Liceo Linguistico Marco Polo Progetto "I Digitals Natives" - Gli insediamenti rupestri della lama Picone a Bari Dott. Francesco Carofiglio

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Liceo Linguistico Marco Polo Progetto "I Digitals Natives" - Gli insediamenti rupestri della lama Picone a Bari Dott. Francesco Carofiglio
Liceo Linguistico Marco Polo
          Progetto "I Digitals Natives"

Gli insediamenti rupestri della lama Picone a Bari
           La chiesa di Santa Candida

                                  Dott. Francesco Carofiglio
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Geomorfologia

È stato più volte sottolineato che la storia antica di Bari
è un chiaro esempio di come la natura geologica di una
località e le caratteristiche geografiche e morfologiche
di un territorio possano condizionarne il popolamento
determinando modalità di insediamento peculiari.
La città ed il suo hinterland insistono su una fascia del
litorale - Conca di Bari - che si inserisce nella più ampia
regione murgiana, di cui occupa una parte della fascia
costiera centro-settentrionale.
Morfologicamente l’assetto è tipico dell’area murgiana,
caratterizzato da una serie di ripiani posti parallelamente
alla costa, che digradano dolcemente verso il mare con
debole ondulazione, terminando sul litorale con
terrazzamenti marini delimitati da basse scarpate.
La Conca di Bari presenta tre ripiani digradanti con una
altimetria compresa tra i 40 ed 10 metri s.l.m.,
caratterizzati da incisioni paleotorrentizie (lame)
perpendicolari all’andamento dei ripiani, a fondo piatto
e pareti inclinate. Sul fondo di questi solchi di erosione,
solitamente asciutto, si può creare un corso d’acqua a        Stralcio della carta geologica di Bari
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regime torrentizio in caso di abbondanti precipitazioni,
eventualità ormai piuttosto rara. Il rischio di allagamento
della città in relazione ad una improvvisa alluvione delle
lame esiste tuttavia ed ha reso necessario un intervento
di canalizzazione per convogliare le acque in appositi
collettori ed “asciugare” le lame. Verso la Conca di Bari
confluisce infatti dalle Murge centro-settentrionali un
reticolo imponente di solchi erosivi che riversano in
mare le acque di un ampio bacino idrografico.

Quadro geologico

La Conca di Bari è caratterizzata geologicamente dalla
presenza di queste formazioni:
·      Calcare di Bari
·      Calcarenite di Gravina
·      Cordone litorale di Bari
·      Dune di S. Girolamo
·      Depositi alluvionali e palustri
Il Calcare di Bari è l’unità litostratigrafica più antica,
formatasi nel Cretaceo Superiore in un ambiente marino.
La formazione cretacea, formata da una successione di
strati di calcari micritici, detritici ed a macrofossili, è
interessata dal carsismo che ha determinato la
formazione di cavità di varia forma e dimensione, in
cui spesso si riscontra la presenza di depositi secondari
residuali di terra rossa.

                                                              Carta Geologica d’Italia serie 1:50.000
                                                              Foglio n. 438 Bari
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I calcari cretacei costituiscono la struttura portante
dell’area barese, estendendosi in profondità anche per
centinaia di metri.
La Calcarenite di Gravina poggia sul Calcare di Bari; è
costituita da calcareniti cementate con microfossili e
da calcari macrofossili in cui è facile osservare la presenza
di conchiglie di organismi marini. Anche in questo caso
l’unità litostratigrafica è un deposito marino, formatosi
in un ambiente litorale caratterizzato da una intensa
attività biologica.
Nella Conca di Bari la formazione affiora formando sottili
strati orizzontali di copertura, il cui spessore non
oltrepassa i 20 metri.
Il Cordone litorale di Bari, risalente al Pleistocene
superiore, è un deposito di spiaggia costituito da
calcareniti con fossili marini, sabbie e arenarie vulcaniche,
livelli discontinui di ghiaie e conglomerati. La presenza
di arenarie vulcaniche è dovuta all’attività vulcanica del
Vulture che ha determinato la ricaduta di minerali femici
sulle Murge, successivamente convogliati dalle acque
reflue verso il mare e ivi sedimentatisi. Occorre ricordare
che l’area occupata ai nostri giorni dalla città di Bari
era anticamente interamente coperta dal mare. In
seguito alla regressione marina, nel Tirreniano, si è           Le lame del territorio comunale di Bari
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formata la paleospiaggia che poggia in trasgressione
sulla Calcarenite di Gravina formando un cordone che
attraversa la città da est ad ovest, in un contesto di
piena urbanizzazione che rende difficile la sua
individuazione.
Le Dune di S. Girolamo poggiano sul Calcare di Bari o
sulla Calcarenite di Gravina. Si sono formate nel
Pleistocene superiore in ambiente subaereo per azione
dei venti spiranti verso la costa determinando un
accumulo litoraneo di materiale sabbioso (paleodune).
I Depositi alluvionali e palustri sono la formazione più
recente, risalente all’Olocene. Sono depositi continentali,
osservabili sui fondi delle lame ed in alcune piccole
depressioni presenti nei depositi dunari. I depositi
palustri sono formati da materiale più fine, di natura
siltoso-argillosa, con uno spessore che può raggiungere
i 15 metri in corrispondenza della depressione costiera
nota come lago di Marisabella.
In sintesi, a partire dal Cretaceo, l’evoluzione
geomorfologica dell’area murgiana ha visto la presenza
di un mare poco profondo in cui un plurimillenario            Rappresentazione grafica delle lame della
                                                                Conca di Bari e della distribuzione degli
processo di sedimentazione dei fondali ha determinato                    insediamenti rupestri e ipogei
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la formazione di rocce calcaree stratificate e cementate
(Calcare di Bari). Verso la fine del Cretaceo (70/60
milioni di anni orsono), la tettonica ha determinato il
sollevamento dell’area murgiana, con fenomeni di
piegamento e fagliamento dei calcari. L’emersione è
stata accompagnata da fenomeni erosivi dovuti
principalmente al fenomeno carsico, che determina la
dissoluzione delle rocce calcaree per l’azione dell’acqua
sia in superficie (carsismo epigeo) sia in profondità
(carsismo ipogeo). Si sono formate così doline,
inghiottitoi, grotte che danno al paesaggio murgiano la
sua caratteristica morfologia. L’ingressione marina
all’inizio del Quaternario (all’incirca due milioni di anni
fa) dovuta ad un lento abbassamento delle terre emerse
ha consentito una nuova fase di sedimentazione di
materiale calcareo con la formazione di calcareniti,
comunemente noto come “tufo calcareo”. Una nuova
fase di sollevamento ha causato poi un’altra regressione
marina, all’incirca un milione di anni fa. Gli effetti
combinati del sollevamento tettonico e della regressione
marina, insieme alle variazioni indotte dall’alternarsi di
fasi di glaciazione hanno determinato il modellamento
del territorio in una serie di terrazzamenti digradanti
in cui le scarpate rappresentano antichi livelli di costa.
Il livello del mare è salito rapidamente negli ultimi
10.000 anni dando origine ad una nuova fase di
sedimentazione che ha portato all’innalzamento dei
corsi d’acqua, colmati da depositi alluvionali, oltre a
formare uno sbarramento costiero rendendo paludosa
l’area di Marisabella. L’ingressione marina ha sommerso
in parte o del tutto alcune fasce del litorale come Cala
Scizzo, Cala Colombo, Scamuso, Titolo, dov’è
documentata la presenza di insediamenti umani già
dalla preistoria, determinandone la scomparsa.
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Quadro storico-archeologico

Come si può evincere dal quadro geologico, la presenza
nell’area di Bari di consistenti strati di tufo calcareo
facile da scavare ed il carsismo che ha determinato la
formazione di grotte e cavità naturali nel calcare cretaceo
hanno determinato lo sviluppo di quel fenomeno noto
come “civiltà rupestre”.
La civiltà rupestre che interessa dal VI al XIII secolo
l’intera Italia meridionale è un fenomeno complesso
che ha le sue origini in una scelta insediativa che
garantiva sicurezza e protezione in tempi incerti.
Il vuoto di potere determinato dal crollo delle istituzioni
dell’impero in età tardoantica e le ricorrenti invasioni
di popoli in armi che caratterizzano l’Alto Medioevo
spinsero la popolazione a cercare rifugio ma in questa
particolare forma insediativa.
La scelta appare quindi condizionata da uno stato di
necessità, ma questo non impedisce la nascita di una
civiltà che manifesta la sua creatività nella ricerca di
soluzioni abitative e costruttive nuove e originali.
Il fenomeno rupestre interessa quindi nel Medioevo
l’intero territorio pugliese con modalità diverse in
relazione alle caratteristiche morfologiche delle differenti
località.                                                      Fasano. Villaggio rupestre di Lama D'Antico
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Nel caso di Bari l’elemento caratterizzante dei complessi
ipogei è una particolare tipologia di impianto planimetrico,
adottato in vari casi, che non trova riscontro in altre
località pugliesi. Tale elemento è il criptoportico scavato
nel tufo intorno ad un atrio a cielo aperto da cui si
accede agli ambienti interni attraverso arcate che
immettono nei corridoi.
                                                                Planimetria dell’ipogeo Seminario II.
                                                                In bleu il criptoportico

                                                                Veduta aerea dell’ipogeo Seminario I.
                                                                In evidenza l’atrio d’ingresso

L’evidente derivazione di questo schema da quello
abitativo di età classica testimonia l’antichità del modello.
L’impianto con criptoportico ha molteplici attestazioni
nel territorio barese: gli ipogei di Torre Bella, Quadrivio,
Mola, Torre Alberotanza, Torre Tresca, Seminario I,
Costantino, Masseria Milella, Caravella, Masseria Tresca
mostrano, con qualche variante, lo stesso schema
                                                                Planimetrie degli ipogei Mola e Torre Tresca
planimetrico.
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Ad eccezione del piccolo villaggio della Caravella nel
Picone, a Bari la modalità insediativa dell’habitat rupestre
si presentava in forma di nuclei sparsi e non di villaggi
urbanisticamente articolati come quelli famosi di
Casalrotto o Petruscio dell’area ionica tarantina.

                                                               Veduta dei villaggi rupestre della Caravella
                                                               a Bari e di Petruscio a Mottola (TA)

Nell’agro di Bari è documentata in età medievale la
presenza di numerosi casali (Cammarata, Sao, Cillaro,
Vulpiclano, Lucignano ed altri), che in ogni caso non
annoveravano più di qualche decina di abitanti.
La dislocazione di questi insediamenti era strategica,
in relazione alla rete viaria antica, in particolare al
tracciato della via Traiana che in età romana collegava
Roma al porto di Brindisi.                                                 Schematizzazione del sistema
                                                                            viario di età romana in Italia
                                                                                             meridionale

                                                                                   L’antico sistema viario
                                                                                  del territorio a sud di Bari
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Da Butuntum (Bitonto) la strada si dirigeva verso la
costa in direzione di Barium (Bari), il centro romano
che insisteva sul più antico centro peuceta (Barion),
localizzabile nella penisola su cui sorge l’attuale Borgo
Antico e in cui è attestata anche la presenza di più
antichi insediamenti dell’età dei Metalli.
La vitalità della città in età tardoantica è testimoniata
dalle menzioni negli Itineraria (Itinerarium Antonimi,
116-117, 119, 314-315; Itinerarium Burdigalense 609-
610; Tabula Peutingeriana, Segmento 5, 4-5, ed. Wier
1976) da cui sembra delinearsi un ruolo attivo di Bari,
destinato a consolidarsi con la formazione della diocesi
paleocristiana e, in età altomedievale, con l’emirato          Le principali strade attorno a Bari alla fine
                                                                del ‘700 (da G. A. Rizzi Zannone, Atlante
arabo e la dominazione bizantina. Attorno alla città             del Regno di Napoli, Napoli 1788-1811)

portuale dedita ai commerci si innestava la presenza
dei casali in cui le comunità (spesso monastiche) erano
dedite alla produzione agricola, in particolare alla coltura
dell’ulivo.

                                                                          Foto Satellitare dell’area di Bari
                                                                                        (da Google maps)

                                                               Tabula Peutingeriana, stralcio
LA CHIESA RUPESTRE DI SANTA CANDIDA

 Localizzazione catastale
 Foglio: 058, particelle: 4,9,10, 46 (parte)

 Georeferenziazione tramite punto
 Tipo di localizzazione: localizzazione fisica
 Descrizione del punto
 Coordinata X: 1160598,915 - Coordinata Y:
 4578530,653
 Metodo di georeferenziazione: punto esatto
 Tecnica di georeferenziazione: rilievo da foto aerea
 senza sopralluogo
 Proiezione e Sistema di riferimento: UTM32

 Base di riferimento
 Descrizione sintetica: IGMI 177 IINE
 Note: dati rilevati sul Portale Cartografico Nazionale
 del Ministero per l'Ambiente

 Condizione giuridica e vincoli
 Indicazione generica: proprietà privata
 Indicazione specifica: Villa Edda srl. (legale rappres.
 Calatrice Edmundo)

 Provvedimenti di tutela
                                                           Dati tratti dalla scheda di catalogo ICCD
 Tipo provvedimento: L. 1089/1939, art. 1                  SIGEC n 1600177465 (autore F.
 Estremi provvedimento: D. M. 1978/07/24                   dell’Aquila anno 1978, informatizzazione
                                                           anno 1998; migrazione SIGEC anno
                                                           2007)

Ubicazione
Sul fianco destro della lama Picone ad una distanza di
circa 300 metri dalla tangenziale di Bari.
Situazione ambientale

                                                           Foto satellitare con l’ubicazione degli
                                                           insediamenti
Il corso della lama Picone in prossimità degli insediamenti
rupestri di S. Candida e della Caravella assume particolare
suggestività sia per la considerevole altezza degli argini
terrazzati, sia per la vegetazione del suo fondo che
risente favorevolmente del microclima ivi esistente.
Purtroppo il terrazzamento più alto del fianco destro è
stato stravolto alla fine degli anni Settanta del Novecento
da uno sbancamento effettuato per ricavare materiale
da utilizzare per la scarpata della tangenziale. Questo
intervento ha tagliato la parte anteriore della chiesa
per una profondità di circa 6 metri asportandone per
fortuna soltanto gli ambienti anteriori collegati
indirettamente alla chiesa.
Stato di conservazione
                                                                  Planimetria della chiesa. In nero i
                                                                                     volumi distrutti

                                                              Lama Picone. Effetti dello sbancamento
                                                                                    del fianco destro
Mediocre.

Architettura
L'ingresso originario della chiesa, come già accennato,
oggi non è più esistente. È possibile però dalla planimetria
e da alcune vecchie foto ricostruire che il sagrato
modellava il fianco naturale della lama presentando
due ingressi con assi perpendicolari: quello ad Est
immetteva in un piccolo ambiente, di circa 2x3,5 m di
larghezza, voltato a botte che precedeva l'ingresso della
chiesa ed era completato sui due lati da arcosòli di cui
quello sinistro adibito a sepoltura. Questo ambiente
costituiva il «nartece», cioè il vestibolo che nelle chiese
paleocristiane era ad-dossato all'esterno della facciata.
L'ingresso a Sud immetteva in tre vani intercomunicanti
che dovevano costituire l'abitazione delle persone cui
era affidata la custodia della chiesa.
Una delle nicchie-alcove si intravede ancora oggi alla
destra del varco che attualmente consente l'accesso
all'interno.
La chiesa di S. Candida è una delle più grandi, se non         Ingresso. A destra i resti della nicchia-
                                                                                                 alcova
la più grande basilica rupestre pugliese; la sua parte
superstite si sviluppa per circa 120 mq e presenta una
complessa planimetria.
La presenza di 5 absidi l'ha fatta ritenere finora costituita
da altrettante navate; lo studio, però, non solo
planimetrico, ma anche dell'alzato ed in particolare dei
soffitti, evidenzia 4 navate di cui quella all'estrema
sinistra più piccola e difforme delle altre. Delle rimanenti
tre navate la centrale si presenta biabsidata.
Dall'ingresso originario nasce un ambiente a pianta
rettangolare e soffitto piano di circa m 3x4, che presenta
frontalmente, ad Est, tre arcate a tutto sesto, di cui la
centrale di ampiezza doppia rispetto alle altre, rette da
pilastri compositi. L'arco di sinistra immette nella prima
navata laterale sinistra, mentre gli altri 2 comunicano
con la navata centrale. Lo stesso ambiente comunica
a Sud, attraverso un arco scavato nella parete laterale,
con la navata destra e a Nord con la seconda navata
sinistra.
La navata centrale ha una prima campata a forma
trapezoidale lunga m. 2,80 ed allargantesi verso l'interno
da 3 a 4 m. Questa campata ha soffitto piano delimitato
ai 4 vertici da grossi pilastri compositi.
La parete Nord presenta un unico arco che comunica
                                                                Elaborazione teorica della volumetria
                                                                di S. Candida, secondo lo schema ad
                                                  Plaminetria                          aula porticata
con la prima navata sinistra, mentre le altre 3 pareti
presentano due fornici separati da un pilastro centrale:
quello sulla parete Sud, in corrispondenza della navata
destra è lavorato a colonna; quello sulla parete Est non
è più in situ, ma si riconosce spezzato sul pavimento
della chiesa.
La navata centrale prosegue frontalmente biforandosi

                                                              Interno. Vista d’insieme

in due vani presbiteriali allungati di circa m 3x2, voltati
a botte e culminanti in due profonde absidi. Questi vani
presbiteriali sono divisi dal «naos» (l'area per i fedeli)
da un muretto iconostatico avente un'unica porta in
corrispondenza del vano absidale sinistro che costituisce,
                                                              Abside del vano presbitariale destro
pertanto, l'ambiente destinato alla celebrazione
eucaristica. Questa funzione è esaltata dal più ampio
sfondato della zona absidale che inizia da un arco con
ghiera poggiante su semicolonne addossate alle pareti
e sormontate da rozzi capitelli squadrati, si sviluppa in
un vano rettangolare voltato a botte e culmina con una
piccola abside.
L'abside del vano presbiteriale destro, sempre
corrispondente alla navata centrale, è anch'esso
delimitato da un arco con ghiera poggiante anche qui
su semicolonne; esso si sviluppa con catino absidale
emisferico profondo circa 2 metri.
I due vani presbiteriali della navata centrale comunicano
tra di loro, e con i rispettivi delle navate laterali, con
coppie di archi separati da tozze colonne rastremate
prive di capitello. Alcuni di questi archi sono rifiniti con
ghiere incavate.
La navata destra consiste di tre campate in successione
delle quali la prima (attuale ingresso) ha soffitto piano
e presenta nella parete Sud una sequenza di tre nicchie
alte, strette, poco profonde e rialzate di circa quaranta
cm dal pavimento; troveremo questo motivo nell'ultima
navata a sinistra. La prima campata comunica con la
seconda, risolta con volta a botte a sesto ribassato,
attraverso un arco con ghiera. La seconda campata,
delimitata ad Est da un muretto iconostatico che si
presenta praticamente integro e privo di accesso alla
zona presbiteriale, è seguita da un'ultima di luce ridotta
e voltata anch'essa a botte. Una abside poco profonda,
infine, si sviluppa in corrispondenza dell'arco con ghiera
poggiante su semicolonne addossate alle pareti e su
rozzi capitelli squadrati, un motivo questo che abbiamo
già riscontrato nelle altre absidi.
Sviluppo differente presenta la prima navata sinistra,         Area presbiteriale. Absidi centrali
che come già descritto, parte dal vano rettangolare di
accesso. Essa si divide in due campate evidenziate,
all'altezza dell'area presbiteriale, dal diverso andamento
dei soffitti: la prima presenta soffitto piano, mentre la
volta della seconda ha un andamento curvilineo che si
raccorda a botte sul lato Nord ed a spigolo sul lato Sud.
L'abside è praticamente identica a quella della navata
laterale destra; sulla sinistra, immediatamente prima
dell'arco absidale, vi è una nicchia che farebbe pensare
ad un presumibile utilizzo di questa area come
«prothesis», l'ambiente destinato alle funzioni
preparatorie del sacrificio.
Del tutto differenziata, sia per la scansione, sia per la

                                                               Ultima navata sinistra. Nicchie

tecnica di scavo che per la forma dell'abside è l'ultima
navata sinistra, la quarta della chiesa, costituita da due
campate lunghe e strette a soffitto piano e separate
tra loro da un arco trasversale poggiante su una colonna
solo parzialmente superstite. L'abside è contornato da
una profonda ghiera, ma è privo delle semicolonne
presenti nelle altre. La caratteristica principale di questa
navata è costituita dalla serie di sei nicchie ad arco,
alte, strette e disposte tre per parte nelle due campate,
realizzate sulla parete Nord; un'ultima nicchia simile
alle precedenti si trova infine sulla parete di fondo ad
Ovest. Tutte queste nicchie, così come le altre tre nella
prima campata della navata destra hanno un livello di
fondo a circa 40 cm dal piano di calpestio: esse trovano
riscontro nelle analoghe esistenti nella chiesa di S. Maria
delle Malve a Matera, di S. Angelo in agro di Santeramo
ed in quella del villaggio di Lama d'Antico a Fasano,
ove sono inseriti degli affreschi iconici.
Segni di arredo liturgico mobile, oggi non più esistente,
sono riscontrabili in una serie di coppie di fori rettangolari
contrapposti presenti in diversi vani della chiesa. Essi
erano destinati a sostenere delle assi lignee trasversali
alle quali venivano appese le lampade e le tende o
pannelli ad uso liturgico. Alla prima funzione dovevano
servire quelle presenti nei due vani presbiteriali della
navata centrale, all'altezza delle colonne, e probabilmente
anche quelle presenti nel primo ambiente subito dopo
il nartece. Alla seconda funzione dovevano servire,
invece, le travi poste all'altezza del muretto iconostatico
su tutte le quattro navate permettendo così la
separazione netta tra celebranti e fedeli durante alcune
fasi del rito eucaristico.
Iscrizioni.

Interno. Veduta verso l'abside di destra
All'interno della chiesa non vi è alcuna traccia di affresco.
Vi è, però, una serie di graffiti riconducibili a differenti
età storiche, fino ai deturpanti autografi recentissimi.
Iscrizioni dipinte sono presenti su tutte le absidi, anche
se oggi sono difficilmente leggibili.
Tutte le iscrizioni sono in caratteri latini, dipinte con
terra rossa direttamente sulla parete lisciata del tufo,
ed indicano soltanto nomi di Santi svolgendo dunque
una funzione meramente dedicatoria. Tutte le iscrizioni,
inoltre, appaiono coeve tra loro; ne diamo la trascrizione
indicando tra «()» lo scioglimento delle abbreviazioni,
tra «[]» le integrazioni del testo, e tra « < > » le lettere
di dubbia lettura.
- 1. abside da sinistra. Iscrizione su 2 registri:
     [+S(anctus) H]IERON(i)M < U > S [...]
           [S(ancta)] EC(t)NAS

- 2. abside da sinistra. Iscrizione su 2 registri, di cui
quella sul secondo non leggibile:
           + S(anctus) THOMAS: S(anctus)
                  BART[HOLOMEUS]
                 
- 3. abside da sinistra. Iscrizione su 1 registro in un         Iscrizioni sulla quarta abside da sinistra

riquadro tracciato sempre in terra rossa all'estremo
sinistro dell'abside:
                 + S(anctus) [.]S[...]

- 4. abside da sinistra. Iscrizione su due registri:
[+ ...]US: S(anctus) IACOBUS: S(ancta) CANDIDA:
                   S(ancta) ELEN[A]
                 S(anctus) ERASMUS

- 5. abside da sinistra. Iscrizione su un registro di dubbia
lettura:
                        S[...]
Note storiche.
Il toponimo di «S. Candida» e di «Lama S. Candida» è uno dei rari
toponimi medievali che si siano conservati fino ai nostri giorni, per
indicare appunto il tratto della Lama Picone all'altezza dei complessi
rupestri della chiesa di S. Candida, da un lato, e della chiesa e
villaggio della «Caravella» sul fianco opposto.
Dobbiamo ricordare che tale lama è interessata anche da un
insediamento preistorico risalente alla fase di transizione tra il
neolitico finale e l'eneolitico (D. COPPOLA, Le origini di Ostuni,
Martina Franca 1983, p. 157; cfr. pure la scheda sul complesso
della «Caravella»).
Purtroppo la mancanza di adeguati sondaggi archeologici non
consente di stabilire se ci sia stata una continuità abitativa della
lama dall'epoca preistorica alla medievale, oppure solo una
frequentazione saltuaria come si è verificato, ad esempio, per il
villaggio rupestre della Madonna della Scala a Massafra in cui non
sono testimoniati reperti di epoca romana.
La grandiosità di S. Candida la pone al primo posto tra le chiese
rupestri della Puglia ed è forse seconda tra quelle dell'Italia
meridionale solo alla chiesa di S. Maria della Vaglia a Matera.
Ciononostante le ricerche di carattere storico-documentario sono
risultate finora piuttosto avare di risultati.
Pur tuttavia sappiamo che la più antica citazione del toponimo «S.
Candida», e della stessa chiesa, risale al 1194 e riguarda una vendita
di un pezzo di terra con alberi di olive e di altro genere, posto prope
ecclesiam S. Candide et ecclesiam S. Helene (C.D.B., V, n. 162, p.
276). È interessante notare l'esistenza nelle vicinanze dell'altra chiesa
dedicata a S. Elena. Come al solito negli antichi documenti non si
fa differenza tra chiese costruite o scavate nella roccia per cui non
siamo in grado di stabilire come fosse realizzata quest'ultima. Si
potrebbe comunque ipotizzare che questa fosse una piccola chiesetta
ipogea sulla stessa lama, o addirittura la grande chiesa rupestre
posta di fronte a S. Candida indicata con il nome convenzionale della
«Caravella», ma comunque, è bene ricordarlo, queste rimangono
per il momento delle pure ipotesi di lavoro.
Ancora un abbinamento tra le due chiese troviamo in un atto di
circa 300 anni posteriore, laddove appare un Federico Saraceno,
abate della chiesa di S. Pietro (quale?), della chiesa di S. Bartolomeo,
della chiesa di S. Candida e delle chiesa di S. Elena di Bari (atto
12 gen. 1508 per N.r Francesco Iacopo Filippucci, in Arch. d'Add.,
1/90, p. 12 num. in bleu).
Ulteriori citazioni dai documenti medievali nel Codice Diplomatico Barese
si riferiscono ai secoli XIII-XIV: essi rivelano la struttura agricolo-
insediativa nella lama di S. Candida con piccoli terrazzamenti, con
numerose grotte adibite a vari usi (criptam, palmentellum, ecc.), con
tipica vegetazione (ficam, ecc.) ed ancora con presenza di corti, cisterne,
palmenti e così via (C.D.B., I, n. 93, p. 172, a. 1226; XVI, n. 4, p. 12,
a. 1310; nn. 21-22, p. 41, a. 1313; n. 69, p. 120, a. 1325).
Il documento del 1313 ci attesta l'esistenza nelle vicinanze del
tracciato medievale della strada da Bari per Rutigliano e Noicattaro,
mentre quello del 1325 l'esistenza nello stesso loco S. Candide di
una torre costruita appartenente alla chiesa di S. Andrea.

Bibliografia
A. PRANDI, Puglia, Milano 1970, p. 256.
F. DELL'AQUILA, Bari. Ipogei e insediamenti rupestri, Bari 1977,
pp. 10, 24-25.
M. NICOLETTI, L'architettura delle caverne, Bari 1980, fig. 196, p. 318.
ADIRT, «Conoscere la città». Insediamenti rupestri a Bari, n. 1,
Guida Breve, a cura di N. Lavermicocca e E. Pellegrino, Bari s.d.,
p. 4 n.n.
C. DELL’AQUILA, F. CAROFIGLIO, Bari extra moenia. Insediamenti
rupestri ed ipogei. Schede. 3 quaderni monografici comune di Bari,
Bari 1985, pp. 86-99
S. SERPENTI, G. CATALDO, Programma di salvaguardia del patrimonio
storico architettonico del territorio di Bari, Bari 1989, pp. 97-100
F. DELL’AQUILA, A MESSINA, Le chiese rupestri di Puglia e Basilicata,
Bari 1998, pp. 147-149
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