A proposito di "Amore e Psiche"

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A proposito
         di «Amore e Psiche»

    Ipotizzando che la coscienza dell’uomo ordinario
sia vigile solo entro i limiti ristretti della modalità cor-
porea e di alcune componenti di quella psichica, e
che egli non abbia quindi alcuna conoscenza diretta
del «mondo» spirituale, sono comprensibili sia l’af-
fermarsi sia il permanere della teoria secondo cui l’es-
sere umano sarebbe costituito da due componenti
fondamentali: corpo e anima, confondendo spesso,
di fatto, anima e spirito. Infatti, proprio non avendo
alcuna percezione diretta della spiritualità, o del «di-
vino», l’uomo le attribuisce volentieri ciò che è inve-
ce, nella migliore delle ipotesi, solo un qualche aspet-
to della «sfera» superiore dell’anima.
    Essendo convinti che gli errori siano la conse-
guenza di una verità mal compresa, vale la pena in-
dagare un po’ sull’argomento e, a tale scopo, riassu-
miamo il famoso racconto di «Amore e Psiche», nar-
rato da Apuleio nelle Metamorfosi – note come L’asino
d’oro – che stupisce per la ricchezza del simbolismo e
per la capacità dell’autore di esporre concetti profon-
di racchiudendoli all’interno di storie apparente-
mente elementari. D’altronde, non è questa solo la
nostra opinione se, come informa l’introduzione di
C. García Gual a una edizione madrilena, fu Boccac-

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cio a scoprire a Montecassino, nel 1355, un mano-
scritto dell’Asino d’oro, a copiarlo e a diffonderlo, adat-
tando poi il racconto di «Amore e Psiche» a formare
l’intreccio di una novella del suo Decamerone.
                             \
    Per rasserenare una giovane, prigioniera di una
banda di briganti, un’anziana donna le racconta di
Psiche, terza figlia di un Re e di una Regina, la cui bel-
lezza è tanto straordinaria da non avere né paragoni
né parole adeguate a lodarla, mentre la leggiadria del-
le due figlie maggiori, le sue sorelle, può invece esse-
re celebrata degnamente con espressioni umane1. Es-
sendo Psiche «venerata» da tutti come se fosse la dea
Venere, tale irriverente attribuzione di onori celesti a
una fanciulla mortale sdegna violentemente la vera
Dea, al punto che per punirla incarica Cupido, suo
bellissimo figlio, a farla innamorare di sé, celando
però la propria bellezza dietro le sembianze di un or-
rendo mostro.
    Intanto il padre di Psiche, preoccupato per la so-
litudine che la circonda, poiché nessun giovane ardi-
sce a chiederla in moglie a causa della sua venerata
bellezza, interroga un oracolo che le predice un ma-
rito crudele ma non di stirpe mortale e poi, seguen-
do le sue indicazioni, abbandona la ragazza sulla ci-
ma di un’alta rupe, abbigliata come fosse sul letto di
morte.
    Finché Zèfiro, un mite venticello, la solleva e la tra-
sporta fra i cespugli fioriti di una valle segreta dove
Psiche si addormenta. Al risveglio scopre di trovarsi
al centro di un bosco, presso una fonte di acqua pu-
ra e al cospetto di una reggia «edificata da mani uma-

     1
      Una interpretazione, che ci pare condivisibile, associa
la fanciulla prigioniera all’umanità decaduta e l’anziana don-
na alla tradizione.

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A proposito di «Amore e Psiche»

ne ma con arti divine». L’interno ha pareti d’oro, «co-
sì splendenti da far giorno anche quando non voglia
il sole», e tante ricchezze ma nessuna porta né alcun
guardiano a custodirla; solo delle «voci senza aspet-
to» al servizio di Psiche.
     Quella notte, invisibile nell’oscurità, arriva Cupi-
do che, colpito dalla bellezza della giovane, simile a
quella di Venere, decide di non assumere le mo-
struose sembianze volute dalla madre, facendole però
promettere che mai cercherà di scoprire il suo aspet-
to; quindi fa di Psiche sua moglie dileguandosi prima
dell’alba. In seguito, una notte le annuncia la nascita
di un figlio, divino se coprirà con il silenzio i loro se-
greti e mortale se li profanerà; la informa anche che
le sue sorelle la cercano e che già la piangono morta,
ma l’avverte: ascoltare i loro lamenti sarebbe fonte di
guai. Dapprima la donna accondiscende tristemente
alle esortazioni del «marito», ma poi riesce a convin-
cerlo a lasciarle incontrare le sorelle. Così le può ri-
vedere, trasportate ogni volta dal solito Zèfiro, ma la
vista di tanta fortuna rinvigorisce in loro l’invidia e la
gelosia mai sopite. Credendo ciascuna in cuor suo di
poterne occupare il posto, ordiscono dunque un pia-
no per provocarne la rovina: indurla a disobbedire al-
lo «sposo» convincendola che, in realtà, egli le na-
sconde il suo aspetto perché è un serpente mostruo-
so che la ucciderà quando sarà sazio dei suoi amples-
si, come annunciato dall’oracolo.
     Psiche dà credito alle sorelle e una sera prepara
una lanterna a olio per guardare lo «sposo serpente»,
una volta addormentato, e un rasoio per ucciderlo.
Naturalmente quella notte la luce della lanterna le ri-
vela il bellissimo aspetto del Dio ma, sorpresa da tan-
ta bellezza, lascia cadere una goccia di olio bollente
su una coscia di Cupido che si sveglia e, preso atto del-
la fede tradita, vola via tacito in un baleno.
     Privata della presenza di Cupido per la sua disob-

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bedienza all’ordine divino, e cosciente della disgrazia
in cui da se stessa si è precipitata, dapprima Psiche cer-
ca di suicidarsi; poi reagisce e si libera anzitutto del-
l’attaccamento alle sorelle. A ognuna, separatamen-
te, dice di essere lei la prescelta da Cupido in sua ve-
ce ed entrambe, credendo ciecamente in ciò che già
credevano, si gettano dalla rupe, aspettando l’inter-
vento di Zèfiro, e muoiono sfracellate.
    Incomincia la ricerca del «Cupido perduto» che
Psiche compie vagando di paese in paese2, finché si
convince a consegnarsi spontaneamente alla Venere
di cui è l’immagine in terra, pensando: «Chi sa che
non trovi in casa della madre quel che cerco ansiosa-
mente da tanto tempo». Venere l’accoglie come una
serva a lungo assentatasi e la incarica di compiere va-
rie imprese superiori alle sue umane capacità; ma in-
tervengono in suo aiuto prima delle formiche, poi
una canna del fiume, quindi un’aquila e, infine, la tor-
re sulla quale la donna era salita per gettarsi dispe-
rando di poter eseguire l’ultimo ordine di Venere:
scendere agli Inferi e consegnare un vasetto a Pro-
serpina affinché lo riempia con un po’ della sua bel-
lezza, poiché Venere aveva consumato la propria nel-
la cura del figlio ferito. La torre le indica come com-
piere tale impresa, ma la donna, già vittoriosa e sulla
strada del ritorno, apre il vasetto con la speranza di
rendersi ancora più bella agli occhi del suo amante
e, quindi, di favorire la riunione. Ma tale desiderio
le è letale poiché il vasetto contiene un sonno infer-
nale – dal punto di vista di Psiche –, non diverso dal-
la morte – in realtà –, che la pervade facendola cade-
re a terra. Solo allora interviene Cupido a risollevare
Psiche, riconciliarla con la madre e, infine, a suppli-
care Giove in suo favore, ottenendo per l’amata l’am-

     2
     Ricordiamo che il percorso iniziatico è spesso rappre-
sentato simbolicamente da un viaggio.

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A proposito di «Amore e Psiche»

brosia che la renderà immortale e le consentirà di riu-
nirsi al Dio.
                              \

    Il racconto di Apuleio, come dicevamo, è ricco di
spunti simbolici, ma ora c’interessano le possibili cor-
rispondenze tra Psiche e l’anima umana e tra en-
trambe e la dea Venere. La prima è generalmente ac-
cettata dagli studiosi; della seconda segnaliamo che
Apuleio presenta la giovane donna come l’immagine
terrena, speculare e «rovesciata», di Venere: sembra
che l’autore inviti a non confondere due livelli della
stessa realtà, di cui quello relativo all’immagine è cir-
coscritto al piano di riflessione, terreno, al quale la co-
scienza s’identifica. Inoltre, malgrado la sua bellezza
la renda simile alla Dea, Psiche ne è la serva e Venere
«si sdegna violentemente» quando gli umani le
confondono.
    Psiche deve «raddrizzare» quel punto di vista «ca-
povolto» e per riuscirvi si libera anzitutto, lo ribadia-
mo, dell’attaccamento passionale, rappresentato dal-
le due sorelle3, poi prosegue nella ricerca del Dio re-
candosi alla casa della madre Venere4.
    Ripristinato in tal modo il corretto uso delle fa-

   3
      La scelta del numero delle sorelle non deve essere ca-
suale: può raffigurare la dualità e il punto di vista esteriore
che a essa si conforma; in effetti, sono loro a spingere Psiche
a interessarsi all’apparenza formale di Cupido. L’anima uma-
na avrebbe dunque, per Apuleio, una parte superiore rivol-
ta al mondo degli Dei e una inferiore rivolta alle passioni e
alle soddisfazioni umane; seguire la seconda impedisce lo
sviluppo della prima.
    4
      Chissà se Apuleio volesse in tale modo segnalare ai suoi
lettori il fondamentale ribaltamento di prospettiva, anche se
dapprima solo teorico, qual è il passaggio dal punto di vista
di un qualsiasi piano di riflessione a quello della fonte stes-
sa? Ammesso che si possa ancora parlare di punto di vista.

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coltà individuali, cosicché i vizi sono mutati in virtù,
Psiche le può ottimizzare per compiere le imprese che
Venere a mano a mano le affida. Essendo però tali fa-
coltà limitate dalla loro stessa «umanità», gli obiettivi
proposti dalla Dea le sfuggono, ma poiché la sua in-
tenzione di riunirsi al Dio è ormai rettificata e pura,
in ogni circostanza interviene un aiuto, apparente-
mente esteriore, che le consente di completare gl’in-
carichi. Tuttavia, per giungere infine all’unione con
il divino o spirituale, Psiche deve «gustare la morte»,
idea in palese antitesi con quella dell’immortalità
dell’anima e che sembra suggerire il dissolversi del-
l’incatenamento al punto di vista che Apuleio, lo ri-
petiamo, propone ricorrendo alla metafora della cop-
pia Psiche/Venere, la prima «immagine» capovolta e
terrena della seconda.
    Ancora a proposito della retta intenzione di Psi-
che, concentrata sulla ricerca del divino, notiamo che
a favorirla è decisiva la reminiscenza5 di Cupido e del-
la sua presenza reale, e che l’importanza di «risve-
gliare» tale reminiscenza è sottolineata in tutte le tra-
dizioni, per quanto ne sappiamo, da prescrizioni che
invitano gli aderenti a rivolgersi ripetutamente al
Principio, ricordandone la presenza, in determinati
momenti quotidiani collegati a momenti cosmici, con
azioni rituali quali preghiere o altre. Una tradizione
islamica narra che Maometto avrebbe in origine ri-
cevuto l’ordine di prescrivere cinquemila preghiere
rituali giornaliere, numero ridotto prima a cinque-
cento, poi a cinquanta e infine a cinque grazie all’in-
tercessione di Mosè, che dubitava esistessero dei se-

     5
     Diciamo «reminiscenza» e non «ricordo»per evitare una
interpretazione «temporale» che, pur essendo letteralmen-
te ineccepibile, sarebbe fuorviante e comunque troppo ri-
duttiva in rapporto all’idea che, a nostro avviso, trasmette
Apuleio nel caso in questione.

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A proposito di «Amore e Psiche»

guaci capaci di seguire delle prescrizioni tanto impe-
gnative. Tale tradizione può evidenziare l’importan-
za di essere costantemente coscienti della presenza di-
vina: poiché le prescrizioni di cui scriviamo hanno la
funzione primaria di purificare la mente opponen-
dosi al flusso disordinato di immagini e pensieri «pro-
fani» che la attraversano incessantemente, il loro fine
è di favorire la concentrazione, quindi lo stesso con-
cetto di «coscienza della presenza divina», centrale in
ogni sua manifestazione, espresso in altro modo6. Se
esistono persone che la mantengono coscientemen-
te e spontaneamente, le altre possono beneficiare de-
gli aiuti che la Tradizione fornisce; quella che, qua-
lunque sia la forma assunta, purché non sia acefala,
ha le sue origini in quel «divino» del quale trasmette
all’uomo il «ricordo». Si può obiettare che tutto il
creato svolga la medesima funzione, ma la Tradizio-
ne aiuta a vedere nel piccolo, sintetizzandolo, ciò che
all’uomo sfugge nel grande. Per esempio, organizza
dei luoghi «consacrati», quali templi, moschee, chie-
se – e il discorso vale anche per i templi specifica-
mente iniziatici e quindi per le logge massoniche –,
non per favorire la presenza dello Spirito, che è ovun-
que e che non può essere né condizionato né circo-
scritto in qualunque ambito, bensì una situazione fa-
vorevole al risveglio del suo «ricordo» nella coscien-
za degli esseri umani.
    Se l’uomo, che non ha percezione di alcuna realtà
dell’ordine spirituale, deve essere accompagnato e al-
lenato al costante «ricordo» della presenza divina e,
insieme, educato a non confonderla con gli aspetti

    6
       Ci riferiamo alla finalità propria al punto di vista esote-
rico, relativa all’ambito dei «piccoli misteri», poiché da quel-
li sia religioso sia exoterico in generale, il fine è invece di gua-
dagnare dei «meriti», in seguito alla credenza della conti-
nuazione della vita individuale post mortem.

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La Lettera G

del solo livello di realtà a lui ora accessibile7, in una
via iniziatica come quella massonica non ne manca-
no gli strumenti8. Un rito, tratto dal suo patrimonio
simbolico-rituale, può darne un esempio: ci riferiamo
alla «catena d’unione», in cui i partecipanti si uni-
scono attorno al «centro della Loggia» in modo da
formare altrettanti anelli di una catena che, per que-
sta caratteristica, è anche detta «catena vivente» o
«della fratellanza». Ammettendo che ogni anello pos-
sa rappresentare un’«anima umana», come la Psiche
di Apuleio, viene spontaneo domandarsi cosa nel ri-
to rappresenti l’aspetto spirituale e, in proposito, è
già stato proposto in questa rivista9 di considerare in
tal modo il Centro attorno al quale è compiuto il ri-
to, simboleggiato dal «quadro di Loggia». Tale inter-
pretazione è convincente ma non esclude l’idea, an-
zi la richiama, che l’influenza spirituale dal centro si
rifletta nella periferia e che, quindi, se ne debba tro-
vare l’«immagine» nella «catena vivente». Conside-
rando allora che la «fratellanza» è determinata dal-

     7
      La causa di tale situazione è simbolicamente attribuibi-
le al particolare periodo storico di fine ciclo che attraversa
l’attuale umanità; diciamo «simbolicamente» perché rite-
niamo sia per ognuno utile cercare in se stesso la possibile
corrispondenza con l’idea di massimo disordine che carat-
terizza temporalmente tale periodo.
    8
      Ricordiamo che tali «strumenti» possono essere usati
per favorire quella concentrazione che poc’anzi abbiamo pa-
ragonato alla coscienza della presenza divina. Viceversa,
quando qualunque pratica rituale è strumentalizzata in vista
di una finalità diversa da quella per cui è costituita, può in-
vece soffocare l’intelligenza e impedire l’apertura dell’oriz-
zonte intellettuale; in tale caso, anche la ritualità diventa una
«pratica aberrante», tanto nell’ambito religioso quanto in
quello iniziatico.
    9
      Cfr. l’articolo di F. Peregrino «Il rito della “Catena
d’unione”» in «La Lettera G» n. 2, Equinozio di Primavera
2005.

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A proposito di «Amore e Psiche»

l’iniziazione che accomuna e unisce coloro che l’han-
no ricevuta, e che tale iniziazione è essenzialmente la
trasmissione di una influenza spirituale con un rito
appropriato, si può pensare che l’aspetto spirituale
sia simbolicamente espresso proprio dalla «perfetta
unione». In tale lettura, dunque, la «catena d’unio-
ne» richiama un livello della realtà che normalmen-
te sfugge alla coscienza degli uomini, mostrando che
ogni anello non è altro che un particolare aspetto del-
lo Spirito che, da un certo punto di vista, manifesta
alcuni suoi attributi come anima umana10.
    Per questo pensiamo che la «catena d’unione» sia
un rito che aiuti i partecipanti a prendere coscienza
della presenza «divina», e le altre due figure della stes-
sa «catena d’unione», presenti in molte Logge mas-
soniche, l’una «celeste» e l’altra «terrestre», sembra-
no completare tale pensiero11.

    10
        Si veda, in proposito, l’articolo «Sulla fratellanza», del-
lo stesso autore, nel n. 1, Equinozio d’Autunno 2004.
     11
        Il triplice modo di rappresentare la «catena d’unione»
in ambito massonico, ricorda la «Grande Triade» cinese: il
Cielo, la Terra e, fra i due, l’Uomo. La catena, o la cordicel-
la che spesso la sostituisce, che nel Tempio corre lungo il pe-
rimetro del soffitto, è detta anche «catena zodiacale» per la
presenza di dodici nodi nel suo sviluppo, come i segni zo-
diacali. Essa non può evidentemente avere oggi la funzione
pratica operativa per disegnare il perimetro della costruzio-
ne – e ricordiamo che essendo il 12 la somma di 3+4+5, tale
cordicella permetteva di tracciare il triangolo rettangolo –
ma mostra il prototipo «celeste» del tracciato che era desti-
nata a originare. Quella disegnata nel «quadro di Loggia» è
invece detta «catena terrestre» essendo posizionata sul pavi-
mento; spesso ha quattro nodi in corrispondenza con i pun-
ti cardinali ed è noto «che il quaternario è sempre e dovun-
que considerato propriamente il numero della manifesta-
zione universale; esso segna dunque, a tale riguardo, il pun-
to di partenza stesso della “cosmologia”» (R. Guénon, Simboli
della Scienza sacra, Adelphi, Milano 1975, «La Tetraktys e il qua-

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    In entrambe, la catena è talvolta sostituita da una
cordicella o da un tratto disegnato, e gli anelli da no-
di che sono generalmente chiamati «nodi d’amore»
o «lacci d’amore». Ora, mentre nel rito della «catena
d’unione» umana, l’idea della presenza spirituale è
richiamata dall’unione fisica delle mani 12, lasciando
in tal modo aperta la possibilità della distinzione anel-
lo/spirito e indicando così ai partecipanti al rito che
tale è il frutto del loro ancora individuale punto di vi-
sta13, nelle due figure ora considerate si può notare
che è lo stesso filo a disegnare le figure dei nodi e,
contemporaneamente, a collegarle tra di loro, e quin-
di che la distinzione tra filo e nodo è solo frutto del-
la mente dell’osservatore quando è fissata sul nodo:
è essa a crearla e a mantenerla finché l’anima non
«gusti la morte». In effetti, una caratteristica tipica dei
«nodi d’amore» di cui parliamo, è che sono raffigu-
rati in una forma che potremmo definire «virtuale»,
perché il disegno li rappresenta nell’aspetto della for-
mazione del nucleo anziché in quello del nodo stret-
to e compiuto; in tale forma al nucleo si offrono due
possibilità: stringersi o dissolversi, la prima incatena
al punto di vista individuale dell’anima, la seconda lo

drato di quattro», p. 99). Tra le due, la «catena vivente» ha
un numero indefinito di nodi, tanti quanti sono di volta in
volta i partecipanti che la compongono, e svolge una fun-
zione mediatrice nei loro confronti, sostanziale in rapporto
all’influenza spirituale che discende su di essa. Si può anche
vedere una relazione con i ruoli che Apuleio affida rispetti-
vamente a Venere, Psiche e Cupido.
     12
        Rappresentando ogni partecipante un anello della ca-
tena, o un nodo, le mani unite indicano il legame che li uni-
sce tra di loro senza soluzione di continuità, e tutti simboli-
camente al centro.
     13
        Se la catena incornicia e ordina ciò che delimita, ogni
suo anello riassume e sintetizza la stessa funzione in rappor-
to a una situazione particolare; però tale corrispondenza
sfugge finché la coscienza è fissata solo sull’«anello».

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A proposito di «Amore e Psiche»

dissolve e unisce la coscienza alla conoscenza della
realtà spirituale.
                             \
     Partendo dall’ipotesi relativa alla confusione tra
anima e spirito, giungiamo così a quello che ritenia-
mo essere il vero nocciolo del problema e cioè al-
l’ignoranza che induce a confondere l’illusione con la
realtà o, nell’esempio massonico, il nodo con il filo,
e impedisce di capire che il primo è formato solo dal
ripiegarsi del secondo su se stesso. Dando all’appa-
renza lo stesso valore che ha invece la realtà, è com-
prensibile che si possa generare la confusione tra ani-
ma e spirito, e il motivo che la determina può essere
il ribaltamento di valori – ciò che è illusorio diventa
reale – dovuto all’annodarsi dell’anima al suo parti-
colare e limitato punto di vista. Ora, ammesso che la
distinzione tra anima e spirito sia frutto di quel che
appare da tale punto di vista, è comunque utile pren-
derne atto per vari motivi. Intanto anche l’apparen-
za deve essere la conseguenza di una possibilità poi-
ché, in caso contrario, non potrebbe neanche appa-
rire; e poi riconoscerla per ciò che è aiuta a ravvisare
la transitorietà della situazione che si vive.
     Essendo l’ignoranza di cui trattiamo una situazio-
ne comune all’umanità «decaduta», la Tradizione si
rivolge anzitutto a chi sarebbe più impaurito che in-
curiosito dall’idea dell’illusorietà dell’anima e quin-
di, diremmo necessariamente, a chi è interessato a
«tenersela ben stretta», dando così maggior impor-
tanza al «Nodo» anziché all’«amore»14; ma si rivolge

   14
      Questa riflessione può aiutare a capire la natura degli
atteggiamenti d’insofferenza, o di aperto contrasto, che spes-
so e un po’ ovunque gli exoteristi hanno verso l’esoterismo
in generale. L’individualismo, il «Nodo» con l’iniziale maiu-
scola, tende naturalmente all’autoconservazione e, quindi,

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La Lettera G

anche a chi considera invece il «nodo» solo il punto
di partenza del processo volto a conoscere effettiva-
mente ciò che san Giovanni ha trasmesso dicendo che
Dio è «Amore».
    Si tratta di due diverse possibilità di aderire all’aiu-
to tradizionale, entrambe legittime, che però impli-
cano due percorsi radicalmente diversi. A nostro av-
viso il racconto di Apuleio, come del resto ogni nar-
razione iniziatica, tratta del secondo percorso, ed è
da notare che Psiche cambia atteggiamento quando
comprende, vivendole, quali conseguenze derivino
dall’attaccamento alle sorelle – e al punto di vista che
esse esprimono simbolicamente –, cambiamento che
non avviene gradualmente ma radicalmente, con un
vero rovesciamento di direzione. Per lei lo stimolo che
determina tale rivoluzione è il ricordo della dolcezza
delle carezze di Cupido/Amore e della perduta sua
divina presenza, ma non a ogni anima è concessa ta-
le diretta ed effettiva consapevolezza; è quindi com-
prensibile, come dicevamo all’inizio, l’affermarsi di
una mentalità che tenda a sostituire la spiritualità, an-
che solo di fatto, con qualcosa di cui si possa provare
esperienza. Tale suggestione sa mascherarsi abilmen-
te, spingendo così molte anime a pensare di non es-
serne soggette ma, confidando nel proverbio secon-
do cui «il diavolo fabbrica le pentole e non i coper-
chi», è possibile smascherarla. E pensiamo che sia la
Tradizione a fornirne i mezzi e a renderli disponibili:
tramite una forma exoterica per coloro che ancora
s’identificano all’espressione «Nodo d’amore», e con
una via iniziatica per chi già si percepisce, anche solo
teoricamente, «nodo d’Amore».
                                             LUCIO GAUNA

non è illogico che si opponga, anche involontariamente, a
ciò che lo trascende; ne deriva che ogni concessione fatta al
primo vada necessariamente a detrimento del secondo.

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