ABBAZIA DELLE TRE FONTANE

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ABBAZIA DELLE TRE FONTANE
ABBAZIA DELLE TRE FONTANE

                                                       Abbazia delle Tre Fontane
                                                       Viale Acque Salvie, 1
                                                       00142 Roma

                                                       Telefono 06 5401655
                                                        Fax 06 5413395
                                                       www.abbaziatrefontane.it
                                                       info@abbaziatrefontane.it

                                                       Ospitalità: sì

L’Abbazia

L'Abbazia delle Tre Fontane è l'unico complesso
religioso tenuto a Roma dai cistercensi che abbia il
titolo di abbazia (benché appartengano a
quest'ordine anche San Bernardo alle Terme e
Santa Croce in Gerusalemme).

Storia del sito

Il complesso abbaziale è posto in una valletta
percorsa dall'antica via Laurentina, in una località
detta Aquae Salviae; il toponimo unisce, si pensa,
la menzione delle sorgenti della zona al nome della
famiglia che possedeva la tenuta in epoca tardo-
latina.

Il monastero greco-armeno

A metà del VII secolo, in occasione del sinodo
tenuto da Martino I nel 649, è attestata in Roma la
presenza di un «venerabile abate Giorgio, del
ABBAZIA DELLE TRE FONTANE
monastero di Cilicia che sorge alle Acque Salvie della nostra città». Il primo stanziamento
nel sito fu dunque quello greco-armeno, al quale l'imperatore Eraclio avrebbe inviato in
dono, come preziosa reliquia, la testa del martire persiano Anastasio. Appartiene a
quest'epoca la fondazione della chiesa dedicata alla Madonna, che diverrà poi Santa Maria
Scala Coeli.

Come attesta il Liber Pontificalis, alla fine dell'VIII secolo il monastero e la chiesa
andarono a fuoco, e furono da questo stesso papa restaurati e nuovamente dotati, ed anche
i papi successivi, tra il IX e il XII secolo mostrarono con donazioni il loro favore per il
monastero. La rilevanza dell'istituzione nell'assetto feudale della Chiesa dell'epoca è
ulteriormente segnalata dall'attribuzione al monastero di feudi nella Maremma toscana
(Ansedonia, Orbetello, il monte Argentario, l'isola del Giglio), attraverso un'apocrifa
donazione di Carlo Magno.

L'abbazia cluniacense

Alla fine dell'XI secolo, forse perché il monastero armeno era effettivamente decaduto o
perché i cluniacensi stavano diventando il più potente ordine monastico del tempo e il
papa aveva bisogno di alleati potenti nella sua lotta contro l'imperatore, o per tutti questi
motivi insieme, sta di fatto che Gregorio VII affidò a quest'ordine, attorno al 1080,
l'abbazia e i suoi possedimenti.
Pochi decenni dopo tuttavia, nel 1140, il monastero fu tolto da Innocenzo II ai cluniacensi
(che avevano assecondato lo scisma di Anacleto II) ed assegnato ai cistercensi.

L'abbazia cistercense

                                                                    È a questo periodo che
                                                                    risale la costruzione della
                                                                    chiesa abbaziale e la
                                                                    struttura del monastero
                                                                    come oggi lo conosciamo:
                                                                    in un documento del 1161
                                                                    vengono menzionate per
                                                                    la prima volta tutte e tre
                                                                    le chiese che ne fanno
                                                                    parte.
                                                                    La      sua    ritrovata    e
                                                                    crescente      potenza      è
                                                                    confermata dal fatto che il
                                                                    suo        primo       abate
                                                                    cistercense divenne poi
                                                                    papa Eugenio III.
                                                                    Questa potenza crebbe nei
                                                                    due secoli successivi, con
                                                                    la fondazione di 5 abbazie
                                                                    "filiali",    quasi     tutte
                                                                    intitolate a Santa Maria, a
                                                                    Penne, a Manoppello, a
                                                                    Nemi (dove i monaci
                                                                    assediati dalla malaria
                                                                    andavano        a    passare
l'estate), all'isola di Ponza, a Montalto di Castro (ma questa era intitolata a sant'Agostino) e
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a Girifai in Sardegna .
Il monastero venne completato nel 1306 e nel 1370 arricchì il proprio prestigio con le
reliquie di san Vincenzo di Saragozza, che divenne contitolare della chiesa abbaziale.
Finita l'epoca eroica del monachesimo, nel 1408 l'abbazia fu trasformata in Commenda da
Martino V, ma continuò ad essere tenuta dai cistercensi.
La vita dell'abbazia si interruppe nel 1808, quando fu soppressa dai francesi: saccheggiato
e disperso il suo patrimonio, trasferiti alla Biblioteca Vaticana e alla Casanatense i libri e
gli archivi, infestato il luogo dalla malaria, la struttura andò completamente in rovina.

I Trappisti

Francesi erano stati i distruttori
dell'abbazia, e ai francesi si
dovette la sua resurrezione: in
occasione          del        Giubileo
straordinario indetto nel 1867 per
il diciottesimo centenario del
martirio di Pietro e Paolo, Pio IX
riuscì a trovare gli ingenti fondi
necessari per i restauri. Grazie al
munifico benefattore francese,
conte de Moumilly, fu ripristinata
con bolla papale del 1868 una
comunità residente (che doveva
avere almeno 14 componenti), e
l'abbazia venne affidata a monaci
trappisti,      ordine    cistercense
riportato dal francese Armand
Jean le Bouthillier de Rancé nel
XVIII secolo alla cosiddetta
"antica      osservanza",       perché
provvedessero al restauro degli
edifici e alla bonifica del territorio.
Dopo la liquidazione dell'asse ecclesiastico i trappisti ottennero 450 ettari del territorio
delle Acque Salvie in enfiteusi perpetua, con la condizione di mettervi a dimora, per la sua
bonifica, 125.000 piante di Eucalyptus.
La bonifica fu effettivamente realizzata (attraverso canalizzazioni, eucalipti, ma soprattutto
l'interramento di uno stagno che costituiva il focolaio di malaria della valle), e il territorio
dell'abbazia è oggi in salvo, benché assediato sempre più da presso dall'espansione
urbanistica nel territorio circostante e dalla connessa viabilità a scorrimento veloce.

Il monastero fortificato

Recinto e torre del convento
Come tutti gli analoghi complessi dell'epoca, l'abbazia delle Tre Fontane presenta caratteri
di monastero fortificato: lo si vede bene nel portale d'ingresso, che fa pensare a quello dei
Santi Quattro Coronati. Il portale è detto Arco di Carlo Magno perché gli affreschi al suo
interno ricordavano la presunta donazione dei possedimenti di Maremma da cui nasceva la
ricchezza dell'istituzione: secondo la leggenda, papa Leone III fece portare la reliquia di
sant'Anastasio in soccorso di Carlo Magno impegnato a togliere Ansedonia ai Longobardi;
le mura crollarono per un terremoto, Carlo Magno vinse la sua guerra, e il monastero fu
dotato di ampi possedimenti in Maremma.
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Le costruzioni dell'abbazia e il chiostro sono posti sulla sinistra della chiesa. Siccome i
monaci vivono in clausura, l'interno è raramente visitabile.

LE TRE CHIESE

Chiesa abbaziale dei Santi Anastasio e Vincenzo

La chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio alle Tre Fontane è una chiesa di Roma, nel
quartiere Ardeatino, all’interno del complesso abbaziale delle Tre Fontane, di cui
rappresenta la chiesa principale.

Storia

La chiesa fu edificata da Onorio I, insieme ad un monastero, nel 625, ed affidata a monaci
greci che vi trasferirono le reliquie di Sant'Anastasio, militare persiano dell'esercito di
Cosroe vissuto nel VII secolo, che aveva subito il martirio nel 624. Solo nel 1370 l'abbazia
fu arricchita delle reliquie di san Vincenzo di Saragozza, al quale venne dedicata la chiesa.
Papa Adriano I, nel 722 circa, restaurò la chiesa, e nel 796, papa Leone III la fece
riedificare dalla fondazioni. Carlo Magno la dotò di beni e di terre nel territorio di Siena.
Innocenzo II, nel 1128, rinnovò il monastero e lo affidò ai monaci cistercensi di Bernardo
di Chiaravalle, assegnando poderi e vigne per il loro mantenimento; san Bernardo inviò
come primo abate don Pietro Bernardo Pisano che divenne papa nel 1145 col nome di
Eugenio III.
Nuovamente restaurata nel XIII secolo, nel 1221 fu consacrata da papa Onorio III, la cui
effigie si vedeva un tempo dipinta sotto il portico insieme ad altre pitture antiche ora
scomparse.
Nel corso del XIX secolo, la chiesa passò dai cistercensi ai Francescani e poi, nel 1868, ai
Trappisti.
                                                                   Con la Bolla del 21 aprile
                                                                   1868, venne ricostituita
                                                                   una comunità che doveva
                                                                   avere almeno 14 religiosi:
                                                                   l'incarico fu dato ai
                                                                   Cistercensi Trappisti, a
                                                                   cui fu donata l'abbazia. I
                                                                   monaci della Grande
                                                                   Trappa          intrapresero
                                                                   radicali opere di restauro
                                                                   degli        edifici       ma
                                                                   soprattutto                 si
                                                                   impegnarono a fondo per
                                                                   la bonifica integrale della
                                                                   zona, con la costruzione
                                                                   di sistemi di drenaggio
                                                                   delle acque stagnanti,
                                                                   pericolose anche per le
                                                                   fondamenta              delle
                                                                   strutture edificate. La
                                                                   lotta alla malaria ebbe un
                                                                   grande alleato nell'albero
                                                                   di eucaliptus: i monaci
trappisti ne piantarono molti, soprattutto dopo il 1870, quando, caduto il potere temporale
della Chiesa, i Trappisti riuscirono ad ottenere in enfiteusi perpetua un appezzamento di
450 ettari in cambio, tra le altre condizioni del contratto, di piantare almeno 125.000
alberi di eucaliptus. I lavori di bonifica continuarono fino ai primi del '900, quando la
copertura di uno stagno nei pressi del monastero e l'uso di zanzariere e di chinino, mise
fine al problema malaria. Oggi intorno al territorio dei monaci, intorno alla valle delle
Acque Salvie, restituita alla vita e al culto delle sacre memorie, si estende la moderna città
di Roma.

Arte

La facciata in cotto della chiesa è a forma di capanna; presenta un rosone centrale e,
attorno ad esso, cinque monofore a tutto sesto; nella parte inferiore vi è un portico
risalente all’inizio del XIII secolo, con colonne di marmo e capitelli ionici. Il doppio
basamento su cui poggiano le colonne sono segno dei lavori di restauro ottocenteschi, che
portarono all’abbassamento del livello del pavimento di tutto il complesso.
L'interno della chiesa è a croce latina a tre navate; l’abside è affiancato da due cappelle
laterali per lato. La mano cistercense - la cui opera sommerse completamente i resti della
primitiva costruzione - è riconoscibile nello stile solido, severo e spoglio della chiesa e degli
altri edifici conventuali, e nel fatto che tutto sia costruito, all'uso lombardo, in laterizio,
quasi senza ricorrere a materiali di spoglio, al contrario dell'uso romano del tempo.
Cistercensi e lombarde furono probabilmente, magari provenienti dalla quasi
contemporanea abbazia di Chiaravalle, le maestranze che edificarono, introducendo
nell'uso edilizio romano le volte a sesto acuto fin allora quasi sconosciute in città.
Sui massicci pilastri laterali, collegati da volte a tutto sesto, poggiava in origine una volta a
sesto acuto, rimasta oggi soltanto sulle cappelle laterali, mentre quella della chiesa,
rovinata nel tempo, è stata sostitita da capriate di legno a vista.
Le uniche decorazioni consistono in grandi figure degli apostoli rappresentate sui pilastri
della navata, che l’Armellini riferisce che

 « …furono dipinti coi cartoni di Raffaello e si pretende inoltre che siano copie di quelli
famosissimi dipinti dal Sanzio nel Vaticano entro la sala detta de' chiaroscuri. »

                                                      La chiesa abbaziale è rimasta
                                                      praticamente intatta nelle forme in cui
                                                      fu costruita nel XII secolo.
                                                      Il primo dedicatario fu e rimase
                                                      Sant'Anastasio,      militare   persiano
                                                      dell'esercito di Cosroe vissuto nel VII
                                                      secolo, che aveva subito il martirio nel
                                                      624, la cui testa fu la prima importante
                                                      reliquia pervenuta nel sito, pochi anni
                                                      dopo il martirio (scomparsa alla fine
                                                      del XIV secolo e ritrovata a Santa
                                                      Maria in Trastevere). Lo si ricorda il 22
                                                      gennaio, giorno della morte.
Nel 1370 l'abbazia fu arricchita da altre reliquie di san Vincenzo di Saragozza, al quale
venne anche dedicata la chiesa.
La mano cistercense - la cui opera sommerse completamente i resti della primitiva
costruzione - è riconoscibile nello stile solido, severo e spoglio della chiesa e degli altri
edifici conventuali, e nel fatto che tutto sia costruito, all'uso lombardo, in laterizio, quasi
senza ricorrere a materiali di spoglio, al contrario dell'uso romano del tempo. Cistercensi e
lombarde furono probabilmente, magari provenienti dalla quasi contemporanea abbazia di
Chiaravalle, le maestranze che edificarono, introducendo nell'uso edilizio romano le volte a
sesto acuto fin allora quasi sconosciute in città.
Sui massicci pilastri laterali, collegati da volte a tutto sesto, poggiava in origine una volta a
sesto acuto, rimasta oggi soltanto sulle cappelle laterali, mentre quella della chiesa,
rovinata nel tempo, è stata sostitita da capriate di legno a vista.
Le uniche decorazioni consistono in grandi figure degli apostoli rappresentate sui pilastri
della navata.

La chiesa (della decapitazione) di san Paolo

La principale delle tradizioni collegate all'abbazia è quella che indica la valle come luogo
della decapitazione di san Paolo, il 29 giugno del 67: la testa, cadendo a terra, avrebbe fatto
tre rimbalzi, da ognuno dei quali sarebbe scaturita una fonte. Prevalse poi la tradizione che
voleva la decapitazione di san Paolo avvenuta lungo la via Ostiense, nel luogo dove fu poi
sepolto e fu costruita in epoca costantiniana la basilica di San Paolo fuori le mura. Ad
aquas salvias sorse comunque, in tempi antichi, un oratorio che ricordava la decapitazione
e fondava la connessa leggenda.
È questo il punto focale originario del sito. Se ne descrive l'origine con le parole
dell'Armellini:
« Negli atti anonimi greci dati in luce dal Tischendorff, non solo si legge che s. Paolo fu
decapitato nella massa appellata ad Aquas Salvias, ma vi si aggiunge che il martirio
avvenne presso un pino. Benché apocrifo questo documento e ripieno di leggende, pure è
scrittura assai antica e deve, come è ovvio comprendersi, meritare fede almeno nella parte
che riguarda le notizie dei luoghi. Ora non sono molti anni, scavandosi dai rr. pp. trappisti
non lungi dalla chiesa suddetta per un serbatoio d' acqua, si rinvenne a grande profondità
del suolo un ripostiglio di monete antiche, precisamente dell'impero di Nerone, e molti
frutti di pino (pigne), che l' azione del tempo aveva quasi fossilizzati. Una tale scoperta,
della quale io detti un cenno nella Cronachetta mensuale, mi pare di qualche importanza in
ordine alla circostanza narrata dagli atti suddetti dell'albero di pino sotto cui sarebbe stato
decollato s. Paolo.
In un angolo della medesima si conserva un frammento di colonna appartenuto forse all'
antica basilica, sul quale, secondo una tradizione, sarebbe stato decapitato l' Apostolo »
Nel 1599 il cardinale Pietro Aldobrandini fece rifare interamente l'oratorio da Giacomo
della Porta, su una pianta molto semplice ad unica navata trasversale con due cappelle
laterali, lungo la quale tre nicchie ospitano le tre fonti (dove però l'acqua non scorre più dal
1950). Nel vestibolo è stato conservato l'impianto antico dell'oratorio e, sul pavimento, il
mosaico precedente alla ricostruzione cinquecentesca. Un altro mosaico più ampio con le
immagini delle Quattro stagioni, proveniente dal mitreo imperiale di Ostia, fu installato
nella navata centrale con il restauro ottocentesco.
Sull'altare della cappella di sinistra era installata la Crocifissione di Guido Reni, trasferita a
Parigi dai francesi nel 1797. Quando fu recuperata, venne allocata alla Pinacoteca Vaticana:
la pala attualmente in loco è una copia.

Santa Maria Scala Coeli

Nel sito esisteva fin dai primi secoli un altro oratorio, dedicato alla Madonna, costruito su
una cripta dove si diceva sepolto il tribuno Zenone con i suoi 10.203 soldati, mandati a
morte da Diocleziano dopo aver costruito le grandi terme.
A sinistra dell'altare della cripta, una finestrella lascia vedere un altare pagano dedicato
alla dea Dia, divinità agricola romana cui tributavano culto gli Arvali; dall'analoga
finestrella a destra si vedono le tracce di un antico cimitero cristiano, considerato l'ultima
prigione di san Paolo prima della decapitazione.
Il nome Scala Coeli, iscritto anche sulla porta, nasce da una visione avuta nel 1138 dal
fondatore dei cistercensi Bernardo di Chiaravalle, nella quale la Madonna accoglieva le
anime dei defunti che salivano in cielo lungo una scala.
L'oratorio crollò alla fine del XVI secolo, e la sua ricostruzione ex novo fu affidata dal
cardinale Alessandro Farnese a Giacomo Della Porta, che realizzò, tra il 1582 e il 1584,
l'attuale elegante cappella a pianta ottagonale.

La Comunità

L’Abbazia delle Tre Fontane fa parte dell’Ordine
Cistercense della Stretta Osservanza.
 “L'Ordine Cistercense della Stretta Osservanza
[O.C.S.O.] trae origine da quella tradizione
monastica di vita evangelica che ha trovato
espressione nella Regola dei Monasteri di san
Benedetto da Norcia. I fondatori di Cîteaux
[Francia] hanno impresso a tale tradizione una
forma particolare, della quale i monasteri della
Stretta Osservanza difesero valorosamente alcuni
ideali. Tre Congregazioni della Stretta Osservanza,
con l'unione del 1892, hanno costituito un Ordine,
che ora viene chiamato Ordine Cistercense della
Stretta Osservanza.
Quest'Ordine è un Istituto monastico integralmente consacrato alla contemplazione;
perciò i monaci si dedicano, all'interno della clausura del monastero, al culto di Dio
secondo la Regola di san Benedetto, e prestano alla Divina Maestà un servizio a un tempo
umile e nobile, nella solitudine e nel silenzio, in preghiera continua e gioiosa penitenza.”
(Dalle Costituzioni O.C.S.O., N° 1-2)

Orario

                Vigilie: 4:00 - preghiera personale, lectio divina
                Lodi e messa: 6:45 (domenica, messa: 9:45)
                Terza: 8:30 - capitolo, lavoro
                Sesta: 12:15
                Nona: 15:00 (domenica: 15:30) - lavoro
                Vespro: 18:00
                Compieta: 20:15

apertura Chiesa 6,30 - 12,30 e 15,00 (la domenica 15,30) - 20,30
orario portineria 8,30 - 12,30 e 15,00 - 18,00
orario centralino 8,30 - 12,30 e 15,00 - 18,00
orario confessioni 16,30 - 17,30
orario visite 6.30 - 12.30 e 15.00 - 20.30
orario sante messe domenica e feste: 9.45
orario sante messe settimana: 6:45

FORESTERIA DELL'ABBAZIA. L'ospite, sempre benvenuto secondo la Regola di S.
Benedetto, può partecipare alla S. Messa e alla liturgia delle Ore nella chiesa abbaziale.
Usufruisce di una stanza e dei pasti giornalieri. La foresteria è riservata esclusivamente a
chi desidera trascorrere un breve periodo di ritiro spirituale (massimo 6 giorni). La
prenotazione si fa’ tramite telefono o email.

VICINO ALL'ABBAZIA (nel complesso):
- parcheggio privato per le macchine (limitato a 30 posti);
- punto vendita prodotti dell'abbazia;
- punto ristoro;
- libreria edizioni paoline;
- negozio arte sacra.
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