2 TROFEO "BATTAGLIONE ALPINI UORK AMBA" - UORK AMBA = MONTAGNA D'ORO Dedicato al S.Ten. Bruno Brusco - medaglia d'oro - Cheren 18 marzo 1941 ...

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2 TROFEO "BATTAGLIONE ALPINI UORK AMBA" - UORK AMBA = MONTAGNA D'ORO Dedicato al S.Ten. Bruno Brusco - medaglia d'oro - Cheren 18 marzo 1941 ...
2° TROFEO “BATTAGLIONE ALPINI UORK AMBA”

                  UORK AMBA = MONTAGNA D'ORO

Dedicato al S.Ten. Bruno Brusco – medaglia d’oro – Cheren 18 marzo 1941

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Il 16 e 17 Marzo 2019 il Gruppo alpini di Avesa in collaborazione con la Sezione ANA di Verona
e il Tiro a Segno Nazionale di Verona, sotto il patrocinio del sig. G. E. Belloni, organizza il 2°
Trofeo “Battaglione Alpini Uork Amba”, gara promozionale di tiro a segno con fucili ex
ordinanza a carica ridotta e con bersaglio alla distanza di metri 50.

Conquista dell'Etiopia.

                          Gruppo di alpini durante la guerra di Etiopia

La 5a Divisione alpina "Pusteria" venne costituita il 31 dicembre 1935 in previsione
della Guerra d'Etiopia, con in organico due reggimenti alpini, uno di artiglieria e
due battaglioni complementi strutturati su tre compagnie. Quando la divisione venne
impiegata nella seconda battaglia del Tembien, il VII Battaglione complementi del tenente
colonnello Ferdinando Casa si distinse particolarmente, il 27 febbraio 1936 - XIV E.F., nella
conquista del massiccio dell'Uork Amba, che in lingua amarica significa Montagna d'oro, e il
nuovo comandante, Maggiore Tommaso Risi, lo intitolò ufficialmente Battaglione Alpini "Uork
Amba". Lo stesso Battaglione venne decorato di medaglia di Bronzo al valore militare con la
seguente motivazione:

    “Conquistava, e con tenacia manteneva importante posizione sul fianco di un'amba
    infrangendo ripetuti assalti di soverchianti forze nemiche, mentre i suoi reparti di
    scalatori raggiungevano l'impervia cima dell'amba stessa, dopo una giornata di sforzi
    ammirevoli, in bella emulazione con un nucleo di CC.NN. e di ascari.
    - Amba Uork, 27 febbraio 1936 XIV anno dell' E.F.”

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Dopo la fine delle ostilità, la divisione veniva impegnata in operazioni di polizia coloniale e di
difesa, assieme alla Milizia, ai cantieri sparsi su tutto il territorio conquistato per la costruzione
di strade, ponti e fortini.

L'A.O.I., (Africa Orientale Italiana), pe la sua posizione geografica rappresentava una seria
minaccia alle importanti vie di comunicazione dell'impero britannico con il rischio di vedersi
bloccare i traffici tra la Gran Bretagna e i vari possedimenti coloniali dell'Africa e dell'Oceano
Indiano. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, il Battaglione Alpino Uork Amba venne
inquadrato nella 65ᵃ Divisione fanteria Granatieri di Savoia come terzo battaglione del 10°
Reggimento Granatieri.

Gli Alpini del VII Battaglione complementi indossavano la tipica uniforme coloniale, con
fiamme verdi, casco coloniale con la penna, o cappello alpino color cachi invece che il tipico
grigioverde. Unico della specialità in Africa Orientale, il battaglione era formato da alpini
veneti, abruzzesi, emiliani, friulani, genovesi, lombardi, piemontesi — di tutte le classi dal
1900 al 1917 — e provenienti da tutti i reggimenti, dal 1° all’11°; come giustamente ebbe a
dire il Comandante, l’Uork Amba stava in Africa orientale per tutti gli Alpini d’Italia.

Secondo conflitto mondiale

All’inizio del conflitto il battaglione venne assegnato alla sistemazione difensiva di Addis
Abeba, mentre gli sciftà cominciavano a molestare le nostre truppe. La zona affidata all’Uork
Amba comprendeva una zona vastissima, praticamente da Addis Abeba fino al fiume Bottego.

Gli alpini di Peluselli, unitamente a una sola compagnia coloniale, marciarono per sei giorni
giungendo fin quasi al Bottego e scontrandosi più volte con gli sciftà.
Verso l'inizio di gennaio del 1941 il battaglione ebbe l’ordine di portarsi all’Amba Alagi ove
giunse il 15 dello stesso mese. Ma un ulteriore ordine diresse poi gli alpini all'Asmara, capitale
dell'Eritrea, prevedendo imminente un attacco massiccio delle forze armate britanniche
provenienti dai confini sudanesi.

Sin dal 20 Gennaio 1941 le truppe britanniche attaccarono con violenza i nostri confini, a sud
provenienti dal Kenia e a nord dal Sudan ove in poche settimane cadde la cittadina di Agordat,
nel bassopiano occidentale eritreo, ed i superstiti si portarono a Cheren, mentre la nostra
cavalleria e le bande cammellate unitamente alle forze della Milizia tentavano di contrastare
l'avanzata del nemico.

Gli Alpini dell’Uork Amba raggiunsero il fronte occidentale e furono posizionati a difesa del
Monte Sanchil (Nido d'Aquila), il Dologorodoc e Cima Forcuta. Infatti un semicerchio montano
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circonda la cittadina di Cheren formando una naturale protezione per chi giunge dalla
direzione di Cassala nel Sudan, da dove appunto l'attacco nemico era costretto a passare.

L'armata britannica era composta da due divisioni anglo-indiane e numerosi altri reparti di
greci, ciprioti, francesi, palestinesi, sudanesi, egiziani, sudafricani e kenioti.

La seconda guerra mondiale in A.O.I. durò circa 18 mesi, dall' 11 giugno 1940 al 28 novembre
1941. Rimangono comunque memorabili i sacrifici, gli eroismi dei soldati italiani e delle truppe
indigene guidate dai nostri ufficiali sempre alla testa dei nostri Ascari.

La battaglia di Cheren, 31 Gennaio - 27 Marzo 1941

Il comando dello scacchiere nord dava disposizioni per attuare un primo sbarramento e
impedire gli accessi delle truppe motorizzate nemiche alla conca e dislocava i soldati italiani a
difesa delle alture che sovrastano la gola del Dongolaas sino al monte Sanchil e alla selletta del
Falestoch. Il primo febbraio si facevano brillare le mine predisposte nella stretta provocando
l'interruzione della nostra rotabile e delle linea ferroviaria.

Il battaglione Uork Amba, passato alle dipendenze del generale Lorenzini, venne inizialmente
inviato a presidiare il monte Agher, nelle vicinanze di Cheren. Presso cima Forcuta e la gola del
Dologodoroc si tennero degli asperrimi combattimenti che videro gli Alpini dell’Uork Amba
coprirsi di molti atti di eroismo individuale. Per cinquantasei giorni, attorno a Cheren, gli Alpini
lottarono duramente contro i mezzi corazzati e le soverchianti truppe nemiche per mantenere
le posizioni. II generale William Platt, il vincitore, scrisse: "La difesa di Cheren è stata tenace,
dura, eroica. In tempo di pace, se fossi stato direttore di manovra, avrei dato partita vinta alla
difesa".

Seguono brani tratti dal diario di Carlo Dominione, giornalista del Corriere Eritreo di Asmara.
Egli partecipò alla battaglia di Cheren, e poi la prigionia con la drammatica avventura del
"Nova Scotia", dalla quale uscì, uno dei pochi, a salvarsi, dandoci così la possibilità di
leggere gli avvenimenti scritti di suo pugno dal campo di battaglia.

Cheren, 1-7 febbraio

Agordat è caduta ieri alle 14. Abbiamo sgomberato Barentù. I superstiti delle sette brigate
coloniali, del raggruppamento P.A.I., delle Bande Amara, delle camicie nere, per impervi
sentieri, laceri e affamati, stanno raggiungendo la conca di Cheren. Due settimane di feroci
combattimenti ci hanno annientato. Abbiamo perduto tutto: artiglierie pesanti, carri armati,
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mitragliatrici, tutti gli equipaggiamenti. Le nostre perdite ufficiali sono state di 1559 nazionali
e 14.686 nativi.

II 2 febbraio il generale Nicola Carnimeo assumeva il comando della piazza, mentre
dall'Asmara e da Addis Abeba affluivano truppe fresche: L'11° Granatieri, i bersaglieri tre
brigate coloniali, tre squadroni di cavalleria indigena, la banda P.A.I., mentre il nemico si
attestava alla gigantesca frana dello Zeban, nella gola del Dongolaas. L'hanno creata i genieri
facendo saltare duecento metri di strada.

Per sei giorni gli inglesi - mentre le loro artiglierie battevano ogni settore con un
concentramento mai visto di pezzi d'ogni calibro - si sono dissanguati attaccando sul Sanchil,
sul Dologodoroc, sullo Zelale, sul Falestoh, tentando di penetrare nella gola del Dongolaas,
occupando la Forcuta, affacciandosi alla piana del Mogareb, premendo al Colle dell'Acqua. Nel
tardo pomeriggio del 7 si ebbero le prime infiltrazioni. All'Asmara già correvano le voci più
catastrofiche.

Cheren, 8 febbraio

Nella tiepida notte tropicale, alla luce delle stelle è avvenuto il miracolo. Quando tutto
sembrava perduto e i Punjab e Sihk erano già nei sobborghi meridionali della città, ormai
debolmente contrastati dal 9° Eritrei decimato e allo stremo, Carnimeo con tempestività e
audacia, sguarnendo altri settori del fronte ha buttato nella lotta il 4° "Toselli" mentre i
granatieri scendevano dal Samanna attaccando da occidente. Contemporaneamente i
cavalleggeri del III Gruppo, appiedati, lasciati cavalli e sciabole, caricavano alla baionetta,
serrando il nemico contro i costoni dello Zelale e del Falestoh. Dalla mezzanotte alle tre è stato
un incessante assalto, una lotta a corpo a corpo nella quale i britannici hanno avuto la peggio,
assaliti e annientati all'arma bianca, a colpi di bombe a mano, mentre il cielo era solcato dalle
pallottole traccianti e dai razzi inglesi. Un'altra pagina di sangue ed eroismo. Ma Cheren è
ancora nostra.

Cheren, 11 febbraio

Carnimeo continua a giocare a scacchi. È l'unica cosa che gli resta da fare con le esigue forze a
disposizione e le muove sapientemente da un punto all'altro del fronte, secondo le necessità.
Domenica 9, gli inglesi dopo accaniti assalti sono riusciti a rioccupare la Forcuta. Gli alpini del
battaglione Uork Amba, comandati da Peluselli, sono sul monte Agher, sulla sinistra. Li sposta
decisamente sul monte Amba per riconquistare l'importante posizione. Questo battaglione è
giunto in linea il 5 proveniente da Addis Abeba: nelle sue file sono non pochi "volontari":
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autisti e civili che ad ogni tappa del lungo percorso, ricordandosi di essere stati alpini, hanno
da una cassa lo stinto cappello, sono saltati sugli autocarri e via anche loro verso Cheren.

         Alpini del battaglione Uork Amba a Cheren Cima Forcuta (foto M. O. S.Ten. di
                                  complemento Bruno Brusco)

In due giorni gli inglesi sulla Forcuta hanno disposto una ventina di nidi di mitragliatrici: un
attacco frontale sarebbe un suicidio. È già notte quando il capitano Carmelo Romeo con
diciotto alpini si butta sul fondovalle: per stanare il nemico occorre prenderlo alle spalle,
risalire i costoni dai quali non si aspetta l'attacco. E in silenzio i diciannove uomini, fucili a
tracolla e tasche colme di bombe, salgono lentamente, attenti a non far cadere sassi,
aggrappandosi agli arbusti bruciati, strisciando. Poi comincia la danza: piombano sul primo
nido nemico, lo distruggono. Davanti a loro è Cima Tre, tutta fiammelle di postazioni: un
momento di riposo, per riprendere fiato. Poi ripartono: calano sul nemico, colto alla
sprovvista, lo bruciano con le bombe, lo inchiodano a colpi di baionetta. A Cima Due una
postazione di mortai inglesi da 81 sparisce in pochi secondi. Il chiaro di luna allunga le loro
ombre. Gli inglesi credono di aver di fronte un intero reggimento: Romeo e i suoi urlano,
gridano, si centuplicano: sono solo diciannove alpini che combattono nel loro ambiente
naturale. E la quarta ora di combattimento da loro la vittoria, il Nido d'Aquila.

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Non un inglese s'è salvato e nelle grotte, tra quei grossi sassi, hanno lasciato mitragliatrici e
mortai, impermeabili, ogni ben di Dio. In una caverna il rancio è sul fuoco. E gli alpini ne
approfittano.

Cheren, 12 febbraio

Dall'alba l'artiglieria britannica martella tra lo Zelale e il Falestoh: poi Sikh, Punjab, scozzesi e
inglesi vengono all'attacco, penetrando nella selletta del Colle dell'Acqua. Il 4° "Toselli" ne è
investito, subendo perdite atroci (12 ufficiali e 500 uomini in pochi minuti): ma resiste e
accorrono in appoggio, ancora una volta, granatieri e bersaglieri, eritrei e cavalleggeri, anche i
genieri vanno all'attacco. All'improvviso dalle pendici del Falestoh calano i conducenti di una
corvè di muli: hanno abbandonato gli animali con il rancio e vanno alla baionetta. Piombano
sui britannici e trasformano la loro ritirata in disordinata fuga.

La prima battaglia di Cheren è vinta: il nemico si ritira con uomini e mezzi verso Agordat. Rac-
cogliamo i loro e i nostri morti. Gli alpini alla Biforcuta hanno sistemato un cimiterino;
inchiodata su un'asse è una lamiera che una scheggia ha squarciato. Su di essa è scritto
"Anima devota e patriota che giri lo sguardo su queste rocce sacre alla gloria alpina, alza il
pensiero alla misericordia divina, recita un requiem per gli eroici caduti, figli del battaglione
Uork Amba". L' "Amba d'Oro": 850 alpini. Di essi, 500 dormono a Cheren tra cui le medaglie
d'oro Brusti, Castellani, Degasperi e Bruno Brusco. Degli altri solo pochi illesi. Un battaglione
d'eroi, quelli dell'Uork Amba. Per venti giorni, fino al 4 marzo, a Cheren vi fu una certa calma,
salvo alcuni tentativi della Brig's Force a Cub-Cub subito frustrati. Per tutti fu un periodo di
riorganizzazione e assestamento; ma essi avevano ingenti fonti alle quali attingere truppe
fresche e materiali moderni; noi truppe logorate e stanche, i magazzini vuoti. Comunque, i
reparti ancora disponibili raggiunsero Cheren che a fine febbraio era difesa da 18.000
combattenti e 120 pezzi di piccolo calibro: un soldato ogni 3 metri dei 60 chilometri che
costituivano il fronte, un cannone ogni 500 metri.

Asmara, 28 febbraio

Poco dopo le due pomeridiane il terrore è sceso dal cielo: mentre i campi d'aviazione di
Asmara e Gura venivano duramente colpiti per impedire che gli ultimi nostri caccia si
potessero alzare, squadriglie di Blenheim, di Wellesley e di modernissimi Hampden, volando a
poche centinaia di metri dai tetti, hanno arato le strade e le case nel centro cittadino, con
bombe dirompenti e incendiarie che hanno scavato crateri ogni cinquanta metri lungo viale
Mussolini e corso del Re, spruzzando di schegge negozi e finestre sconvolgendo il mercato
indigeno, la stazione ferroviaria, via Brighetti, viale De Bono, la Croce del Sud. L'azione
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terroristica, che si è ripetuta in tre ondate successive, ha causato decine di morti e
innumerevoli feriti. Anche Decamerè e Adi Ugri hanno subito uguale sorte. Visto che i
manifestini incitanti alla rivolta non hanno dato l'esito sperato, i britannici li hanno sostituiti con
qualche cosa di più terrificante: uccideranno donne e bambini, come hanno fatto oggi, perché quelli
di Cheren cedano.

                 Alpini del battaglione Uork Amba a Cheren, Cima Forcuta (foto
                           M. O. S.Ten. di complemento Bruno Brusco)

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Cheren, 4 marzo

Il 4 marzo, truppe d'assalto inglesi occupano dopo violento combattimento il monte Tetri, ma
nella notte i valorosi carabinieri di Levet li ricacciano. Il giorno 10 la Legione Straniera,
rafforzata da battaglioni senegalesi, tenta di forzare la stretta di Ander ma viene respinta da
soldati coloniali; ritenta ancora nei giorni successivi contro il pilastro orientale del nostro
schieramento, il monte Engiahat, ma subisce sanguinose perdite ad opera degli amara del 151
° battaglione e desiste dopo una rude lezione ricevuta dai cavalleggeri del 15° Gruppo. Questo
fermento indica che il nemico ha ormai completato la sua preparazione. Infatti, la 4a e la 5a
divisione anglo-indiana si attestano fra il Sanchil e il Samanna, per l'attacco del Dologorodoc,
appoggiate dalla Brig's Force e dal Gazelle Force, mentre le batterie da 88 e 152, con gittata di
oltre 11 chilometri, si schierano sul versante orientale del Samanna. E tutto ciò avviene nel più
grande silenzio, in quell'opprimente, pauroso silenzio che precede gli uragani tropicali. Ma il
cielo è tersissimo, le piccole piogge sono un ricordo, quelle piogge che avrebbero impantanato
gli inglesi, sconvolgendone i piani. Anche le condizioni metereologiche sono contro di noi e di
ben altra natura sarà il tifone che c'investirà.

Cheren, 15 marzo notte

Alfio Berretta ed io siamo giunti al comando del generale Carnimeo nel sobborgo di Tantarua
poco dopo le 22, in piena battaglia, sotto un terrificante concentramento di fuoco che da
stamane alle 7 non dà tregua, e che Lamborghini, il "signore del tuono" - come l'hanno
definito i nostri ascari - tenta di contrastare; molti nostri pezzi dopo ogni salva devono essere
riportati in posizione a braccia. Gli 88, i 120, i 152 inglesi battono tra il Sanchil e il Samanna,
sulla Forcuta nella stretta del Dongolaas, sull'Amba e sulle retrovie, giungendo al di là del
posto di blocco sulla strada di Asmara. In poche ore sono cadute oltre 32 mila granate. Tutto il
fronte è un immenso braciere. Il nemico avanza, s'incunea, viene ricacciato. Da quindici ore si
combatte senza una sosta. Le perdite da ambo le parti sono paurose. Autocarri carichi di nostri
feriti stanno in questo momento salendo verso l'altipiano.

Cheren, 16 marzo ore 4

La situazione è tragica. Poco fa ero all'ospedale. Medici e suore sono ammirevoli. Non ci sono
più letti. Feriti dovunque. Ma nessuno si lamenta e molti muoiono. I cappuccini di Mons.
Marinoni hanno lasciato il saio e indossato l'uniforme militare con la rossa croce segnata sul
cuore: anch'essi sono andati al fronte, portando ovunque una serenità che neppure il più
intenso bombardamento riesce a scalfire. Mentre stendo questi appunti, i britannici sono
abbarbicati al Sanchil e al Dologorodoc, ad alcuni costoni della Biforcuta. Le mine e gli ordigni
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incendiari improvvisati dai genieri nel Dongolaas hanno fatto strage di mezzi corazzati della
Gazelle Force. Il 3° btg. della XI legione ha fatto muro sul Samanna; sulla Forcuta i granatieri di
Corsi hanno ributtato gli scozzesi del Camerun e i fanti del Royal Fusilers utilizzando le bombe
a mano che gli alpini dell'Uork Amba avevano catturato nella notte dell' 11 febbraio. A loro
volta le penne nere di Peluselli hanno paralizzato gli indiani nel Dongolaas. Sull'Amba lotte a
corpo a corpo tra gli scozzesi Highlanders e i nostri carabinieri: il brigadiere Basso, privo di un
braccio asportatogli da una granata, colpito al ventre, riesce ancora, morente, a lanciare
l'ultima bomba gridando: "Viva l'Italia! Fin quando c'è un carabiniere, il nemico non passa!".
Tre ufficiali dei bersaglieri sono caduti sul Sanchil in disperati contrattacchi con molti dei loro
fanti. In Valle Aful reparti palestinesi all'attacco del Dabrù e del Dobac sono stati sbaragliati
dagli ascari. Nella stretta dell'Anseba annientati interi reparti francesi.

Ma cominciamo a cedere in molti punti: battaglioni di "maharattas" hanno occupato il
Pinnacolo, due costoni occidentali del Dologorodoc. Granatieri e ascari contrattaccano, ma
vengono aggirati e annientati dagli inglesi del West York, che riescono ad occupare il vecchio
fortino di Quota 1501, difeso dai soli artiglieri con alcuni vecchi pezzi. La perdita è gravissima.
Cheren potrà salvarsi solo se riusciremo a conquistare questa cima.

La pagina più tragica e dolorosa della battaglia di Cheren ha nome appunto Dologorodoc. Nel
disperato tentativo di riprendere il fortino ci siamo dissanguati bruciando le nostre ultime
forze: invano i cavalieri del 15° Gruppo Fannucci, gli ascari, gli alpini, i granatieri, le camicie
nere, i bersaglieri, si sono prodigati. Le pendici dei monti sono tappezzate dei loro corpi.

Cheren, 16 marzo notte

Per tutto il giorno "rayputana", "sikh", appoggiati dal Royal Garhawal Rifles, dallo Highland
Light Infantry, dal Baluchi Regiment, sostenuti da ininterrotti tiri d'interdizione e dalla
aviazione, hanno attaccato il Sanchil, il Samanna, sulla Forcuta, il monte Amba; ma i nostri,
abbarbicati alle pietre, hanno resistito ancora, per quanto inebetiti dalla stanchezza,
ischeletriti da settimane di vitto insufficiente. Cos'è che sorregge questi stupendi soldati?

È mezzanotte: poco fa è giunto al comando il generale Orlando Lorenzini, il padre degli ascari,
"l'Ambesà", il leone di tante battaglie. Il suo nome, dal Somaliland ad Agordat, a Cheren, é
legato a cento epici episodi. Egli vive ormai nella leggenda. Hanno parlato a lungo, lui e
Carnimeo. Il comandante in capo gli ha chiesto un ultimo sforzo, di operare un miracolo:
ritirare tutte le sue truppe lungo il fronte nord per un ultimo attacco al Dologorodoc. Lorenzini
è scuro in volto, nervoso. Il colloquio tra i due generali ha qualche cosa di storico; non mi
stupirei di sentire Carnimeo esclamare: Qui si salva Cheren o si muore!". Ma nella stanza c'è
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un gran silenzio. Lorenzini saluta per andarsene, poi toma sui suoi passi e a Carnimeo che è
evidentemente commosso, dice: “Ti raccomando levami da queste pietre. Non ci so stare io in
mezzo alle pietre".

Cheren, 17 marzo ore 13

Poco fa un ufficiale è rientrato nella villetta del comando recando nella destra il cappello e
nella sinistra il cannocchiale di Lorenzini. Lo sgomento è in tutti.

Cheren, 17 marzo, ore 15

Lorenzini, nella camera mortuaria dell'ospedale, è steso su una porta di legno poggiante su
due cavalletti. Il volto dall'ispida barba è sereno dopo la tensione della battaglia. Sul petto ha il
cappello d'alpino dalla penna smozzicata, sporca di terra. Glielo ha posto Carnimeo, come una
medaglia d'oro. Attorno sono molti del suoi ascari: piangono in silenzio il loro "Ambesà". "Qui
si salva Cheren o si muore!", forse Carnimeo la disse davvero questa frase garibaldina ieri
notte, mentre fuori tuonava il cannone e il nemico premeva sulle ultime difese. Ma se non l'ha
pronunciata l'aveva certo nel cuore. E Lorenzini è morto e Cheren non si salva.

Cheren. 18 marzo

I giorni che seguirono non furono altro che calvario: noi all'attacco del Dologorodoc con alpini
e granatieri (Persichelli, l'eroico comandante del 4° Toselli, per incitare i suoi ascari si fece
trasportare in prima linea in barella a causa delle ferite riportate in precedenti assalti) o
aggrappati alle rocce del Sanchil e della Forcuta; loro parimenti esausti e decimati a tentare or
qua or là per trovare finalmente un varco. E non c'erano quasi più munizioni, con una gavetta
di pasta scotta al giorno, con l'acqua che sapeva di terra.

Cadde il sottotenente Bruno Brusco da Verona che meritò (Cheren, 11 febbraio - 18 marzo
1941) la medaglia d’oro al valore militare con la seguente motivazione:

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“Comandante di plotone fucilieri alpini, con l’esempio, perizia e coraggio
       concorreva all'occupazione di importantissima e munita posizione montana M.
       O. S.Ten. di compl. Bruno Brusco che teneva poi saldamente nonostante i
       ripetuti contrattacchi nemici. Pronunciatosi un forte attacco nemico, alla testa
       del proprio plotone partecipava a una dura lotta di oltre due giorni con il
       proprio esempio ed indomito coraggio a stroncare la baldanza nemica.
       Successivamente, benché febbricitante, prendeva parte a nuova azione,
       riuscendo anche in tale occasione a dare prova di vero coraggio portando di
       lancio i propri uomini oltre i reticolati nemici. Benché colpito ad un braccio,
       incurante di se stesso, sempre alla testa del suo plotone lo trascinava alla lotta
       a corpo a corpo col nemico sino a che colpito a morte cadeva eroicamente.”

Cheren. 27 marzo

Poi, quando i battaglioni erano ormai ridotti a poche decine d'uomini ancora validi, l'estrema
decisione: lasciare Cheren, permettere al nemico di valicare quelle cime che invano aveva
tentato di conquistare, sulle quali gli ultimi dieci giorni aveva fatto piovere una grandine di
oltre centomila proiettili. E ciò fu alle prime luci dell'alba del 27 marzo. Onde comunque
ritardare il più possibile l'avanzata del nemico si fecero avanti componenti della Milizia e
alcuni dei reparti coloniali per minare ancora tratti della rotabile Cheren-Asmara ed
impegnare le truppe nemiche.

Quanto avvenne dopo - i tre giorni di Ad Teclesan, la resa di Asmara, l'occupazione di Addis
Abeba col ritorno del Negus, la caduta di Massaua, il sacrificio di Amedeo d'Aosta e dei
cinquemila dell'Amba Alagi, delle camicie nere e dei carabinieri a Sella Culqualber, fino
all'ultima pagina che ha nome Gondar - era nel destino delle cose, era già stato scritto un anno
prima, quando l'Italia entrò in guerra.
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Trattore con blindatura improvvisata, armato con
                              mitragliatrici Schwarzlose e Fiat '35

Doveva succedere e accadde. Ma chi avrebbe mai pensato che la dolce incantevole Cheren,
profumata di aranci e mandarini, di papaie e banane, si sarebbe per 56 giorni trasformata in
un'arcigna fortezza, in un’imprendibile roccaforte? Chi avrebbe immaginato che su 45 mila
combattenti, fra italiani e nativi, 12.147 sarebbero morti e 21.700 avrebbero riportate ferite e
mutilazioni, senza che un solo disertore italiano o eritreo macchiasse di viltà tanta gloria?

Oggi Cheren, risorta dalle rovine, sempre più splendente di tiepido sole, coi suoi giardini
carichi di fiori e frutta, dalle case arabescate di azzurre bouganvillee custodisce nel suo seno -
vegliandone l'eterno sonno - coloro che sono caduti sulle sue balze. Sono giovani di tutte le
regioni d'Italia, sono eritrei e amara alpini e bersaglieri, ascari e granatieri, cavalleggeri e
camicie nere, artiglieri e genieri, fanti e carabinieri.

Essi dormono in pace sotto un cielo eternamente azzurro come il manto della Vergine che
ricopre il Cristo morto.

                                                           Carlo Dominione

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Il cimitero degli Eroi a Cheren

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Una storia, quella del battaglione Uork Amba, durata dunque cinque anni, fino al definitivo
scioglimento dell’unità con la resa dell’Amba Alagi nel maggio del 1941.

Al Battaglione, oltre a sei Medaglie d’Oro al Valor Militare individuali (di cui due nella battaglia
di Cheren), fu assegnata una Medaglia d’Argento al Valor Militare con le seguenti motivazioni:

       «Durante aspra, prolungata battaglia contro preponderanti forze terrestri ed
       aeree, impegnato in successive critiche situazioni, si imponeva per elevato
       spirito guerriero tenendo testa, a costo di sanguinosi sacrifici, ad agguerrito
       avversario cui dava luminose prove di indomabile tenacia e valore»
       - Africa Orientale, 9 febbraio - 27 marzo 1941 - XIX E.F.

    Commemorazione organizzata dal Gruppo Alpini di Avesa presso il poligono di Verona
                                il 17 e 18 marzo 2018.

Gian Emilio Belloni, Marzo 2019

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