ESEGESI DELLA "DECO" Una riflessione tecnica per il rilancio condiviso di un progetto comune
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ESEGESI DELLA “DECO” Una riflessione tecnica per il rilancio condiviso di un progetto comune di Rosario Previtera 1. Premessa E’ trascorso più di un decennio da quando il compianto Gino Veronelli (noto e poliedrico giornalista, enologo, esploratore e scopritore dei giacimenti enogastronomici italiani) individuò nei prodotti di nicchia provenienti da un determinato territorio comunale, l’essenza e l’emblema dei comuni stessi; prodotti che rappresentano la tradizione, la storia, la stratificazione cultuale di una comunità. Prodotti cioè a “denominazione comunale” da valorizzare opportunamente visto che, per la maggior parte dei casi, essi non si sarebbero potuti fregiare di un vero marchio di tipicità e di qualità europeo (DOP, IGP, STG) ma che di fatto, “tipici” lo erano nella realtà anche se non dal punto di vista normativo. Una intuizione quella di Veronelli, che tramite una serie di instancabili azioni significative tra il 1998 ed il 2003, unitamente alle conseguenti, contestuali ed entusiasmanti iniziative dell’ANCI, hanno probabilmente dato corso a ciò che oggi chiamiamo “tutela del Made in Italy agroalimentare” a partire dalle specificità territoriali; queste iniziative legate al “Progetto De.c.o.” dell’ANCI hanno certamente anticipato i tempi, visto che oggi si parla sempre più diffusamente di tutela dall’agropirateria, di vendita diretta e filiera corta, di biodiversità e biodiversità alimentare, di etichettatura di origine, di tracciabilità e rintracciabilità di prodotto e di filiera, di specialità locali, di legame tra prodotto e territorio a fini turistici, di marchi d’area e marchi collettivi. E proprio l’Italia, oggi in Europa si batte per la chiarezza dell’origine e per la trasparenza della provenienza dei prodotti. Dieci anni fa, purtroppo, non era così; forse i tempi non erano maturi e l’innovazione introdotta da Veronelli non venne percepita ed intesa a dovere. 2. La parabola della DE.C.O. originaria L’idea veronelliana della “denominazione comunale” venne accolta con grande entusiasmo soprattutto dai numerosissimi piccoli comuni italiani e venne sposata dall’ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani), che propose il noto marchietto DE.C.O. (Denominazione Comunale di Origine) ed il format per le famose “delibere di consiglio comunale” per l’approvazione e l’istituzione delle De.c.o. e, soprattutto, lanciò nel 2000 la specifica “proposta di legge di iniziativa popolare”. Sull’onda dell’entusiasmo (suffragato dal D. Lgs. N. 267/2000 e dalla Legge Costituzionale n. 3/2001), l’”idea” della Denominazione Comunale di Origine in pochi anni si diffuse velocemente, ma fu quasi subito fermata dal Ministero dell’agricoltura del tempo, per presunta incompatibilità con le norme sulla denominazione di origine comunitarie. Intanto anche in altre nazioni l’idea della denominazione comunale si diffondeva, mentre in Italia Veronelli (il 1
quale improvvisamente veniva a mancare nel 2004) ed i suoi numerosi “eredi” (Massobrio, De Donno, Rota, Stefi, Lagorio ed altri) cercavano di giungere ad una soluzione condivisa col Ministero (e con i ministri dell’epoca De Castro prima ed Alemanno dopo), la quale ipotesi risolutiva nel 2005 si tradusse nell’idea embrionale e nella volontà di definire la Denominazione Comunale (privata della parola “origine”) quale strumento di valorizzazione e marketing territoriale ma soprattutto quale strumento di censimento delle produzioni caratteristiche di un territorio. Un modo, forse l’unico, per raggiungere un compromesso e far accettare il progetto dall’istituzione. Da allora, alcuna risposta giunse dagli organi competenti (nonostante le continue richieste soprattutto da parte di Massobrio) e l’idea originaria veronelliana assunse così, spontaneamente, diverse sfaccettature e si concretizzò, e continua a manifestarsi, in numerose iniziative autonome e differenziate un po’ in tutta la penisola (con attribuzione di De.c.o., De.Co. o Deco a volte concrete e mirabili a volte solo “virtuali”), oppure sottoforma di varie pubblicazioni (una per tutte quella di Roberto De Donno “Denominazioni Comunali – Sviluppo Locale e Strumenti di Marketing Territoriale” – Veronelli Editore - 2008) o con vari siti web tematici molto interessanti; ciò a conferma della bontà e dell’attualità dell’idea originaria di Veronelli. L’ANCI stessa abbandonò il progetto De.c.o. e lo trasformò in “Res tipica”, tramite l’attivazione delle cosiddette associazioni comunali “di identità” (Città del vino, Città dell’olio, Città del pane, Città dei sapori, Città della Castagna, ecc. ecc.) alcune delle quali attive ed operanti efficacemente sul territorio. 3. Le criticità irrisolte dell’epoca Ma quale fu il problema in nuce che causò l’aborto della pregevole iniziativa delle De.c.o. portata avanti dall’ANCI e che determinò tra il 2003 ed il 2005 il forte contrasto con il Ministero competente ? Probabilmente, a nostro modesto avviso, vennero in buona fede tralasciati alcuni aspetti tecnici di base e procedurali, laddove invece predominarono gli aspetti “giornalistici” e della comunicazione, intensa ma alcune volte errata nei termini. Inoltre le famose ”delibere” di adozione della De.c.o., nonostante potessero essere intese quali format da personalizzare, venivano riprese tal quali e come tali erano molto generiche e generaliste e prevedevano meccanismi apparentemente lineari ma in realtà poco efficaci ed applicabili concretamente. Ma la problematica (e la polemica) principale stava nel fatto che, con molta superficialità e paradossalmente (vista la fonte), si parlava in ambito De.c.o., direttamente ed indirettamente, di “prodotti tipici”, di “prodotti di qualità”, di “qualità legata all’origine”, di “certificazione”; ciò determinava così quell’incongruenza di base e normativa, contestata dal Ministero competente a ragion veduta, anche se probabilmente fondata su una “interpretazione autentica restrittiva della norma” (visto che la De.c.o. non era e non è un “marchio di qualità”) e probabilmente basata su un fin troppo rigido rispetto dell’applicazione dei regolamenti comunitari di riferimento sulla tipicità e la denominazione di origine (Reg. Ce 2080/91 e Reg. Ce 2081/92, oggi Reg. UE 510/2006). Al contempo, paradossalmente, sul sito stesso del Mipaaf, fino a pochissimo tempo addietro i Prodotti Agroalimentari Tradizionali – PAT - censiti nell’ Albo specifico (D. lgs n.173/98 e DM n. 350/1999), venivano a torto definiti “tipici” così come, lo stesso Ministero, in maniera apprezzabilissima e da condividere pienamente, diverse volte ha cofinanziato in convenzione la 2
valorizzazione dei prodotti “Presidio Slow Food”, i quali nella loro denominazione prevedono i nomi geografici di provenienza (giustamente !). Una presunta incongruenza dunque quella sulle De.c.o. che in parte poteva essere superata dalle summenzionate norme a favore della valorizzazione delle produzioni agricole, agroalimentari, tradizionali da parte dei comuni e soprattutto in relazione al grande sforzo ed ai pregevoli obiettivi dell’ANCI e delle numerose personalità, amministrazioni comunali ed associazioni che difesero strenuamente l’idea della “denominazione comunale” prima ed il “Progetto De.c.o.” poi. 4. Risolto il problema, rilanciamo la De.c.o. E’ risolvibile il problema descritto precedentemente in merito alla presunta incompatibilità della De.c.o. con la normativa vigente ? La risposta è affermativa ed alcune iniziative concrete che si svolgono lungo lo stivale dal Veneto alla Calabria (vedi su: www.calabriadeco.it; www.infodeco.it; www.comunideco.it; www.comunideco.tv) ne sono testimonianza lampante e da prendere come esempio da mutuare. Esempi non solo positivi dal punto di vista legislativo e tecnico- amministrativo ma anche in termini di realizzazione degli obiettivi: fuoriuscita dall’anonimato dei prodotti del territorio, valorizzazione reale lungo la filiera, maggiore valore aggiunto dovuto proprio al marchio ed al piano di comunicazione correlato, stimolo nei confronti dell’associazionismo e della cooperazione, attuazione concreta del marketing territoriale ed identificazione del prodotto con il territorio comunale e la sua storia, promozione del territorio e delle sue risorse, realizzazione di “economia”, occupazione ed indotto locale, salvaguardia della biodiversità. Dunque si può parlare liberamente di De.c.o. ? Altra risposta affermativa: è sufficiente prestare attenzione alle definizioni ed affrontare l’argomento in maniera tecnica e procedurale coerente rispetto alla normativa vigente. Infine: ciò, poteva essere fatto anche a suo tempo ? La storia non si fa con i “se e con i ma” ed in tal senso ci siamo già espressi; probabilmente il contesto odierno nazionale e comunitario è differente rispetto a quello di quindici anni orsono e certamente si presta maggiormente a determinate tipologie di ragionamenti per la “messa a sistema” di un percorso di sviluppo integrato comunale che preveda la De.c.o. ed il marketing territoriale come fattori permeanti e basilari. 5. Una questione di “punti” da risolvere: ritorno alla De.c.o. Oggi in Italia si parla sia di De.Co. (Denominazione comunale) sia di De.c.o. (Denominazione comunale di origine) che, evidentemente, si pronunciano entrambe “dèco”. A nostro avviso, la valenza dell’idea che si trasforma in marchio e quindi contribuisce alla creazione di economia in ambito agroalimentare, agricolo ed artigianale ed in ambito turistico, non può prescindere dalla parola “origine”. E’ l’origine, ovvero la sua provenienza, che caratterizza, differenzia, identifica il prodotto e lo rende unico in quanto lo lega ad un determinato territorio comunale di cui ne è emblema, essendone dunque “prodotto identitario ed esclusivo”. Pertanto a nostro avviso, oggi occorre e si può essere assertori della DE.C.O. (quella con i tre puntini, per intenderci, individuata 3
a suo tempo dall’ANCI) nel rispetto della normativa vigente, forti delle basi giuridiche di seguito citate e certi della corretta formulazione tecnica di regolamenti, delibere comunali e disciplinari di produzione anch’essi coerenti rispetto a quanto previsto dai regolamenti comunitari sui prodotti tipici precedentemente indicati. E’ bene infatti ribadire ed evidenziare ancora una volta che occorre essere chiari, in termini di regolamenti, disciplinari, comunicazione e promozione, rispetto alle seguenti affermazioni: i prodotti De.c.o. non possono essere definiti prodotti di qualità o prodotti tipici; la loro origine non è tale da determinarne una qualità maggiore e le loro caratteristiche qualitative e la loro “reputazione” non dipendono dall’origine; il loro marchio non ne dimostra una qualità maggiore quanto semplicemente la provenienza; il marchio è privato (“private label” comunale) e ad uso collettivo previa concessione; il comune non certifica alcun tipo di qualità ma attesta, previo controllo e verifica, l’origine del prodotto e le sue caratteristiche rispetto al Disciplinare (un ente terzo di certificazione potrebbe però validare il Disciplinare stesso); l ’istituzione della De.c.o. da parte di un Comune, oltre che percorso di sviluppo e di marketing territoriale è strumento di valorizzazione e di censimento delle produzioni agroalimentari ed artigianali locali; la De.c.o. è attribuibile a produzioni agricole, agroalimentari ed artigianali ma è da evitare accuratamente l’attribuzione di marchio De.c.o. a vino ed olio nonchè a prodotti che già sono a marchio DOP, IGP, STG, IGT, DOC. Ai più è noto che non esiste una norma che definisca la De.c.o. Esistono però leggi che supportano pienamente la De.c.o. e che hanno consentito di dimostrare ulteriormente dal 2000 in poi a giuristi vari (come Giuseppe Guarino ed altri) la legittimità della “deco” stessa e dell'opera dei Comuni attivi in tal senso. La normativa di base anche recente, a supporto della De.c.o. intesa secondo le indicazioni pocanzi fornite è la seguente: - La L. 8 giugno 1990 n. 142 (e successiva legge del 3 agosto 199 n. 265) che consente ai comuni la facoltà di disciplinare nell'ambito dei principi sul decentramento amministrativo, la materia della valorizzazione delle attività agroalimentari tradizionali che risultano presenti nelle realtà territoriali; - Sulla scorta delle sentenze della Corte di Giustizia europea del 1991, del 1992 e del 1998 (rispettivamente denominate "Torrone di Alicante", "Exportur" e "Birra Warsteiner"), anche un prodotto Deco può essere inteso quale prodotto a marchio ad "indicazione di origine geografica semplice" da tutelare (senza implicazioni di rapporti tra le caratteristiche del prodotto e la sua origine geografica) e quale prodotto da censire opportunamente e salvaguardare dall'eventuale estinzione in quanto ad alta valenza di biodiversità. - Il D. Lgs 18 agosto 2000 n. 267 (artt. 3 e 13) e la LEGGE COSTITUZIONALE n. 3 del 18 ottobre 2001, che consentono ai Comuni di tutelare e garantire i diritti e gli interessi pubblici derivanti dalla presenza di espressioni popolari riguardanti le attività agroalimentari, in quanto rappresentative di un rilevante patrimonio culturale; 4
- Il D. Lgs. 228/01 (Legge di orientamento in agricoltura) in merito alla tutela dei territori con produzioni agricole di particolare qualità e tipicità, per cui il Comune è tenuto a tutelare e a garantire il sostegno al patrimonio di tradizioni, cognizioni ed esperienze relative alle attività agroalimentari riferite a quei prodotti, loro confezioni, sagre e manifestazioni che, per la loro tipicità locale, sono motivo di particolare interesse pubblico e, come tali, meritevoli di valorizzazione; - La recente Comunicazione della Commissione UE denominata "Pacchetto qualità" (GUCE 2010/C 341 del 16 dicembre 2010) inerente alle nuove disposizioni relativamente ai sistemi di certificazione ed alle indicazioni facoltative e di etichettatura che conferiscono valore aggiunto alle proprietà dei prodotti agricoli ed alla loro commercializzazione; - Gli obiettivi della recente Legge 18 gennaio 2011 su "Disposizioni in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari" (ex ddl 2260/2010) che prevede, tra l'altro, per i prodotti non trasformati l'indicazione del luogo d'origine ovvero il Paese di produzione e per i prodotti trasformati l'obbligo di indicare il luogo dove è avvenuta l'ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione o allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata. - Varie leggi regionali volte alla valorizzazione delle produzioni locali e caratteristiche (a volte intese quali “tipiche”, oppure “di nicchia” o “di eccellenza”), alla valorizzazione della filiera corta e a chilometro zero, all’incremento del consumo di prodotti regionali da parte di strutture collettive di ristorazione pubbliche e private, alla tutela del territorio rurale agricolo vocato, alla tutela e valorizzazione del territorio di origine dei prodotti dal punto di vista anche ambientale. Quest’ultimo è il caso dei prodotti a marchio DOAG (Denominazione di Origine Ambientale Garantita) recentemente introdotto dalla Regione Campania. Assodato pertanto che “la De.c.o. è possibile”, l’approccio alla De.c.o. da parte di un’amministrazione comunale spesso non può prescindere dal supporto di tecnici ed esperti del comparto. Ciò al fine di riuscire a formulare Regolamenti (di istituzione della/e De.c.o., di uso del marchio, di istituzione del registro comunale, ecc.) caratterizzati dalla corretta base normativa (ovvero inattaccabili) e Disciplinari di produzione degni di questo nome e “costruiti” insieme alla base produttiva. E’ raro e difficile che un Comune possa con le proprie risorse interne, ottemperare pienamente a tutto ciò e soprattutto alla pianificazione e realizzazione di un necessario piano di marketing e comunicazione riguardante il binomio “prodotto De.c.o.- Territorio”, senza del quale il prodotto De.c.o. rimarrà mero protagonista di una “delibera di consiglio comunale” destinata ad essere presto disattesa e dimenticata, così come è accaduto e continua ad accadere in tutta Italia e in diversi centinaia di casi. Ma l’aspetto più importante, sta nel riuscire a far emergere i prodotti che diventano De.c.o. facendo si che siano prodotti che vengano commercializzati e promossi in quanto tali: prodotti reali e che si possono acquistare, con 5
grande beneficio dell’economia rurale in particolare e territoriale in genere. Tutto ciò, certamente a discapito della suscettibilità di coloro i quali pensano ancora oggi che la “deco” in generale possa e debba essere solo una “filosofia” o semplicemente un aspetto “culturale” non speculativo (in sintesi: solo teoria e virtualismi di breve effetto mediatico e privi di concretezza e risultati). 6. Insieme si può, in comune si deve Ogni campanile esprime una identità culturale e gastronomica. Tutti Insieme costituiscono il grande mosaico della cultura culinaria ed enogastronomica d’Italia, che ne amplifica e ne costruisce l’unitarietà all’insegna delle singole peculiarità. Forse le De.c.o. sono proprio espressione di questa unione all’insegna delle molteplici tradizioni comunali figlie ed al contempo madri della storia. Occorre pertanto iniziare ad intendere in maniera univoca la De.c.o., parlarne con il medesimo linguaggio comune, offrendo così un ulteriore strumento di crescita ai Comuni e soprattutto ai piccoli Comuni a rischio di estinzione in tutti i sensi; municipalità senza delle quali l’Italia non potrebbe esistere. L’Italia delle De.c.o. e delle identità territoriali pertanto può e deve continuare ad esistere tramite obiettivi comuni, diffusi e condivisi. Iniziative come “VillaggioDeco” e progetti di spessore nazionale come “EXPODECO e delle identità territoriali” ne sono e ne saranno valida testimonianza e vanno sostenuti strenuamente per una nuova grande stagione di crescita all’insegna dell’identità comunale. Rosario Previtera __________________________________________________ Dott. agronomo Rosario Previtera -Agente di sviluppo e cooperazione - Assaggiatore vino ONAV ed assaggiatore olio -De.c.o., Quality and Agrimarketing consultant -Presidente del C.T.S. dell’Accademia delle Imprese Europea proponente dell’”EXPODECO e delle Identità territoriali” -Curatore del sito www.calabriadeco.it previterarosario@katamail.com; info@calabriadeco.it 6
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