03 HERITY Wizard's Days - ROMA, 13 Aprile 2018 - Herity Italia

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03 HERITY Wizard's Days - ROMA, 13 Aprile 2018 - Herity Italia
HERITY WIZS
                                     HERITY Wizard’s Days

                                       ROMA, 13 Aprile 2018

                                               A cura di
                                     M. Quagliuolo & P. Paniccia

                      .03                  © HERITY - DRI, 2018

In cooperazione con
03 HERITY Wizard's Days - ROMA, 13 Aprile 2018 - Herity Italia
Fonti fotografiche: Alessandro Cinque, Gaia Marnetto, Aracne .
03 HERITY Wizard's Days - ROMA, 13 Aprile 2018 - Herity Italia
This meeting is the result of a cooperation
THE HERITY WIZARD’S DAYS

                           between HERITY International and the
                           University of Tor Vergata - Dipartimento di
                           Management e Diritto in Rome.
                            The term Wizard in the English language of the XV century had the meaning of 'philosopher', 'wise
                            man'. Going further back in time, the Indo-European root 'Wid' means 'to know'. Several derived
                            terms can be referred to this, such as the Sanskrit 'Veda' or the English 'Vision', 'Witness', 'Wisdom'.
                            These three words resume the approach that HERITY puts at the basis of the "HERITY Wizard's
                            days", that since 2016 take the place of the previous HERITY Conferences.

                            Il termine Wizard, nell’inglese medio (XV secolo), significava “Filosofo” o “Saggio”, collegato al
                            termine “Wise”: Saggio. Ma andando ancora indietro arriviamo alla radice indoeuropea “Wid” che
                            significa: Conoscere. Da “Wid” derivano svariati termini: il sanscrito Veda (le sacre scritture indiane)
                            e i termini inglesi “Vision”, “Witness” e “Wisdom”, rispettivamente “Visione”, “Testimone” e
                            “Saggezza”. Queste tre parole riassumono l’approccio che HERITY intende porre alla base degli
                            "HERITY Wizard's days" che dal 2016 prendono il posto delle Conferenze Internazionali HERITY.
                                                             ________________________

                            Gestire gli elementi di conoscenza per un adeguato decision making nell’amministrazione di un
                            territorio al fine di favorire uno sviluppo equilibrato per i diversi luoghi è una sfida il cui esito non è
                            affatto scontato. Questo incontro vuole proporre elementi di discussione e casi di studio che
                            permettano di mettere a confronto approcci e punti di vista da poter utilizzare per una visione olistica
                            dell’argomento.
                            A Knowledge Management for an appropriate decision making in the administration of a territory to
                            favor a balanced development at different places is a challenge whose outcome is not at obvious at
                            all. This meeting wants to bring to the attention of the participants elements of discussion and case
                            studies that allow to compare approaches and points of view that can be used for a holistic vision of
                            the topic.
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03 HERITY Wizard's Days - ROMA, 13 Aprile 2018 - Herity Italia
Ministro PROF. GIOVANNI TRIA, Preside della Facoltà di Economia

             Siamo lieti di ospitare questa giornata nell’Università di Tor Vergata, e
             ringrazio HERITY per lo stimolo all'organizzazione di un dibattito che è oggi
PREFAZIONE

             molto attuale. Fra le altre cose, ho visto amici, con alcuni dei quali non ci si
             incontrava da un po' di tempo.

             Crediamo fermamente che uno sviluppo equilibrato e fruttoso di innovazioni e
             migliore qualità della vita siano possibili coniugando l'interesse di differenti
             attori, stakeholders, che insistono in un territorio, e i beni culturali sono un
             elemento determinante per arricchire e garantire specificità a questi obiettivi.

             L'Università lavora per la formazione di persone in grado di rendere questo
             obiettivo realizzabile.

             Vorrei anche sottolineare come la metodologia applicata da HERITY quale
             Organismo Internazionale possa grandemente aiutare a fare non più solo
             economia, ma tesoro del Patrimonio Culturale aanche come elemento di rating
             e di bilancio, traguardo che speriamo venga integrato nelle politiche future di
             una Italia che vede nel patrimonio culturale il suo gioiello e nell'economia un
             modo per capitalizzarne la ricchezza, senza naturalmente esaurirla.

             Il tema dell'incontro affronta un nodo essenziale perché questo possa divenire
             realtà attraverso scelte che i decision makers possano prendere sulla base di
             informazioni variegate, complete, attuali e affidabili.

             La ricerca, che attraverso colleghi come la coorganizzatrice di questa
             giornata professoressa Paniccia della nostra università qui presente e il
             professor Pomante che saluterà fra poco si giova di qualità che l'Italia può
             utilizzare ed esportare a buon diritto, deve garantire continuità e innovazione
             allo sviluppo di questi temi.

             Occorre allora innalzare sempre più la qualità della ricerca e della
             formazione, investire con coraggio sostenendo la creazione di centri di
             competenza, consci che l’investimento in ricerca è un investimento nel nostro
             futuro.
             Auguro a tutti buon lavoro e fruttosi risultati.
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INTRODUZIONE
                                          Knowledge management per lo sviluppo Integrato: un
                                          breve contributo al dialogo sul tema “La conoscenza,
                                             formazione, adattività, attualizzazione dei luoghi”

Rosario Giuffrè                  Premessa
                                      Certamente, oggi, nella predominanza dei mass media che prediligono più
                                 l’immagine che la sostanza reale di ciò che si vuole, o si deve, trasferire,
                                 l’attuale società costruisce figure apposite, ben dedicate, che tuttavia sono
                                 eterodirette a formalizzare consulenti in campi economici e politici. In verità
Si dice che la nostra è la       invece questa immagine è la continuità della figurazione del bene delle società
società dell’immagine            e delle culture che la connotano e qui invece, in questi campi, manca una
nella quale, se non si ha una    coordinata e coerente formalizzazione di reciproche consulenze.
                                      Avevo segnalato, ben quindici anni fa in un congresso internazionale a
figura pubblica,
                                 Firenze, che bisogna porsi con urgenza la domanda: chi forma i formatori.
non si è nessuno.                     Chi forma, sono evidentemente le strutture che devono essere delineate ed
Ma, in realtà, sempre è stato    impegnate a rispondere alla domanda della cultura e della società, attualizzate
così....                         con programmatica strategia. Chi sono i formatori, sono coloro che agendo
                                 nella struttura sociale, a loro volta, costruiscono le conoscenze ed i consensi
non aveva i caratteri
                                 che configurano e diffondono con scientificità le realtà, attive o di memoria, nello
democratici che ha oggi...       spettro del quotidiano.
nella società dei mass media e        E’ chiaro che questa articolazione di soggetti trova immagine più semplice e
                                 comprensiva in sedi accademiche. Però il tema è pressantemente vero in tutte
della comunicazione
                                 le categorie antropologiche che provvedono, o dovrebbero, a delineare
                                 conoscenze, oggettualità, comportamenti, e in questa direzione l’avevo
(Gustavo Zagrebelsky,            segnalata.
Diritti per forza,                    Anche per non offendere i colleghi docenti.
                                      E quali sarebbero queste qualità che servono per costituire le figure di
la fama pag. 53, Einaudi 2017)
                                 manager specializzati. Certamente i soggetti hanno necessità di entrare in
                                 tematiche che attengono le capacità di resilienze degli spazi, dei beni, dei
                                 territori, e di comprendere come i processi empatici governano le relazioni ed i
                                 comportamenti degli addetti e delle strutture fra loro.

                                 1.0

                                           Il tema che risulta evidente, quindi, porta a discernere far la realtà
                                 totalitariamente rappresentata ed invece la struttura sistemica delle qualità che
                                 un territorio manifesta; non è configurabile come un unicum, anzi come un
                                 complesso disuniforme che richiede altre e diverse capacità formative e
                                 comunicative.
                                           Quelle che chiamiamo, mediandole da altra lingua, come Knowledge
                                 management.

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Rosario Giuffrè
                                                     Knowledge management per lo sviluppo Integrato: un
                                                      breve contributo al dialogo sul tema “La conoscenza,
                                                            formazione, adattività, attualizzazione dei luoghi”

    Prigogine sostiene che: possiamo così vedere che lo stesso sistema può apparire sotto forme diverse, che evocano
impressioni di semplicità, e successivamente di complessità, (....) è più naturale, e meno ambiguo, parlare di
comportamento complesso, piuttosto che di sistemi complessi.
    In un antico mio saggio intitolato Cultures and shapes of the built civilitation sostenevo che le strutture storiche non
esistono da sole, ma soltanto perché riconosciute, ossia che the historical presence does not exist on their, owen but
it exists if understood.
    Ossia che è necessario un quadro conoscitivo condiviso che contenga un complesso di possibili operatività
differenziate, disegnate e finalizzate con competenze specifiche, eppure facilmente riconoscibili.
In Italia, specificatamente, la configurazione dei centri minori costituisce un valore morfologicamente formativo,
riconoscibile entro una struttura contestuale, un’aggregazione di luoghi e di potenzialità che va letta e trasferita a
diverse classi di fruitori, non necessariamente attrezzati.
Già in altre condizioni di analisi e proposizioni di qualità di aggregati territorialmente ancora comprensibili, ho proposto
che è necessario promuovere e formare soggetti che siano in grado di vedere e pensare per trasferire. Ossia una
classe di competenze articolate in modo da poter trasferire con chiarezza di connotazioni, che mettano
nell’osservatore il gusto della libertà e dell’arbitrio interpretativo.

1.1

    Pensare avendo visto, anzi guardato con assorbimento, perché il vedere soltanto come acquisizione di
immagine, è correttamente ragione esistenziale, relazionale, che necessita di trasferibilità suscitata anche per
provocazioni esterne. Ho infatti scritto, in un testo per una commissione di un premio di architettura europeo, che
pensare comporta poi vedere, prefigurare, eventi e stati, generati spesso da condizioni indotte da altri
sistematicamente destinati a trasferire e trasfigurare.
    L’interrogativo è dunque chi siano queste figure abili nel trasferire e configurare, producendo contestualmente la
necessità di conservare, valorare e attualizzare, e quali ruoli debbano avere nella organizzazione del territorio, quello
di area vasta, di centri minori (per esempio), non soltanto di aree urbane metropolitane storicamente già forti, fuori di
ogni omeostasi.
    Anni fa, in un testo per la Scuola di Alta Formazione sull’Archeologia e l’Architettura della Città Classica, ho insistito
sul concetto della riscoperta dell’esistente come necessità non solo culturale per i già educati, una specie di cinefili per
l’habitat, ma di costituire un circuito virtuoso diffuso e comprensibile, in grado di far riemergere le res extensa come
realtà attive, attuali. Emerge essenziale, nell’occidente, che uno dei temi forti è la salvaguardia della memoria culturale
perché essa si costituisca come realtà effettiva ed agente, e quindi come cartello di significati, come ho scritto: la
memoria come realtà e la realtà, per simmetria, come memoria.

      2.0

    La struttura della conoscenza non è un processo che si possa racchiudere entro formalità esclusivamente
intellettuali, o di validazioni che dovrebbero trovare autovalidazione nunc et sic.
Formare quadri conoscitivi è connaturato all’essere uomo, sin dalle epoche preistoriche (si pensi alle diverse cuevas

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Rosario Giuffrè
                                                     Knowledge management per lo sviluppo Integrato: un
                                                      breve contributo al dialogo sul tema “La conoscenza,
                                                           formazione, adattività, attualizzazione dei luoghi”

    di Altamira come alle incisioni rupestri dei Camuni) con lo scopo duplice fra il rientrare in se stessi, e il riconoscere
gli altri, discriminare azioni in contestualità come recuperare l’eredità per esperienze e per accumulo di
sopravvenienze di altre conoscenze.
    Il linguaggio è la modalità di trasferimento, ma anche di decodificazione con aspetti connessi alla traduzione o alla
trasduzione, e di tempi e mezzi e soggetti in grado di compiere le duplici azioni. Il recupero e la riproposizione della
conoscenza postula la formalizzazione di un progetto di integrazione sistemica, finalizzata ad impegnare, in luoghi
alternativi, le conoscenze per promuoverle in immagini trasferite, in interpretazioni personali costituitesi per neuroni
specchi nel rapporto fra invio, decodifica e re-cognizioni storicizzate.
    Riandando al Vecchio Testamento, potremmo ricordare, come ho sottolineato altra volta, che nel Salmo 23 Davide
aveva parlato che ci è stata consegnata la terra e quanto contiene l’universo e i suoi abitanti, (...) per cui abbiamo il
dovere di coltivare l’eredità fisica di cui disponiamo e di favorire l’interpretazione che gli abitanti devono avere della
stessa. Ossia che la conoscenza è un dovere per l’umanità, ma più ancora è il trasferirla ed accrescerla con coerente
capacità.
    La capacità tuttavia non è solo determinazione e discernimento, ma anche, per l’appunto, coerenza, proprio perché
la realtà è una struttura complessa, e comportamenti altrettanto complessi, la cui storicità è eveniente con quella degli
interpreti veri management della conoscenza, in grado di compiere ed assolvere al trasferimento con congruenza,
sollecitudine e programmazione.
    La convinzione deve motivare in scienza e prassi gli operatori, ben formati; la sollecitudine induce alla
partecipazione riconoscibile dei diversi utenti in differenti collocazioni, tempi e esigenze.
    Realtà e trascrizione in effetti sono il nodo che dovrebbe assistere e incidere sulle determinazioni dei percorsi di un
Knowledge management dedicato allo sviluppo locale integrato, perché collega gli aspetti centrali della cognizione
delle aree antropizzate, e mi permetto sottolineare la forza dei luoghi minori e diffusi, entro cui, inaspettatamente e
spesso, si concentrano molte più qualità organiche, fisiche ed antropologiche, come ho detto.

   2.1

    Una simile convinzione, specialmente se riportata agli obblighi dei centri di studi e ricerche, non solo universitari,
ed alla missione della stessa HERITY International a vasto raggio, comporta azioni sollecite e convinte, sollecite per
la disponibile e riconoscibile partecipazione dei quadri degli utenti, degli attori sul campo e dei garanti scientifici,
convinte perché i processi di formazione di questi quadri agenti sui patrimoni materiali ed immateriali, postulano
un’adesione attiva e sistematica delle strutture che delineeranno queste operazioni e le guideranno.
    Non si può, in questo scenario, trascurare la costatazione che la cultura contemporanea ha rotto il rapporto con il
concetto cartesiano della res extensa, quasi trasferendo in una rievocazione, forse metafisica, la durezza della cosa
(cioè la realtà oggettiva dei beni) nella variabilità della interpretazione. Si corre il rischio che alla stabilità formale
corrisponda la stabilità sostanziale, per ridare vigore alla contemporaneità, integrandone la lettura e i processi di
qualificazione con complesse formazioni oltre che storico filologiche e tecnico scientifiche, con i quadri connessi agli
sviluppi locali, in sintonia con le nuove economie, e con i concetti museali ormai luoghi di attività e non solo di custodia.
    Ciò significa che l’eredità culturale non è un rigido riferimento di posizioni e di politiche, anche per organizzazioni

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Rosario Giuffrè
                                                       Knowledge management per lo sviluppo Integrato: un
                                                        breve contributo al dialogo sul tema “La conoscenza,
                                                              formazione, adattività, attualizzazione dei luoghi”

accademiche, ma, come sosteneva l’Urbani molti anni fa, esiste il problema centrale diretto alla formazione di quadri
didattici in cui coesistano le molteplici vie della trasmissione e della formazione di tecnici non estranei a logiche diverse
da quelle tradizionali delle sovrintendenze e degli altri organismi, oltre che centrali, più ancora locali, proprio con lo
scopo che la necessità della conservazione e tutela accresca e garantisca la conoscenza diffusa dei luoghi e le
ricadute ad area vasta anche antropologicamente.
    Il cosiddetto vincolo, oggi visto come impedimento all’agire, e quindi esercizio di burocrazia formale, possa invece
formare quadri manageriali in cui a pieno titolo entri l’insieme delle esigenze di una società e di una cultura espressa
nell’oggi, quasi percorrendo una strada metodologica alla Pareyson, in cui l’analisi epistemologica guidi i percorsi nella
loro differenzialità.
    Certo agendo su problemi che toccano la realtà effettuale e la resistenza dell’esistente, in questo fotogramma di
azioni formative non si può non tenere conto del significato che la reversibilità ha peso logico formale a difesa della
eventualità di errore e di conseguenza perdita dello stesso bene e dell’intrinseca qualità, che è di testimonianza ma
anche di valore aggiunto, sempre trasferibile.
    In sostanza le azioni organiche finalizzate a progettare un nuovo management di campo devono considerare nuovi
processi di accumulo e trasferimento delle informazioni, diffusi e leggibili. Altre volte, con convinzioni profonde, ho
scritto, con un aforisma espresso alla scuola reggina, che senza la conoscenza non esistono né i luoghi, né le loro
espressioni.

   3.0

    Il discernimento strategico e programmatico comporta però che la conoscenza, come ho scritto, un fenomeno
legato a pensieri matematici settecenteschi, sia trattata con dolcezza, coma amore di avvicinamento e con dovere di
non alterare la forza dello status, cioè non abusare della possibile, sostenibile resilienza della complessità del reale, e
quindi di educazione al riconoscimento e rispetto della stessa sui territori. In termini fisici, si sa da secoli, avendo
ritradotta dal latino in inglese, la resilienza di un materiale è la sua capacità di assorbire uno sforzo concentrato,
continuo, senza rompersi. E’ il pragmatico romano: flectar, non frangar.
    Il punto difficile della scuola di formazione a riguardo, è la qualità richiesta ai soggetti chiamati ad operare in tal
senso; si configurerà esattamente nel comprendere per ogni punto di intervento, la resistenza locale, dal
mantenimento delle caratterizzazioni puntuali. La capacità di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo
di difficoltà, è in reali prospettive, una qualità richiesta a coloro che si preparano ad affrontare il difficile compito di saper
riconoscere lo stato dei luoghi e gli spazi possibili di manovra, senza indurre altre alterazioni.
    Tutti sappiamo che, per esempio, un eccesso di visitatori determina un carico sui beni spesso letale, mettendo alla
prova attributi di resilienza e volontà antropiche, riducendo gli spazi di manovra degli operatori. Si sta iniziando a
comprendere per alcune situazioni, per la stessa Venezia, il Colosseo, Pompei, o l’Elba (come denunciai circa 35 anni
fa), che i beni culturali si comportano come vere e proprie comunità biotiche. Per esse è essenziale prevedere il peso
delle azioni e la velocità con cui, conosciuto il livello di perturbazioni agente, vi siano residui possibilità di interventi in
grado di ripristinare la stabilità a rischio.
    La capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzarsi positivamente, di ricostruirsi senza

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Rosario Giuffrè
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                                                        breve contributo al dialogo sul tema “La conoscenza,
                                                              formazione, adattività, attualizzazione dei luoghi”

   alienare la propria identità, nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, è parte non ininfluente dello studio
che un manager culturale deve preconizzare in dichiarazioni, strumenti e strategie a medio e lungo raggio.

      3.1

    Valutare e approntare classi di parametri e di mezzi atti a discernere i livelli residui di resilienza delle strutture, ed i
termini oppressivi di operazioni trasformative, sarà compito particolare di queste figure, sia in termini strutturali che
economici e formali, come per soppesare gli stessi valori di socializzazione, di capacità simbolico reazionali e razionali,
con effetti di maturità in politiche di valorizzazione.
    La formazione di tali manager, oltre le conoscenze tecniche ed economiche specializzate, deve avere doti che
oserei dire psicologiche, che gli consentano di individuare i gradi di resilienza delle opere, o meglio ancora dei territori,
imponendo scelte progettuali e gestionali che non accentuino rischi di deformazione, conoscendo le capacità
intrinseche reali, gli spazi di riadattamento e di riequilibrio.
    Queste qualità dei soggetti si devono formare nelle scuole e nei centri dedicati, ponendo i singoli operatori in
condizione di comprendere gli spazi resilienti e di prospettare attributi e ricadute non generalizzate, ma anzi particolari
per ciascuna figura, specialmente in presenza di azioni su strutture mature e con storia efficace alle spalle. Ossia
significa che ciascun manager debba saper discernere e verificare, anche modellisticamente, i fenomeni rischiosi
indotti da disegni d’uso rinnovati, da operazioni restaurative incongrue, da pressioni probabili d’uso fuori del grado di
resilienza strutturale, per costruire condizioni specifiche atte a rendere compatibili fenomeni estranianti con un disegno
rinnovato.
    Prefigurando che il concetto di resilienza possa essere trasferito ad una comunità riconoscibile, come per i nostri
centri minori, densi di figure e strutture persistenti, possiamo immaginarla come l’attitudine, la disponibilità a
conservare la vivente continuità di organizzazione e qualificazioni, conformazioni tipologiche, richiamando e
ripristinando i fattori significativi e le conseguenti connotazioni per coesioni sociali, di relazionalità dei soggetti, di intenti
e valori, anche artistici.
    Sempre anni fa, ho definito gli habitat culturali come i luoghi delle trasformazioni governate, cioè riconoscibili,
compatibilmente adattabili, proprio perche strategicamente gestiti.
Potremmo immaginare che per i centri storici italiani minori, che rappresentano la vera ricchezza territoriale italiana, e
quindi il settore in cui più è presumibile l’avvio di nuove economie, le figure di questi operatori debbano avere
cognizioni più vaste di quelle ordinariamente attribuibili a funzionari ministeriali. Questo signor Knowledge manager
dovrebbe possedere attitudini, e quindi formazione, per governare ogni processo di cogenerazioni configurative e
connotative: il che non è poco.

4.0

Mi sia consentito infine affrontare una nuova classe di implicazioni, nel tentativo di trasferire studi e sperimentazioni
che riguardano la realtà fisica, gli spazi ed i luoghi, come se potessimo considerarli realtà viventi. In verità non è una

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Rosario Giuffrè
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                                                       breve contributo al dialogo sul tema “La conoscenza,
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ottocentesca edita in quegli anni. Persino Neutra, negli anni iniziali del XX secolo, per l’amicizia che lo legava ad Ernst
Freud, lo aveva individuato nel suo libro Progettare per sopravvivere, come quadro di riferimento di ciò che è stato poi
codificato come l’empatia degli spazi. Quella ipotesi prevedibile di sperimentazione che Raoul Heinrich Francè definiva
biotecnica in un testo sulla biocentric modeling ben nel 1926, in un interessante dialogo sviluppato anche da Moholy
Nagy alla Bauhaus, nei laboratori e nei dibattiti con Maxwell Fry, Lewis Mumford, e Robert Hutchins.
     Ossia, per ripigliare ed interpretare Neutra (e ricordiamoci il suo discorso sulla scala elicoidale) ammettere che
contro la deturpazione visiva della città non bisogna invocare un qualche tipo di semplificazione o ordine platonico (sic)
ma richiedere che i progettisti riconoscano il bisogno umano di differenziata complessità e di integrità materiale, nel
rispetto concettuale che è spesso il concetto di ricordo che governa e significa le diverse esperienze. Concetto che
non può essere esterno alla formazione di un operatore ad hoc, in cui si fondano le reminiscenze storiche per
l’attualizzazione della fruizione.

   4.1

    Il concetto di Memoria, dalle neuroscienze, difatti, non è un limitato apriori kantiano, ma si riferisce a fenomeni
concettuali attivi ed informativi che strutturano l’agire, fosse anche utopico. Esso investe, ne sono convinto, l’intero
procedere del delineare, nel continuo ridisegno del suo territorio di riferimento.
    E’ tuttavia necessario chiarire alcune assunzioni di locuzioni richiamate, con riferimento alle tesi di Paul Ricouer
che riconosce nell’atto del tradurre le ragioni dell’ermeneutica e del dialogo interdisciplinare con senso profondo di
relazione etica, sorpassando la tradizionale interpretazione di trasferimento lessicale, così come con la locuzione
trasduzione si richiama il processo con cui il trasduttore converte tipi di energia in un altro.
    E’ l’affermarsi di un procedere per empatia nel convertire la memoria in realtà e viceversa, che è compito altro per
il Knowledge manager. Nel tardo ottocento, a volte, era stato anticipato e sottolineato che l’uomo avrebbe la capacità
di cogliere il valore simbolico della natura, così che sia ammissibile una empatia delle arti figurative che attiverebbe
relazioni per mimesi. Ipotesi accettabile, basti riflettere al linguaggio corrente in frasi musicali o immagini artistiche
naturali, o anche cinematografiche.
    I cosiddetti neuroni a specchio, scoperti a Parma negli ultimi decenni, in questo caso sarebbero motivo per cui i
comportamenti del soggetto originario si trasformino, anche inconsciamente, in relazione a quelli dei soggetti
osservati. E quindi con istruzioni a chi agisce programmaticamente su tali luoghi, teso a salvaguardarne la
riconoscibilità ed i limiti accettabili di trasformazione.
    Conseguentemente cosa sarebbe la figura retorica della metalessi, nel dialogo fra un contesto pregnante come un
territorio di beni culturali, puntuali o vasti, se non l’emissione di segnali traslati, antitetici (come avrebbe detto Cicerone,
anche se egli non lo sapeva) fra comparti di un processo di connotazione chiaro ed evocante nell’ambiente storico, e
le sue parti? In fondo potrebbero essere delle sineddoche di cultura materiale fra corpi fisici che connotiamo come
muti, non trasmittenti, con un gioco romantico di trasferire solo agli individui lo scambio.
    Intendo dire che esiste e si manifesta, anzi si concretizza una riflessione narratologica anche fra porzione di
ambiente, oggi acquisibile, o attualizzabile? E che questa riflessione deve essere parte della strategia d’intervento che
il manager deve discernere e programmare?

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                                                       breve contributo al dialogo sul tema “La conoscenza,
                                                            formazione, adattività, attualizzazione dei luoghi”

   4.2

    E che cosa è questa figurazione del dialogo fra parti di un habitat fortemente connotato culturalmente, se non un
retorica di elementi fuori della normale nostra acquisizione, e regola comportamentale?.
    Il difficile è come intercettarla e come possa introdursi entro un atto di progettualità cosciente, accettando, forse, il
dialogo fra gli elementi del paesaggio, nella significazione ampliata da noi accolta, su una lunghezza d’onda che non
siamo abituati a leggere e configurare: empatia positiva o negativa?
    Sarebbe utile traslare da altra disciplina conclamata per verificarne in empatia estesa le azioni sui processi di
ristrutturazione, a guida delle politiche manageriali e gestionali da studiare con sistematicità previsionale?

   4.3

    Si potrebbe riflettere, anche con analisi più organiche di quelle condotte sin qui, per ragioni di coerenza temporale,
che il Grouping, o raggruppamento (di fasci funzionali sottesi o emergenti nel cuore della missione HERITY); il Peak
shift, o spostamento dell'apice, (ossia della situazione gerarchicamente centrale in un disegno territoriale), il
riconoscimento degli apparati di contrasto, (sempre emergenti nelle condizioni di aggressione di tessuti urbani o
paesaggistici, si pensi alla Galasso tradita); le azioni di isolamento di organizzazioni formali e topologiche
nell’articolazione dei comparti (per esempio, nel caso dell’agro, sconvolgendo le sequenze fra tessuti e fasci
infrastrutturali); le tematiche del solving percettivo, (che eliminano le ricorrenze che abbiamo chiamate genitoriali dei
luoghi); la repulsione che determina il rifiuto di processi di causalità o casualità (non riallineando le ricorrenti
connotazioni storiche del testo); finirebbero per rifiutare l’accuratezza dell’ordine ambientale, sia naturale che
antropizzato, obliterando processi di simmetria e di antisimmetria (lette già da Bruno Zevi), sino a non ammettere che
un territorio, una serie di areali fortemente segnati da eredità, possano considerarsi metafore di ordini sopravvenienti.
    La realtà di molti paesaggi, luoghi e qualità dei beni, a volte per il rigore del purismo moderno (o per la carenza di
delicata preparazione degli operatori addetti), è diventato conseguentemente l’immagine di dolente empatia per un
anonimato spesso insignificante, in cui, con traslato cinematografico, neppure le poche case si guardano e si consolano.
    Eppur esiste un dialogo fra le cose, le res che non sono realtà, sottendono alle realtà tomistiche dell’uomo, e quindi
richiedono consolazione, richiamano altri albori e figure, chiamano l’esistenza e i ricordi che strutturano comunque la
vita e le distese di civitas che parlano ogni lingua consueta agli abitanti ed ai loro comportamenti: qualità che non
possono non essere considerate, sottoposte a discernimento, soppesate e valorizzate o confutate dagli operatori
culturali, seriamente formati e posti in campo.
    Ho scritto difatti, autocitandomi, che alla fine ogni territorio con la sua memoria è come un’opera d’arte, è open
source architettonica in cui lo scorrere del tempo, il panta rei, invece di chiudere le figure le mette in contrasto dialettico
fra loro. Chiede ed evoca empatia, non più soltanto fra soggetti, persone fisiche, ma enti soggettivi, in cui l’oggettualità
è la forma del dialogo fra le strutture.
    E chi può garantire queste posizioni se non una scuola di formazione di quadri disegnati per questo scopo diretto
e più che delicato nel panorama culturale specialmente dell’Italia?

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                                                            formazione, adattività, attualizzazione dei luoghi”

   5.0
    I luoghi, i beni, i territori alla fine sono come un organismo vivente, una open source, a volte definiti in toto come
un’opera d’arte, e quindi come tale ha una vita che scorre, che muta interrelazioni, prospettive, interferenze. Le epoche
sono frutto di storie vive e di memoria attiva, e il Knowledge manager deve saperne riconoscere e misurare le
operazioni e le loro ricadute. Dunque per tutte esse, strutture fisiche o antropiche, vigono i criteri esplorati, absit inuria
verbis, con le neuroscienze: le informazioni vanno e vengono, si riproducono, inducono, alterano, si disperdono. In tal
modo la realtà è non solo un database, ma una entità interessante di scienza sperimentale ontologica, esiste e si
configura come comportamento.
    Dunque: la realtà come memoria, per ricostruire un territorio è il comandamento del loro decalogo formativo. Entro
questa realitas convivono scienze ed eventi diversi, ciascuna con le specifiche qualità operative, ma agiscono anche
richiami e interferenze fra uomini e cose, agenti epistemologicamente come soggetti, neuroni di altro genere, ma con
le stesse attitudini. Tutte da riconoscere e gestire specialmente nella cultura europea eppur non assente in altre aree
di civiltà diverse. Questa sensibilità dialogica è come una sorta di eterodossia pragmatica che ci induce a riflettere con
preoccupazione a processi programmatici, tali da interrompere i dialoghi fra gli insiemi esistenti, per presunte
efficienze economico-produttive.
    Un’azione di coinvolgimento, più marcata nel campo architettonico, difatti, qual’essa sia, non è mai super partes,
ha un accumulo di aggettivi che interrompono linee di pathos, riflessioni qualitative come di neuroni specchio a livello
fisico territoriale, che vanno intercettati prima di procedere.
    Ascoltando, ad esempio, la Sinfonia dal nuovo mondo percepiamo che Dvorak, racconta e richiama temi originali,
peculiari della musica indiana, canadese, che si offrono e soffrono fra loro, creando un racconto musicale. E’ la stessa
sensazione concreta che vive nei versi del grande Leonard Cohen, poeta e chansonnier canadese. Questo Knowledge
manager sarà posto in grado per studi ed esperienze di riconoscibili ed adattività di intervento, in una sorta di
eterodossia pragmatica che ci induce a riflettere con preoccupazione a processi programmatici, poco adattivi e
compatibili per le culture sottostanti.

   5.1

    L’insieme delle analisi esplorate velocemente in queste pagine, conferma ancora di più l’importanza e la necessità
che questa figura sia essenziale nel panorama tecnico scientifico oltre che di politica di settore.
    E’ esattamente la domanda che mi ponevo sul chi forma i formatori, con quali disegni e con quali destinazioni
pubbliche, chiamiamole pure pedagogiche, e funzionali, e dotate di effettive competenze e potestà di intervento. Il
mondo di oggi, che stima che tutto possa svolgersi tecnologicamente, digitalmente, alla fine rafforza la necessità che
esistano soggetti, persone che con intelligenze e riferimenti che ho sempre definito di discipline umanistiche, agiscano
a pieno titolo sui comparti dei beni culturali.
    Indubbiamente gli aspetti evocati dal convegno finalizzato allo sviluppo integrato, aprono molti orizzonti, necessari,
estensivi, diffusi. Nonostante ogni altra considerazione ed ipotesi sulla nostra società dell’immagine si conferma
l’esigenza inderogabile di figure pubbliche che garantiscano la società e la conservazione valorizzata di HERITY
diffuse e attive.

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CONTRIBUTI

    APPROCCI, IDEE
       ESPERIENZE

Maurizio Quagliuolo

Paola Paniccia

Gavino Maresu

Pasquale Persico
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                                      KNOWLEDGE MANAGEMENT DELL’IDENTITÀ TERRITORIALE.
                                        GESTIRE CONSAPEVOLMENTE IL PATRIMONIO CULTURALE
                                               COME DRIVER DI DECISIONI MULTI-PROSPETTIVA
       E’ ormai esplicitamente acquisito, da ultimo dalle Nazioni Unite nel 2012, come il Patrimonio Culturale (vera
       insostituibile risorsa per via delle sue caratteristiche di unicità personale, sociale o territoriale) sia un potente
       catalizzatore della percezione del valore di produzioni, scambi, servizi e delle attività connesse.

       Tutto dipende dal fat(t)o che:
       a) il suo valore sia socialmente condiviso;
       b) se questo è vero, venga mantenuto;
       c) quindi il suo significato comunicato;
       d) a partire da qui si sia in grado di avviare economie di scala, di scopo e di rete senza intaccare l’insostituibile capitale
       ma usando gli interessi che esso produca.

       In altre parole, che i suoi responsabili, gestori, utilizzatori siano in grado di bilanciare compatibilità e
       sostenibilità. Questo infatti per il Patrimonio Culturale, come per altre risorse non rinnovabili, può essere difficile.
       D’altro canto, i tentativi di massimizzare i risultati (anche finanziari) dell’uso diretto o indiretto di esso richiedono
       competenze diversificate e non sempre scontate.

       Si tratta quindi di operare delle scelte. Queste scelte sono tanto più difficili e incongrue quanto meno informazioni
       abbiamo a nostra disposizione. Questo è il ruolo del Knowledge Management.
       Qualunque tipo di manager siamo abbiamo allora bisogno di informazioni corrette, adeguate, tempestive ed
       aggiornate, di prima mano. Cioè fare attenzione alla qualità dell’informazione.

       Una adeguata gestione della conoscenza sul Patrimonio Culturale e il suo contesto deve essere possibile pertanto
       attraverso sistemi informativi olistici di qualità soprattutto per:
       1) la loro affidabilità , vale a dire la verificabilità delle fonti di dati (“certificazione”);
       2) la loro coerenza, cioè la possibilità di mettere insieme diverse grandezze, anche se generalmente ritenute non
       confrontabili, in un sistema capace di farle interagire utilmente allo scopo;
       3) la loro completezza che, lungi dall’essere esaustività, deve permettere di disporre del maggior numero e tipologie

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       possibili di dati qualitativi e quantitativi;
       4) il loro aggiornamento; basta lavorare nell’epoca della tecnologia e della globalizzazione, in tutta sincerità, su dati
       vecchi a volte di alcuni anni;
       5) la loro specificità, vale a dire l’inerenza dell’informazione raccolta all’oggetto dell’indagine;
       6) la loro durevolezza nel tempo, dal punto di vista della compatibilità e della tecnologia utilizzata;
       se vogliamo condurre inferenze attendibili.

       Volendo applicare quanto abbiamo appena detto alla Gestione del Patrimonio Culturale intesa come elemento-guida
       (driver) di decisioni a scala territoriale, piccola o grande che sia, nell’ottica dell’Integrated Cultural Landscape

       Management(1), dobbiamo costruire visioni a partire da basi di dati e informazioni transdisciplinari.

       Ciò può consentire, a chi sappia interpretarle, di utilizzare aggregazioni delle risultanze per aree e per tematiche che
       permettano di mettere in luce, secondo prospettive differenti, coesioni fra valori diversi, e priorità (ad esempio a
       formare un quadro possibile rispetto alle caratteristiche rilevanti del territorio di un "Parco"). I due casi che seguono
       (figg. 1 e 2) sono le risultanze derivanti dall’applicazione della certificazione internazionale HGES (HERITY Global
       Evaluation System) su scala vasta (44 luoghi del Lazio in questo caso).

                  Fig. 1

                                                                     18
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                 Fig. 2

       Perché l’esempio dell’HGES? Perché ha permesso e permette di superare i limiti delle basi di dati utilizzate nella
       consuetudine, eminentemente numeriche e quantitative, sulle quali i decisori possono basare, e normalmente basano,
       le proprie scelte; nel nostro caso relative ad azioni di compatibilità e sostenibilità sul patrimonio culturale a fini di tutela
       o valorizzazione (conservazione, uso, diffusione, economie, occupazione, turismo..).

       Se esaminiamo infatti le seguenti fonti, generalmente utilizzate per le analisi condotte, ne scopriamo anche i relativi
       limiti:

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       Esistono anche altre fonti quali, almeno:
           ·      L’UNESCO (con focus in 4 aree - una delle quali è la Cultura, sotto la quale vengono raccolti: Sustainable
                  Development Goal 11.4; Cultural Employment; Feature Films and Cinema Data; International Trade of Cultural
                  Goods and Services), con dati di carattere più generale e orientati alle policy;
           ·      La UN-WTO, con statistiche di livello mondiale sul turismo ed i suoi flussi;
           ·      L’OCSE, con dati economici globali non direttamente collegati ai luoghi della cultura;
           ·      Le singole Regioni italiane, con evidenti differenze di campione, attualizzazione, oggetto, assenza o coerenza
                  dei dati, laddove presenti;
           ·      Il Rapporto sul Turismo, che ancora però non ha una sezione specifica sul “Turismo nei Luoghi di Cultura”;
           ·      Gli Osservatori di singole città (Roma, Napoli, Firenze ad esempio), senza omogeneità di output, e con esiti
                  discontinui;
           ·      Singoli benchmarking di società ed organismi (come the Global Cities Index o il Cultural and Creative Cities
                  Monitor), che ai nostri fini risultano, in una prima fase, inutili.

       Se ne conclude che le fonti di dati esaminate non consentono allo stato attuale un livello di confrontabilità o di detta-

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       dettaglio adeguato ai fini che abbiamo posto. Di fatto, solo le prime due (MiBAC e ISTAT) sembrerebbero utilizzabili ai
       nostri fini, e ad esse si rifanno quasi sempre le altre. Tuttavia, qui subentrano considerazioni di carattere metodologico
       generale. Se ne evidenziano qui in particolare due, uno relativo ai dati MiBACT ed uno relativo ai dati ISTAT, che da
       soli sono sufficienti a dare la misura dell’evidente perfettibilità dell’universo delle informazioni e dei conseguenti esiti
       che basandosi su di esse si producono:
           a. Dati MiBAC
                  Ci riferiamo qui alle rilevazioni relative alle presenze nei luoghi di visita (monumenti, musei e aree archeologiche
                  dello Stato) pubblicate dal Ministero competente. Già solo il fatto delle molte e spesso ‘repentine’ modificazioni
                  amministrative di confini, competenze, aggregazioni, poteri e organizzazione degli istituti rende difficile –e molto
                  spesso inefficace- qualunque analisi si intenda condurre sui dati, in particolare il confronto dei dati storici. Questo
                  appare evidente quando ad utilizzare questi dati siano persone che non conoscono –necessariamente nel
                  dettaglio- le singole situazioni, ma anche per coloro che ne conoscono i dettagli, a meno di condurre indagini
                  suppletive e dettagliate ex novo –laddove possibile-, dal momento che la raccolta dei dati stessa è spesso viziata
                  all’origine, limitando la confrontabilità e creando una obiettiva confusione.
                  Un esempio per tutti deriva dal mutare delle variabili sopra evidenziate, anche solo nominale al momento della
                  diffusione dei dati, nel caso del Colosseo – Colosseo, Foro Romano e Palatino – Colosseo e area archeologica
                  centrale - Parco Archeologico del Colosseo, che non è solo però una differenza di denominazione, ma anche di
                  consistenza, costo, visitabilità e di gestione, ad esempio quando si precisi “4.170 al Palatino, 3.723 al Foro
                  Romano” (e quindi di modalità di conteggio degli accessi). Tutti fatti trasparenti a chi affronti la lettura dei dati di
                  sintesi, ovvero assolutamente insufficienti per valutare gli effetti delle strategie decisionali legate a diverse
                  modalità di gestione.
                  Un altro esempio è l’aggregazione o meno, ovvero la considerazione solo di uno dei due –di fatto avvenuta in
                  periodi diversi- del numero di visitatori di “Museo di Capidomonte – Parco di Capodimonte – Museo e Parco di
                  Capodimonte” nei dati diffusi dal Ministero.
           b. Dati ISTAT
                  D’altro canto, i dati a carattere censuario pubblicati dall’ISTAT, come l’Indagine sui musei e le Istituzioni similari,
                  incorporano all’origine dei “peccati originali” che partono da presupposti che non collimano con la reale natura
                  dei luoghi o la loro finalità. Un esempio ne sono alcuni quesiti eccessivamente aggreganti, ovvero non posti
                  coerentemente con le specificità dei luoghi (specialmente per gli aspetti della conservazione, che è basilare per
                  queste strutture), o con la loro missione (come nel caso delle attività didattiche considerate fra i servizi -aggiuntivi
                  per dirla con la definizione della cosiddetta Legge Ronchey- quando invece, come la definizione della cosiddet-

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                  ta Legge Ronchey- quando invece, come la definizione delI’International Council of Museums (ICOM) e il relativo
                  codice deontologico ben chiariscono, sono parte costitutiva essenziale della loro missione di ricercare,
                  conservare, educare, come già evidenziato all’epoca da Marisa Dalai Emiliani, era il 1994 –sic!-).

       Occorre pertanto lavorare anche con altri dati, incluse tipologie apparentemente non confrontabili fra loro, allo scopo
       di dimostrare come il Knowledge Management possibile grazie all’incrocio di differenti conoscenze quantitative e
       qualitative aiuti a condurre analisi più rigorose e ad assumere pertanto decisioni maggiormente informate e coscienti

       degli esiti che esse possono produrre, se del caso da analizzare con logica fuzzy(2) mediante modelli di interpretazione
       innovativi.

       L’HGES –creato specificamente per il Patrimonio Culturale- aiuta proprio in questo, raccogliendo sul campo durante
       il processo di certificazione dati di prima mano relativi a 186 parametri, in équipe e in cooperazione con
       responsabili e utilizzatori, che producono una prospettiva multidimensionale (considera le 4 aree del Valore, della
       Conservazione, della Comunicazione, dei Servizi); multiprospettiva (é basato sui giudizi dei responsabili, degli
       specialisti di HERITY, dei visitatori e di altre parti interessate); multiscopo (è utilizzabile dai responsabili, dai gestori,
       dagli specialisti, dai visitatori, dalla pubblica opinione, come elemento di rating); su misura (prende in considerazione
       dati di prima mano specifici di ogni sito che viene visitato, e li aggiorna periodicamente).

       La necessità di un più ampio e migliore spettro di informazioni aiuta a decidere meglio: il “buon governo” del nostro
       capitale territoriale: sia esso sociale, culturale, cognitivo, inclusivo, innovativo, naturale o tecnologico (per dirla con
       Pasquale Persico, in questa pubblicazione). Con tutto ciò che ne deriva in termini di trade-off nelle economie di
       scala, di scopo e di rete; oltre a capacità previsionali per scopi di prevenzione, programmazione, pianificazione,
       progettazione e decision making cosciente (!!) soprattutto in situazioni di anormalità, secondo una concezione

       transdisciplinare che utilizzi, accanto al pensiero logico, il pensiero laterale(3)e all’interno di un modello, il 30-40-30
       elaborato dallo scrivente, che consideri un 30% di competenze personali derivanti da studi ed esperienze; un 40%
       costituito dalla abilità ad applicare queste competenze al caso specifico; ed un 30% di capacità creative nell’affrontare

       l’ignoto o l’imprevisto cari alle precondizioni del Logical Framework(4).

       Un esempio di possibilità previsionale è nella fig. 3, relativa alla sintesi di rapporto consegnato alla Regione Lazio per
       il museo civico di Amatrice (2010), sei anni prima del sisma del 2016, nella quale –in Conservazione- è chiaramente
       indicata dalla ‘faccina’ in rosso, insieme ai depositi, la criticità della situazione preventiva rispetto alla protezione da
       calamità naturali; o le osservazioni –sempre relative allo stato di conservazione- effettuate in occasione della visita
       tecnica alla basilica di S. Croce a Firenze (2010), o nel rapporto presentato al FEC su S. Ignazio a Roma (2011).

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                Fig. 3

       Nel caso del Patrimonio Culturale perciò occorre una maggiore aderenza alle esigenze dei singoli casi, cosa che
       richiede un approccio “su misura” e non massivo sulla base solo di dati quantitativi e macro-aggregazioni degli stessi.
       Il che sembrerebbe naturale quando si abbia a che fare con “l’eccezione culturale”, che non permette di trattare il
       nostro Patrimonio in maniera standardizzata come se si fosse in presenza di una produzione industriale.

       Ciò consente anche di disporre delle dovute differenziazioni per le politiche territoriali di settore o di area.
       Per tale motivo appare sicuramente promettente costruire una matrice come proposta di aggregazione delle diverse
       fonti mediante un approccio sperimentale, che permetta di misurare contemporaneamente più dimensioni, ed
       aggiungerne una quarta, il loro mutare nel tempo. Una base di conoscenze utile a costruire quello che chiameremmo
       il Cultural Heritage Management Complexity Matrix, utilizzabile a sua volta per la costruzione di un Territorial
       Management Complexity Matrix, il cui driver sarà, appunto il Patrimonio Culturale, materiale e immateriale, di un
       territorio.

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       Le figure che seguono (figg. 4 e 5) ne costituiscono i primi vagiti, presentati il 23 marzo 2018 presso il CNR-IRISS
       nell’ambito dell’accordo di ricerca “Quality vs. Quantity. Guidelines for an Adequate Approach to Tourism at Cultural

       Sites and Destinations through Quality Management of Cultural Heritage© according to the HGES model” stipulato con
       HERITY nel 2017.

          Fig. 4

           Fig. 5

           __________________________________

           (1) L. Oosterbeek, M. Quagliuolo, L. Caron (ed.), Sustainability Dilemmas – Transdisciplinary contributions to Integrated Cultural
               Landascape Management, ITM, Tomar, pp. 62
           (2) A. Sangalli, L’importanza di essere fuzzy, Bollati Boringhieri, Torino, 2000, pp. 196
           (3) E. De Bono, Il pensiero laterale, RCS, Milano, 1967 (ed. italiana, 1977) pp. 182
           (4) European Commission, Basic Introduction to Project Cycle Management Using the Logical Framework Approach - Manual,
               Umhlaba Dev. Services, Johannesburg, 2017 (pp. 36)

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                                                            Gianpaolo ABATECOLA
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                                                    Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
                                                                     Dipartimento di Management e Diritto

                                                     CONOSCENZA          E SVILUPPO DEL TERRITORIO
                                                                  IN UNA PROSPETTIVA CO-EVOLUTIVA

    1. Introduzione
    Un importante aspetto della dinamica competitiva tra paesi su scala globale riguarda il modo in cui è usato il patrimonio
    culturale e naturale dei territori e i ritorni dall’investimento nella sua unicità.
    L’identità dei territori diventa dunque essa stessa una preziosa risorsa di conoscenza cui ancorare innovazioni inimitabili,
    spostando il focus sui processi di sviluppo locale e rafforzando il legame tra territori e imprese in un’ottica di open
    innovation. E’ peraltro evidente l’aumento, nella quantità e nella qualità, delle forme di offerta turistica di molte
    destinazioni del mondo, che coinvolgono molteplici soggetti dentro e tra territori. Oltremodo lampante è la straordinaria
    evoluzione della domanda (non solo turistica), che richiede sempre più autenticità e cultura.
    In questo scenario di intense sollecitazioni al rinnovamento e di possibilità evolutive, l’Italia presenta un particolare peso
    specifico rappresentato dal grande pregio del suo patrimonio storico culturale diffuso su tutto il territorio, nelle sue più
    variegate forme di palazzi, ville, castelli, borghi, casali rurali, monasteri e conventi, a tutt’oggi ampiamente sottoutilizzati.
    Segni storici dei nostri territori e delle loro tradizioni, chiave di accesso a innumerevoli conoscenze, che possono e
    devono essere valorizzati secondo prospettive di sviluppo economico e sociale, assegnando valore ai territori, sovente
    fragili, e all’imprenditorialità, a garanzia della loro stessa salvaguardia (Montella, 2009; Pedersen, 2002). D’altra parte,
    non è certo casuale la paradossale perdita di competitività che l’Italia continua a registrare ormai da più di un decennio
    nello scenario turistico internazionale, con serie ripercussioni sul PIL e sull’occupazione del Paese (Rapporto WTTC,
    2017). E’ parimenti foriero di riflessioni il dato che colloca l’Italia al 48° posto nella classifica mondiale sulla competitività
    dei paesi (WEF, 2017).
    Data la premessa da cui si è scelto di partire, l’obiettivo di questo articolo è contribuire a meglio comprendere come
    promuovere lo sviluppo facendo leva su innovazioni basate sulla valorizzazione delle identità dei territori. A tal fine, lo
    studio propone un approccio co-evolutivo allo sviluppo del territorio, focalizzando la dinamica del rapporto tra imprese
    turistiche, territori (i.e. istituzioni e comunità locali) e turisti, protagonisti in vario modo delle succitate innovazioni.
    L’attenzione è posta sui meccanismi che possono favorire efficaci adattamenti co-evolutivi tra i richiamati tre agenti,
    ovvero una loro interazione sinergica e duratura. L’individuazione di questi meccanismi può risultare utile per intrapren-

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                                                                                             IN UNA PROSPETTIVA CO-EVOLUTIVA

    dere appropriate azioni a supporto della sostenibilità e interconnessa competitività tanto delle imprese quanto dei
    territori. Questo approccio è stato testato, con risultati apprezzabili, in varie nostre precedenti ricerche, inclusi 33 casi di
    studio riguardanti vari originali modelli di ospitalità turistico-ricettiva basati sull’uso intelligente dell’heritage storico
    culturale di molteplici e varie località del Paese, sovente al di fuori dai tradizionali itinerari turistici.
    L’articolo parte da un sintetico quadro della letteratura in tema di destination management, dal quale si evince un
    fenomeno in crescita, in vari paesi del mondo, di innovazioni originate dalle identità dei territori e la correlata esigenza
    di approcci di tipo olistico capaci di promuovere l’azione sinergica tra imprese e territori, tenendo conto delle esigenze
    di sostenibilità (economica, sociale e ambientale). Quindi, procede mettendo in luce il contributo dell’approccio co-
    evolutivo. Infine, ne analizza le implicazioni teoriche e manageriali.

    2. Territori, imprese e saperi in sinergia per lo sviluppo sostenibile: analisi della letteratura.
    La rilevanza dell’identità dei territori per lo sviluppo e la competitività ha portato studiosi e operatori a trattare con
    rinnovata enfasi la problematica della promozione del patrimonio culturale, particolarmente nell’ultimo ventennio e con
    riguardo alla esigenza di conciliarne conservazione e valorizzazione (e.g., Bourdeau et al., 2013; Montella, 2009; Porter
    1998).
    Il concetto stesso di “patrimonio” è stato riconsiderato enfatizzandone il connotato di “costruzione collettiva” e dunque
    rafforzando il legame tra le sue dimensioni tangibile e intangibile. Pertanto, le “comunità” vengono ad assumere il ruolo
    di stakeholder primari, giacché depositarie di saperi e capacità cui ancorare la salvaguardia del patrimonio stesso (1).
    Su questa scia, una vasta e varia letteratura di management delle destinazioni e dei servizi ha arricchito il dibattito
    sull’argomento, sottolineando il legame tra identità dei territori, innovazione e sviluppo sostenibile dei luoghi per la
    competitività delle destinazioni turistiche (e.g., Paniccia e Leoni, 2017; Pedersen, 2002; Poggesi e Paniccia, 2018). Al
    riguardo, è doveroso il richiamo alle raccomandazioni che ci provengono dal Codice Mondiale di Etica del Turismo (art.
    3) che sollecita l’investimento in una tra le più potenti leve di sviluppo sostenibile dei territori: il turismo e in particolare
    l’ecoturismo e il culturale. Su questa linea si attesta l’Organizzazione Mondiale del Turismo (UNWTO, 2011), che
    afferma: «Historic buildings and open spaces that are left abandoned are at risk of physical decay or redevelopment, and
    represent a loss of opportunity to revitalize structures that contribute to the identity of a community and its social
    traditions. […] revitalization of heritage places as creative and attractive venues for tourists and local residents alike».
    Sul fronte europeo, vanno in questa stessa direzione le indicazioni della Commissione Europea, per il tramite
    dell’Agenda per un turismo europeo competitivo e sostenibile del 2007, e le linee guida della European Association of
    Historic Towns & Regions prodotte nel 2009 su invito del Consiglio d’Europa.
    Ne emergono tre principali questioni tra loro interconnesse che richiedono di essere attentamente considerate, in primis

        (1) Si rimanda alle Convenzioni UNESCO sulla “salvaguardia” del patrimonio culturale intangibile (2003); sulla protezione e promozione della
        diversità delle espressioni culturali (2005) e alla Convenzione di Faro (2005) sul valore del patrimonio culturale per la società. Infine, si ricorda l'art.
        9 della Costituzione Italiana, dove si afferma che la Repubblica protegge e valorizza il patrimonio culturale al fine di preservare la memoria della
        comunità nazionale e del suo territorio.

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