale tra g.i.p. e minori esaminata al rallentatore o con
l'eliminazione dell'audio o delle fermo immagini è talmente minimale e di scarsissima entità rispetto a quella verbale
trascritta. Il comportamento o postura è la contraddizione del verbale, così come ha dimostrato il padre del non
verbale Paul Ekman. Alcune delle sue opere maggiori sono pubblicate in questo sito alla voce bibliografia.
verbale, inteso come la postura, la voce, il facciale..., non può che migliorare notevolmente
     la tutela dell'infanzia evitando il marchio di abusato/a e del falso abuso (falso positivo).
     Tuttavia ci si augura che la Suprema Corte di Cassazione si pronunci sull'utilizzo della
     comunicazione non verbale, valorizzando i suoi contenuti scientifici, autorizzando la
     videoregistrazione delle testimonianze in dibattimento, alla pari dei collegamenti
     audiovisivi9. Perché se così non fosse, non si spiega come il legislatore abbia prescritto
     l'esame del testimone minorenne possa svolgersi secondo modalità "protette" indicate
     nell'art 398 c.p.p., C. 5 bis,10 mediante documentazione fono-audiovisiva e collegamento
     citofonico.
       Stante quanto premesso si precisa che l'analisi ha avuto come base di riferimento le
     sentenze di assoluzione e di condanna del 2013 e 2014, esclusivamente quelle attinenti a
     minori, esponendo le massime giurisprudenziali della Corte Suprema di Cassazione.
       Sarà nostra cura proseguire con l'opera intrapresa di analisi delle massime giurisprudenziali
     della Cassazione in tema di definizione di atti sessuali, affinché sia sempre più evidente il
     nostro impegno in difesa della giustizia, ma non certamente a guisa della pedofilia. Così
     come nell'assumere incarichi nei procedimenti giudiziari ove necessiti la nostra esperienza e
     professionalità acquisita nel tempo in difesa dell'infanzia.
       Infine, onde migliorare le conoscenze acquisite sarà riportata la data dell'ultimo
     aggiornamento a cui fa riferimento l'elaborato, comprese le eventuali collaborazioni e
     segnalazioni di refusi o quant'altro vorrete segnalarci all'indirizzo di posta
     "info@falsiabusi.it".

                                                       *****

Sintesi
      (Alcune sentenze non si trovano in questo elaborato, bensì nel sito http://www.falsiabusi.it/ alla sessione
      giuridica-giurisprudenza-periodo...)
     Linee guida del C.S.M.; Sinpia; Carta di Noto:
          Sent. n. 6464-08; 20568-08; 15157-11; 23065-13; 9006-13; 8057-13; 1678-13;
          1234-13; 50636-14; 45452-14; 41365-14; 39411-14; 38270-14;
     Suggestione, induzione...:
          Sent. n. 8809-09; 23065-13; 39904-14; 518-13; 38270-14;
     Valore scientifico o tecnico:
          Sent. n. 20568-08; 15157-11; 40349-14; 32099-13; 28748-13; 3258-13; 15619-13;
          49616-14;

9
  Legge 7 gennaio 1998 n. 11
10
   5-bis. Nel caso di indagini che riguardino ipotesi di reato previste dagli articoli 572, 600, 600-bis, 600-ter, anche
se relativo al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-ter, 609-
quater, 609-octies, 609-undecies e 612-bis del codice penale, il giudice, ove fra le persone interessate all'assunzione
della prova vi siano minorenni, con l'ordinanza di cui al comma 2, stabilisce il luogo, il tempo e le modalità
particolari attraverso cui procedere all'incidente probatorio, quando le esigenze di tutela delle persone lo rendono
necessario od opportuno. A tal fine l'udienza può svolgersi anche in luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il
giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l'abitazione della persona
interessata all'assunzione della prova. Le dichiarazioni testimoniali debbono essere documentate integralmente con
mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. Quando si verifica una indisponibilità di strumenti di riproduzione
o di personale tecnico, si provvede con le forme della perizia, ovvero della consulenza tecnica. Dell'interrogatorio è
anche redatto verbale in forma riassuntiva. La trascrizione della riproduzione è disposta solo se richiesta dalle parti
Definizione di "atti sessuali o molestie ":
          Sent. n. 2941-99; 25727-04; 44246-05; 21167-06; 4532-07; 25112-07; 6643-10;
          3074-11; 12506-11; 23094-11; 41096-11; 7365-12; 19033-13; 19458-13; 20370-13;
          21910-13; 26440-13; 31290-13; 42871-13; 40349-14; 32597-14; 48975-14; 46170-
          14; 39904-14; 30902-14; 28423-14;
     Valore della testimonianza:
          Sent. n. 5009-07; 39994-07; 4069-08; 44644-11; 29612-10; 41461-12; 15619-13;
          26619-13;
     Valore del "de relato":
          Sent. n. 37434-03; 18058-04; 9801-06; 1821-07; 13982-08;30964-09; 20804-13;
          23065-13; 39766-13;
     Valore della perizia:
          Sent. n.8962-97; 17629-03; 22066-03; 37033-03; 4981-04; 23278-04; 41676-05;
          14130-07; 37147-07; 44971-07; 45604-07; 46359-07; 1130-08; 13981-08; 20568-
          08; 27742-08; 40973-08; 45126-08; 10085-09; 20252-09; 42899-09; 15157-10;
          1518-11; 15157-11; 38211-11; 45692-11; 1235-12; 34747-12; 1234-13; 8057-13;
          9006-13; 12850-13; 15619-13; 16981-13; 18662-13; 19467-13; 29726-13; 29740-
          13; 32099-13; 37248-13; 44498-13; 39893-14; 44875-14; 49616-14;
     Le emozioni11 si comunicano essenzialmente per mezzo del linguaggio corporeo e
     soltanto in misura secondaria e raramente attraverso il linguaggio verbale.
           Sent. n. 34236-12; 28229-13; 518-13; 39904-14;
     Il trauma12 diviene indelebile solo in età adulta e non in quella minorile. Tuttavia può
     dipendere sia da ciò che ci ha offeso, sia da come eravamo predisposti verso l'offesa
     ricevuta.
            Sent. n. 50636-14; 49616-14; 551-15;
     Circostanze attenuanti:
          Sent. n. 12850-13; 19033-13; 19458-13;
Travisamento della prova
       Sent. n. 5223-07; 39048-07; 9008-13;

 Terminologia delle motivazioni: Contraddittoria, manifestamente illogica, infondata, logica,
apodittica, congrua, granitica, opinabile, coerente e logica, convincente, contraddittoria,
annullamento, misconoscimento, doglianza, insufficienza, uopo, sindacato, prospettazione,
merito, travisamento della prova, parimenti, violazione, conoscenze tecniche, valore neutro,
decisività, consolidati principi, permeata, per relationem, rigorosa, diversa qualificazione, altri
atti indicati nei motivi di gravame, illogicità percepibile ictu oculi (a colpo d'occhio), coerenza
del ragionamento e della logica interpretativa, pedisequa ripetizione dei fatti, principio di
correlazione, immune di vizi, nullità, inutilizzabilità, irregolarità, disamina onnicomprensiva dei
mezzi di prova, cadute motivazionali e logiche paiono colmate, inadeguatezza motivazionale,
rilievi logici, citare qualche frase, tratti istrionici, ignorate obiezioni articolate e documentate,
equivocato, scarsa e apodittica motivazione, ragionevolezza e persuasività, assistite da coerenza
e scevre da contraddizioni oltre che giuridicamente corrette, penetrante e coerente,

                                                    *****
11
     http://www.falsiabusi.it/documenti/Le%20emozioni.pdf
12
     http://www.falsiabusi.it/area_scient/studi/trauma_psichico.htm
Cass. pen. Sez. VI Sent. 26027 del 05-03-2004 - (Libero convincimento del giudice)
 In tema di testimonianza indiretta, qualora la persona alla quale il testimone ha fatto riferimento
sia stata chiamata a deporre e abbia escluso la veridicità di quanto riferito dal teste "de relato", il
giudice può riconoscere attendibilità all'una o all'altra deposizione in base al principio generale
del libero convincimento, non essendo stata posta dal legislatore una gerarchia tra i detti mezzi di
prova. (La Corte ha precisato che, attesa la identità di "ratio" con le regole imposte per la
valutazione del chiamante in correità, sono applicabili alla testimonianza indiretta i principi
stabiliti dall'art. 192 c.p.p., comma terzo).

Cass. pen. Sez. III Sent. n. 2010 del 30-11-2007 - (Libero convincimento del giudice)
  In tema di testimonianza indiretta, in caso di contrasto tra le dichiarazioni rese dal teste "de
relato" e quelle rese dal teste di riferimento, il giudice ben può ritenere attendibili le prime
anzichè le seconde, in quanto, da un lato, l'art. 195 cod. proc. pen. non prevede alcuna gerarchia
tra le dichiarazioni e, dall'altro, una diversa soluzione contrasterebbe con il principio del libero
convincimento del giudice, cui compete in via esclusiva la scelta critica e motivata della versione
dei fatti da privilegiare. (Rigetta, App. Milano, 13 Giugno 2006)

Cass. pen. Sez. I Sent. n. 2224 del 01-02-1995 - (Utilizzabilità degli atti del PM)
 Acquisizione nel fascicolo del dibattimento - Dichiarazioni contenute nel fascicolo del P.M. ed
utilizzate per le contestazioni - Acquisizione delle stesse nel fascicolo del dibattimento nella loro
interezza e non limitatamente alla parte oggetto della contestazione.
Con l'entrata in vigore della legge 7 agosto 1992 n. 356 - che a seguito della sentenza 255/92
della Corte Costituzionale ha modificato gli artt. 500 e 503 cod. proc. pen. - le dichiarazioni
contenute nel fascicolo del P.M. ed utilizzate per le contestazioni possono essere acquisite nel
fascicolo del dibattimento nella loro interezza e non limitatamente alla parte oggetto della
contestazione, tanto più che tale parte si trova già inserita nel fascicolo del dibattimento proprio
per il fatto che è stata utilizzata per la contestazione. Infatti l'integrale acquisizione di tali
dichiarazioni risponde all'esigenza di una corretta interpretazione e valutazione del loro
contenuto in considerazione della loro contraddittorietà con quanto riferito dai testi in
dibattimento. Né costituisce ostacolo alla loro utilizzazione nel giudizio di appello il fatto che i
difensori nel corso del dibattimento di secondo grado non abbiano esercitato il loro diritto al
contraddittorio. Infatti, in mancanza di una richiesta specifica dei difensori diretta alla
rinnovazione del dibattimento, ben possono essere utilizzate, anche senza contraddittorio, le
dichiarazioni dei testi acquisite al fascicolo del dibattimento di secondo grado a seguito della
suddetta sentenza della Corte Costituzionale, tanto più che tali dichiarazioni sono già state
oggetto di contestazione nel corso del dibattimento di primo grado.

Cass. pen. Sez. I Sent. n. 2224 del 29-02-1996 - (Utilizzabilità degli atti del PM)
 Il difensore ha dedotto la violazione degli artt. 500 e 503 c.p.p., rilevando che le dichiarazioni
delle parti lese erano state utilizzate senza che fosse stata data la possibilità ai difensori di
effettuare le contestazioni in contraddittorio ed erano state acquisite nel fascicolo del
dibattimento nella loro interezza e non nella parte in cui avevano formato oggetto di
contestazione. Il difensore ha rilevato, inoltre, che la Corte di merito non aveva indicato le altre
deposizioni testimoniali, che avrebbero confermato l'attendibilità di tali dichiarazioni.
Vanno preliminarmente affrontate le eccezioni di rito dedotte dall'avv. Reina in merito alla
violazione degli artt. 500 e 503 c.p.p. e dall'avv. Vincenti in merito alla violazione degli artt. 603
e 581 c.p.p.
In particolare l'avv. Reina ha dedotto che le dichiarazioni delle parti lese non potevano essere
acquisite nel fascicolo del dibattimento nella loro interezza, ma solo per le parti oggetto della
contestazione; inoltre tali dichiarazioni non potevano essere utilizzate senza che fosse data la
possibilità ai difensori di effettuare le contestazioni in contraddittorio.
Tali motivi sono infondati.
Con l'entrata in vigore della legge n. 356 del 1992 - che a seguito della sentenza n. 255 del 1992
della Corte Costituzionale ha modificato gli artt. 500 e 503 c.p.p. - le dichiarazioni contenute nel
fascicolo del P.M. ed utilizzate per le contestazioni possono essere acquisite nel fascicolo del
dibattimento nella loro interezza e non limitatamente alla parte oggetto della contestazione, tanto
più che tale parte si trova già inserita nel fascicolo del dibattimento proprio per il fatto che è stata
utilizzata per la contestazione.
Infatti l'integrale acquisizione di tali dichiarazioni risponde all'esigenza di una corretta
interpretazione e valutazione del loro contenuto in considerazione della loro contraddittorietà con
quanto riferito dai testi in dibattimento.
Né costituisce ostacolo alla loro utilizzazione il fatto che i difensori nel corso del dibattimento di
secondo grado non hanno esercitato il loro diritto al contraddittorio.
Infatti, in mancanza di una richiesta specifica dei difensori diretta alla rinnovazione del
dibattimento, ben possono essere utilizzate, anche senza contraddittorio, le dichiarazioni dei testi
acquisite al fascicolo del dibattimento di secondo grado a seguito della suddetta sentenza della
Corte Costituzionale, tanto più che tali dichiarazioni sono già state oggetto di contestazione nel
corso del dibattimento di primo grado.
Orbene, nel caso in esame, risulta dai verbali di udienza che i difensori - pur opponendosi
all'acquisizione di tali dichiarazioni nel fascicolo del dibattimento - non chiesero, dopo
l'ordinanza della Corte di merito che ne disponeva l'acquisizione, la rinnovazione del
dibattimento per poter effettuare le contestazioni in contraddittorio.
Ne consegue che alcuna doglianza al riguardo può essere fatta valere in questa sede, in quanto,
se i difensori avessero avuto interesse a sentire i testi in contraddittorio, avrebbero dovuto
chiedere la rinnovazione del dibattimento e, in caso di diniego, impugnare la relativa ordinanza.
Pertanto correttamente la Corte di merito ha utilizzato le suddette dichiarazioni ai fini probatori,
valutandone l'attendibilità insieme ad altri elementi di prova (di cui si dirà appresso). Parimenti
infondata è la censura relativa alla violazione dell'art. 603 c.p.p. dedotta dall'avv. Vincenti sotto
il duplice profilo che il P.M. non aveva richiesto la rinnovazione del dibattimento nei motivi di
appello e che, comunque, tale rinnovazione era stata disposta successivamente dalla Corte in
diversa composizione.
Quanto alla prima censura, occorre rilevare che in tema di rinnovazione del dibattimento l'art.
603 c.p.p. prevede al primo ed al terzo comma due ipotesi diverse.
Nel primo caso, su richiesta di parte, il giudice può disporre la rinnovazione del dibattimento se
ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, mentre nel secondo caso, anche in
mancanza di una specifica richiesta di parte, il giudice, avvalendosi del suo potere integrativo di
ufficio, può disporre la rinnovazione del dibattimento se la ritiene assolutamente necessaria.
L'esercizio di tale potere discrezionale è stato più volte affermato da questa Suprema Corte (vedi
in tal senso anche Sez. Un. n. 17 del 6 novembre 1992, ric. Martin, rv 191606 e rv 191607) e tale
principio è stato confermato dalla sentenza n. 111 del 1993 della Corte Costituzionale, che non
ha posto alcun limite al potere del giudice del dibattimento di assumere nuovo prove di ufficio ai
sensi dell'art. 507 c.p.p., richiamando in motivazione, tra l'altro, il principio già enunciato nella
sentenza n. 255 del 1992 della stessa Corte, ove si afferma che "fine primario ed ineludibile del
processo penale non può che rimanere quello della ricerca della verità" e che "ad un
ordinamento improntato al principio di legalità ... non sono consone norme di metodologia
processuale che ostacolino in modo irragionevole il processo di accertamento del fatto storico
necessario per pervenire ad una giusta decisione".
Cass. pen. Sez. I Sent. 9539 del 23-07-1999 - (Utilizzabilità degli atti del PM)
  La questione relativa alla utilizzazione delle dichiarazioni predibattimentali rese dagli imputati
per reato connesso è posta dalla difesa sotto il duplice profilo dell'ampiezza delle dichiarazioni
utilizzate rispetto ai punti oggetto delle contestazioni mosse, e della finalità della utilizzazione,
attuata non solo per valutare l'attendibilità del dichiarante, ma anche ai fini probatori.
Sul primo punto si rileva che la tesi difensiva contrasta con al giurisprudenza di questa Corte,
secondo la quale "con l'entrata in vigore della legge 7 agosto 1992 n. 336- che a seguito della
sentenza 255/92 della Corte Costituzionale ha modificato gli artt. 500 e 503 c.p.p.- le
dichiarazioni contenute nel fascicolo del P.M. ed utilizzate per le contestazioni possono essere
acquisite nel fascicolo del dibattimento nella loro interezza e non limitatamente alla parte oggetto
della contestazione, tanto più che tale parte si trova già inserita nel fascicolo del dibattimento
proprio per il fatto che è stata utilizzata per la contestazione" (Cass. Sez. I, 29.2.96 n. 2224, ed
altri, RV. 203898. Conforme Sez. VI, 2.4.98 n. 4089, ed altri, RV.210216)
In ogni, caso la doglianza è generica, poiché non sono state indicate le parti delle dichiarazioni,
non utilizzate per le contestazioni, che non sarebbero ad alcun effetto valutabili dal giudice.
Sul secondo tema posto, si rileva anzitutto la correttezza del diniego da parte del giudice di
secondo grado di risentire gli imputati per reato connesso, non vertendosi nella situazione
prevista dal terzo comma dell'art. 6 della legge 7.8.1997 n. 267, modificativo dell'art. 513 c.p.p.
(utilizzazione nel giudizio di primo grado delle persone imputate per reato connesso, acquisite
senza la loro audizione, e possibilità per la parte interessata di richiedere la rinnovazione parziale
del dibattimento al fine di sentirle), bensì in quella, diversa, di già avvenuta audizione delle
persone medesime in contraddittorio nel giudizio di primo grado.
Ciò premesso, è infondata la tesi difensiva secondo la quale le dichiarazioni contenute nel
fascicolo per il dibattimento, utilizzate in primo grado per le contestazioni alle persone indicate
dall'art. 210 c.p.p., varrebbero esclusivamente a valutare l'attendibilità del dichiarante e non a fini
probatori.
Il problema è impostato con riferimento all'art. 503 c.p.p. dal ricorrente, che richiama il quarto
comma di tale articolo, in passato dichiarato dalla giurisprudenza applicabile agli imputati in
procedimento connesso, rientranti tra le "parti private" prese in considerazione dalla norma
(Cass. Sez. VI, 13.10.92 n. 9822, , RV. 192009).
Va rilevata sul punto la notevole evoluzione normativa che ha caratterizzato la disciplina della
acquisizione in dibattimento delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari dalla
entrata in vigore del codice di rito vigente in poi.
Il legislatore del 1988 aveva previsto per la testimonianza che la dichiarazione precedentemente
resa, utilizzata per la contestazione, allora non acquisibile al fascicolo per il dibattimento, non
potesse costituire prova dei fatti in essa affermati, e valesse solo per stabilire la credibilità della
persona esaminata (art. 500 c. 3); ed aveva ribadito lo stesso principio per l'esame delle parti
private, richiamando nell'art. 503 c. 4 il terzo comma dell'art. 500. Il quinto comma dell'art. 503,
peraltro, consentiva già allora l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento delle "dichiarazioni
assunte dal pubblico ministero alle quali il difensore aveva il diritto di assistere", se utilizzate per
le contestazioni. La garanzia costituita dalla presenza del difensore aveva indotto il legislatore
delegante (la norma da ultimo citata corrisponde alla direttiva n. 76 della legge delega) a
consentire un più ampio ingresso nel dibattimento, attraverso il meccanismo delle contestazioni,
delle dichiarazioni risalenti alla fase delle indagini preliminari rese dalle parti private rispetto a
quelle provenienti dai testi.
Il sistema originario ha subito una radicale trasformazione in conseguenza della sentenza
costituzionale n. 255 del 1992, che ha modificato l'art. 500 c. 3 c.p.p. consentendo l'ingresso nel
fascicolo per il dibattimento delle dichiarazioni precedentemente rese dal teste utilizzate per le
contestazioni; della sentenza costituzionale n. 254 dello stesso anno, che ha dichiarato la
illegittimità del secondo comma dell'art. 513 c.p.p. nella parte in cui non prevede che il giudice,
sentite le parti, dia lettura delle dichiarazioni rese in precedenza dalle persone indicate dall'art.
210 c.p.. che si avvalgano della facoltà di non rispondere; dal d.l. 8.6.1992 n. 306, convertito
nella legge 7.8.1992 n. 336, che con l'art. 7 ha modificato l'art. 500 c.p.p. consentendo, al quarto
comma, la valutazione delle precedenti dichiarazioni rese dal teste ai fini di prova, e con l'art. 8
ha esteso l'ambito delle dichiarazioni della parte privata acquisibili al dibattimento a seguito di
contestazione.
Già sulla base di tali primi interventi questa Corte ha ritenuto che dal contesto storicizzato del
regime di utilizzazione delle dichiarazioni, tratto dalle norme e dagli interventi costituzionali
sopra menzionati, si evince che "l'ipotesi del coimputato che rifiuti di rendere le dichiarazioni è
stata inserita nel sistema "speciale" disciplinato dall'art. 513, primo comma, che concerne il
potere del giudice di disporre la lettura (a cui consegue l'allegazione al fascicolo per il
dibattimento, ex art. 515 c.p.p.) delle dichiarazioni rese fuori dal dibattimento dai coimputati"
(Cass. Sez. VI., 1.6.94 n. 6422. ed altri, RV. 197857. Conforme, Cass. Sez. VI, 5.9.95 n. 9320, ,
RV. 202040).
Successivamente, la legge 7.8.1997 n. 267 ha modificato, all'art. 1, il testo dell'art. 513 c.p.p.,
disponendo, al fine di garantire la formazione della prova in contraddittorio, l'audizione diretta
delle persone indicate dall'art. 210 c.p.p., e l'acquisibilità delle dichiarazioni precedentemente
rese, qualora il dichiarante nonostante le misure adottate non si presenti ovvero presentatosi si
avvalga della facoltà di non rispondere, soltanto su accordo delle parti. L'art. 6 c. 5 della legge
citata prevede espressamente che nella situazione sopra descritta "le dichiarazioni rese in
precedenza possono essere valutate come prova dei fatti in esse affermati", in presenza di altri
elementi di prova rigorosamente determinati.
Sulla modifica all'art. 513 c.p.p. introdotta dalla legge n. 267/97 é intervenuta la Corte
Costituzionale, la quale con sentenza n. 361 del 1998 ha affermato che ciò che nella legge
"delinea un sistema privo di ragionevole giustificazione è che la utilizzabilità delle precedenti
dichiarazioni venga fatta dipendere dalla scelta meramente discrezionale dell'imputato in
procedimento connesso di rispondere in dibattimento su fatti concernenti la responsabilità di
altri, dopo che il medesimo imputato, pur avendo la facoltà di non rispondere a norma dell'art.
210, comma 4, c.p.p., si era in precedenza consapevolmente risolto a rendere dichiarazioni erga
alios".
Dopo aver osservato che "non è conforme al principio costituzionale di ragionevolezza una
disciplina che precluda a priori l'acquisizione in dibattimento di elementi di prova raccolti
legittimamente nel corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare"; dopo aver
richiamato il proprio intervento fondato su analogo rilievo attuato sull'art. 500 c.p.. con la
sentenza n. 255 del 1992 e la modifica coerente alla sentenza medesima attuata dal legislatore
sulla norma stessa con il d.l. n. 306 del 1992 convertito nella legge 356/92; dopo aver rilevato
che "sul terreno processuale l'imputato in procedimento connesso è in gran parte già sottoposto
alla disciplina propria dei testimoni"; al fine di ovviare la irragionevolezza rilevata, indica come
"coerente con il rispetto dei principi costituzionali di cui è stata denunciata la violazione che alle
persone indicate nell'art. 210 c.p.p. vengano applicate le regole relative alle contestazioni
previste per i testimoni anche in caso di rifiuto di rispondere: mediante il sistema delle
contestazioni di cui all'art. 500, comma 2 bis c.p.p., dalla parte che ha chiesto l'esame è data
infatti la possibilità di portare direttamente davanti al giudice il contenuto delle dichiarazioni rese
in precedenza e alle controparti di sottoporle al vaglio critico, sollecitando e favorendo eventuali
ritrattazioni, correzioni e chiarimenti". Si giunge cosi alla dichiarazione di "illegittimità
costituzionale dell'art. 513, c. 2, ultimo periodo, c.p.p.. nella parte in cui non prevede che,
qualora il dichiarante rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere sui fatti
concernenti la responsabilità di altri già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni, in mancanza
dell'accordo delle parti alla lettura si applica l'art. 500, commi 2 bis e 4, del codice di procedura
penale".

Cass. pen. Sez. III n. 20568 del 22-05-2008
Ricordato che l'attuale codice di rito prevede come motivo di ricorso per cassazione, attinente
alla motivazione della sentenza impugnata, esclusivamente la mancanza o la manifesta illogicità
di essa (quando detti vizi però risultino dal testo stesso del provvedimento), e non anche la sua
insufficienza, reputa il Collegio che, nel caso in esame, non ricorra alcuna di tali ipotesi, avendo
i giudici del merito spiegato, approfonditamente ed in maniera non manifestamente illogica, le
ragioni del proprio convincimento. In particolare, per quanto attiene al giudizio di penale
responsabilità dell'imputato, è d'uopo ribadire che l'indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla
Corte di cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza
di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di
verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per
sostanziare il suo convincimento. Esula, infatti, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una
"rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via
esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze
processuali.
Nè tale orientamento è mutato per effetto della riforma dell'art. 606 c.p.p. ad opera della L. n. 46
del 2006, giacché il cd. "travisamento della prova" ricorre nei casi in cui si sostiene che il
giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su un
risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (purchè entrambi determinanti), per
cui non si sostanzia comunque in una reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal
giudice di merito ai fini della decisione, ma solo nel verificare se questi elementi esistano.
Peraltro il Collegio condivide l'orientamento recentemente affermato da questa Corte (Cass. Sez.
2, 10 gennaio 2007, n. 318, Conte13; Sez. 2, 19 ottobre 2006, n. 35194, De Matteo14 e altri),
secondo il quale il menzionato vizio di "travisamento della prova", consistente - lo si ripete -
nell'utilizzazione, ai fini della decisione, di un'informazione ritenuta decisiva e che invero ius
receptum del processo, o nell'omissione della valutazione di una prova parimenti decisiva, può
essere fatto valere nel caso in cui l'impugnata decisione abbia riformato la sentenza di primo
grado, perché in caso di cosiddetta doppia conforme - come nella ipotesi di cui trattasi - il limite
del devolutum15 non può essere valicato, salvo che il giudice dell'impugnazione, per superare le
critiche mosse al provvedimento di primo grado, abbia individuato atti a contenuto probatorio
mai prima presi in esame.
Manifestamente infondata è la seconda, con la quale, come si è detto, si denuncia la violazione
della norma processuale che circoscrive oggetto e limiti della testimonianza (art. 194 c.p.p.), con
riferimento alle deposizioni dei predetti testi S., C. e T.. Infatti, premesso che, ai fini della
formazione del libero convincimento del giudice - soprattutto in tema di reati sessuali, il cui
accertamento deve passare sovente attraverso la necessaria valutazione del contrasto delle
opposte versioni di imputato e vittima, se soli protagonisti dei fatti - ben può tenersi conto delle
dichiarazioni della p.o. che, se ritenute intrinsecamente attendibili, costituiscono una vera e
propria fonte di prova, sulla quale può essere fondata, anche esclusivamente, l'affermazione di
colpevolezza dell'imputato, purché la relativa valutazione sia logicamente e adeguatamente
motivata, è ius receptum16, in tema di prova testimoniale, che il divieto di esprimere
apprezzamenti personali - posto dall'art. 194 c.p.p., comma 2, - non si applica nel caso in cui il
testimone sia persona particolarmente qualificata, in conseguenza della sua preparazione
professionale, quando i fatti in ordine ai quali viene esaminato siano inerenti alla sua attività,
giacché l'apprezzamento diventa inscindibile dal fatto, dal momento che quest' ultimo è stato

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   Vedere allegato A
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   Vedere allegato A
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   Vale altresì il brocardo: tantum devolutum quantum appellatum, in altre parole: il Giudice dell'Impugnazione non
potrà decidere, anche se gli si manifestasse dagli Atti, su di un punto o capo dell'impugnato Provvedimento se lo
stesso non è stato dedotto nell'Atto d'impugnazione.
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   Perdita di opportunità
necessariamente percepito attraverso il "filtro" delle conoscenze tecniche e professionali del teste
(Cass. Sez. 5, 3 novembre 200417, n. 42634, Comberlato; Sez. 3, 30 gennaio 1999, n. 124718,
Crispolti).
Per quanto concerne, infine, la doglianza avente ad oggetto la mancata sottoposizione della
minore a perizia medica per valutarne la personalità e la credibilità, non può che richiamarsi il
costante indirizzo di questa Corte (Sez. 4, 5 aprile 2007, n. 14130, Pastorelli e altro; Sez. 4, 6
febbraio 2004, n. 4981, PG/Ligresti e altro; Sez. 6, 26 settembre 2003, n. 37033, Brunetti; Sez. 6,
4 aprile 2003, n. 17629, Zandri), secondo cui la mancata effettuazione di un accertamento
peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1,
lett. d), in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di "prova decisiva", trattandosi di
un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità
del giudice, laddove il citato art. 606 c.p.p., attraverso il richiamo all'art. 495 c.p.p., comma 2, si
riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività. Alla luce di tali
consolidati principi, deve ribadirsi che i giudici di secondo grado hanno specificamente,
congruamente e correttamente illustrato le ragioni per le quali hanno ritenuto sussistente la
colpevolezza dell'imputato in ordine al reato ascrittogli, recependo e sviluppando la motivazione
già ineccepibile del Tribunale.
Hanno invero evidenziato la sostanziale intrinseca credibilità delle dichiarazioni della p.o.,
confermata da riscontri estrinseci "altamente significativi". Innanzi tutto la Corte evidenzia le
modalità con cui la minore è stata sentita dal Tribunale per ben due volte, rispondendo all'esame
incrociato del P.M. e della difesa in maniera sempre costante, logica, coerente e "senza
infingimenti" anche su particolari scabrosi, e non celando un sentimento addirittura di odio nei
confronti dell'imputato, che tuttavia non ne condiziona il racconto.
Da ciò l'evidente infondatezza della denunciata violazione dei principi posti dalla cd. "Carta di
Noto", non solo perché ad essi non può riconoscersi alcun valore normativo, bensì di semplici
"suggerimenti diretti a garantire l'attendibilità ... delle dichiarazioni" del minore e la "protezione
psicologica" dello stesso, come si legge nella premessa della Carta, ma soprattutto perché, nel
caso di specie, dette finalità devono ritenersi certamente raggiunte dalla ricordata duplice
audizione della minore in dibattimento, sotto il costante controllo della difesa, che nessun rilievo
ha mosso in ordine alle modalità adottate dal giudice.

Cass. pen. Sez. III Sent. n. 15157 del 14-04-2011
  Correttamente, inoltre, i giudici di merito hanno ritenuto che comunque l'eventuale ammissione
da parte del giudice di prove non tempestivamente indicate dalle parti non sarebbe mai causa di
nullità, in quanto rientra comunque tra i poteri del giudice del dibattimento assumere d'ufficio, a
norma dell'art. 507 c.p.p. i mezzi di prova che la parte ha indicato, sia pure intempestivamente o
irritualmente (in tal senso, tra le molte: sez. 1, n. 10795 del 22/9/1999, Gusinu e altri, Rv.
214108; sez. 5, n. 46317 del 30/11/2004, Scuderi e altro, Rv. 230460). In particolare, per lo
stesso motivo, è stato ritenuto che l'irrituale presentazione della lista testi effettuata a mezzo fax,
anzichè nella prescritta forma del deposito in cancelleria non sia causa di nullità dell'ordinanza
ammissiva della prova testimoniale nè, pertanto, della sentenza che sull'esito di detta prova abbia
fondato la decisione (così Sez. 5, n. 32742 del 7/9/2010, Accordino, Rv. 248418 e Sez. 1, n.
38161 del 7/10/2008, Pisa, Rv. 241135). E' stato affermato che tale potere di ufficio può essere
esercitato anche dal giudice di appello con la rinnovazione istruttoria (Sez. 1, n. 5636 del
5/2/2008, Nunziata e altri, Rv. 238931: nel caso di specie è stato ritenuto che a fronte della
dichiarazione di inutilizzabilità pronunciata per deposito tardivo della lista dei testi da parte del
pubblico ministero, fosse comunque consentito al giudice di appello disporre la rinnovazione
dell'istruttoria dibattimentale, in quanto era risultato assolutamente necessario ai fini della

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     Vedere allegato A
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     Vedere allegato A
decisione ascoltare i testimoni). Anche la giurisprudenza di legittimità ha affermato che nessuna
disposizione vieta al consulente di parte di svolgere degli accertamenti al di fuori delle vere e
proprie operazioni peritali e di riferirne gli esiti al giudice mediante memoria scritta, in quanto la
disposizione di cui all'art. 230 c.p.p. non esaurisce l'ambito di operatività consentito al
consulente, ma stabilisce solo i rapporti tra la sua attività e quella del perito di ufficio; oltre tale
attività di "affiancamento" al perito di ufficio, infatti, il consulente tecnico di parte ha facoltà di
procedere a qualsiasi altra indagine, ferma restando la valutazione discrezionale del giudice sulle
conclusioni esposte da tale consulente nel corso dell'audizione dello stesso come teste o riassunte
nella relazione scritta, che possono anche essere utilizzate, previa congrua e convincente
motivazione, ai fini della decisione. (Cfr. Sez. 1, n. 7252 dell'8/6/1999, Loiacono, Rv. 213704).
Quindi, in tema di istruzione dibattimentale, le dichiarazioni rese dai consulenti tecnici di parte,
indipendentemente dallo svolgimento del proprio incarico in ambito peritale ovvero
extraperitale, hanno il medesimo valore probatorio di quelle testimoniali, in quanto l'art. 501
c.p.p., comma 1 riconosce sostanziale qualità di testimone ai consulenti tecnici ammessi su
richiesta di parte. (Sez. 3, n. 8377 del 25/2/2008, Scarlassare e altro, Rv. 239281). Quanto poi
alla perizia psichiatrica, strictu sensu, che avrebbe potuto, a detta della difesa, fornire elementi in
punto di imputabilità o meno del F.E., questo Collegio non può che condividere quanto
affermato dalla Corte di appello milanese, circa la non ammissibilità di perizie meramente
esplorative, disposte sulla base di mere asserzioni, atteso che non erano stati allegati documenti
attestanti turbe psichiche pregresse o documentanti episodi di alterazioni mentali a carico
dell'imputato. E' bene ricordare, infatti, che la dottrina scientifica ritiene concordemente che la
parafilia o perversione sessuale (della quale la pedofilia è considerata una sottocategoria) vada
ricompresa tra i disturbi di personalità attinenti alla sfera sessuale e le nevrosi e sia molto lontana
dai quadri sintomatici afferenti la malattia mentale, quadri che si caratterizzano, invece, per la
perdita del rapporto con il contesto reale, la destrutturazione della personalità, la dissociazione
affettiva ed ideativa, le allucinazioni ed i deliri.
Pertanto, secondo la scienza psichiatrica, la pedofilia, se non accompagnata da un'accertata
malattia mentale o da altri gravi disturbi della personalità, rappresenta una semplice devianza
sessuale, senza influenza alcuna sulle capacità intellettive e volitive (sul fatto che la parafilia non
implichi, per ciò solo, un vizio di infermità totale o parziale di mente, si veda anche Sez. 3, n.
1518, 19/1/2011, V.A., non mass.). Pertanto tale perizia psichiatrica non poteva certo definirsi
prova decisiva ai fini del giudizio (in tal senso, Sez. 6, n. 7845 dell'8/8/1997, PG in proc.
Mariano, Rv. 210372). La Corte di appello ha correttamente respinto le eccezioni sulla
consulenza tecnica della dott. C., in quanto tardive, perchè avrebbero dovuto essere formulate
con il primo atto difensivo (udienza preliminare). Nè può essere invocata la sanzione
dell'inutilizzabilità prevista in via generale dall'art. 191 c.p.p., poichè la stessa si riferisce alle
prove assunte in violazione dei divieti stabiliti dalla legge (e quindi di prove in sè illegittime
perchè vietate) e non a quelle consentite (quali la consulenza tecnica psicologica sulla capacità
a testimoniare ed attendibilità della persona offesa), senza l'osservanza delle regole formali
dettate per le modalità di acquisizione, in quanto in tal caso deve essere applicata, per l'appunto,
la disciplina delle nullità processuali, nel rispetto del principio di tassatività (in tal senso, ex
multis, si veda Sez. 6, n. 40973 del 31/10/2008, Pagano, Rv. 241318). Tale argomentazione
risulta logicamente corretta e perfettamente congrua con le risultanze probatorie delle quali la
sentenza da ampio conto nella motivazione. In questa sede infatti, non è consentito effettuare una
nuova valutazione degli elementi probatori, ma si deve unicamente stabilire se nel giudizio di
merito siano stati esaminati, e correttamente interpretati, tutti gli elementi probatori acquisiti e
se degli stessi sia stata offerta una interpretazione corretta, nel senso rispettosa delle regole
della logica ed esaustiva e convincente rispetto alle richieste della difesa. La mera
prospettazione di una diversa valutazione, più favorevole al ricorrente, delle emergenze
processuali non costituisce vizio che comporti controllo di legittimità (Sez. 5, Sentenza n. 7569
del 11/6/1999, Jovino, Rv. 213638). Resta perciò esclusa la possibilità di sindacare le scelte che
il giudice ha operato sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova, a meno che le stesse non
siano il frutto di affermazioni apodittiche19 o illogiche20. (Cfr. Sez. 3, n. 4054221 del 6/11/2007,
Marrazzo e altro, Rv. 238016).
In particolare il giudizio di capacità a deporre e di attendibilità dei testi-persone offese è un
giudizio di fatto che può essere effettuato in sede di merito mentre è precluso in sede di
legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile
della sua analisi probatoria. (In tal senso, Sez. 3, n. 41282 del 18/12/2006, Agnelli e altro, Rv.
235578). Per quello che riguarda, in particolare, l'attendibilità delle persone offese nei reati
sessuali, è stato affermato che essa deve essere valutata in senso globale, "tenendo conto di tutte
le dichiarazioni e circostanze del caso concreto e di tutti gli elementi acquisiti al processo"
(Cost., Sez. 3, n. 2164022 dell'8/6/2010, P., Rv. 247644).
La Corte di appello ha pertanto fatto corretto uso dei principi consolidati in giurisprudenza circa
l'attendibilità del minore- persona offesa, ritenendo logico e coerente quanto narrato dai bambini
e confermando in tal modo la valutazione espressa dal giudice di primo grado. Infatti, come è
stato più volte affermato da questa Corte (cfr. Sez. 4, n. 15227 dell'11/4/2008, Baretti, Rv.
239735; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061), quando le sentenze di primo e
secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a
fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda
con quella precedente e forma con essa un unico complessivo corpo argomentativo.
Peraltro è necessario precisare che si decade dalla facoltà di eccepire l'inutilizzabilità
dell'accertamento tecnico disposto dal pubblico ministero sotto il profilo dell'assenza del
presupposto dell'irripetibilità, se non si sia formulata riserva di promuovere l'incidente probatorio
(cfr.. Sez. 1, n. 47502 del 21/12/2007, Talat e altro, Rv. 238365).
Nè le asserite violazioni alle guide linee della Carta di Noto, la mancanza della
videoregistrazione, la mancata somministrazione di certi tipi di test possono ritenersi sanzionate
dall'inutilizzabilità processuale o dalla nullità: tali prescrizioni non fanno parte della disciplina
dettata per l'espletamento della consulenza, nè della perizia. E' consolidato orientamento di
questa Corte che "in tema di esame testimoniale dei minorenni parti offese nei reati di natura
sessuale, le cautele prescritte dalla cosiddetta Carta di Noto, pur di autorevole rilevanza
nell'interpretazione delle norme che disciplinano l'audizione di detti soggetti, presentano
carattere non tassativo, sicchè l'eventuale inosservanza di dette prescrizioni non comporta nullità
dell'esame stesso". Il contenuto di tale Carta si limita, come indicato nel preambolo, a
suggerimenti volti a garantire meglio l'attendibilità delle dichiarazioni del minore e la protezione
psicologica dello stesso. Quindi l'inosservanza alle guide linee della Carta di Noto non determina
automaticamente la inattendibilità delle dichiarazioni del minore e neppure la nullità dell'esame o
la sua inutilizzabilità, a meno di non volere introdurre un'ipotesi non prevista di nullità o di
inutilizzabilità. Nè può concludersi, con un sillogismo astratto, che alla violazione di tali
prescrizioni debba conseguire un giudizio di inattendibilità del minore. (Così Sez. 3, n. 6464
dell'11/2/2008, G., Rv. 239091; n. 20568 del 22/05/2008, Gruden, Rv. 239879 e n. 44472 del
17/12/2010, D.M. e altri, non mass.)
Quanto affermato è da ritenersi valido non solo per l'esame testimoniale in senso stretto, ma
anche in relazione all'esame dei minori condotto dal consulente tecnico in sede di consulenza (o
perizia). E' opportuno ricordare che in tema di rinnovazione del dibattimento in appello, la
giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio che il giudice di secondo grado ha
l'obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso
in cui la accolga, mentre se ritiene che debba essere respinta, potrebbe anche motivarne il rigetto
in via implicita, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare (o negare) la

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   Pienamente dimostrativo, evidente: argomento a.; dimostrare in maniera a.; visione a., evidenza a.,...
20
   Contrario alla logica, privo di logica o di logicità: ragionamento i.; deduzioni i.; comportamento illogico. Anche
riferito a persona: sei i. a parlare così.
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   Vedere allegato A
22
   Vedere allegato A
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