ANDREA LAVAZZA CONSEGUENZE DEL FISICALISMO SULLA MENTE

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Andrea Lavazza
Conseguenze del fisicalismo sulla mente

Abstract
   A proper and rigorous analysis of the implications of a physicalist and reductionist con-
cept of the mental (that is, that the mind is merely the activity of the human brain, and
that the human brain is the contingent, provisional result of biological evolution) leads to
several consequences that seem to have been overlooked so far. First of all, there emerges a
case in favour of the existence of incommensurable conceptual schemes; secondly, the neces-
sary nature of thought experiments on mind is put into question. The further exploration
of the consequences of physicalism on the necessity of logical laws does not embrace the
radical critics of the naturalistic approach by A. Plantinga, whose “evolutionary argument
against naturalism” has only some analogies with the one exposed here.

1. Introduzione. Il monismo fisicalistico

   Se si considera che la cosiddetta base materiale della mente si sta rivelando
sempre più correlata alle funzioni intellettive superiori, si può inferire – come fa
la filosofia della mente contemporanea – che queste ultime siano strettamente
dipendenti dalla configurazione fisica del cervello. Sulla scia del naturalismo
quineano, alcuni studiosi si stanno spingendo nel nuovo campo della “neuro-
filosofia”, in cui i meccanismi indagati dalle scienze naturali – sottostanti a ciò
che chiamiamo mente – vengono portati in primo piano come aspetti condizio-
nanti del pensiero1. Non si tratta soltanto dell’aspetto epistemologico, per cui
il processo conoscitivo potrebbe essere riportato prima alla psicologia e poi alla
neurobiologia, ma dell’intera “vita mentale” dei soggetti.
   Sappiamo che la struttura del cervello umano è guidata nel suo sviluppo dal
patrimonio genetico, che svolge un ruolo fondamentale anche nel suo fun-

 1
     Cfr. Churchland 2002.
Rivista di estetica, n.s., 49 (1 / 2012), LII, pp.   © Rosenberg & Sellier

                                                       1
zionamento istante per istante, dato che sono i geni ad attivare la cascata dei
singoli processi cellulari nei cento miliardi di neuroni che in media compongo-
no l’encefalo e nell’enorme reticolo di connessioni sinaptiche che sostengono
memoria, linguaggio, attenzione, volizione, empatia e altre facoltà espresse in
modo peculiare nella specie homo sapiens sapiens.
   L’attuale assetto del Dna umano è frutto dell’evoluzione del ramo ominide
dell’albero della vita negli ultimi sei milioni di anni, ma discende da un processo
di mutazioni casuali e di selezione, non ancora pienamente compreso, che risale
a miliardi di anni fa. Si tratta, per quanto gli studi biologici e paleoantropologici
hanno potuto mostrare fino a oggi, di un processo eminentemente stocastico, nel
quale la casualità ha una parte importante insieme all’adattamento rispetto alle
condizioni fisiche esterne, anch’esse soggette a un cambiamento nel tempo (sia
endogeno sia dovuto alla retroazione dei viventi sul loro ambiente). Il cervello
che supporta la nostra mente razionale (si ammetta provvisoriamente questa
espressione alquanto imprecisa ma intuitivamente comprensibile) avrebbe dunque
una conformazione strutturale e un assetto funzionale assolutamente contingenti.

2. Esperimenti mentali e schemi concettuali

2.1. L’argomento
   L’assunto dell’identità di mente/cervello e della sua contingenza, che discen-
de da un fisicalismo rigoroso e dall’evoluzionismo neodarwiniano, può avere
conseguenze di vario tipo, ma non implica di per sé una revisione della pratica
filosofica. Si considerino però gli esperimenti mentali che chiamano in causa
concetti epistemici e concetti modali. È ciò che accade prevalentemente negli
esperimenti mentali che riguardano proprio la mente e i contenuti mentali. Molti
di essi configurano uno scenario in cui la condizione ipotizzata sia caratterizzata
da necessità, ovvero dal fatto che ciò che descrivono sia valido in tutti i mondi
possibili. Si pensi, per esempio, a “my division” di Parfit (1984) sull’identità
personale o agli “zombies“ di Chalmers (1996) sugli aspetti fenomenici della
coscienza.
   Questa asserzione viene giustificata sia sulla base delle regole logiche condivise
sia da ciò che riteniamo metafisicamente e fisicamente possibile, sebbene ciò non
sia oggetto di un assenso dello stesso tipo che è richiesto per alcuni presupposti
generalmente condivisi. Argomentazioni che fanno un uso controverso dei
concetti di concepibilità e possibilità restano infatti oggetto di discussione tra i
membri della comunità filosofica, anche se alcuni ritengono che tali argomenti
siano inficiati da qualche tipo di fallacia. Diversamente, argomentazioni afflitte
da evidenti contraddizioni logiche vengono di solito definite come palesemente
inconsistenti e non ulteriormente considerate2.

 2
     Cfr. Szabó Gender e Hawthorne 2002.

                                           2
Si immagini ora un meta-esperimento mentale in cui un cambiamento
radicale del patrimonio genetico (indotto artificialmente dagli esperimenti di
uno scienziato pazzo in possesso di avanzatissime tecniche di manipolazione
del Dna o causato da catastrofici mutamenti dell’ambiente naturale) provochi
un’imprevedibile e vastissima alterazione del modo in cui è cablato il cervello
di alcuni o di tutti gli individui. La conseguenza potrebbe essere un “assetto
mentale” (definiamo provvisoriamente assetto mentale i limiti di elaborazione
dell’informazione imposti dall’hardware biologico) che sia diverso al punto da
rendere incommensurabili i pensieri pensati dal sistema nervoso oggi prevalente
rispetto a quelli pensati dal cervello sorto dall’anomalia genetica. L’incommensu-
rabilità può essere intesa, per analogia, come l’incapacità di traduzioni tra lingue
del tutto separate, in un contesto in cui non sono possibili altri strumenti di
comunicazione, ovvero non siano disponibili indicazioni ostensive, né rappre-
sentazioni di tipo non verbale. Si tratta di un mondo possibile nel quale non è
proiettabile nulla di ciò che possiamo pensare con l’attuale “assetto mentale”; è
un mondo (mentale) possibile ma che non è raggiungibile dalla nostra mente3.
    Va precisato che non è in discussione il fatto che il contenuto dell’esperimento
mentale tenga conto di tutti i mondi possibili che potremmo “raggiungere” con
il nostro assetto attuale di mente/cervello. Un esperimento mentale, come quelli
citati in precedenza, può essere valido in tutti i mondi possibili “raggiungibili” (e
non è comunque detto che lo sia). Il punto è che un cervello diverso, come quello
ipotizzato dal meta-esperimento mentale, potrebbe avere accesso a una diversa
costellazione di mondi possibili. La struttura metafisica del mondo è certamente
mind-independent ma si può ipotizzare che il nostro accesso a essa, vera l’ipotesi
del fisicalismo radicale sulla mente, sia limitata e/o condizionata dalla struttura
materiale del nostro cervello. Non si tratta quindi di mettere in discussione
che, in linea di principio, la necessità metafisica sia mind-independent4, il punto
è che, in accordo con il fisicalismo radicale, potrebbe essere la conoscenza della
modalità metafisica a essere limitata e/o condizionata, quindi mind-dependent.
    La conseguenza potrebbe dunque essere che gli esperimenti mentali sulla mente
non abbiano titolo per pretendere di essere necessariamente validi nel senso che
solitamente si dà a questa espressione5. Va anche sottolineato che l’obiezione
  3 È interessante notare che una simile linea argomentativa è evocata, in ambito non analitico,

anche da E. Husserl, che nella prima lezione di L’idea della fenomenologia si chiede se le forme
logiche e le leggi logiche non esprimano lo specifico e accidentale modo di essere della specie
umana, che potrebbe essere diverso e sarà in effetti diverso nel corso dell’evoluzione biologica
umana, attraverso lotta per l’esistenza e selezione naturale.
  4 Per questa tesi, si veda Williamson (2007: 134). Lo stesso Williamson afferma che l’epistemo-

logia della modalità metafisica richiede soltanto «un tipo di pensiero strettamente integrato con il
pensiero che utilizziamo circa il mondo spazio-temporale». (ib.: 178). E tale pensiero, nell’ipotesi
fisicalistica forte, sembra dipendere dalla configurazione cerebrale contingente.
  5 Forse si potrà specificare che sono necessariamente validi all’interno dell’assetto contingente

che ha oggi la nostra mente/cervello. Pur partendo da premesse diverse, Brown (1991) offre una
difesa dalle conseguenze del fisicalismo introducendo l’esperimento mentale platonico – «a priori
in quanto non è basato sui nuovi elementi empirici, né puramente derivato logicamente da dati

                                                 3
della realizzabilità multipla e il modo in cui è stata impiegata contro alcuni
tipi di teorie dell’identità tra stati mentali e stati fisici non sembrano essere qui
pertinenti. Anche se ammettessimo che la stessa proprietà mentale può essere
realizzata o implementata da numerosi possibili stati fisici, nella situazione po-
stulata in precedenza, la variazione della base fisica è così grande sotto tutti gli
aspetti rilevanti da rendere estremamente improbabile una manifestazione degli
stessi stati mentali di cui siamo oggi consapevoli grazie ai nostri cervelli attuali.
   Quanto all’incommensurabilità è noto che sono state avanzate riserve radi-
cali e influenti sulla sua ammissibilità6. L’argomentazione che contesta l’idea di
schemi concettuali diversi prende di mira l’ipotesi che il mondo possa essere
concettualizzato da diversi punti di vista e che i contenuti empirici (neutri e
impostici dalla realtà esterna) vengano organizzati da paradigmi, regole o principi
(o che gli schemi concettuali siano adattati ai contenuti empirici), dando origine
a sistemi di significato chiusi, cui si può avere accesso solo dall’interno. In tal
modo, una teoria o un linguaggio potrebbero non essere traducibili in un’altra
teoria o in un altro linguaggio. Le conoscenze di una persona non avrebbero,
quindi, un vero corrispettivo per chi si muove all’interno di un’altra teoria o di
un altro linguaggio.
   Davidson tende a identificare schemi concettuali e linguaggi. L’esistenza di
linguaggi radicalmente differenti è legata al fatto che essi non sarebbero traduci-
bili l’uno nei termini dell’altro. Ma Davidson, semplificando il suo argomento,
sostiene che se qualcuno utilizza un “linguaggio” che resiste a ogni tentativo
di traduzione forse egli non sta usando per nulla un linguaggio, o almeno noi
non siamo in condizione di riconoscere il suo “linguaggio” come un linguaggio.
Sembrerebbe perciò lecito affermare che «non possiamo trattare come linguag-
gio un’attività umana che non riusciamo neanche in minima parte a tradurre,
basandoci sull’ipotesi che essa organizzi ciò che il nostro linguaggio organizza;
se davvero organizzasse ciò che il nostro linguaggio organizza, non sarebbe to-
talmente intraducibile nel nostro linguaggio»7.
   Inoltre, Davidson contesta il “terzo dogma” dell’empirismo: il dualismo di
schema, cioè di un sistema che organizza, e di contenuto, cioè di qualcosa che
attende di essere organizzato, a suo avviso non può essere reso intelligibile né
essere difeso. E se non possiamo trovare differenze negli schemi concettuali, non
abbiamo nemmeno ragioni per affermare che gli schemi concettuali esistano.
Si mette in dubbio l’idea che vi sia un mondo esterno, oggettivo, con il quale
entriamo in contatto per mezzo di impressioni sensoriali, e che tali impressioni
sono filtrate e organizzate dai nostri schemi concettuali. Infatti, se qualcuno avesse
uno schema radicalmente differente da noi, allora egli potrebbe fare esperienza

già disponibili» – che risulta possibile grazie all’esistenza di leggi naturali come universali platonici
astratti, simili agli oggetti astratti che si suppone esistano in matematica e in logica.
 6 Si veda Davidson 1974.

 7 Bottani 1997.

                                                   4
del mondo in un modo molto diverso, sebbene vi sia lo stesso mondo esterno
oggettivo. Sembra che si possa affermare che la conclusione di Davidson è che
il valore di verità linguistico è tutto quello che c’è riguardo la “verità”, perché
c’è un solo modo in cui è possibile entrare in contatto con la realtà e le sue parti
(se un tale modo di esprimersi è corretto per rendere conto della prospettiva di
Davidson, secondo il quale c’è una connessione non mediata tra il linguaggio e
il mondo, e non vi è nulla che dal punto di vista epistemico sta tra il linguaggio
e l’oggetto del linguaggio). In definitiva, la stessa idea di schema concettuale
sembra non portare nessun contributo esplicativo, se non risulta addirittura
inintelligibile (quale l’idea di linguaggi intraducibili), e quindi va abbandonata,
come ogni altro concetto che non sia “raggiungibile” per mezzo di evidenza,
esperienza, un argomento a priori o altri mezzi legati ai sensi.
   Contro questo terzo dogma dell’empirismo l’argomentazione ha buon gioco
qualora non si consideri quello che potremmo chiamare un “super schema con-
cettuale” o non si prenda in esame, come sembrano fare i sostenitori di questa
posizione, l’ipotesi di un fisicalismo completo rispetto alla mente. Il super schema
concettuale, per come qui viene inteso, è quello che considera i singoli sistemi
nervosi simili nella loro struttura e nel loro funzionamento, sia per quanto
concerne i “recettori esterni” sia per quanto riguarda l’architettura cognitiva.
   Se si introduce invece l’ipotesi di un cervello strutturato in modo radical-
mente diverso, ipotesi che il fisicalismo sul mentale deve ritenere pienamente
ammissibile, ne consegue che per quel cervello modificato gli stessi “elementi”
in ingresso possano risultare radicalmente “differenti”, benché provenienti dallo
stesso arredo ontologico del mondo8. Non è necessario introdurre un eccessivo
grado di costruttivismo rispetto agli elementi in ingresso per considerare questo
scenario9.
   (Non si sta qui mettendo in discussione quali generi di cose esistano o che
cosa vi sia nel mondo. Un cambiamento di schema concettuale può modificare
un certo grado di organizzazione del modo in cui il mondo è strutturato, nello
specifico le relazioni tra le cose, che in parte dipende da come noi ordiniamo
le cose con le nostre menti/cervelli. L’esternismo semantico, secondo il quale

  8 Come abbiamo detto in precedenza, Davidson avrebbe potuto contestare tale presentazione dello

scenario ipotetico, ma quello che qui si introduce non è un argomento ideato contra Davidson;
quindi non è rilevante nemmeno che la posizione di Davidson rispetto al body-mind problem
sia quello che viene definito Monismo anomalo (Davidson 1970). L’idea generale è che qualsiasi
filosofia non strettamente idealistica deve tenere in qualche considerazione una realtà esterna al
soggetto conoscente.
  9 Non sembri che sia all’opera una definizione circolare, per cui la diversa codifica materiale dei

dati sensoriali corrisponda in realtà a una surrettizia presupposizione di uno schema concettuale
preliminare. Qui si tratta di una diversa architettura cerebrale, che porta a funzioni differenti dei
due ipotetici cervelli considerati. E tutte le argomentazioni contro gli schemi concettuali sembrano,
almeno implicitamente, basarsi sull’assunzione che tutti i cervelli siano sostanzialmente simili nella
loro base materiale o che almeno si abbia a che fare con agenti razionali dotati della normale dote
di stati psicologici. Ma, forse, chi sostiene la necessità di superare il “terzo dogma dell’empirismo”
senza rinunciare al monismo fisicalistico vorrà comunque contestare questa linea argomentativa.

                                                  5
“i significati non sono nelle nostre teste”, e un certo grado di realismo e di
platonismo concettuale, come quello di Rey (1983), per il quale un concetto è
ciò che conferisce a un oggetto le sue caratteristiche – che noi siamo in grado
di comprenderlo o meno –, non sembrano minare l’argomento qui proposto.)
    Proprio perché i nostri cervelli sono simili rispetto alle questioni che stiamo
trattando, possiamo almeno intuire che la loro base fisica sia la condizione di
possibilità del ragionamento sugli schemi concettuali e che tale “cornice” faccia la
funzione di un super schema concettuale. Cervelli radicalmente diversi dal punto
di vista fisico daranno verosimilmente luogo a linguaggi radicalmente diversi, a
meno di considerare in qualche modo necessaria a priori la traducibilità di tutti
i linguaggi naturali che possano sorgere. Ma è la stessa condizione di possibilità
dei linguaggi naturali (e artificiali) – l’organismo biologico “cervello” con la
sua attuale configurazione derivante dall’evoluzione naturale casuale – a essere
radicalmente contingente. Appare quindi ragionevole definire super schema
concettuale l’“universo” davidsoniano in cui ci muoviamo e in cui possiamo
criticare con successo l’idea stessa di schema concettuale. Nel momento in cui
si modifica radicalmente il supporto materiale di quell’“universo” concettuale,
da cui quell’“universo” strettamente dipende – se si crede nel fisicalismo -, allora
sembra che non sia scorretto parlare della possibilità di un altro super schema
concettuale, totalmente intraducibile.
    Si pensi per analogia al noto argomento di »intraducibilità a livello di feno-
menologia soggettiva» del “what it is like” tra uomo e pipistrello proposto da
Nagel (1974). Non è escluso, però, che qualcuno voglia contestare tale esempio
sulla base della critica davidsoniana contro gli schemi concettuali: infatti sia il
sonar dell’animale sia il nostro sistema sensoriale si sono evoluti a partire da un
comune antenato la cui filogenesi si è andata differenziando come adattamen-
to allo stesso ambiente esterno, per cui potrebbe valere l’obiezione che i due
“linguaggi mentali” organizzano, in ultima analisi, qualcosa di simile. Si può a
questo punto radicalizzare ulteriormente lo scenario: se venisse all’esistenza un
sistema nervoso che, per esempio, non abbia accesso alla “realtà” macroscopica
definita da ciò che chiamiamo collasso della funzione d’onda, ma si muovesse
all’interno di una “realtà” puramente microscopico-quantistica, non divente-
rebbe il suo “linguaggio” totalmente intraducibile, restando salvo il fatto che
entrambi i linguaggi – il nostro, che si riferisce agli oggetti macroscopici, e
quello del “nuovo” sistema nervoso, che si riferisce all’“indeterminatezza” della
funzione d’onda quantistica – rispettano la condizione di essere “veri” rispetto
al proprio “mondo” (che potrebbe rivelarsi lo stesso “mondo”)10? Si tratta, certo,
  10 Come esempio di possibili descrizioni alternative della realtà fornite dalla fisica, si consideri

il modello avanzato da Bohm (1980). Egli sostiene che l’universo ha un implicate order, che noi
non possiamo osservare e che è simile a un ologramma nel quale la struttura complessiva può
essere in quella di ciascuno dei suoi componenti individuali, e di un explicate order, che è ciò che
attualmente vediamo. Secondo Bohm, quest’ultimo è il risultato dell’interpretazione compiuta dai
nostri cervelli delle onde di interferenza che costituiscono il nostro universo. Un cervello diverso
potrebbe cogliere l’implicate order.

                                                  6
di una possibilità la cui realizzazione fisica rimane statisticamente confinata a
percentuali infinitesimali, ma nonostante ciò appare pienamente legittima dal
punto filosofico, una volta che si assuma una concezione monistica e fisicalistica
di mente/cervello11.
    Ci si può chiedere se una tale situazione sia idealmente concepibile12. Una
mente/cervello di quel genere, si può obiettare, non è una mente/cervello pa-
ragonabile alla nostra mente/cervello. Ciò significherebbe però che la nostra
mente/cervello appartiene a una sorta ontologica specifica. Ma, nella concezione
fisicalistica, l’origine puramente contingente non sembra permettere di elevare
confini ontologici univoci, né con le menti/cervelli animali, né tantomeno con
menti/cervelli umani che siano costituiti da neuroni, materia bianca e struttura
cellulare non basicamente dissimili da quelli oggi diffusi sulla Terra. Le differenze
sono infatti di grado, sfumate e quantitative, con un’ampia variabilità anche
all’interno delle specie. Le stesse specie, poi, non sono un elemento dato, ma un
risultato dell’evoluzione da un comune progenitore, in continua trasformazione
nel tempo. Né l’incommensurabilità ha a che fare con l’opacità, l’inerzia o l’inco-
scienza. Gli uomini dotati di tale cervello geneticamente modificato potrebbero
muoversi e prosperare in un ambiente perfettamente uguale al nostro o in un
ambiente diverso al quale anche noi potremmo adattarci senza difficoltà.
    Che una tale situazione sia fisicamente possibile è dato dalla pura contingenza
della nostra mente/cervello e dalle (pur iniziali) conoscenze sperimentali delle
neuroscienze, compresi i più recenti esperimenti di stimolazione e di interferenza
artificiale e selettiva delle funzioni cognitive superiori. Non si vede neppure un’in-
compatibilità con la struttura nomologica dell’universo per come è oggi nota.
    Dal punto di vista fisicalistico sulla mente/cervello, si potrebbe forse sottoline-
are che una tale incommensurabilità in un ambiente dato sia destinata a sfumare,
in quanto i concetti nascono proprio – secondo tale prospettiva – dall’interazione
fisica tra l’organismo e il mondo materiale in cui esso si muove e da cui trae
sostentamento.
    Si tratta dell’obiezione dell’irrealismo: se dipende dalla base materiale cerebrale
contingente, nulla di ciò che asseriamo è letteralmente vero, nel senso di appro-
priatamente connesso a come le cose sono, quanto piuttosto è quel che possiamo
dire dato il modo in cui siamo. A ciò si può opporre che l’ipotesi dell’irrealismo
è basata su un’induzione empirica tratta da un singolo caso, ovvero la storia del
tutto contingente che ha assunto il nostro universo a partire dal Big Bang. Inoltre,

 11 Non si può nemmeno ignorare la naturalizzazione che si sta operando della semantica legata ai

concetti di uso più comune. Tali concetti paiono essere fisicamente implementati da una specifica
rete neuronale, la cui architettura funzionale è stata identificata con buona approssimazione. E
non è quindi utopia pensare di poter alterarla senza ricorrere a ipotesi oggi molto più remote,
come quella sopra esposta; cfr. Mitchell 2008.
 12
    Concepibile può essere inteso come immaginabile, descrivibile in termini linguistici ed epistemi-
camente possibile. Quest’ultima “modalità” è allo stesso tempo la più rilevante e la più problematica.
Nel caso in questione, la proposizione p sembra epistemicamente possibile, intendendo possibile
“in base a tutto ciò che conosciamo”; cfr. Szabó Gender e Hawthorne 2002.

                                                  7
sono proprio le recenti descrizioni neurobiologiche delle nostre rappresentazioni
mentali della realtà ad andare in questa direzione, non di totale irrealismo, ma di
costruttivismo dipendente dall’effettivo funzionamento delle reti neuronali delle
quali oggi siamo dotati. Per esempio, come afferma T. Metzinger:

   Fuori di voi, di fronte ai vostri occhi, c’è solo un oceano di radiazioni elettromagnetiche,
una caotica e variegata miscela di lunghezze d’onda diverse. La maggior parte di queste
è invisibile a voi e non entrerà mai a far parte del vostro modello cosciente di realtà. Ciò
che accade veramente è che il sistema visivo nel vostro cervello sta scavando un tunnel
dentro questo ambiente fisico inconcepibilmente ricco, e nel corso del processo dipinge
le pareti del tunnel con varie tonalità di colore. Colore fenomenico. Apparenza. Solo per
i vostri occhi coscienti13.

2.2. Una disambiguazione
    A questo punto si può più ampiamente argomentare circa la fondamentale
distinzione tra considerazioni di ordine epistemologico (come conosciamo) e
considerazioni di ordine metafisico (ciò che esiste, al di là del modo in cui lo
conosciamo), che è sottesa alla discussione finora svolta. Com’è noto, una lunga
tradizione che risale a Kant, sostiene che «gli aspetti necessari del mondo sono un
sotto-prodotto del nostro schema concettuale (o dei nostri schemi concettuali):
consideriamo necessario ciò di cui non potremmo fare esperienza o che non
potremmo concepire o descrivere linguisticamente come sussistente in modo
diverso. La necessità, in quel caso, non inerisce nelle cose stesse: è proiettata
da noi su di esse»14. In genere, i filosofi moderni che hanno abbracciato, più o
meno implicitamente, questa prospettiva non hanno esplicitamente considerato
il ruolo della composizione materiale del cervello e qualche volta hanno dato per
scontato che la mente sia la “scatola nera” dalla quale emerge la pratica filosofica.
Kant sosteneva che l’apparato concettuale è un dato immutabile mentre, secondo
filosofi contemporanei come Carnap e C.I. Lewis, l’apparato concettuale potreb-
be, in linea di principio, essere radicalmente diverso da quello che è.
    Oggi, d’altra parte, «molti filosofi credono che le cose abbiano proprietà
essenziali (quindi, necessarie) indipendentemente dal modo in cui ne facciamo
esperienza, le concettualizziamo o le descriviamo, e che certi fatti – certi modi
in cui le cose stanno – siano necessari, cioè comuni a tutti i mondi possibili in
cui i loro costituenti esistono»15. Si ritiene che questa tesi sia stata fondata dagli
argomenti di Kripke (1980) a favore di verità sia necessarie sia a posteriori.
    Con riferimento agli argomenti kantiani, il fisicalismo applicato alla mente ha
una precisa conseguenza. Kant afferma che ciò che nelle sue connessioni con ciò
che è attuale è determinato in accordo con le condizioni universali di esperienza
è (ovvero esiste come) necessario. Ma il fisicalismo applicato alla mente mette in
 13
     Metzinger 2010: 23.
 14 Marconi  2009.
 15
    Ivi.

                                              8
questione le “condizioni universali di esperienza”. Se la configurazione del cervello
cambia radicalmente, mutano anche le condizioni universali di esperienza; di
conseguenza, non ci sono condizioni universali. Quindi, da un punto di vista
filosofico, se si combina la prospettiva kantiana con il fisicalismo applicato alla
mente, la necessità, come definita da Kant, non può mai realizzarsi. All’interno
di questa tradizione, l’accento (e le sue più importanti conseguenze filosofiche) è
posto su considerazioni epistemologiche, dato che quando parliamo di necessità
parliamo di noi stessi, e non del mondo.
   D’altro canto, secondo Kripke esistono aspetti del mondo che non dipendo-
no dalla nostra descrizione di esso, ma dalla natura delle cose. Tali aspetti non
possono essere dedotti dalla nostra cornice concettuale. Sono a posteriori. Ma
Kripke mette in discussione anche le teorie dell’identità psico-fisica, la quale
postula che se c’è un correlato cerebrale per ogni stato mentale, allora ogni stato
mentale è identico al suo correlato. Il suo celebre argomento – basato sulla teoria
delle verità necessarie a posteriori – può essere riassunto come segue16. Kripke
sostiene che, data una affidabile correlazione tra il dolore e la stimolazione delle
fibre C, la teoria dell’identità ritiene vera l’equazione dolore=stimolazione delle
fibre C. La prima premessa dell’argomento di Kripke risiede nell’idea che identità
come acqua=H₂O (il modello di riferimento per le identità psico-fisiche) sono, se
vere, vere per necessità; la seconda premessa origina invece dal fatto che l’identità
tra dolore e stimolazione delle fibre C appare chiaramente contingente, dato
che è concepibile che le fibre C possano venire stimolate senza che un soggetto
senta dolore, o che il soggetto possa sperimentare dolore in modo diverso, per
esempio attraverso la stimolazione di altre fibre nervose. Segue che l’identità
dolore=stimolazione delle fibre C non può essere vera perché non è necessaria.
   Sintetizzando, la prospettiva kripkeana della necessità implica che il fisicali-
smo rispetto al mentale sia falso; segue che il fisicalista rigoroso deve avere una
visione kantiana della necessità rispetto al mentale, deve cioè pensare che le
uniche verità necessarie che riguardano il mentale siano di tipo concettuale. Si
potrebbe però sostenere che la prima premessa sia viziata da circolarità, ovvero
presupponga già la falsità del fisicalismo. E se tale premessa è falsa, il fisicalista
potrebbe continuare ad affermare che esistono verità necessarie de re sul mentale.
   Ma non è facile smontare l’argomento di Kripke contro l’identità psicofisica.
Esso si basa, come visto, su due premesse. La prima riposa sulla teoria della
designazione rigida, la cui confutazione sembra implicare l’adozione di una
teoria semantica alternativa e altrettanto potente. La seconda premessa invece
può essere contestata mettendo in dubbio il carattere contingente dell’identità
tra dolore e stimolazione delle fibre C. Ma anche in questo caso l’impresa non
è semplice, perché sostenere che disgiungere stimolazione delle fibre C e dolore
costituisca una possibilità solo apparente risulta fortemente controintuivo e deve
essere dimostrato. Ciò che ci sembrerebbe di percepire come dolore quando non

 16
      Seguo qui la trattazione svolta in Paternoster 2002: 12-14.

                                                  9
vi fosse una stimolazione delle fibre C che cosa potrebbe essere, se non dolore,
in quanto il dolore è proprio ciò che percepiamo come tale.
   Altri modi di asserire la verità dell’identità psico-fisica sono legati a un inde-
bolimento della necessità, affermando che l’identità della stimolazione delle fibre
C con il dolore vale soltanto per gli esseri umani, ma non per altri esseri dotati di
sistemi neuro-cognitivi differenti. Ciò salverebbe il fisicalismo per la mente della
specie homo sapiens sapiens, minando però l’idea della modalità post-kripkeana e
quindi rendendo più difficile resistere all’argomento qui proposto.
   Dunque, i fisicalisti rigorosi che vogliono seguire Kripke nella teoria dei desi-
gnatori rigidi si trovano così nella situazione di non potere facilmente affermare
l’identità psicofisica senza entrare in contraddizione proprio con la prospettiva
kripkeana. Rispetto alla mente, i fisicalisti sembrano perciò destinati a essere
“kantiani”, per non dovere ammettere che la mente non sia la stessa cosa del
cervello. Ma se non si può essere fisicalisti kripkeani rigorosi rispetto al mentale,
pare si sia rimandati a una prospettiva kantiana per quanto riguarda il concetto
di necessità circa gli esperimenti mentali sulla mente. Sembra così che si debba
essere aperti all’esistenza di schemi concettuali incommensurabili. In definitiva,
la conclusione dell’argomento qui presentato non risulta invalidata da una con-
fusione tra il livello epistemologico e il livello metafisico.

2.3. Un argomento irrilevante?
   Da un punto di vista pragmatico, si può sollevare un’altra obiezione all’argo-
mento qui formulato: se dovessimo mai incontrare qualcuno che disponesse di un
super schema concettuale che risultasse incommensurabile con il nostro, noi non
ce ne renderemmo conto; non saremmo in alcun modo in grado di rendercene
conto. Tuttavia, questa obiezione, nella sua stessa premessa, ammette una sorta
di concepibilità dell’idea generale di super schemi concettuali che siano per noi
incommensurabili. Per tale motivo, l’obiezione non pare sufficiente a invalidare
completamente l’argomento. Tuttavia, si può concepire una situazione simile
alla seguente.
   In base alla contingenza dei super schemi concettuali, che dipende dalla
base materiale variabile, si può ipotizzare un mondo possibile in cui l’albero
evolutivo degli ominidi abbia subito varie biforcazioni17. Si consideri un sistema
costituito da esseri umani come noi e da altri esseri viventi (chiamati Zoos)
capaci di un maggiore sviluppo cognitivo e intellettuale, che normalmente
non intrattengano relazioni con la nostra specie e il cui sistema concettuale
sia incommensurabile dal nostro punto di vista, ma che siano presumibil-
mente capaci di comprendere il nostro sistema concettuale (sappiamo che nei
pochissimi casi in cui siamo riusciti a entrare nel loro territorio, essi ci hanno
invariabilmente annichilito in pochissimi secondi, anche se questa non è una

 17
    Le recentissime scoperte sull’iniziale coesistenza di Homo sapiens e Neanderthal sembrano
confermare l’effettiva presenza di biforcazioni in epoca passate.

                                             10
prova conclusiva che essi siano in grado di predire le nostre mosse sulla base
di qualche forma di mentalismo).
   Chi sa tutto questo? Gli Zoos lo sanno. E come fanno a saperlo? Essi com-
prendono che, per noi, essi sono come formiche. Se, tuttavia, gli Zoos possono
compiere questo passo, l’obiezione è che gli schemi siano traducibili. In realtà, lo
sono, ma soltanto in una direzione. Esiste uno schema intraducibile: quello degli
Zoos per noi umani, in quanto esseri con limiti materiali; d’altra parte, il nostro
schema concettuale è traducibile per gli Zoos. Si tratta di una relazione asimme-
trica. Possiamo concepire l’idea di schemi concettuali intraducibili, anche se non
possiamo “vederli”. Gli Zoos invece possono “vederli” e probabilmente possono
anche pensarli. Se vogliamo evitare di trarre conclusioni eccessivamente forti e
impegnative dall’argomento, potremmo sostenere che si tratta di un’inferenza
alla migliore spiegazione, sulla base del fatto che gli Zoos prevalgono fisicamente
su di noi, qualunque sia la nostra strategia difensiva; quindi possiamo presumere
che abbiano la possibilità di mentalizzare i nostri piani di movimento.
   L’idea di un’incommensurabilità a senso unico può essere espressa in modo più
rigoroso tornando all’idea di necessità18. Leibniz ci dice che è necessario ciò che
è vero in ogni mondo possibile che è anche accessibile dal nostro mondo (cioè,
possibile nel nostro mondo). Il punto controverso concerne quindi le condizioni
di accessibilità: differenti condizioni di accessibilità rispondo a logiche diverse. È
plausibile sostenere – come si farà qui – che la relazione di accessibilità non sia
transitiva. Supponiamo di trovarci nel Mondo 1 (M1) dal quale siano accessibili
nel senso esposto in precedenza i Mondi M2, M3, M4, M5 e M6, che presi nel
loro insieme costituiscono un orizzonte di possibilità. Da M6, tuttavia, sono
anche accessibili i Mondi M7, M8, M9 e M10. Coloro che rigettano l’idea di
schemi incommensurabili e intraducibili non sembrano considerare la questio-
ne di mondi possibili oltre il primo orizzonte di possibilità. I Mondi M7, M8,
M9 e la M10 potrebbero invece essere inaccessibili da M1. Che la relazione di
accessibilità sia sempre e necessariamente transitiva è un’assunzione forte che,
prima facie, dovrebbe essere dimostrata da chi la sostiene, mentre qui si è tentato
di argomentare contro di essa sulla base della premessa fisicalistica circa la mente.

3. Il fisicalismo e la necessità delle leggi logiche

   Posto che la considerazione del monismo fisicalistico circa il mentale conduca
al quadro sopra delineato, si potrebbe sostenere che saremmo allora in una situa-
zione in cui gli esperimenti mentali tradizionali sulla mente non possono avere
quel valore di necessità che pretendono di possedere. In realtà, all’interno del
meta-esperimento mentale nessun esperimento può essere concepito al di là del
proprio mondo “incommensurabile”, in quanto si assume che le regole logiche
siano almeno parzialmente diverse (si pensi alla logica quantistica che potrebbe

 18
    Devo questo suggerimento ad Achille Varzi.

                                             11
in qualche modo corrispondere alla logica dell’ipotetico cervello quantistico),
così come la prospettiva sul mondo, intendendo per prospettiva sul mondo
l’integrazione generale degli stimoli sensoriali e dei dati concettuali insieme con
le connesse categorie concettuali precedenti, necessarie alla costruzione di tale
prospettiva in ogni momento successivo.
    Nemmeno all’interno di una cornice teorico-scientifica che consideri la mente/
cervello il risultato di un processo di adattamento a un ambiente fisico dato, stante
la premessa stocastica dell’evoluzione biologica, può ritenersi che vi sia un elemento
di necessità nell’attuale configurazione delle rete di connessioni sinaptiche.
    Ovviamente, lo scenario della contingenza di menti/cervelli umani non sembra
toccare chi adotta una prospettiva fregeana, secondo la quale la validità delle leggi
logiche non dipende dal nostro cervello, dato che le leggi logiche non sono “leggi
del pensiero” (mentre lo scenario della contingenza potrebbe toccare chi fa propria
una visione booleana sulle leggi logiche). In questo quadro, se la configurazione
materiale del nostro cervello dovesse risultare diversa, potremmo non essere in
grado di comprendere le leggi logiche, o pensare che esse siano diverse da quelle
che consideriamo siano al momento. Ma per coloro che le ritengono necessarie e
immutabili, ciò non significa che le leggi logiche (o le leggi matematiche secondo
le quali “2+2=4”) sarebbero diverse. Noi penseremmo che sono diverse, ma esse
sarebbero sempre le stesse. Coloro che sostengono una rigorosa applicazione del
fisicalismo alla mente devono quindi fare i conti con la definizione dello statuto
immutabile delle leggi logiche, indipendenti da mente/cervello, ma comprese/
attinte attraverso di esso.
    Chi non vuole aderire a qualche forma di platonismo, secondo il quale le
leggi logiche appartengono a un regno non fisico delle idee, potrebbe limitarsi
a mettere in dubbio il fatto che la prospettiva fisicalistica sulla mente conduca a
una potenziale minaccia alla necessaria immutabilità delle leggi logiche, lasciando
aperta la questione del loro statuto ontologico19.
    Una possibile risposta, che ha vari sostenitori e che qui si può solo accen-
nare, riguarda il linguaggio e il fatto che nell’uso delle parole presupponiamo
determinate condizioni condivise della loro applicazione. Cosicché, che un
enunciato esprima una verità necessaria è sempre in parte determinato dalle
regole per l’uso delle parole che esso contiene e, spesso, da ciò totalmente
determinato. A questa posizione si può, tuttavia, obiettare che il linguaggio è
frutto dell’evoluzione in modo simile alla mente/cervello che lo produce, come
ha ampiamente illustrato Chomsky con la sua teoria innatista della gramma-
tica generativa. Recenti studi con la risonanza magnetica funzionale hanno
mostrato che vi è una correlazione tra la complessità della struttura gerarchica
delle frasi e la dimensioni delle reti neuronali coinvolte nella loro generazio-

 19
     Ovviamente, il punto di vista fregeano non si può semplificare con un rimando al platonismo
tout court, ma rispetto al fisicalismo forte i suoi punti di forza non paiono decisivi rispetto alla
discussione qui svolta.

                                                12
ne, portando ulteriori prove al fatto che le grammatiche sono vincolate dalla
struttura neurobiologica del cervello20.
    Si potrebbe anche sostenere che l’esistenza di schemi concettuali – linguag-
gi – incommensurabili con il nostro non renda verità come “2+2=4” meno
assolute, almeno nel senso che esse restano necessarie in ogni schema concettuale
in cui risultano formulabili. Non ci sarebbe infatti – secondo questa linea di
ragionamento – alcuno schema concettuale in cui una proposizione necessaria
risulti falsa: in nessuno schema “2+2≠4”. Si potrebbe, dunque, argomentare
che non esiste nulla (nessun mondo) che, impossibile nel nostro schema con-
cettuale, risulti possibile in un altro. Ciò che possiamo considerare possibile o
impossibile nel nostro schema concettuale non possiamo nemmeno afferrarlo
(semantizzarlo) in un altro.
    Tale obiezione, però, fa leva su una concezione di schema concettuale ancora pie-
namente davidsoniana. Si potrebbe rispondere affermando che, con i nostri cervelli
attuali, non esistono linguaggi totalmente intraducibili, secondo l’argomento di
Davidson, ma che l’incommensurabilità introdotta da una diversa configurazione
materiale dei cervelli è, per così dire, di genere diverso. Non possiamo certamente
figurarci come sia pensare all’aritmetica con un cervello affatto diverso dal nostro,
ma sappiamo che un tale cervello è idealmente concepibile perché il nostro, il
quale pensa “2+2=4”, è strutturato in un modo che è frutto della casualità e della
contingenza. Non c’è quindi una giustificazione per ritenere che l’apparente verità
assoluta (in ogni mondo possibile) dei nostri postulati logici e matematici non
possa essere sovvertita in un modo a noi “oscuro” da menti/cervelli che abbiano
una base fisica differente, sebbene proprio tale incommensurabilità ci impedirebbe
di afferrare pienamente come ciò accada21. A meno che, ovviamente, si rifiuti
questa prospettiva di logica come legge del pensiero e ci si appelli a un “terzo
regno” fregeano, un ambito distinto in cui «diverse persone con diverse strutture
cognitive e linguistiche possano cogliere lo stesso pensiero»22.
    Si può ancora obiettare che la nostra mente/cervello ha sì una struttura con-
tingente, ma deve obbedire come ogni altra struttura biologica alle leggi della
fisica e della biologia. E si potrebbe sostenere che le leggi logiche cui noi aderiamo
derivino la loro necessità dalle leggi biofisiche che governano la nostra base fisica.
A tale considerazione vi sono due risposte.
    La prima è legata al fatto che è il cervello a mediare tra le leggi fisiche di base
e l’espressione delle leggi logiche. Non è chiaro in che modo le leggi logiche
 20 Cfr.
         Pallier et al. 2011.
 21 Seppure   l’analogia sia assai remota e non riguardi la filosofia analitica, si può ricordare che
una concezione intuitiva di menti totalmente incommensurabili è ben presente da secoli nella
tradizione teologico-filosofica occidentale: si tratta dell’idea che la mente di Dio, cioè dell’essere
perfetto, onnipotente e onnisciente, sia completamente imperscrutabile da parte delle menti
degli uomini, benché essi siano, nella concezione cristiana, creature di quell’essere, inserite nello
stesso “universo” ontologico, e benché Dio si metta in comunicazione con l’uomo attraverso il
linguaggio delle creature.
  22
     Penco 2010: 159.

                                                 13
emergano, se non attraverso il loro operare nelle inferenze operate dai singoli
esseri umani e il loro essere state fissate in formule riproducibili. E già sappiamo
che il cervello ha una struttura contingente, anche se il funzionamento di tale
struttura segue le leggi fisiche di base e non può violarle in alcun modo. Rimane
la possibilità che le macchine, in particolare i computer digitali, esprimano leggi
logiche derivanti direttamente dalle leggi fisiche di base senza la mediazione dei
cervelli. È una trattazione che non può essere qui nemmeno abbozzata. Tuttavia,
non sembra ancora dimostrato che vi siano artefatti non progettati dall’uomo
capaci di esibire modelli ricorrenti di applicazione coerente delle leggi logiche
conosciute. A meno di considerare i sistemi fisici auto-organizzati come esem-
plificazioni di leggi logiche, ma questa è una strada che si vuole più suggerire ai
critici che non ritenere davvero percorribile23.
   La seconda risposta è invece legata al fatto che anche l’insieme delle leggi fisiche
di base sconta una contingenza legata all’origine dell’universo fisico, almeno per
le conoscenze (ipotetiche) che ne abbiamo oggi. È scientificamente ipotizzabile
che almeno qualche parametro fisico avrebbe potuto essere diverso e che, quindi,
lo sviluppo dell’universo avrebbe potuto essere leggermente differente da quello
che osserviamo. Si tratta di una questione empirica ancora aperta, come dimostra
la discussione sul cosiddetto principio antropico.
   Se, invece, si ritiene che le regole che presiedono la concepibilità ideale,
quelle che per esempio vietano di ammettere “2+2=5”, non possano in alcun
modo essere rimosse pena la perdita di razionalità del discorso filosofico (come
sosteneva anche Aristotele; non si può rinunciare alla proposizione “2+2=4” in
quanto vera in ogni schema in cui può essere compresa), sembra che si rimanga
con una disgiunzione: o le leggi logiche non sono necessarie (valide cioè in tutti
i mondi possibili, anche quelli con menti/cervelli fisicamente diversi), oppure
si deve ammettere qualche forma di platonismo alla Frege, che è incompatibile
con il fisicalismo forte.

   Per preservare l’oggettività dei pensieri occorre separare i pensieri dal mondo soggettivo
della coscienza e dal mondo empirico dell’esperienza, in un terzo mondo o terzo regno
oggettivo di enti astratti, che si profila come un tesoro comune all’umanità: i pensieri che
l’umanità è finora riuscita a individuare, scoprire ed esprimere linguisticamente. Quali
diventano le caratteristiche dei pensieri in questa visione? Essi non solo sono oggettivi,
ma afferrabili da tutti e hanno un impatto e un’influenza sugli umani nel senso che
nell’atto mentale di comprendere un pensiero si producono conseguenze determinanti
a livello sociale e individuale24.

 23 Sono recenti gli studi sui sistemi biologici ingegnerizzati, che possono funzionare come porte

logiche e filtri di segnali (Win e Smolke 2008), ma la “logica” delle cellule sembra derivata, di
secondo ordine. Per una discussione sul tema di intenzionalità e semantica primarie o derivate, si
veda l’amplia letteratura circa l’“argomento della stanza cinese” sviluppato da John Searle.
 24
    Penco 2010: 158.

                                               14
E ciò perché pensare «è un atto psichico soggettivo che ci mette in contatto
con qualcosa di oggettivo, i sensi degli enunciati o pensieri. Afferrare il senso
di un enunciato, o comprendere un pensiero, è quindi per Frege un atto mi-
sterioso con cui il soggettivo entra in contatto con l’oggettivo»25. Uno spazio
ontologico non altrimenti definito delle verità universali, raggiungibile in modo
imperscrutabile per scoprirvi letteralmente leggi logiche e teoremi matematici,
è quello che sembra allora contrapporsi alla radicale contingenza degli aggregati
materiali in evoluzione.
   Il meta-esperimento mentale della mente/cervello geneticamente modificata
fa proprio il presupposto riduzionista della mente come “espressione” diretta
della base materiale cerebrale. E tale configurazione fisica è quella che permette
di esprimere lo stesso concetto di concepibilità ideale, quello che appunto vieta
di affermare ~S, dove S è una verità matematicamente dimostrabile.
   Il monismo materialistico, se vero, riduce l’ambito della filosofia alla compati-
bilità a livello di interazioni con il mondo materiale in cui ci troviamo. Si tratta
di interazioni microscopiche nel nostro cervello e macroscopiche per quanto
riguarda i corpi intesi come totalità all’interno dell’ambiente che ci circonda.
   Nella disgiunzione, porre come vera qualche forma di platonismo può – para-
dossalmente – introdurre anche qualche forma di dualismo tra mente e cervello,
dato che una sostanza non materiale potrebbe essere il tramite tra il cervello e il
“terzo regno”. Ciò di per sé, comunque, non fornisce un’autentica spiegazione
dell’intuizione che potrebbe condurre al rifiuto di abbandonare concetti e regole
logiche dotati di necessità e slegati dalla contingenza materiale. Tuttavia, anche
una sorta di platonismo fregeano, che collochi il giudizio logico in un ambito
non specificato (e non necessariamente fisico) esterno al cervello chiederebbe
al fisicalista di spiegare come il cervello materiale può afferrare le leggi logiche
indipendenti dalle leggi del pensiero26.
   D’altra parte, dobbiamo essere consapevoli del fatto che sottolineando le
conseguenze del fisicalismo applicato alla mente si possono aprire altri proble-
mi. Sembra infatti che siamo prigionieri di un paradosso: il meta-esperimento
mentale è comunque realizzato da un determinato cervello, con una determinata
configurazione fisica contingente, per cui potrebbe essere a sua volta “relativizza-
to”. Pare, in effetti, che menti/cervelli incommensurabili costituiscano “bolle” di
“sensatezza”, in cui i test di verità di ciascuna restano impregiudicati al proprio

 25 Ivi:
        157.
 26 Va
       precisato che l’eventuale sostanza non fisica postulata deve essere pensata all’interno di un
contesto non spiritualistico: potrebbe per esempio rivelarsi una forma di radiazione “speciale” non
ancora individuata dai nostri strumenti. Ciò che sembra scaturire dall’argomento qui presentato
è che la “base fisica” oggi conosciuta sembra non sufficiente a dare conto dall’apparente necessità
delle leggi fondamentali del pensiero. Accettare qualche forma di dualismo tra fisico e mentale
non rende di per sé necessarie le leggi fondamentali del pensiero. Potrebbe accadere che vi siano
tante possibili basi non fisiche della nostra mente quanto ve ne sono di materiali. E il fatto che la
nostra mente abbia una base non fisica potrebbe essere tanto casuale quanto il fatto che abbia una
certa base fisica. Ma questo è un campo aperto della ricerca filosofica e scientifica.

                                                 15
interno, mentre le proposizioni di menti/cervelli di radicale diversità fisica non
sarebbero intertraducibili.
    Dal punto di vista del monismo fisicalistico, si può sostenere che è la base
materiale a produrre l’“intuizione” o, peggio, l’“impressione” che qualcosa di ciò
che chiamiamo pensiero vada “al di là” della configurazione neuronale sottostante.
    Tuttavia, se possiamo ragionare di possibilità e concepibilità e di mondi pos-
sibili in cui valgano sempre alcune condizioni o regole, allora si può considerare
questo un elemento induttivo a favore del secondo corno della disgiunzione,
ovvero di qualche forma di autonomia della mente dalla sua base materiale con-
tingente per accedere a un “regno” di pensieri non contingenti. Ovviamente, una
ipotetica base non fisica (per come oggi concepiamo una fisica completa – e non
è certamente un’impresa filosoficamente semplice) potrebbe essere immaginata
tanto “relativa” quanto la base fisica. Non è chiaro, infatti, se possa essere giusti-
ficato affidarsi a qualche forma di intuizione per sostenere il secondo corno della
disgiunzione. In realtà, i sostenitori del fisicalismo potrebbero accettare la piccola
impasse del “super schema concettuale” e continuare a rifiutare platonismo e
dualismo come del tutto implausibili filosoficamente ed empiricamente, mentre i
platonisti e i dualisti hanno l’opportunità di avanzare una petizione di principio:
se abbiamo l’intuizione che necessità e verità assolute resistano a ogni tentativo
di relativizzazione, ciò dipende da una componente non strettamente fisica
della mente, che deve essere poi individuata e raggiunta dal cervello materiale,
riproponendo i classici e ardui problemi dell’interazione tra sostanze diverse27.
    In questa linea di ragionamento, pare difficile uscire da un progressivo e pre-
sumibilmente infinito sovrapporsi di una coppia di pensieri, il primo dei quali
è la contraddizione esperita tra la natura contingente della mente/cervello ma-
teriale, frutto di evoluzione casuale, e i concetti e le regole logiche di apparente
necessità e valore non contingente, mentre il secondo pensiero è la riduzione
di tale “intuizione” di concetti e regole logiche esattamente alla base materiale
empiricamente indagabile, condizione necessaria per l’espressione anche del
primo pensiero.
    Un tentativo di uscire dal circolo vizioso – e dalla gabbia del paradosso – po-
trebbe essere costituito dal fatto che in apparenza tutto ciò di cui si è discusso
finora si produce soltanto nella mente/cervello dell’uomo: non in altri esseri
viventi, né in artefatti come i computer oggi disponibili. Ma anche in questo caso
si ripropone l’obiezione della base materiale: lo stesso Teorema di Incompletezza
di Gödel potrebbe essere il frutto del particolare assetto che i nostri circuiti neu-
ronali hanno oggi, ma avrebbe potuto essere “irraggiungibile” centomila anni fa
e potrebbe divenire “irraggiungibile” fra qualche migliaio di anni, se l’evoluzione
proseguisse, come sembra stia facendo, con sviluppi imprevedibili.

 27
     E tale “ricerca” filosofica può riprendere i vari argomenti che sono stati messi di volta in volta
in campo (dall’intenzionalità primaria ai qualia) contro il fisicalismo. Ma ciò va al di là di quello
che si sta qui discutendo. Si veda, comunque, Lavazza 2008.

                                                  16
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