ANDREA SARRI, Chiesa e società nella diocesi di Bressanone tra le due guerre mondiali : la cultura religiosa dei vescovi Johannes Raffl ...

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ANDREA SARRI, Chiesa e società nella diocesi di Bressanone tra le due guerre
mondiali : la cultura religiosa dei vescovi Johannes Raffl (1921-1927) e
Johannes Geisler (1930-1939), in «Studi trentini. Storia» (ISSN: 2240-0338),
96/1 (2017), pp. 207-224.

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Studi Trentini. Storia         a. 96            2017          n. 1       pp. 207-224

Chiesa e società nella diocesi di Bressanone
tra le due guerre mondiali.
La cultura religiosa dei vescovi Johannes Raffl
(1921-1927) e Johannes Geisler (1930-1939)*
ANDREA SARRI

      Con lo spostamento del confine al Brennero si ruppe anche l’unità religiosa ti-
      rolese. I vescovi Raffl (1921-1927) e Geisler (1930-1952) diressero la diocesi di
      Bressanone in tale contesto. Il contributo esamina la cultura religiosa dei due
      vescovi, considerando in particolare le omelie e le lettere pastorali del periodo
      1921-1939. Lo studio di questi documenti consente di valutare le modalità con
      cui i vertici della chiesa locale si confrontarono con i due volti della modernità,
      quello liberale e quello totalitario.

      The shift of the boundary to the Brenner Pass broke also the religious unity of
      Tyrol. The bishops Raffl (1921-1927) and Geisler (1930-1952) run the Brixen di-
      ocese in this framework. The contribution examines the religious culture of the
      two bishops, taking into account particularly the homilies and pastoral letters of
      the period 1921-1939. The study of these documents allows to evaluate how the
      heads of the local church confronted themselves with the two sides of modernity,
      the liberal one and the totalitarian one.

P      er esaminare alcuni aspetti del discorso religioso sviluppato dai vescovi
       di Bressanone nel corso degli anni Venti e Trenta del Novecento in me-

*
    Testo, ampliato e rivisto dall’autore, della relazione tenuta il 7 aprile 2016 in occasione
    della giornata di studi Celestino Endrici tra monarchia asburgica e fascismo. Nuove prospet-
    tive di studi organizzata dall’Istituto storico italo-germanico di Trento. Al convegno, pre-
    sieduto da Paolo Pombeni e coordinato da Marco Bellabarba e Camilla Tenaglia, hanno
    preso parte anche Andreas Gottsmann, Marco Odorizzi e Severino Vareschi. Il testo in-
    tegra un precedente contributo: Sarri, Il vescovo di Bressanone Johannes Geisler.

                                                                                             207
rito ai mutamenti della società contemporanea prenderò in considerazione
una parte dei loro scritti preparati al fine di guidare il clero e il popolo del-
la diocesi nelle nuove condizioni nazionali e istituzionali venutesi a creare
dopo la firma del Trattato di Saint Germain del 1919, che aveva assegnato
definitivamente il Tirolo meridionale al Regno d’Italia1. Si tratta in partico-
lare delle lettere pastorali pubblicate sul bollettino ufficiale della diocesi2
nel corso del breve episcopato di Johannes Raffl (1921-1927)3 e di quelle
emanate dal successore Johannes Geisler4. Quest’ultimo ricoprì la carica
vescovile a partire dalla tarda primavera del 1930, dopo una vacanza epi-
scopale durata tre anni. L’analisi della produzione di Geisler si spingerà fi-
no all’ultimo anno di pace, che nella nuova provincia dell’Alto Adige coin-
cise con la vicenda delle “opzioni” (giugno 1939), in seguito alle quali il ve-
scovo Geisler optò in favore della cittadinanza del Reich nazista5.
All’analisi di questi scritti rivolti al clero e ai fedeli, emanati abitualmente
all’inizio del tempo quaresimale o in altri momenti dell’anno ritenuti dai
vescovi meritevoli di un richiamo, si affiancherà quella della relatio ad limi-
na di Raffl del 1926. Si considererà infine una parte delle omelie composte
dal Geisler e talvolta pubblicate dal settimanale diocesano “Katholisches
Sonntagsblatt”, fondato nel 1927 e impegnato attivamente nella battaglia
culturale per la “difesa dei diritti di Dio” (“die Verteidigung der Rechte
Gottes”)6. Nel caso della relatio si tratta di materiale documentario non

1
  Per una cronologia ragionata della “questione altoatesina” dalle origini alle “opzioni” del
  1939 rimando a Agostini, Ansaloni, Ferrandi, Alto Adige, pp. 13-17. Una sintesi storica
  complessiva in Romeo, Alto Adige/Südtirol XX secolo, pp. 114 e ss.
2
  “Brixener Diözesanblatt”, stampato dalla tipografia Weger di Bressanone dal 1857. Dal
  1930 al 1943 la testata assunse la denominazione “Folium Dioecesanum Brixinense”. Le
  lettere pastorali sono pubblicate in lingua tedesca fino al 1926; in seguito verranno pub-
  blicate in una versione in lingua italiana, seguita dalla traduzione in lingua tedesca. Per
  l’insieme delle lettere pastorali dei vescovi Raffl e Geisler si veda Menozzi, Demo, Sarri, Le
  lettere pastorali dei vescovi, pp. 501-508.
3
  Johannes Raffl nacque il 16 ottobre 1858 a Roppen, nell’alta valle dell’Inn. Ordinato sa-
  cerdote nel 1883, dal 1904 amministrò i beni della mensa vescovile. Nominato vescovo di
  Bressanone il 28 aprile 1921, rimase in carica fino alla morte, avvenuta a Bressanone il 15
  luglio 1927. Un profilo biografico: Gelmi, Raffl, Johannes.
4
  Johannes Geisler nacque il 23 aprile 1882 a Mayrhofen, nella Zillertal. Ordinato sacerdote
  il 13 marzo 1910, svolse le funzioni di segretario del vescovo Franz Egger (1912-1918).
  Dal 1922 insegnò storia della Chiesa presso il seminario maggiore di Bressanone e il 2
  aprile 1930 fu nominato vescovo. Svolse il suo mandato fino al 23 aprile 1952. Morì a
  Bressanone il 5 settembre dello stesso anno. Un profilo biografico: Gelmi, Geisler, Johan-
  nes.
5
  Al riguardo si veda Valente, Chiesa e società in Alto Adige, pp. 664-666.
6
  Il settimanale diocesano uscì con il primo numero il 30 gennaio 1927. Diretto formalmente
  da don Josef Steger, di fatto era redatto da don Johann Tschurtschenthaler. Sulla linea
  editoriale del settimanale mi permetto di rinviare a Sarri, Stampa cattolica. Sulla figura del

208
espressamente ideato per l’insegnamento pubblico, ma in ogni caso rivela-
tore di circostanziate preoccupazioni pastorali; per quanto riguarda le ome-
lie, siamo di fronte a una ricca mole di testi prevalentemente inedita, che
permette di approfondire ulteriormente la comprensione degli orientamen-
ti culturali dell’autore.
    L’esame storico-critico di queste fonti può aiutare a mettere a fuoco due
ordini di problemi, agevolando la comprensione dei rapporti tra Chiesa e
società nell’età contemporanea. Occorre infatti sottolineare come
quest’ultima sia stata segnata dal diffondersi della secolarizzazione, intesa
come “processo storico” – iniziato con i Lumi e con le rivoluzioni borghesi
– “con cui la società e la cultura si liberano dal controllo religioso”7. Il
primo dato su cui allora cercherò di soffermarmi è costituito dalla conce-
zione dell’autorità elaborata dai pastori della diocesi, in anni nei quali da
parte delle gerarchie ecclesiastiche italiane è avvertito il senso di un genera-
le indebolimento del principio d’autorità, sia secolare sia spirituale8.
    In secondo luogo cercherò di riflettere intorno alle radici della cultura
religiosa dei vescovi di Bressanone, tenendo presente che dalla metà del
XIX secolo il magistero pontificio aveva recepito i giudizi del pensiero cat-
tolico intransigente nato negli anni della Rivoluzione francese e dell’età na-
poleonica. Sulla base di questi schemi ermeneutici, la cultura cattolica
dell’epoca aveva nel suo insieme ridotto la poliedricità della modernità so-
prattutto a un aspetto: una generale apostasia da Dio, dalla Chiesa di Ro-
ma, da Cristo e dal suo vicario in terra9. Ad essa sarebbe stato allora neces-
sario rispondere ricostituendo un regime di “cristianità”, le cui radici erano
state individuate da parte cattolica in una mitizzata età medievale; la ripro-
posizione di un modello di società ierocratica avrebbe pertanto favorito il
ristabilimento della corretta convivenza civile in Europa10.

   suo direttore effettivo si veda Mitterrutzner, Johann Tschurtschenthaler. Si veda infine an-
   che Esposito, Stampa cattolica in Alto Adige.
7
  Menozzi, La chiesa cattolica, p. 3.
8
  Vian, Considerazioni, pp. 57-74.
9
  Si vedano al riguardo i variegati contributi ospitati nel volume di Bolgiani, Ferrone, Mar-
   giotta Broglio, Chiesa cattolica e modernità. Sulla divergenza tra promozione dei “diritti
   dell’uomo” in senso illuministico e “diritti della persona umana” propugnati dalla Chiesa
   si è soffermato con un pamphlet Ferrone, Lo strano Illuminismo, nel quale l’autore dà an-
   che criticamente conto del dibattito iniziato negli anni Ottanta del Novecento sulla pre-
   sunta “fine della modernità” e sul connesso concetto filosofico di “postmoderno”. Si veda
   anche Rizzi, La secolarizzazione debole, che riflette sul senso delle categorie di “secolariz-
   zazione” e “laicità” nel mondo attuale.
10
    Rimando a Rémond, La secolarizzazione, che descrive la formazione dei processi di secola-
    rizzazione nel contesto europeo. Per la ricostruzione del “mito della cristianità” elaborato
    dal mondo cattolico nell’età contemporanea in risposta alle sfide della modernità postri-
    voluzionaria, il punto di riferimento è quello degli studi di Miccoli, Fra mito della cristia-

                                                                                             209
Per lo studio di una diocesi i cui sacerdoti venivano da parte delle auto-
rità italiane sospettati costantemente di nutrire un “atteggiamento antina-
zionale”, mi sembra che sia opportuno spostare lo sguardo conoscitivo dai
punti di vista esterni alla Chiesa, come quelli per esempio costituiti dai
rapporti di polizia o dalle relazioni diplomatiche11, a quelli interni, propri
delle istituzioni ecclesiastiche. Queste erano infatti dirette da uomini che
tentavano di misurarsi con le difficoltà del momento storico sulla base di
uno strutturato corredo culturale e mentale. Credo in altre parole che sia
importante tentare di orientare l’indagine storiografica anche verso lo stu-
dio delle motivazioni teologico-religiose che hanno presieduto all’azione
pastorale dei due vescovi, costretti a subire l’opera di italianizzazione forza-
ta della provincia promossa dalla dittatura fascista.

La concezione dell’autorità e il “divino governo del mondo”

    Dopo la conclusione della Grande Guerra, con i relativi mutamenti
geopolitici generati dalla creazione del nuovo confine di Stato tra Austria e
Italia, la diocesi di Bressanone aveva perso circa due terzi del suo territorio.
Le restavano i decanati bellunesi di Livinallongo e Ampezzo e quelli sudti-
rolesi di Stilves, Marebbe, San Candido, Brunico, Campo Tures, Stelvio,
Malles. Alla morte del vescovo Franz Egger (maggio 1918), il capitolo eles-
se un vicario, il preposito del duomo Franz Schmid. Il 28 aprile 1921 Be-
nedetto XV nominò Johannes Raffl nuovo vescovo della diocesi12. Nello
stesso anno la Santa Sede nominò Sigmund Waitz, dal 1913 già vicario ge-
nerale per il Vorarlberg, amministratore apostolico per Innsbruck e
Feldkirch. Si sarebbe infine concluso con un fallimento, nell’agosto del
1922, il tentativo operato dal vescovo di Trento Celestino Endrici di favori-
re la nomina dello stesso Raffl ad amministratore apostolico per i decanati
mistilingui appartenenti alla diocesi tridentina e che comprendevano anche
la città di Bolzano. Le proteste da parte italiana, provenienti da ambienti

   nità e Menozzi, La Chiesa cattolica. Sulla chiave interpretativa della “cristianità” per lo
   studio del nesso Chiesa-società nell’età contemporanea si veda infine Menozzi La “cristia-
   nità”, pp. 191-228.
11
   Due esempi in questo senso: Benvenuti, La diocesi di Bressanone, pp. 397-451 e Casella,
   Stato e Chiesa in Italia, pp. 94-96 e pp. 322-324 per le diocesi di Bressanone, Trento e il
   Triveneto.
12
   All’indomani dell’annessione dell’Alto Adige al Regno d’Italia, la diocesi di Bressanone fu
   posta alle dirette dipendenze della Santa Sede; nel 1929 la diocesi di Trento fu trasforma-
   ta in arcidiocesi. Nel 1964 la nuova diocesi di Bolzano-Bressanone sarebbe diventata suf-
   fraganea di Trento (Curzel, Storia della Chiesa, pp. 122-127). Per l’istituzione della nuova
   diocesi di Bolzano-Bressanone rimando a Valente, La sfida di una diocesi.

210
governativi e nazionalisti, spinsero la Congregazione concistoriale a ritirare
il decreto di nomina. Dal punto di vista più strettamente politico occorre
ricordare che i cattolici sudtirolesi, superando le antiche fratture tra con-
servatori e cristiano-sociali, nel 1919 si erano uniti nella Tiroler Volkspar-
tei, che due anni più tardi, insieme con i liberali, inviò a Roma quattro par-
lamentari13.
    In questo contesto tormentato, nel luglio 1921 Raffl pubblicò la sua
prima lettera pastorale, occupandosi per l’appunto del tema dell’autorità.
Consapevole delle difficoltà vissute dalla popolazione di lingua tedesca
nell’intera provincia14, egli riteneva che in seguito all’esito della guerra
l’autorità in se stessa fosse addirittura “svanita”. Egli infatti esprimeva
l’auspicio che “venisse nuovamente ristabilita” come “fondamento di ogni
ordine”; bisognava altresì che “l’umanità tornasse ad avvertire con timore
un senso di profondo rispetto sia nei riguardi della legge divina sia nei ri-
guardi della legge umana”15. Ritengo che queste considerazioni di Raffl non
siano condizionate soltanto dalle difficili circostanze nelle quali si trovava a
vivere la minoranza tirolese; credo in verità che esse traggano alimento dal-
la più profonda riflessione sulla crisi del principio d’ordine attribuita al
processo di secolarizzazione prodotto dalla modernità. Traspare infatti nel-
le sue parole una preoccupazione certamente condivisa dall’episcopato
coevo, saldamente ancorato alla dottrina della matrice divina del potere.
Non a caso il nuovo vescovo menzionava il noto passo della lettera ai Ro-
mani (13,1 e ss.), affermando che con l’indebolimento dell’autorità si com-
promette la salute morale della società: “con [l’abbattimento] dell’autorità
naturalmente viene abbattuto l’edificio della moralità, viene profanato il
santuario della famiglia, si spoglia [infine] il matrimonio del suo carattere
divino”16.

13
   Si vedano le sintesi di Gelmi, Geschichte der Kirche, pp. 366 e ss. e Curzel, Storia della
   Chiesa, pp. 122 e ss.
14
   A titolo di esempio, basti qui ricordare che a Bolzano nell’aprile del 1921 un’incursione
   squadristica fascista aveva provocato disordini, conclusisi con una vittima sudtirolese e
   una cinquantina di feriti (Romeo, Alto Adige/Südtirol XX secolo, pp. 120-121).
15
   Hirtenbrief, in “Brixener Diözesanblatt”, 1921, 3, p. 43: “Geschwunden ist die Autorität,
   ohne welche die menschliche Gesellschaft nicht bestehen kann, weder Kirche noch Staat.
   Sie muss wieder hergestellt werden als Grundfeste jeglicher Ordnung und der Mensch-
   heit muss wieder Ehrfurcht eingelöst werden vor dem göttlichen wie menschlichen Ge-
   setz”.
16
   Hirtenbrief, in “Brixener Diözesanblatt”, 1921, 3, p. 43: “Mit der Autorität wurde aber
   selbstverständlich auch das Gebäude der Sittlichkeit eingerissen, das Heiligtum der Fa-
   milie entweiht, die Ehe des göttlichen Charakters entkleidet, der göttlichen Bestimmung
   entfremdet”.

                                                                                        211
L’origine soprannaturale dell’autorità, ricordata già da Leone XIII
nell’enciclica Au milieu des sollicitudes (16 febbraio 1892), ribadita da Pio
X (E supremi apostolatu, 4 ottobre 1903) e da Benedetto XV (Ad beatissi-
mi, 1 novembre 1914), trovò certamente nuova linfa con l’istituzione della
festa liturgica della regalità sociale di Cristo. Questa fu voluta da Pio XI nel
1925 con l’enciclica Quas primas ai fini di un ristabilimento di un ordina-
mento ierocratico, alternativo al “laicismo, peste della nostra epoca” che –
proseguiva il papa – impediva alla Chiesa “il diritto (…) di far leggi, di go-
vernare i popoli”17. Raffl diffuse il magistero di Achille Ratti con la sua ul-
tima lettera pastorale, data alle stampe all’inizio della quaresima del 1927.
Facendo presente che “il divino governo del mondo non è altro che
l’attuazione degli eterni decreti di Dio”, il vescovo sottolineò che la nuova
festività andava intesa come “festa del divino reggimento dell’universo”.
Scriveva inoltre: “Gesù Cristo è il Re dell’universo ed Egli governa tutte le
cose sia le naturali come le soprannaturali; poiché Cristo è Dio, e nulla
opera senza un gran fine (…). Questo fine è in ultima linea non altro, se
non la gloria di Dio”18.
    Dopo i Patti Lateranensi del febbraio 1929, che nelle parole di Pio XI
avevano restituito “Dio all’Italia e l’Italia a Dio” ponendo fine ai “disordi-
namenti liberali”19, fu il successore di Raffl a tornare più volte sul valore
religioso e politico dell’obbedienza. Nominato vescovo dopo un periodo di
vacanza nel quale le sorti della diocesi erano state affidate all’amministrato-
re apostolico Josef Mutschlechner20, Geisler si soffermò sul tema già nella
prima lettera pastorale (luglio 1930) richiamandosi al topos paolino, ricor-
dando che “i superiori tengono le veci di Dio” e che quindi “ad essi è do-
vuta riverenza, amore e ubbidienza”21. Alla leale collaborazione con le au-
torità politiche egli si mostrava sensibile anche facendo leva sulle garanzie
stabilite dagli articoli 22 e 39 del Concordato a tutela dell’in-segnamento
religioso in lingua tedesca, della libertà della stampa cattolica e del semina-
rio maggiore. Lo si nota per esempio in un testo preparato per un discorso

17
   La Quas primas e tutte le altre encicliche sono citate da Enchiridion delle encicliche.
18
   Lettera pastorale per la quaresima, 5 febbraio 1927, in “Brixener Diözesanblatt”, 1927, 1,
   pp. 2-3.
19
   Pio XI, Discorsi, pp. 17 e ss. Per lo studio dei profili giuridico-istituzionali dei rapporti tra
   Vaticano e Stato italiano nel Novecento si veda Pertici, Chiesa e Stato.
20
   Il vicario Mutschlechner non riuscì a ottenere la nomina episcopale perché inviso al go-
   verno italiano (si veda anche Gelmi, Mutschlechner, Josef). La scelta della Santa Sede cad-
   de su mons. Geisler, che agli occhi del prefetto di Bolzano dell’epoca sembrava essere
   “l’unico sacerdote del luogo capace di condurre il clero dell’Alto Adige dalla politica alla
   religione”: la frase è riportata da Benvenuti, La diocesi di Bressanone, p. 426.
21
   Lettera pastorale, 28 luglio 1930, in “Folium Dioecesanum Brixinense”, 1930, 5, pp. 78-
   79.

212
privo di data (composto verosimilmente prima della “crisi del 1931” tra
Santa Sede e Stato italiano conseguente alla pretesa del regime fascista di
esercitare un monopolio in campo educativo). Negli appunti manoscritti in
calce al discorso egli benediceva il labaro di un’associazione sportiva gio-
vanile, andando in questo caso oltre una generica esortazione all’obbedien-
za e mettendo piuttosto in rilievo come “il fascismo [fosse] un partito
d’ordine, di disciplina, di progresso, nemico della massoneria e del bolsce-
vismo sovvertitore”. Con parole che riecheggiavano quelle di Pio XI sopra
ricordate, Geisler affermava che il fascismo “ha fatto grandi cose: il patto
Lateranense, ha dato un gran ideale alla Nazione (…), nel campo economi-
co e sociale”. Il vescovo concludeva il suo discorso augurandosi senz’altro
la “collaborazione feconda tra Chiesa e Stato per il bene della Chiesa e del-
la patria”22.
    Fu allora Geisler, dopo i Patti Lateranensi, a sviluppare in senso politi-
co-sociale la riflessione culturale che il predecessore aveva illustrato in ter-
mini più squisitamente teologico-spirituali. Grazie agli spazi concessi dagli
accordi del 1929, era più serenamente possibile agire nell’apostolato sociale
per contrastare efficacemente “liberali e neopagani”. Così designando gli
avversari della Chiesa si esprimeva Geisler in un’ampia lettera quaresimale
del febbraio 1931, interamente dedicata al ruolo educativo dell’Azione cat-
tolica nei confronti delle nuove generazioni. Alla vigilia dello scontro che
di lì a poco avrebbe generato forti tensioni tra Vaticano e governo italiano,
il vescovo di Bressanone ricordava come alla Chiesa spettasse “il diritto di
compenetrare la società umana colla sua dottrina e colle sue leggi e di ri-
condurla a Cristo”23. Da una parte egli teneva a sottolineare che “quanto
più uno è cattolico tanto più è buon cittadino”, evocando in tal modo le
riflessioni contenute nell’enciclica sull’educazione cristiana Divini illius
magistri, pubblicata da Pio XI il 31 dicembre del 1929. Dall’altra il presule
brissinense non mancava di ricordare che, garantendo l’obbedienza alle au-
torità secolari, “la Chiesa chiede allo Stato e ai governi che le leggi e le
pubbliche istituzioni difendano la religione e la morale, [o] almeno [che]
non mettano loro ostacoli. Essa chiede che la legge di Dio sia osservata an-
che nella vita politica ed economica”24.
    Sono i termini di uno scambio: lealtà verso le istituzioni civili, nonostan-
te le tensioni generate dall’impegno dei sacerdoti in difesa dell’identità et-
nica della minoranza, in cambio di libertà di movimento per l’apostolato,

22
   AdB, Fondo Geisler, omelie in lingua italiana, Benedizione di un labaro, senza data, p. 1.
23
   Lettera quaresimale, 1 febbraio 1931, in “Folium Dioecesanum Brixinense”, 1931, 2, p.
   33.
24
   Lettera quaresimale, 1 febbraio 1931, in “Folium Dioecesanum Brixinense”, 1931, 2, pp.
   36-37.

                                                                                        213
soprattutto nell’ambito pedagogico. Occorreva infatti affermare, scriveva
ancora Geisler nel 1931, “il diritto di far varcare alla religione i muri delle
Chiese e dei conventi e di farla entrare nella vita pubblica, nel cuore degli
individui, nelle famiglie e nella società. [La Chiesa] proclama apertamente
e ad alta voce che non soltanto le azioni private, ma anche quelle pubbliche
e sociali soggiacciono alla legge di Dio”25. Alla necessità di restaurazione
del primato religioso sugli ordinamenti civili Geisler riservava consistente
spazio in un’omelia in lingua tedesca (priva di data). In essa egli criticava
radicalmente l’autonomia del diritto dalla norma divina sostenuta dalla fi-
losofia politica di matrice liberal-democratica: “[L’autonomia] rifiuta ogni
legame del diritto con Dio; non riconosce alcun diritto naturale e nessuna
legge eterna, perché non conosce nessun Dio. Lo stato è origine e fonte di
tutti i diritti”. Il risultato finale è riassunto da Geisler con parole di indub-
bia forza evocativa, ricalcando anche nel lessico le tonalità apocalittiche
dell’intransigentismo cattolico otto-novecentesco: “Satanokratie statt
Theokratie”26. Mi sembra che il vocabolario del tirolese Geisler si connetta
consapevolmente anche con l’elaborazione della cultura cattolica italiana
otto-novecentesca. Soprattutto dalle pagine di “La Civiltà Cattolica”, il
quindicinale della Compagnia di Gesù interprete fedele degli orientamenti
pontifici, a partire dagli anni Cinquanta del XIX secolo si era iniziato in ef-
fetti a parlare di “statolatria” e di “neopaganesimo” già a proposito dello
stato liberale27. La “statolatria” del totalitarismo fascista era stata poi fer-
mamente censurata sia da Pio XI sia da molti intellettuali cattolici. Tale cri-
tica non era tuttavia stata svolta ispirandosi alla tavola dei diritti concepiti
dal pensiero moderno, bensì facendo puntuale riferimento a un paradigma
sociale indubbiamente ierocratico28. Nell’ambito del magistero e anche in
quello della cultura cattolica più avvertita non erano in altri termini state
sufficientemente comprese le differenze che correvano tra Stato liberale e
Stato totalitario: le due forme di regime erano state invece messe sullo stes-

25
   Lettera quaresimale, 1 febbraio 1931, in “Folium Dioecesanum Brixinense”, 1931, 2, p.
   33.
26
   AdB, Fondo Geisler, omelie in lingua tedesca, Staatsrecht, senza data, p. 1: “[Die Auto-
   nomie] leugnet jede Beziehung des Rechtes zu Gott, sie kennt auch kein Naturrecht und
   kein ewiges Gesetz, weil sie keinen Gott kennt. Der Staat ist Ursprung und Quelle allen
   Rechten”.
27
   Per esempio si veda Curci, Del moderno regresso.
28
   Di “statolatria pagana” aveva parlato lo stesso Pio XI nell’enciclica Non abbiamo bisogno,
   emanata nel giugno 1931 per stigmatizzare la pretesa del monopolio educativo del regime
   fascista sulla gioventù italiana.

214
so piano e condannate, dal momento che colpevolmente entrambe rifiuta-
vano la subordinazione alle direttive ecclesiastiche29.
    Pur con una discreta varietà di toni, anche da parte del vertice della
Chiesa brissinense veniva dunque delineato, se non un progetto, quanto
meno un auspicio di società cristianamente orientata. Si tratta indubbia-
mente di un auspicio che avvicina la guida della diocesi di Bressanone
all’insieme dell’episcopato italiano, dal quale era stata manifestata una so-
stanziale benevolenza verso il regime fascista, considerato uno strumento
capace di ripristinare le basi di uno Stato confessionale.

“Neopaganesimo” e moderna apostasia da Dio e dalla Chiesa

    La ricostituzione di una società monolitica sotto il profilo confessionale
e di uno Stato che tornasse a favorire il primato della religione cristiana sui
suoi ordinamenti avrebbe dovuto frenare l’inquietante crescita, anche nelle
vallate del Tirolo meridionale, dell’apostasia da Dio e dalla Chiesa attuata
dal moderno “neopaganesimo”. Nella lettura degli eventi storici elaborata
dai vescovi di Bressanone tra le due guerre mondiali sono indubbiamente
presenti corposi segni di quella “visione catastrofica della modernità”30 che
caratterizzava tanto la cultura cattolica europea dall’inizio dell’Ottocento
quanto l’impianto dottrinale del magistero pontificio, almeno dal Sillabo
(1864) di Pio IX in avanti.
    Il giorno dell’Epifania del 1921 Benedetto XV emanò l’enciclica Sacra
propediem al fine di celebrare il settimo centenario della fondazione del
Terz’ordine francescano. Il papa confidava nella capacità dell’ordine di fa-
vorire un “miglioramento dei costumi privati e pubblici”, in un’epoca nella
quale egli rilevava la crescita dell’“amore sconfinato delle ricchezze e
un’insaziabile sete di piaceri”. Il vescovo Raffl si fece divulgatore delle con-
siderazioni papali dando conto dell’enciclica nella conclusione della sua
lettera quaresimale del 5 febbraio 1922. Aveva diviso la lettera in tre capito-
li, ciascuno dei quali riprendeva e commentava passi della prima lettera di
Giovanni (2,16): la concupiscenza degli occhi (“Augenlust”); la concupi-
scenza della carne (“Fleischeslust”); la superbia della vita (“Hoffart des
Lebens”). Il Terz’ordine francescano veniva da Raffl definito “moderno
mezzo di salvezza”31 dai tre citati mali. Nella terza parte incoraggiava calo-

29
   Per il discorso complessivo su questi aspetti rimando a Menozzi, Chiesa e diritti umani,
   pp. 119 e ss.
30
   Gentile, Contro Cesare, p. 39.
31
   Hirtenbrief, in “Brixener Diözeanblatt”, 1922, 2, p. 8: “Er ist das stets moderne Heilmit-
   tel gegen die Schäden der Zeit: Augenlust, Fleischeslust und Hoffart des Lebens”.

                                                                                        215
rosamente i sacerdoti e gli insegnanti a promuovere tra i giovani la stampa
cattolica locale loro dedicata: in questo modo – era la speranza di Raffl –
sarebbero stati posti degli argini, rafforzati contestualmente dall’insegna-
mento della religione nelle scuole, alle deprecate manifestazioni di “super-
bia e ateismo” dell’uomo contemporaneo. Il vescovo individuava così le
due principali fonti del disordine morale favorito anche da “cristiani raf-
freddati, che considerano una sciocchezza l’osservanza dei precetti eccle-
siastici, tradendo in questo modo Cristo, che è rappresentato dalla Chie-
sa”32.
    I costumi pubblici della vita moderna, che già nel giudizio del papa e in
seguito dell’episcopato italiano33 erano deprivati del senso del pudore, co-
stituiranno anche per Raffl e Geisler motivo di ricorrente preoccupazione.
La moralità pubblica rappresenta l’ambito nel quale l’allontanamento del
consorzio umano dalle direttive ecclesiastiche manifesta il suo volto più vi-
sibile. In un monito pastorale (Hirtenworte) diffuso non casualmente
all’inizio dell’estate 1926 (15 giugno), il vescovo Raffl si occupava
dell’“indegno abbigliamento femminile”, in buona parte importato dai tu-
risti o dagli immigrati italiani (“Fremden”) che iniziavano a risiedere nella
nuova provincia. Lodando le pudiche forme estetiche del Tracht, il tradi-
zionale costume tirolese che egli definiva “Schutzkleid”, si rivolgeva in par-
ticolare alle donne, dichiarando che “la moda attuale, nell’intenzione dei
suoi promotori, è una collaboratrice del diavolo”34. Il pessimismo di Raffl si
può riscontrare anche in alcuni passaggi della Relatio ad limina trasmessa
alla Congregazione concistoriale nel febbraio dello stesso anno. A preoc-
cupare il vescovo non erano più le organizzazioni del movimento socialista,
a suo giudizio deboli e comunque ormai soppresse dagli apparati repressivi
dello Stato totalitario, come si premurava puntualmente di avvertire35. A

32
   Hirtenbrief, in “Brixener Diözesanblatt”, 1922, 2, p. 6: “Eine Torheit heissen die erkalte-
   nen Christen die Beobachtung der Kirchengebote, ohne zu bedenken, dass Sie damit
   Christum verachten, dessen Stelle die Kirche vertritt”.
33
   Si veda ad esempio la Lettera pastorale collettiva dell’Episcopato Veneto ai fedeli delle loro
   diocesi, Venezia, 8 aprile 1926, in “Foglio Diocesano di Trento”, 1926, 6, pp. 328-332.
34
   Hirtenworte über die unwürdige Frauenkleidung, in “Brixener Diözesanblatt”, 1926, 2, p.
   23: “Die heutige Mode ist in der Absicht ihrer Urheber eine Helferin des Teufels”. Risal-
   gono in effetti al 1926 le misure legislative varate dal governo fascista a tutela della mora-
   lità pubblica (contro la bestemmia nei locali pubblici e nelle scuole, per il controllo della
   moralità nelle sale da ballo e sulle spiagge etc.) secondo criteri graditi alle gerarchie eccle-
   siastiche, in un percorso che avrebbe portato Santa Sede e Stato agli accordi del 1929. Si
   veda quanto scrive al riguardo Ceci, L’interesse superiore, pp. 114 e ss.
35
   “Societates socialisticae habebantur in diversis parochiis maioribus, sed numquam exer-
   cere potuerunt magnam influxum et praesentibus rerum circumstantiis omnes societates
   socialisticae penitus sublatae sunt”, in Visitatio ss. Liminum, 12 febbraio 1926, p. 22
   (AdB, Fondo Visitatio ad limina).

216
preoccuparlo erano invece i “pubblici ufficiali del governo italiano, soprat-
tutto quelli incaricati di tutelare la pubblica sicurezza (…), che danno cat-
tivo esempio ai fedeli, in modo particolare non recandosi alla messa della
domenica, lavorando nei giorni festivi, ignorando sia il sacramento della
confessione sia quello dell’eucarestia anche nel periodo pasquale etc.”36.
    In continuità con il predecessore, anche Geisler si soffermò diffusamen-
te sul tema dell’immoralità pubblica: nell’estate del 1931 intervenne sul
“Katholisches Sonntagsblatt” individuando nella moda femminile un “pe-
ricolo per la moralità del popolo”37. Nella lettera quaresimale del 1934
esortò i fedeli a rifiutare “la laicizzazione della festa”, degradata nel “gior-
no dei divertimenti e piaceri (…) degli stravizi (…) delle gite e dello sport,
(…) dell’osteria, del ballo e del cinematografo”38. Nel 1937, recependo
l’insegnamento dell’enciclica rattiana Vigilanti cura, mise infine in relazione
“l’irruzione dell’immoralità nella vita pubblica di tutto il popolo” con la
diffusione del cinema, che definiva indubbiamente “lo strumento di pro-
paganda più potente della nostra epoca accanto alla radio e alla stampa”39.
Anche Geisler richiamò i fedeli al dovere di “tenere in ogni casa cattolica
un giornale cattolico” affinché si arginasse l’espansione dello Zeitgeist anti-
cristiano, come affermava nel corso dell’omelia di san Silvestro del 193340.
    La riflessione compiuta da Geisler sui processi di secolarizzazione della
modernità sembra essere comunque più organica di quella tracciata da

36
   “Deplorandum est, quod ultimis annis non pauci officiales gubernii italici, presertim cu-
   stodes publicae sicuritatis ex antiquis regni provinciis oriundi, milites, custodes vectiga-
   lium etc. in multis parochiis collocati sunt, qui populo fideli in rationibus enumeratis pra-
   vum exemplum dant, praesertim non audiendo missam diebus dominicis, laborando
   pubblice festis, non accedendo ad sacramenta et poenitentiae et s. communionis neque
   tempore paschali etc.”, in Visitatio ss. Liminum, 12 febbraio 1926, p. 22 (AdB, Fondo Vi-
   sitatio ad limina).
37
   Ein erntes Bischofswort an unsere Frauenwelt, in “Katholisches Sonntagsblatt”, 7 giugno
   1931, p. 8: “Gefahr für die Sittlichkeit des Volkes”. Il settimanale diocesano ospiterà altri
   interventi di Geisler in materia di moda e comportamenti femminili. Si vedano per esem-
   pio Sittlichkeit und Bäder, in “Katholisches Sonntagsblatt”, 19 luglio 1936, p. 1 e Chris-
   tentum und Körperkultur, in “Katholisches Sonntagsblatt”, 21 febbraio 1937, pp. 1-2.
   Un’analisi interessante della condanna della “moda indecente” femminile delineata dalla
   cultura cattolica intransigente otto-novecentesca si può trovare nel lavoro di Gazzetta,
   Tra antiebraismo e antifemminismo, pp. 209-228.
38
   Lettera quaresimale, 1 febbraio 1934, in “Folium Dioecesanum Brixinense”, 1934, 1, p. 6.
39
   Lettera quaresimale, 7 febbraio 1937, in “Folium Dioecesanum Brixinense”, 1937, 1, p. 2.
   In relazione all’enciclica Vigilanti cura, il vescovo di Trento Endrici diffuse la Promessa
   dei fedeli di astenersi da spettacoli sconvenienti, 25 novembre 1937, in “Foglio Diocesano
   di Trento”, 1937, 12, pp. 184-186.
40
   Bedeutung der Presse und die Pflichten des Katholiken der Presse gegenüber, in “Katholi-
   sches Sonntagsblatt”, 7 gennaio 1934, p. 2: “In jedem katholischen Hause sollte eine ka-
   tholische Zeitung sein”.

                                                                                           217
Raffl. Già nel 1931, in un’omelia per la festa dell’Epifania, aveva in effetti
parlato di “moderni pagani (…) in balia al più triste scetticismo e alla di-
sperazione”41. In un’altra omelia (senza data) si era soffermato sul “pagane-
simo che oggi tenta di ritornare e di riacquistare grandi parti della società
umana”42. Nell’omelia per il giorno di san Silvestro del 1934, poi pubblica-
ta dal settimanale diocesano, il vescovo si richiamava esplicitamente a quel-
la nefasta genealogia degli errori moderni descritta dall’intransigentismo
cattolico ottocentesco e in seguito accolta dal magistero di Leone XIII con
l’enciclica Immortale Dei (1885)43; Geisler individuava infatti nella Riforma
luterana e negli eventi del 1789 i germi della moderna apostasia. Se nono-
stante tutto la “navicella della Chiesa” aveva resistito sia ai colpi inferti dal
Protestantesimo sia a quelli dell’età della Rivoluzione francese e di Napo-
leone, occorreva attrezzarsi per confrontarsi con l’apostasia amplificata da
Stati ormai apertamente atei o aggressivamente anticlericali: “l’apostasia da
Cristo ha portato l’allontanamento da Dio, la battaglia contro Dio, che oggi
è in pieno svolgimento. Basti solo guardare alla Russia ed al Messico”44.
    Il riferimento al caso sovietico acquista di senso all’interno di una più
ampia trattazione del pericolo comunista, l’ultima e più temuta manifesta-
zione della genealogia degli errori moderni. Del comunismo ateo o del bol-
scevismo, a seconda delle oscillazioni lessicali presenti nei documenti,
Geisler si occupò in effetti più volte nel corso degli anni Trenta. Se ne oc-
cupò già nelle fasi iniziali del suo mandato, condannando “gli odi che divi-
dono le classi” nella lettera quaresimale del 193245. Commentando in
un’omelia per l’avvento del 1936 le prime lacerazioni della guerra civile
spagnola, proseguì la sua analisi affermando che “a causa dell’apostasia dal
cristianesimo, sono tornati liberi la bestialità umana, la barbarie, il demo-
niaco”46. Sulla falsariga della lettera pastorale collettiva dei vescovi del Tri-
veneto dal titolo Il pericolo del comunismo (24 gennaio 1937), mise poi de-
cisamente in guardia i credenti dalla seducente propaganda comunista.
Nell’omelia tenuta nell’aprile dello stesso anno in occasione della festa di
san Cassiano (patrono della diocesi) Geisler richiamò a tale riguardo

41
   AdB, Fondo Geisler, omelie in lingua italiana, Fede dei Magi, p. 1.
42
   AdB, Fondo Geisler, omelie in lingua italiana, Carissimi fratelli e sorelle, p. 1.
43
   Menozzi, Chiesa e diritti umani, pp. 70 e ss.
44
   Im Schifflein der Kirche durchs neue Jahr!, in “Katholisches Sonntagsblatt”, 6 gennaio
   1935, p. 1: “Der Abfall von Christus brachte den Abfall von Gott, den Kampf gegen
   Gott, der Heute im vollen Gang ist. Wir brauchen ja nur auf Russland und Mexico zu
   schauen”.
45
   Lettera quaresimale, 31 gennaio 1932, in “Folium Diocesanum Brixinense”, 1932, 1, p. 5.
46
   Unsere Pflichten im Kampf um das Gottesreich auf Erden, in “Katholisches Sonntagsblatt”,
   6 dicembre 1936, p. 1: “Durch den Abfall von Christentum ist die Bestie im Menschen,
   ist das Dämonische und Barbarische wieder frei geworden”.

218
l’attenzione sulla pericolosità complessiva del progetto comunista, un
“neues Heidentum” che andava ben oltre le deplorate teorie economiche
marxiste. Lo faceva evidentemente incoraggiato dalla pubblicazione, in
marzo, dell’enciclica Divini Redemptoris, in cui il comunismo era stato de-
finito “intrinsecamente perverso”: “Bisogna che apriamo gli occhi soprat-
tutto sul fatto che il comunismo non è soltanto un sistema economico, ma è
anche un sistema religioso” (oggi diremmo una “religione secolare” volta
alla “sacralizzazione della politica”, per fare riferimento agli studi di Emilio
Gentile)47. Nella lettera quaresimale del 1938 fece infine presente che alla
“lotta di tutti contro tutti” causata dal “capitalismo liberale” occorreva ri-
spondere non con “l’odio delle classi e la violenta spoliazione dei ricchi e
dei possidenti”, ma fondando il consorzio umano “sulla giustizia e sulla ca-
rità”48 predicati in linea teorica dal cristianesimo e custoditi sul piano pra-
tico dalla dottrina sociale della Chiesa.

Considerazioni conclusive

    Ci si chiede a questo punto se si possano individuare elementi di conso-
nanza culturale tra le immagini della società disegnate dai vertici della
Chiesa locale e quelle proprie del fascismo. Si tratta in altri termini di veri-
ficare se ci sono le condizioni per estendere anche al particolare caso di
Bressanone i lucidi risultati degli studi di Giovanni Miccoli, che già nel
1973 sottolineava l’esistenza di “una lunga sostanziale collaborazione, pun-
teggiata da alcuni scontri e tensioni” tra Chiesa e fascismo49 e di quelli
pubblicati più recentemente da Lucia Ceci. La studiosa romana ha infatti
analizzato gli atteggiamenti della Santa Sede e della Segreteria di Stato vati-
cana, rilevando nelle gerarchie ecclesiastiche italiane una “tendenza a giu-
dicare un governo o un movimento politico sulla base dell’atteggiamento
da esso manifestato nei confronti delle rivendicazioni della Chiesa”50.
    È senz’altro vero che in Alto Adige Chiesa e fascismo erano contrappo-
sti sul fronte della questione etnica e pertanto, sotto questo profilo, non si

47
   Ȕber den Bolschewismus, in “Katholisches Sonntagsblatt”, 18 aprile 1937, p. 1: “Der
   Kommunismus nicht bloss ein wirtschaftliches System ist, sondern auch ein religiöses
   [System]“. Sul problema delle “religioni secolari” e dei fenomeni di “sacralizzazione della
   politica” nell’età contemporanea si veda Gentile, Le religioni della politica.
48
   Lettera quaresimale, 20 febbraio 1938, in “Folium Dioecesanum Brixinense”, 1938, 1, p.
   2.
49
   Miccoli, La chiesa e il fascismo, pp. 183-208, ripubblicato in Miccoli, Fra mito della cri-
   stianità, pp. 112-130. La citazione è ricavata da p. 116 di questa seconda edizione.
50
   Ceci, L’interesse superiore, p. IX dell’introduzione.

                                                                                         219
può parlare di collaborazione tout court tra regime fascista e autorità epi-
scopale, considerando tra l’altro sia l’azione di diffidente controllo esercita-
ta dalle autorità di polizia sulla curia e sul clero locali sia l’effettivo impe-
gno profuso dai sacerdoti diocesani nel tentativo di arginare l’azione colo-
nizzatrice del fascismo in provincia. È vero tuttavia, come ho cercato di
mostrare nelle pagine precedenti, che anche in Alto Adige entrambi i pote-
ri avversavano sul piano delle idee una lunga serie di nemici comuni, che
comprendeva il laicismo, l’ateismo, il protestantesimo, la massoneria, il li-
beralismo, la democrazia, fino naturalmente al materialismo marxista. Inol-
tre va ricordato che in Italia gerarchie ecclesiastiche e cultura cattolica da
una parte e regime totalitario fascista dall’altra, sia pure con momenti di
competizione che generavano frequenti stati di tensione, condividevano
una concezione autoritaria della convivenza civile, che si era andata conso-
lidando in seguito agli accordi del 192951.
    Mi sembra allora che sul piano della riflessione culturale, segnata dalla
preoccupazione di individuare nella modernità un avversario da sconfigge-
re o da ridimensionare, si possano individuare anche nell’insegnamento
pubblico dei vescovi di Bressanone significativi aspetti di contiguità con la
visione dell’uomo e della società tipici dell’ideologia totalitaria fascista. La
visione di “un presente funestato dalle più cupe catastrofi”52 aveva a questo
proposito contraddistinto l’intero discorso teologico-politico di Pio XI sin
dai primi atti del pontificato. La sua concezione apocalittica della storia
moderna, che aveva generato quei mali dai quali ci si poteva salvare sola-
mente restaurando il pieno controllo della Chiesa sul consorzio civile, ave-
va certamente trovato nell’insegnamento di entrambi i vescovi di Bressano-
ne attenzione attiva, anche in virtù della comune radice intransigente della
loro formazione culturale. L’aspirazione a una restaurazione autoritaria del-
le regole che presiedono alla convivenza civile, sostenuta dal richiamo
all’obbedienza gerarchica propugnata contemporaneamente dal fascismo,
mi sembra il filo tematico che connette la predicazione di Raffl con quella
di Geisler, il quale elabora e sviluppa in senso più organicamente politico-
sociale le riflessioni già comunque parzialmente delineate dal predecessore.
    Le libertà garantite dagli accordi del 1929 sembrano d’altro canto forni-
re a Geisler una nuova, duplice opportunità: coordinare da una parte le
azioni del clero locale a tutela della minoranza etnica e delineare dall’altra,
in modo particolare nell’insegnamento pubblico e nell’opera di apostolato
religioso, i caratteri di una società gerarchica e monolitica. Tale aspirazione
entrava in competizione con quella analoga perseguita dal regime fascista,

51
     Si veda su questi temi anche Mangoni, I patti lateranensi, pp. 93-106.
52
     Ceci, L’interesse superiore, p. 72.

220
con il quale Geisler avviava così un serrato confronto. Indubbiamente que-
sto si trasformò in determinati momenti in scontro acuto, come accadde
nel dicembre 1935, quando il vescovo di Bressanone vietava ai parroci di
benedire gli anelli nella programmata giornata delle Fede fascista53.
    Resta il fatto che, a prescindere dai singoli momenti di attrito e mentre
andava aggravandosi la situazione politica internazionale, nella lettera qua-
resimale del 1939, occupandosi ancora dell’incredulità e dell’ateismo attra-
verso un commento di alcuni passi paolini (prima lettera a Timoteo 1,19 e
6,20; seconda lettera ai Corinzi 6, 14; lettera ai Filippesi 1,27), Geisler con-
tinuava ad ammonire i fedeli ricordando loro ancora che “nella lotta contro
i nemici del cristianesimo e della Chiesa tutti i cristiani devono essere con-
cordi, risoluti ed energici”, dal momento che “senza la fede l’uomo perde
di mira i suoi più alti ideali, la famiglia perde la sua salda struttura, i popoli
presto o tardi cadono nella corruzione e nella distruzione”54.
    Le preoccupazioni di Raffl per la superbia e l’ateismo espresse nel 1922
e queste ultime parole di Geisler del 1939 aprono e chiudono la lunga serie
dei richiami pastorali pubblicati sulle pagine della stampa diocesana o letti
dai pulpiti delle chiese o negli interventi pubblici di varia natura. Il pessi-
mismo sulle sorti dell’umanità contemporanea, la quale intende determina-
re le proprie scelte svincolandosi dalla Chiesa cattolica, mi sembra che co-
stituisca l’ossatura dell’intero discorso religioso dei due vescovi in merito ai
mutamenti politico-sociali del loro tempo. Le vie autoritarie del totalitari-
smo fascista, in particolare sul piano della tutela della moralità pubblica,
potevano pertanto costituire una gradita sponda istituzionale cui fare ricor-
so nel tentativo di arginare un processo di “Emanzipation von Gott”55 av-
vertito con timore anche nei territori della diocesi di Bressanone.

53
   Geisler giustificherà in seguito la sua scelta eccezionale nell’ambito del panorama episco-
   pale italiano con la volontà di mantenere il clero della diocesi il più possibile vicino alla
   sensibilità dei fedeli, che si auguravano una sconfitta dell’Italia fascista in Etiopia. Si veda
   al riguardo la relazione trasmessa da Geisler a mons. Giuseppe Pizzardo, segretario della
   Congregazione per gli affari ecclesiastici straordinari, pubblicata da Gelmi, Fürstbischof
   Johannes Geisler, pp. 171-191. Si sono soffermate con chiarezza sulla vicenda Terhoeven,
   Oro alla patria, pp. 107-109 e Ceci, Il papa non deve parlare, pp. 104-105.
54
   Lettera quaresimale, 5 febbraio 1939, in “Folium Dioecesanum Brixinense”, 1939, 1, pp.
   3-4.
55
   L’espressione è geisleriana e si trova nell’omelia Staatsrecht (citata alla nota 26), p. 2.

                                                                                              221
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