Welfare Aziendale Project Work a cura di: Baveno, 20 gennaio 2014
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Master in Risorse Umane e Organizzazione-Ediz. XIX dal 25 novembre 2013 al 30 ottobre 2014 Baveno, 20 gennaio 2014 Welfare Aziendale Project Work a cura di: Marcello Andriola Daniele Boscari Angela Fedele Marta Pedronetto Valentina Selmi
INDICE Introduzione 1 1.Origine e sviluppo del welfare aziendale 1 2.Principali aree di interventi di welfare aziendale 4 3.Profili legislativi in materia di welfare aziendale 6 4.Erogazioni di utilità sociale 8 5.Prassi dell’amministrazione finanziaria 9 6.Analisi comparativa del welfare aziendale in Europa 10 7.Welfare privato oltre i confini nazionali: il caso Google 12 8.Welfare aziendale nelle PMI 13 9.Tetra Pak Packaging Solutions S.P.A: filosofia di welfare scandinava in una realtà italiana 14 10.Unicredit Group: una banca che dà valore ai dipendenti 16 11.Colorificio San Marco: il welfare aziendale incontra la PMI 18 Conclusioni 19 Appendice 21 Bibliografia 23 Sitografia 24
INTRODUZIONE ”Have faith in your colleagues and co-workers, we cannot function without trust” (Dr. Ruben Rausing, fondatore Tetrapak 1963) Nell’analisi da noi condotta circa le politiche di welfare privato i primi esperimenti ci sono stati offerti da illuminati imprenditori che hanno avviato il passaggio dal paternalismo ai moderni sistemi di welfare mix. Già dalla metà del secolo scorso realtà come Olivetti e Tetra Pak, precursori in questo ambito, avevano intuito l’importanza di creare un ambiente di lavoro che valorizzasse l’individuo, superando il classico approccio fordista. L’evoluzione dei costumi e i profondi cambiamenti della realtà sociale, economica e culturale, pongono domande più stringenti e pretendono risposte puntuali e diversificate. L’abbattimento della rigida divisione in classi sociali e i mutamenti nella struttura familiare rendono inapplicabili politiche di welfare standardizzate, ma richiedono invece interventi cuciti su misura per il dipendente. Le poco lungimiranti politiche di deficit spending messe in atto da quasi tutti i governi occidentali negli ultimi quarant’anni hanno determinato un cono d’ombra nell’ambito della difesa attiva dei diritti dei cittadini. In tale vuoto si inseriscono le moderne organizzazione di welfare privato con iniziative sempre più innovative volte, non solo a rispondere a specifici bisogni, ma a un complessivo miglioramento nella qualità della vita del dipendente; in questo ambito si affermano i recenti concetti di well-being e work life balance. Le esperienze aziendali e le statistiche, finanche i bilanci, dimostrano che incisive e performanti politiche di welfare aziendale presentano risvolti vantaggiosi sotto molteplici profili come: Employer branding: una azienda rinomata per l’attenzione e la cura dei dipendenti avrà maggiori possibilità di attrarre e trattenere talenti; Endorcement: un dipendente soddisfatto sviluppa un forte senso di appartenenza e lealtà nei confronti della propria azienda, aumentandone così la produttività; Defiscalizzazione: una sana e oculata gestione dell’erogazione di benefit e servizi apporta vantaggi fiscali all’impresa; Ricaduta positiva sull’immagine dell’azienda nel territorio di riferimento. In base a quanto esposto finora, lo scopo del nostro lavoro sarà dimostrare come l’attuazione di sofisticate politiche di welfare privato rappresenti per le aziende non tanto un costo, né un mero gesto filantropico, quanto un investimento a lungo termine. 1. ORIGINI E SVILUPPO DEL WELFARE AZIENDALE Dopo la grande espansione del welfare state nei paesi europei, iniziata alla fine della seconda guerra mondiale e alimentata dalla straordinaria crescita economica, negli anni Settanta i sistemi di welfare state pubblico sono stati sottoposti a una serie di pressioni di carattere economico e sociale che hanno portato a una “ricalibratura dei propri sistemi di welfare”(M. Ferrera e A Hemerijck, 2003). La necessità di “ricalibrare” il welfare state pubblico, resa ancora più impellente dalla recente crisi economica, spinge i governi europei a implementare politiche di contenimento dei costi che però, si scontrano con l’aumento dei bisogni sociali della popolazione. L’Italia, insieme agli Stati dell’Europa meridionale, presenta un sistema di welfare disfunzionale in termini di distribuzione dei costi per aree di intervento e categorie di beneficiari. In questo contesto, in cui le risorse per i servizi e il welfare pubblico sono sempre meno, la domanda sociale cresce ed emergono nuovi rischi derivanti da profondi cambiamenti culturali, demografici ed economici (Greve 2012). Si è creata, infatti, una domanda sociale più ampia di quella considerata dal welfare storico, estesa non solo ai soggetti beneficiari dei sistemi tradizionali ma anche diversa nei contenuti in quanto bisognosa di risposte personalizzate, oltre a prestazioni monetarie o servizi standard come quelli tradizionali dello Stato sociale. La pressione cui sono soggetti i sistemi di welfare pubblico in conseguenza delle trasformazioni della domanda sociale 1
costituisce uno dei problemi più urgenti del nostro tempo, per cui i vari paesi stanno ricercando soluzioni con processi di riforma complessi e contrastati. Tali trasformazioni della domanda hanno riproposto in modo nuovo il rapporto fra le risposte pubbliche e il ruolo del welfare privato; un ruolo integrativo o anche di possibile supplenza nelle aree non raggiungibili dal welfare pubblico. Analizzando i dati forniti dalla banca dati Istat si evince che, il tasso di disoccupazione è al 12,7% in Italia e raggiunge il 39,5% per i giovani (Istat, dati giugno-luglio 2013), ciò significa che è disoccupato più di un giovane su tre. Inoltre, il tasso di disoccupazione femminile è arrivato a luglio 2013 al 12,8%. I giovani e le donne sono i gruppi più svantaggiati nel mondo del lavoro, mentre la popolazione anziana continua a crescere, più che nel resto d’Europa Dai dati Eurostat, emerge un’ulteriore considerazione: in Italia è presente una popolazione anziana che cresce più che nel resto d’Europa. Gli ultraottantenni, che nel 2030 saranno l’8% della popolazione, già oggi necessitano di cure mediche che non sempre riescono a ottenere a causa dei costi e della mancanza di strutture facilmente accessibili. In questo panorama “altri soggetti hanno fatto il proprio ingresso nell’arena del welfare per contribuire con risorse (economiche, relazionali e organizzative) all’integrazione dei servizi lasciati scoperti dallo Stato1”. Nasce così il secondo welfare o welfare aziendale che viene visto come un tentativo di rispondere a questi nuovi rischi sociali. L’idea di un secondo welfare spesso, è stata promossa dalla cooperazione dei diversi soggetti, pubblici e privati, che vivono e operano sui territori e nelle comunità locali. Secondo Dario Di Vico e Maurizio Ferrera per lo sviluppo di efficaci misure di welfare è necessario un welfare mix caratterizzato dall’ingresso di attori privati come fondazioni, volontariato, sindacati, associazioni datoriali, assicurazioni, cooperative e aziende. Tra i protagonisti del secondo welfare un ruolo di rilievo è rivestito dalle imprese, che hanno potenzialità in termini di risorse economiche e organizzative, per implementare quelle politiche aziendali a favore della sostenibilità sociale e ambientale che rientrano oggi nell’ampio concetto di corporate social responsability2. Il welfare aziendale è solitamente inteso come l’insieme di benefit e servizi, forniti dall’azienda ai propri dipendenti al fine di migliorarne la vita privata e lavorativa, che vanno dal sostegno al reddito familiare, allo studio, alla genitorialità, alla tutela alla salute, fino a proposte per il tempo libero e agevolazioni di carattere commerciale. Spazio sempre più crescente all’interno delle aziende è occupato dalle misure riguardanti la sfera del work life balance, ovvero quelle misure finalizzate all’obiettivo di favorire un migliore equilibrio fra l’uso del tempo di lavoro e tempo dedicato alla vita personale, in vista di uno sviluppo armonico della persona e di un complessivo well-being. Il well-being è un concetto che troviamo già nei Principi di Alfred Marshall (Marshall A., 1972) e viene usato come sinonimo di welfare, con l’intento però di distinguere la sua teoria economica dalla filosofia edonista-utilitarista dei suoi colleghi inglesi. Tale termine è stato riattualizzato in tempi più recenti da Amartya Sen, in una certa consonanza con il significato che gli attribuisce Marshall, per superare il concetto di benessere inteso in senso economico, tipico dell’accezione utilitaristica, e visto come piacere o soddisfazione che beni di diverso tipo possono garantire. Soggetti con uno stesso livello di reddito, infatti, possono avere un well-being molto diverso fra loro. Questa nuova concezione di benessere consiste, prevalentemente, nel cosiddetto “approccio alle capacità”(Sen A., 2004) intese come le concrete possibilità che l’individuo ha di convertire le risorse e i beni in una qualità di vita soddisfacente. L'esperienza ormai diffusa conferma che l’ambito aziendale è il più adatto allo sviluppo di misure di welfare perché è capace di percepire le esigenze dei dipendenti e di conciliarle con le loro esigenze di vita quotidiana. Inoltre, solo a livello aziendale è possibile verificare l'utilità delle iniziative di welfare su diversi piani: miglioramento del clima aziendale, fidelizzazione e senso di appartenenza dei dipendenti, attrazione delle alte professionalità, risultati positivi sia per l’azienda (riduzione dell’assenteismo, livello di engagement del dipendente, qualità della produzione), sia per i dipendenti (risparmi di tempi e delle spese personali, familiari, migliore rapporto fra quanto erogato dalla azienda e quanto percepito). Come vedremo successivamente attraverso l’analisi di alcuni casi aziendali, le iniziative di welfare all’interno delle imprese, creano una crescita della produzione, un miglioramento del lavoro e della vita dei dipendenti. Dalle esperienze aziendali si può quindi dire che le politiche di welfare 1 T. Treu, Welfare aziendale, Migliorare la produttività e il benessere dei dipendenti; IPSOA Milano, 2013. 2 G. Mallone, Il secondo welfare in Italia: esperienze di welfare aziendale; www.secondowelfare.it 2
hanno portato alla diffusione di buone pratiche, che hanno permesso di ridurre le diffidenze e le resistenze da parte dei sindacati e non solo, che sempre più frequentemente aderiscono alle proposte aziendali e accettano accordi innovativi. Le iniziative di welfare, quindi, costituiscono un contenuto frequente della contrattazione aziendale e sicuramente le loro potenzialità risentono del contesto sociale e istituzionale. Il nuovo welfare, che si sta espandendo sempre più, è attento non solo a ciò che lo Stato elargisce dall’alto, ma anche a bisogni e strategie di soddisfacimento più personalizzati e alle capacità delle persone di stabilire autonomamente in che cosa consista il proprio benessere. E' necessario quindi, tentare di definire il perimetro dei bisogni che devono essere soddisfatti da politiche di welfare aziendale per facilitare la vita dei dipendenti. E' indispensabile però sottolineare che la scala dei bisogni rappresenta un concetto in evoluzione nel tempo e reagisce alla mobilità della struttura familiare, sociale, produttiva e legislativa del Paese. Negli anni in cui sono state emanate le norme fiscali concernenti la tutela del welfare aziendale (anni '70) la composizione della forza lavoro in Italia, la struttura dei nuclei familiari, la capacità del welfare primario, erano molto differenti rispetto ad oggi. Come conseguenza, alcuni bisogni che oggi sono molto attuali e determinati dalla nuova curva demografica, non hanno un riscontro nelle norme legislative vigenti. I programmi di welfare statale hanno continuato a erogare prestazioni per la tutela di rischi già largamente coperti, e hanno trascurato nuove situazioni come la non autosufficienza e la povertà tra i minori, o i bisogni di conciliazione tra vita personale e vita lavorativa. Sotto il concetto di “nuovi rischi sociali”, quindi possiamo porre una serie di eventi, che rispetto a quelli di welfare tradizionali (pensioni, sanità, disoccupazione, ecc.), sono il risultato di mutamenti sociali ed economici legati al passaggio a una società postindustriale (Taylor-Gooby, 2004). In particolare possiamo prendere in considerazione tre macro aree di mutamento: Aumento dei tassi di attività femminili; Incremento della popolazione anziana; Cambiamenti nel mercato del lavoro che hanno reso più urgente la necessità di migliorare la transizione dal sistema educativo all’occupazione. Tali tipi di mutamenti hanno riportato al centro dell'attenzione, da un lato, la copertura dei bisogni di cura, degli anziani e di minori, così come quelli di conciliazione per i lavoratori/lavoratrici con tali compiti; dall'altro, il tema di come migliorare la transizione sistema educativo al mondo del lavoro3”. Nella tabella in appendice (Tab. 1), si è scelto di schematizzare i temi dell'articolo precedentemente citato in merito al rapporto tra le caratteristiche del welfare tradizionale e i “nuovi rischi sociali”. Pare oggi impossibile ignorare che uno dei temi principali affrontati dalle imprese sia di aumentare i gradi di benessere dei propri dipendenti. L’impresa si sostituisce, in alcuni frangenti, all’opera che prima era appannaggio dello Stato, in particolare per quanto riguarda la salute e le attività previdenziali. Il welfare dispiegato mostra i suoi limiti, al di là delle congiunture, quando la crescita economica rallenta: l’offerta dei servizi pubblici si contrae (o può contrarsi) spostando anche sulle aziende la “domanda” di welfare dei lavoratori. Walter Passerini e Marco Rotondi hanno tentato di interpretare queste nuove condizioni attraverso la definizione di “wellness organizzativo”, ossia la necessità di creare nell’impresa un ambiente capace di accogliere esperienze multidimensionali di benessere (fisico, psichico, relazionale) sul lavoro per i propri dipendenti così da aumentarne soddisfazione e motivazione (W. Passerini, M. Rotondi, 2011). Recentemente aziende e parti sociali, sollecitate e favorite da provvedimenti legislativi, hanno sviluppato il welfare aziendale secondo logiche improntate al progressivo innalzamento dei diritti e delle tutele. L’assistenza sanitaria integrativa è il servizio a cui viene dato maggior peso, attraverso iniziative come vaccinazioni antinfluenzali, check up in strutture esterne e convenzioni con strutture sanitarie. Segue poi il tempo libero, attraverso l’iscrizione a corsi di formazione di interesse del lavoratore, le convenzioni con palestre, agenzie di viaggi, teatri, musei e cinema. Altrettanto diffuse 3 Pavolini, Carrera, Romaniello, Politiche Sociali, 2012, p.145-146 3
sono le iniziative per la famiglia (welfare familiare), tra cui l’asilo nido aziendale o convenzioni per asili nido, le borse di studio per i figli dei dipendenti (per cui viene spesso predisposto un aiuto nell’acquisto di testi scolastici) e alcune convezioni con esercizi relativi a beni di consumo. Inoltre, con servizi di consulenza si prevede di offrire ai dipendenti assistenza in materia giuridica, fiscale, medica e psicologica. Anche il management non è escluso da questa logica: il “servizio maggiordomo” proposto da alcune importanti imprese offre al personale la possibilità di ricevere direttamente in azienda alcuni prodotti e servizi di utilità quotidiana, a partire dalla lavanderia, dai biglietti per eventi e spettacoli e dalla risoluzione di pratiche amministrative. L’attribuzione di senso del proprio lavoro passa anche attraverso la cura delle necessità della persona, che prescinde la mera logica della prestazione e del salario. L’uomo è portato a riflettere sul senso del proprio lavoro nel bilanciamento con la sua vita privata e l’impresa è portata ad accompagnare questa necessità in una logica sempre più sussidiaria finalizzata al beneficio non salariale che si innesta, sempre più, su un’ottica di reciprocità. 2. PRINCIPALI AREE DI INTERVENTO DI WELFARE AZIENDALE Uno dei principali problemi di ordine economico e sociale esistente attualmente in Italia è costituito dalla perdita del potere d’acquisto dei redditi dei lavoratori dipendenti. Questo può essere dovuto ad una serie di fattori: Una mancata crescita economica non consente incrementi del costo del lavoro; Gli oneri fiscali e contributivi sono molto elevati per qualsiasi classe di reddito e sono difficilmente comprimibili a causa del deficit pubblico; Il costo della vita cresce rispetto ai salari. Come già affermato in precedenza, il welfare tradizionale non riesce a dare risposte adeguate ai nuovi bisogni di carattere economico e sociale. Molti studiosi e policy-maker si interrogano se la strada più promettente sia oggi quella di promuovere misure e interventi di secondo welfare, un welfare caratterizzato da soggetti non pubblici come fondazioni bancarie, aziende, sindacati, associazioni datoriali, imprese sociali, assicurazioni, rappresentanti del terzo settore e del volontariato (Ferrera e Maino,2012). Tali soggetti possono, grazie al loro radicamento territoriale e in partnership con gli enti locali, contribuire a dare risposte ai nuovi bisogni, per arginare l’arretramento del welfare pubblico e la situazione di crisi e difficoltà che molte famiglie e lavoratori vivono. Nel secondo welfare confluiscono quindi programmi di protezione e misure di investimento sociale da finanziarsi con risorse non pubbliche messe a disposizione da molti attori economici e sociali fortemente presenti sul territorio e disponibili alla creazione di reti multi- stakeholders. Dalla “Rilevazione sulle Forze di Lavoro-Media 2010” pubblicata dall’Istat, viene analizzata la situazione delle aziende presenti sul territorio italiano, rappresentando un utile punto di partenza per una riflessione sui bisogni dei lavoratori e delle loro famiglie. Si tratta di un ambito di misure ancora poco conosciuto sia dagli esperti di welfare che dagli stessi operatori aziendali. Questi ultimi, anche quando introducono innovazioni rilevanti all’interno delle imprese, possiedono poche informazioni sulle alternative possibili e sui relativi costi e benefici. Il che riduce la possibilità di ottimizzare le scelte e di progettarne di nuove. Per i suddetti motivi in Italia, tranne poche virtuose eccezioni, le pratiche di welfare aziendale sono poco sviluppate e limitate a grandi realtà aziendali. Inoltre la diffusione delle migliori iniziative ha incontrato resistenze da parte dei sindacati e dei lavoratori, spesso per il timore che potessero mettere in dubbio la diffusione del welfare pubblico e che esprimesse istanze di esclusivo interesse aziendale piuttosto che l’intento di promuovere il benessere dei dipendenti. Questi ostacoli, ancora presenti, si sono ridotti permettendo una progressiva estensione delle pratiche aziendali di welfare. Come vedremo nel corso della nostra analisi, i casi aziendali discussi e presentati mostrano come diverse misure di welfare possano offrire opportunità concrete, in quanto dirette a soddisfare i bisogni emergenti dei lavoratori e come una responsabilità aziendale, così configurata, sia utile a tutti gli stakeholders in quanto accresce risorse immateriali (lealtà, collaborazioni attive dei dipendenti, ecc.) preziose per una crescita armoniosa e durevole dell’azienda. 4
Una condizione rilevante per un welfare aziendale di successo è quella di partire dai bisogni individuali dei singoli lavoratori e non da soluzioni preconfezionate e standardizzate. La scelta di implementare un unico piano di benefit, sebbene differenziato per categoria contrattuale e disegnato tenendo conto delle esigenze medie dei dipendenti, è ancora una prassi comune nelle aziende italiane. Tale approccio non riesce a soddisfare completamente le necessità dell’intera collettività, i cui bisogni variano in funzione di elementi quali lo status familiare, la presenza di figli in età scolare e/o di genitori anziani. Questa problematica, unitamente alla necessità di contenere i costi, sta indirizzando le aziende verso soluzioni alternative di compensation, tra cui i flexible benefit. Questi ultimi consistono nell’assegnazione di un budget di spesa, con il quale ogni dipendente può comporre, in accordo con la propria azienda, il pacchetto di benefit che più rispecchia le sue necessità, minimizzando l’impatto fiscale e contributivo a carico del singolo e della società, in modo da aumentarne l’efficienza aziendale (per approfondimenti si veda Tab.3 in appendice). L’impresa deve quindi essere in grado di conoscere con precisione le necessità e le esigenze dei propri lavoratori e dovrebbe estendere le proprie iniziative e i propri servizi anche alla comunità territoriale in cui essa opera, in un’ottica di responsabilità sociale e in uno sforzo congiunto con le istituzioni locali. Le due aree maggiormente considerate dal welfare aziendale sono: la tutela pensionistica complementare; l'assistenza sanitaria integrativa. Alle prestazioni sanitarie, spesso si accompagnano servizi di assistenza alle persone rivolte a soddisfare le esigenze dei dipendenti e della loro famiglia, dai bambini agli anziani. Si tratta di un settore in grande sviluppo in tutti i paesi europei che risponde alla profonda evoluzione demografica, sociale e culturale. Interventi in quest'area sono importanti soprattutto in Italia per la storica debolezza del welfare pubblico che sostiene poco la famiglia e scarica su di essa compiti sempre più gravosi. I servizi di assistenza si sono differenziati per contenuti a seconda dei bisogni e delle esigenze delle persone, comprendendo interventi a sostegno dei vari tipi di disagio sociale e psicologico, attività di assistenza a portatori di handicap e anziani e servizi come asili nido e baby sitting. I servizi per bambini e adolescenti sono inseriti all'interno di un più ampio welfare familiare che mira a sostenere la famiglia nei compiti di cura in supplenza del welfare pubblico. Una crescente importanza stanno assumendo le misure per la conciliazione fra lavoro e vita privata e per la condivisione dei ruoli nella famiglia: congedi, orari flessibili, part-time, banca ore e telelavoro. Misure del genere hanno un impatto positivo non solo sul benessere delle famiglie e del clima aziendale, ma sullo sviluppo economico, in quanto contribuiscono ad accrescere il tasso di occupazione femminile, in Italia estremamente basso. Tali misure vengono definite iniziative di work-life balance. Inoltre, si sono sperimentate misure che mirano a valorizzare il tempo libero dei lavoratori, come il sostegno allo svolgimento di pratiche amministrative, servizi personali di lavanderia, sartoria, check-up. Un'altra area di interesse comprende le iniziative di sostegno all'istruzione e all'educazione, sia per i giovani (borse di studio, contributi alle spese scolastiche, ecc.) che per gli adulti. Rientrano nel welfare aziendale ulteriori tipologie di servizi quali: incentivi alla mobilità che prevedono il pagamento dei biglietti e degli abbonamenti del trasporto pubblico o la concessione di auto aziendali; servizi ricreativi culturali e sportivi (palestre, centri di fitness, biblioteche e iniziative aggregative); forme di sostegno al potere d'acquisto dei lavoratori in forma non retributiva come mense, ticket-restaurant o spacci aziendali e polizze infortuni extraprofessionali. Alla luce di quanto esposto in precedenza, è utile definire un quadro generale dei bisogni che devono essere soddisfatti dalle politiche di welfare aziendale per facilitare la vita dei dipendenti. Per l’analisi dei bisogni dei dipendenti possiamo avvalerci del confronto tra più fonti: 5
fonte normativa: i bisogni tutelati/promossi dalla legislazione vigente e da iniziative governative in relazione al welfare aziendale; fonte dell’analisi sociale: i bisogni attuali e prospettici degli individui che risultano dalle analisi sociali; fonte delle iniziative promosse dalla Pubblica Amministrazione: i bisogni individuati e proposti nei bandi di finanziamento pubblico a sostegno del welfare; fonte degli strumenti aziendali per l’individuazione dei bisogni dei dipendenti: i bisogni che emergono dall’analisi di indagini socio-demografiche. Per quanto riguarda gli strumenti aziendali, ai fini dell’impostazione di un programma di welfare aziendale, le modalità più idonee per investigare i bisogni dei propri dipendenti sono l’indagine socio-demografica e i sistemi di ascolto come interviste e focus group. Tra le dimensioni che vengono esplorate dall’indagine socio-demografica, vi sono le caratteristiche del dipendente e del relativo nucleo familiare (esempi: età, genere, reddito, istruzione, nucleo familiare, nucleo monoreddito, genitori separati, genitori anziani a carico, familiari non autosufficienti, madri single, ecc.), le caratteristiche del territorio (esempi: copertura dell’offerta di welfare in primis per quanto concerne il grado di efficacia dell’assistenza sanitaria pubblica, aree di intervento di sussidiarietà, ricettività delle strutture per bambini e anziani, caratteristiche delle strutture che offrono istruzione o percorsi di inserimento nel mondo del lavoro per i giovani, ecc.). La realizzazione di un corretto studio sui bisogni degli individui e della relativa importanza non può non considerare il contesto professionale, familiare, culturale ed economico che circonda e condiziona la vita di ogni singolo dipendente. A tal fine, dopo aver recuperato i dati messi a disposizione da diverse indagini socio- demografiche è sembrato conveniente costruire una tabella (appendice, Tab. 2) che pone in relazione le diverse caratteristiche del nucleo familiare dei lavoratori dipendenti con le rispettive dimensioni di bisogni.(La famiglia in Italia: sfide sociali e innovative nei servizi, a cura di P. Donati, Carocci, Roma.). Dalla tabella, emergono alcune considerazioni importanti: i bisogni dei dipendenti, seppur differenti a seconda della categoria di riferimento, presentano tratti comuni tesi a migliorare la vita professionale e privata. Il welfare aziendale evolve come evolvono bisogni delle persone a seconda del contesto socio-economico in cui si trovano gli altri attori. 3. PROFILI LEGISLATIVI IN MATERIA DI WELFARE AZIENDALE La legge n°53 dell’ 8 Marzo del 2000, “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi della città”, sta alla base del sistema di welfare italiano. La legge è conosciuta soprattutto per aver istituito il diritto ai congedi parentali non solo per la madre ma anche per il padre. Affronta poi varie problematiche tutte relative alla conciliazione fra i tempi del lavoro e quelli della vita familiare e personale per uomini e donne, ma è su queste ultime che ricade ancora oggi gran parte del lavoro di cura. Riordina e propone congedi per eventi particolari (Art. 4), prevede periodi di assenza dal lavoro fino a undici mesi per formazione (Art. 5), per la quale si possono richiedere anche voucher individuali, sulla base di bandi regionali annuali delle Regioni (Art.6). La legge inoltre, come poche altre, produce azioni positive per il mantenimento del posto di lavoro anche nei periodi di maggiore impegno familiare, come quelli riguardanti la maternità, della cura ad un parente anziano o disabile. E’ questa la causa per cui un’alta percentuale di donne lascia il lavoro in corrispondenza delle maternità, interrompendo, in molti casi, la propria carriera lavorativa. Le statistiche dicono poi che ogni volta che la donna, con molta fatica, tornerà a lavorare, lo farà in condizioni sempre più disagiate e precarie. D’altra parte, la richiesta di un part time o di orari di lavoro più favorevoli e conciliativi è spesso rifiutata dal datore di lavoro perché non consona ad una organizzazione interna dell’azienda, basata sul tempo di permanenza al lavoro oltre che sulla professionalità e sulla qualità. A fronte di tutto questo sono perciò di particolare interesse le misure di sostegno della flessibilità di orario, che contengono incentivi alle aziende che applicano accordi contrattuali volti a maggiore flessibilità dell’orario e, più in generale, dell’organizzazione del lavoro. Si interviene, 6
dunque, con finanziamenti alle aziende proprio per fare in modo che tali misure di conciliazione non siano onerose per il datore di lavoro. L’articolo contempla anche la sostituzione totale o parziale del datore di lavoro, andando incontro a datori di lavoro, lavoratori autonomi, liberi professionisti, lavoratori atipici. Le donne appartenenti a queste categorie hanno minori tutele delle lavoratrici dipendenti. Il testo dell’articolo prevede la presentazione di: progetti articolati per consentire alla lavoratrice madre o al lavoratore padre, anche quando uno dei due sia lavoratore autonomo, ovvero quando abbia in adozione un minore, di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell’organizzazione del lavoro, tra cui part time, telelavoro e lavoro a domicilio, orario flessibile in entrata o in uscita, banca delle ore, flessibilità sui turni, orario concentrato, con priorità per i genitori che abbiano bambini fino a dodici anni di età o fino a quindici anni in caso di affidamento o di adozione, ovvero figli disabili a carico; programmi di formazione per il reinserimento dei lavoratori dopo il periodo di congedo; progetti che consentano la sostituzione del titolare di impresa o del lavoratore autonomo, che benefici del periodo di astensione obbligatoria o dei congedi parentali, con altro imprenditore o lavoratore autonomo; interventi e azioni comunque volti a favorire la sostituzione, il reinserimento ,l’articolazione della prestazione lavorativa e la formazione dei lavoratori con figli minori o disabili a carico ovvero con anziani non autosufficienti a carico. Un altro aspetto fondamentale della legge n°53, lo ritroviamo nell’Art.22, nel coordinamento dei tempi delle città dove i punti crociali sono: Il coordinamento dei tempi delle città in capo agli Enti locali; Incarico alle Regioni di stabilire norme per il coordinamento da parte dei Comuni degli orari degli esercizi commerciali, dei servizi pubblici e degli uffici periferici delle amministrazioni pubbliche, oltre alla promozione dell'uso del tempo per fini di solidarietà sociale; Elaborazione in ogni Comune di un piano territoriale degli orari per la cui attuazione e verifica è previsto che il Sindaco costituisca un tavolo di concertazione con tutti i soggetti interessati; Obiettivo finale di innalzamento della qualità della vita, tenendo conto del traffico, dell'inquinamento, degli orari di lavoro pubblici e privati, degli orari di apertura ai cittadini di servizi pubblici e privati; Garanzia da parte della Pubblica Amministrazione, attraverso l'informatizzazione, di prestazioni e informazioni anche durante gli orari di chiusura dei servizi medesimi, di attesa più brevi per gli utenti e percorsi più semplici per l'accesso ai servizi; Incentivo alla nascita delle Banche del tempo, dove singoli cittadini o gruppi di essi, possono scambiare parte del proprio tempo per impieghi di reciproca utilità. Agli Enti locali è chiesto di favorire la crescita di queste strutture attraverso la messa a disposizione di locali e di servizi, oltre a promuoverne l'attività, la formazione e l'informazione. La legislazione in materia di welfare aziendale si compone di una serie di disposizioni non organizzate in un quadro normativo sistematico, ma riconducibili invece ad ambiti diversificati quali quelli relativi, in primis, alla previdenza e assistenza integrativa e/o complementare, regolati dalla normativa primaria di riferimento per la previdenza contenuta nel D.Lgs. n. 205/2005 e da quella per l'assistenza sanitaria integrativa di cui all'art. 9 del D.Lgs. n. 502/1992 e al D.M. 27 ottobre 2009. Ulteriori disposizioni sono quelle che disciplinano i profili impositivi delle forme di retribuzione non monetaria, quali fringe benefit4, retribuzioni in natura, beni e servizi aziendali per la generalità o per categorie di dipendenti o loro familiari. La disciplina normativa è in questo caso esclusivamente fiscale ed è dettata dagli artt. 51 e 100 del T.U.I.R. 4 Con il termine fringe benefit si intende l’insieme delle utilità e dei vantaggi accessori che i lavoratori subordinati possono ottenere a integrazione dello stipendio e della remunerazione in denaro. Tipicamente si può trattare della concessione in uso di un autovettura aziendale, o della consegna di buoni pasto, oppure di un prestito a tasso agevolato. 7
L'adozione e la scelta delle iniziative di welfare aziendale sono in ogni caso subordinate al trattamento fiscale alle stesse applicabile: erogare un benefit rilevante a fini IRPEF (di conseguenza da tassare) e soggetto a contribuzione previdenziale, ne diminuisce l'attrattività per il dipendente e risulta altresì oneroso per il datore di lavoro. La tassazione del reddito di lavoro dipendente si fonda infatti, ai sensi dell'art. 51, comma 1, del T.U.I.R.5, sul principio di onnicomprensività, in ragione del quale costituiscono materia imponibile tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Da ciò discende che: la retribuzione imponibile è costituita da tutti i compensi; sono tassabili non solo i redditi monetari, ma anche quelli in natura; la tassazione è collegata alla percezione, secondo il principio di cassa. Alcune deroghe al principio generale di onnicomprensività sono contenute nei commi successivi dell'art. 51 del T.U.I.R., attraverso l'individuazione di una serie di ipotesi in cui la rilevanza reddituale per il dipendente di determinate fattispecie risulta esclusa, in tutto o in parte. Più in particolare, alcune iniziative di welfare aziendale non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente, in quanto viene ad esse riconosciuto un particolare regime di favore fiscale, derogando al principio dell'onnicomprensività a fini impositivi delle somme o valori erogati ai dipendenti. Nel dettaglio, per quanto rileva ai fini del welfare aziendale, non concorrono a formare il reddito ai sensi dell'art. 51 del T.U.I.R.: i contributi di assistenza sanitaria versati ad enti o casse per un importo non superiore a 3.615,20 euro per anno (comma 2, lett. a); le somministrazioni di vitto in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi. Le prestazioni sostitutive di mensa (ticket restaurant) non concorrono sino all'importo complessivo giornaliero di 5,29 euro (comma 2, lett. c); le prestazioni di servizi di trasporto collettivo sostenute dall'azienda a favore della generalità o di categorie di dipendenti, anche se affidate a terzi ivi compresi gli esercenti servizi pubblici (comma 2, lett. d); l'utilizzazione delle opere e dei servizi di cui al comma 1 dell'art. 100 del T.U.I.R. da parte dei dipendenti e dei loro familiari (comma 2, lett. f); le somme, i servizi e le prestazioni erogati dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la frequenza degli asili nido e di colonie climatiche da parte dei familiari nonché per borse di studio a favore dei medesimi familiari (comma 2, lett. f- bis); il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se complessivamente di importo non superiore nel periodo d'imposta 258,23 euro (comma 3); il valore convenzionale degli interessi in caso di concessione di prestiti ai dipendenti (pari al 50% della differenza tra tasso ufficiale di sconto e tasso applicato). 4. EROGAZIONI DI UTILITÀ SOCIALE Le iniziative adottate dai datori di lavoro tendono, con sempre maggiore frequenza, ad utilizzare le opportunità offerte dall'art. 51, comma 2, lett. f), del T.U.I.R. in combinato disposto con l'art. 100, comma 1, del T.U.I.R., il quale legifera circa gli oneri di utilità sociale. Si tratta delle erogazioni di utilità sociale, e cioè dell'offerta ai dipendenti di opere o servizi messi a disposizione dal datore di lavoro e che rispondono a finalità «meritevoli» di attenzione e tutela. 5 Art. 51, comma 1, del T.U.I.R. (Determinazione del reddito di lavoro dipendente): «il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d'imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d'imposta successivo a quello cui si riferiscono». 8
Secondo il disposto dell'art. 51, comma 2, lett. f), del T.U.I.R. non concorre infatti a formare il reddito di lavoro dipendente “l'utilizzazione delle opere e dei servizi di cui comma 1 dell'articolo 100 da parte dei dipendenti e dei soggetti indicati nell'articolo 12”.L'art. 100 del T.U.I.R. fa riferimento alle spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti, o categorie di dipendenti, volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto. Tale norma riconosce in particolare la deducibilità dal reddito d'impresa, per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille, dell'ammontare delle spese volontariamente sostenute per le opere e servizi sopra citati. Occorre quindi verificare, alla luce delle interpretazioni fornite dall'Amministrazione finanziaria, quando l'utilizzazione di predette opere e servizi da parte dei dipendenti non costituisca per gli stessi reddito di lavoro. Diviene quindi fondamentale comprendere se, in relazione ai benefit erogati, risulti applicabile o meno quanto prevede l'art. 100 del T.U.I.R. Tra le più frequenti tipologie di servizi di welfare aziendale offerte ai dipendenti - il cui trattamento fiscale va in ogni caso verificato di volta in volta - vi sono quelle relative a: servizi per la salute: assistenza/cassa sanitaria personale/familiare, programmi di prevenzione, visite specialistiche, programmi di educazione alimentare; servizi di educazione, istruzione: rimborso libri scolastici, rimborso rette scolastiche, borse di studio, cessioni di strumenti per auto-istruzione, corsi per migliorare employability; servizi di assistenza alla famiglia e figli: centri estivi, doposcuola attrezzato/estivo, sostegno alla disabilità, orientamento al lavoro (figli); servizi di time utility: disbrigo pratiche amministrative, lavanderia, servizi di manutenzione abitazione; mobility: abbonamenti utilizzo mezzi pubblici, abbonamenti bike/car sharing, car pooling; servizi di assistenza sociale agli anziani: servizi di assistenza domiciliare, centri di aggregazione per la terza età, cura e assistenza anziani, badanti, contributo casa, sportello assistenza agli anziani; assistenza legale/finanziaria; famiglia/lavoro: baby sitting/asilo nido, congedi parentali, flessibilità orario di lavoro, telelavoro, job sharing; misure a sostegno del reddito: fondo di garanzia per la disoccupazione, integrazioni salariali di sostegno ai casi di indigenza familiare, integrazione del reddito in caso di cassa integrazione guadagni e mobilità, integrazione salariale nei casi di cessazione di contratti flessibili; sostenibilità ambientale: iniziative per il risparmio energetico, formazione su risparmio energetico, convenzioni. 5. PRASSI DELL'AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA I “valori” relativi all'utilizzazione da parte del lavoratore dipendente di beni e servizi messi a disposizione dal datore di lavoro risultano, ai sensi dell'art. 51, comma 2, lett. f), del T.U.I.R., esclusi dalla formazione del reddito imponibile del lavoratore. Tale previsione deve tuttavia essere letta in modo combinato con il disposto dell'art. 100, comma 1, del T.U.I.R., che disciplina il trattamento fiscale, in capo all'impresa concedente, degli oneri di utilità sociale, fissando specifici requisiti che tali spese devono soddisfare. Più nel dettaglio, ai fini dell'esclusione dalla formazione del reddito di lavoro dipendente, devono ricorrere congiuntamente le seguenti condizioni: deve trattarsi di opere e servizi messi a disposizione della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti; tali opere e servizi devono perseguire specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale, sanitaria o culto; la spesa deve essere sostenuta volontariamente, e non in adempimento di un vincolo contrattuale. 9
Al verificarsi delle condizioni indicate, l'utilizzazione di tali opere e servizi da parte del dipendente non assume rilevanza reddituale per lo stesso. L'esclusione da tassazione opera anche se i servizi sono messi a disposizione dei dipendenti tramite il ricorso a strutture esterne all'azienda. Nel caso in cui le strutture utilizzate non siano di proprietà dell’azienda, il dipendente deve risultare estraneo al rapporto che intercorre tra il datore di lavoro e l'effettivo prestatore del servizio, inoltre non deve risultare beneficiario dei pagamenti effettuati dalla propria azienda. È quindi esclusa da tassazione solamente l'utilizzazione di opere e servizi da parte dei dipendenti, mentre eventuali somme erogate dal datore di lavoro al dipendente, in relazione a tali opere e servizi, andranno interamente sottoposte a tassazione. Successivamente, nel fornire risposte ai quesiti formulati in occasione del “Forum Lavoro” del 17 marzo 2010, l'Agenzia delle Entrate, nel riconfermare le condizioni per l'applicabilità dell'art. 100, comma 1, del T.U.I.R. ha ulteriormente chiarito che: restano escluse dall'ambito applicativo della disposizione di esenzione le ipotesi di erogazione di somme, anche indirette, da parte del datore di lavoro, che possono consistere in rimborsi o anticipazioni di spese sostenute dal dipendente. Pertanto l'esenzione è riferibile unicamente alle erogazioni in natura e non si estende alle erogazioni sostitutive in denaro; gli oneri di utilità sociale che non concorrono alla formazione del reddito di lavoro dipendente, anche se corrisposti in denaro, sono espressamente previsti dall'art. 51, comma 2, lett. f-bis), e riguardano esclusivamente le somme erogate dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti, o a categorie di dipendenti, per frequenza di asili nido e di colonie climatiche da parte dei familiari, nonché per borse di studio a favore dei medesimi familiari. Per l'esclusione da imposizione di benefit consistenti nell'utilizzazione da parte del lavoratore dipendente di beni e servizi, messi a disposizione dal datore di lavoro, è necessario che sussistano i seguenti requisiti: utilizzo da parte di tutti i dipendenti o categorie di essi; erogazione volontaria da parte del datore di lavoro; specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto; esistenza di un rapporto contrattuale tra datore di lavoro e fornitore del servizio; acquisizione di opere o servizi in strutture dell'impresa o esterne ad essa, purché, in tal caso, il dipendente sia estraneo al rapporto tra la società e il prestatore del servizio e non percepisca pagamenti effettuati dalla propria azienda in relazione all'obiettivo di fornitura del servizio. 6. ANALISI COMPARATIVA DEL WELFARE AZIENDALE IN EUROPA L’analisi delle realizzazioni di progetti di welfare aziendale ci permette di studiare la situazione, non solo dello stato dell’arte nelle aziende italiane e le innovazioni del nostro sistema giuridico, ma anche le necessità socio-economiche dei lavoratori italiani che si traducono in richieste da parte di questi ultimi alle azienda. A prescindere dal livello di protezione statale, non si può non considerare che, in gran parte dei casi europei presi in esame, solo nella grande impresa si realizza un equilibrio fra prestazioni private e prestazioni pubbliche. I sistemi di welfare privato in Europa fanno riferimento a due diverse impostazioni teoriche, che variano da paese a paese, in quanto dipendenti dalle realtà socio-economiche, dalle relazioni industriali, dal livello del sistema di sicurezza sociale pubblicistico6. Altro indice di forte distinzione fra le tipologie di welfare privato applicabili dipendono dallo sviluppo e dalla capacità di azione di contrattazione collettiva sia nazionale che decentrata e dalla capacità di liberazione del bisogno socialmente individuato dal sistema di sicurezza sociale a livello pubblicistico7. 6 C. Aspalter,The development of ideal-typical welfare regime theory, in International Social Work, 2001. 7 Cit. T. Treu, IPSOA 2013. 10
Un insieme omogeneo può essere considerato quello di paesi dell’area Bismarkiana e Scandinava, dove l’elevato sistema di protezione sociale statale riduce gli spazi di manovra del welfare aziendale. La contrattazione collettiva nazionale e/o decentrata infatti verte principalmente a regolare aspetti gestionali e di flessibilità del lavoro. In contrapposizione a questo sistema chiamato scientificamente “welfare privato a bassa incidenza” troviamo il “welfare ad alta incidenza”, tipico dei paesi in cui tagli e riduzioni alla spesa pubblica negli anni hanno portato drastiche riduzioni di investimenti dello Stato nei sistemi sociali e a una maggiore domanda di prestazioni integrative, non più garantite da parte di lavoratori e sindacati. Questi sono paesi, come per esempio la Francia o l’Italia, dove la richiesta principale da parte dei sindacati o dei lavoratori sono servizi come assistenza sanitaria, integrazioni previdenziali, formazione professionale, tutela e supporto delle famiglie dei lavoratori. Mirando a una più performante comparazione è necessario analizzare il grado di complementarietà dei servizi erogati, distinti in endo-aziendali ed eso-aziendali, dove per endo- aziendali si intendono le politiche di welfare aziendale di una singola impresa riguardo ai propri dipendenti, e per eso-aziendali invece la protezione sociale vincolata da contratti collettivi nazionali, regionali o locali di singole categorie di lavoratori. Per le diversificazioni citate, in base alle contingenze specifiche e alle richieste dei lavoratori, ogni stato europeo tende a rendere obbligatorie l’erogazione di determinati beni e servizi, o a incentivarne l’attuazione con promozioni fiscali o contributive. Nella letteratura scientifica di settore, per attuare un buon mix fra sicurezza sociale pubblica e privata, si consiglia di prendere in esame: The type of social rights guaranteed, including systems of guaranteed minimum income (such as minimum wage, minimum state pensions, minimum levels of social assistance); The welfare mix applied; The specific emphasis of the role of the state, the market, the family and the individual; The degree of decommodification; The degree of stratification; The degree of individualization8. Un caso unico ed esemplare di welfare privato è quello dell’olandese “Levensloopregeling”, chiamato anche fondo LCSS; basato sul principio del “peak hours of your life”, permette ai lavoratori di accantonare parti del proprio stipendio per finanziare periodi di congedo/aspettativa. Questo principio di “autodeterminazione del proprio tempo” permette al singolo dipendente di scegliere, in ragione dell’età, della carriera professionale e con l’accordo con il datore di lavoro, il periodo più opportuno per assentarsi dal lavoro per occuparsi della cura di figli o di genitori anziani, di congedi formativi, di periodi di vacanza o addirittura periodi sabbatici. Caratteristiche principali del fondo sono: Diritto garantito ai lavoratori subordinati con la predisposizione di strumenti idonei all’assicurazione dell’esercizio; Assenza di un obbligo di adesione al programma imposto dal contratto collettivo, e dunque l’esercizio individuale del diritto di adesione è rimesso alla libera scelta dell’individuo; Montante contributivo continuamente incrementato sino a un tetto massimo; Accumulo in capo al lavoratore di una posizione contributiva nel fondo LCSS, il quale è istituito presso un soggetto istituzionale diverso dal datore di lavoro coincidente con banche, imprese di assicurazione o fondi pensione9. Nel fondo LCSS è possibile versare fino al 12% del salario lordo annuo per un montante contributivo del 210% realizzabile in diciassette anni e sei mesi. L’istituto non è applicabile nel caso in cui siano in essere sospensioni dal lavoro già garantite per legge, per esempio maternità o congedi parentali. Una volta utilizzato il fondo il lavoratore è libero di accantonare nuovamente parte del suo salario o di non aderire più al progetto. È previsto anche un diritto di “portabilità”: in 8 Espring-Andersen, Social Fundations of Postindustrial Economies; Oxford, 1999. 9 L. Delsen, Does the Life Course Savings Scheme Have the potential to improve Work-Life Balance ?, British Journal of Industrial Relations, 2010, pag 583-604. 11
caso di interruzione del rapporto lavorativo il fondo LCSS rimane al lavoratore e verrà ripreso all’inizio della nuova carriera, o in caso di pensionamento i fondi accantonati saranno riversati in una pensione complementare. Tutte le somme versate al Levensloopregeling sono esentasse e l’unico costo è una tassazione forfettaria, al momento del congedo, di 200 € a carico del lavoratore per ogni anno di accantonamento. Le adesioni al fondo LCSS però non sono state numerose: solo il 6% dei lavoratori ha scelto di far parte del Levensloopregeling. Le caratteristiche del fondo e la congiuntura economica poco favorevole hanno permesso solo a chi percepiva salari più alti di poter accantonare risorse10; a ciò si aggiunge anche un’offerta più vantaggiosa ai fini pensionistici del Spaarloonregeling – Salary Savings Scheme11 . Solo negli ultimi anni infatti il Fondo LCSS ha avuto un nuovo rilancio, soprattutto grazie a giovani lavoratori e lavoratrici, più disposti dei propri predecessori a investire risorse in un futuro “tempo libero”. In Francia invece, per andare incontro alle richieste dei lavoratori in materia di “peak hours of your life”, è stato istituito il “Compte Èpargne Temps” (CET), un conto-ore che permette al lavoratore di scegliere, a fronte di straordinari e/o ferie non godute, fra sospensione del lavoro o liquidazione di una indennità. Il contratto collettivo aziendale stabilisce: L’attribuzione unicamente al lavoratore del diritto di scelta fra sospensione del lavoro e indennità; Limiti e quantità possibili del conto ore; Modalità di gestione del CET; Modalità di liquidazione dell’importo; Durata delle sospensioni equivalenti12. In caso di interruzione del rapporto lavorativo, il dipendente potrà richiedere il trasferimento della posizione finanziaria nella nuova azienda, qualora non richiedesse il trasferimento avrà benefici contributivi e fiscali compresi nel proprio piano pensionistico. È da ricordare che comunque il sistema contributivo fiscale francese incoraggia il lavoratore a mantenere la propria posizione presso il CET. Parallelo al CET in Francia si può trovare un ulteriore interessante caso, l’OCIRP: uno schema di welfare privato bilaterale volto al sostegno al reddito e alla formazione professionale. Sotto il profilo giuridico, l’OCIRP è una istituzione paritetica di previdenza privata collettiva. Il punto di forza dell’OCIRP è la sua versatilità e la sua applicabilità anche alle PMI, così da permettere l’accesso a servizi di welfare privato già organizzati da istituzioni parietarie/bilaterali. I contratti collettivi prevedono l’erogazione di servizi dell’OCIRP e creano un vincolo di adesione in capo al datore di lavoro; sarà infatti la contrattazione (collettiva, decentrata, aziendale) a stabilire l’entità e la fruibilità di questi servizi. Fra le prestazioni erogabili sono incluse l’assistenza sanitaria, invalidità, indennità giornaliera per congedi parentali, sostegno al reddito per inoccupazione, formazione professionale, piani di risparmio collettivi. 7. WELFARE PRIVATO OLTRE I CONFINI NAZIONALI: IL CASO GOOGLE Fuori da tutti gli schemi sopracitati è il caso di Google. La multinazionale statunitense ha sviluppato un sistema di assistenza privata per i suoi dipendenti a livello transnazionale, istituendo la figura del “Googler” che, in quanto dipendente di Google, gode degli stessi diritti e percepisce lo stesso trattamento in qualunque sede dislocata nel mondo. Armonizzando le sue politiche di welfare privato alle diverse legislazioni nazionali in materia, si viene a creare una specie di “cittadinanza transnazionale” di cui i lavoratori godono. I pilastri di questa politica sono: “Stay healthy, save time”: oltre all’assistenza sanitaria di base, al Googler sono garantiti servizi aggiuntivi mirati a rendere il lavoratore “healthy and happy”. All’interno di ogni 10 Cit. L. Delsen, 2010 11 Cit. L. Delsen, 2010 12 L. Didelot, O. Barbe, Compete èpargne temps: la comptabilisation in Revue Française de comptabilitè, 2011. 12
distaccamento sono presenti strumenti per rendere più felice e produttivo il dipendente e per incoraggiare uno stile di vita salutare, vengono offerti cibi e bevande biologiche di produzione locale; “Travel withoutworries”: assistenza completa per il Googler viaggiatore, qualora sia in pericolo o in situazioni di emergenza di vario tipo sono previsti aiuti e supporti ovunque si trovi; “More time with your baby”: sono previste prestazioni di welfare particolari in caso di nascita di figli di dipendenti come orari flessibili e particolare sostegno al reddito nelle prime quattro settimane; “Never stop learning”: l’azienda concede congedi ed eroga rimborsi spese per la formazione universitaria dei Googler (nel 2007 erano previsti 150 mila Dollari per un periodo non superiore ai cinque anni); “Legal aid for less”: mediante forme di mutualizzazioni il Googler riceve prestazioni legali e consulenze a costo ridotto. L’azienda propone verifiche dei propri schemi di welfare aziendale attraverso tre strumenti: un questionario riguardante i bisogni dei lavoratori (Googlegeist); dei Club dove i lavoratori si riuniscono e discutono dell’andamento dell’azienda (Grayglers); e-mail per saggiare continuamente il grado di soddisfazione dei dipendenti. Date queste premesse si può capire come le politiche di welfare aziendale di Google siano legate a doppio filo con la strategia di gestione del personale. L’aspetto più significativo infatti è che lo scambio fra prestazioni di welfare privato e modello di gestione del personale si traduce con uno sviluppo del rapporto di fiducia fra i vari gruppi di lavoratori13. 8. WELFARE AZIENDALE NELLE PMI Le piccole e medie imprese occupano una posizione determinante nel tessuto economico italiano. Si pensi che esse rappresentano il 99% delle aziende sul territorio e offrono lavoro all’81% della forza lavoro. Il numero contenuto di forza lavoro, tipico di questo segmento industriale, può rivelarsi un valore aggiunto, poiché permette di realizzare piani di welfare privato adatti alle esigenze e ai bisogni dei singoli lavoratori. Al contrario nella grande impresa le iniziative di welfare sono standardizzate e clusterizzate, viceversa nella PMI spesso si ricorre a piani di welfare personalizzati, studiati per offrire risposte mirate alle crescenti domande individuali di servizi non più offerti dal sistema di protezione sociale statale. Il sistema più adatto e più versatile sono schemi di retribuzione che integrano o sostituiscono una quota della remunerazione con servizi per il dipendente o per la sua famiglia (Flexible benefit). L’utilizzo di questi strumenti permette alle imprese e ai dipendenti di ottenere considerevoli benefici: da un lato le aziende possono contare su un esonero dei contributi previdenziali non previsti per quella quota di reddito trasformata in benefit, dall’altro i dipendenti dispongono di un maggiore potere d’acquisto. I risultati che ne derivano hanno un effetto positivo su: Clima aziendale; Performance dei dipendenti; Work life balance; Endorsement; Attrazione di talenti emergenti; Responsabilità sociale dell’impresa. Come ricorda la ricerca scientifica e confermano la maggioranza dei casi aziendali analizzabili, è più facile per le grandi aziende applicare efficienti politiche di welfare privato. La disponibilità di risorse maggiori e la necessità di sistemi organizzativi più strutturati, permettono e obbligano le grandi aziende a maggiori investimenti nel welfare aziendale. 13 Center for Advanced Human Resource Studies, Building strong social connections increases innovation capability (CAHRS ResearchLink No. 7). Ithaca, NY, Cornell University, ILR School, 2012, July. 13
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