Welfare Aziendale Project Work a cura di: Baveno, 20 gennaio 2014

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Welfare Aziendale Project Work a cura di: Baveno, 20 gennaio 2014
Master in Risorse Umane e Organizzazione-Ediz. XIX
        dal 25 novembre 2013 al 30 ottobre 2014

              Baveno, 20 gennaio 2014

  Welfare Aziendale
            Project Work a cura
                         di:
                  Marcello Andriola
                   Daniele Boscari
                    Angela Fedele
                  Marta Pedronetto
                   Valentina Selmi
INDICE

Introduzione                                                                                    1

1.Origine e sviluppo del welfare aziendale                                                      1

2.Principali aree di interventi di welfare aziendale                                            4

3.Profili legislativi in materia di welfare aziendale                                           6

4.Erogazioni di utilità sociale                                                                 8

5.Prassi dell’amministrazione finanziaria                                                       9

6.Analisi comparativa del welfare aziendale in Europa                                           10

7.Welfare privato oltre i confini nazionali: il caso Google                                     12

8.Welfare aziendale nelle PMI                                                                   13

9.Tetra Pak Packaging Solutions S.P.A: filosofia di welfare scandinava in una realtà italiana   14

10.Unicredit Group: una banca che dà valore ai dipendenti                                       16

11.Colorificio San Marco: il welfare aziendale incontra la PMI                                  18

Conclusioni                                                                                     19

Appendice                                                                                       21

Bibliografia                                                                                    23

Sitografia                                                                                      24
INTRODUZIONE

”Have faith in your colleagues and co-workers, we cannot function without trust”
(Dr. Ruben Rausing, fondatore Tetrapak 1963)

         Nell’analisi da noi condotta circa le politiche di welfare privato i primi esperimenti ci sono
stati offerti da illuminati imprenditori che hanno avviato il passaggio dal paternalismo ai moderni
sistemi di welfare mix. Già dalla metà del secolo scorso realtà come Olivetti e Tetra Pak, precursori
in questo ambito, avevano intuito l’importanza di creare un ambiente di lavoro che valorizzasse
l’individuo, superando il classico approccio fordista.
         L’evoluzione dei costumi e i profondi cambiamenti della realtà sociale, economica e
culturale, pongono domande più stringenti e pretendono risposte puntuali e diversificate.
L’abbattimento della rigida divisione in classi sociali e i mutamenti nella struttura familiare rendono
inapplicabili politiche di welfare standardizzate, ma richiedono invece interventi cuciti su misura per
il dipendente.
         Le poco lungimiranti politiche di deficit spending messe in atto da quasi tutti i governi
occidentali negli ultimi quarant’anni hanno determinato un cono d’ombra nell’ambito della difesa
attiva dei diritti dei cittadini. In tale vuoto si inseriscono le moderne organizzazione di welfare
privato con iniziative sempre più innovative volte, non solo a rispondere a specifici bisogni, ma a
un complessivo miglioramento nella qualità della vita del dipendente; in questo ambito si affermano
i recenti concetti di well-being e work life balance.
         Le esperienze aziendali e le statistiche, finanche i bilanci, dimostrano che incisive e
performanti politiche di welfare aziendale presentano risvolti vantaggiosi sotto molteplici profili
come:
         Employer branding: una azienda rinomata per l’attenzione e la cura dei dipendenti avrà
         maggiori possibilità di attrarre e trattenere talenti;
         Endorcement: un dipendente soddisfatto sviluppa un forte senso di appartenenza e lealtà
         nei confronti della propria azienda, aumentandone così la produttività;
         Defiscalizzazione: una sana e oculata gestione dell’erogazione di benefit e servizi apporta
         vantaggi fiscali all’impresa;
         Ricaduta positiva sull’immagine dell’azienda nel territorio di riferimento.

        In base a quanto esposto finora, lo scopo del nostro lavoro sarà dimostrare come
l’attuazione di sofisticate politiche di welfare privato rappresenti per le aziende non tanto un costo,
né un mero gesto filantropico, quanto un investimento a lungo termine.

   1. ORIGINI E SVILUPPO DEL WELFARE AZIENDALE

        Dopo la grande espansione del welfare state nei paesi europei, iniziata alla fine della
seconda guerra mondiale e alimentata dalla straordinaria crescita economica, negli anni Settanta i
sistemi di welfare state pubblico sono stati sottoposti a una serie di pressioni di carattere
economico e sociale che hanno portato a una “ricalibratura dei propri sistemi di welfare”(M. Ferrera
e A Hemerijck, 2003).
        La necessità di “ricalibrare” il welfare state pubblico, resa ancora più impellente dalla
recente crisi economica, spinge i governi europei a implementare politiche di contenimento dei
costi che però, si scontrano con l’aumento dei bisogni sociali della popolazione.
        L’Italia, insieme agli Stati dell’Europa meridionale, presenta un sistema di welfare
disfunzionale in termini di distribuzione dei costi per aree di intervento e categorie di beneficiari.
In questo contesto, in cui le risorse per i servizi e il welfare pubblico sono sempre meno, la
domanda sociale cresce ed emergono nuovi rischi derivanti da profondi cambiamenti culturali,
demografici ed economici (Greve 2012). Si è creata, infatti, una domanda sociale più ampia di
quella considerata dal welfare storico, estesa non solo ai soggetti beneficiari dei sistemi tradizionali
ma anche diversa nei contenuti in quanto bisognosa di risposte personalizzate, oltre a prestazioni
monetarie o servizi standard come quelli tradizionali dello Stato sociale. La pressione cui sono
soggetti i sistemi di welfare pubblico in conseguenza delle trasformazioni della domanda sociale
                                                                                                          1
costituisce uno dei problemi più urgenti del nostro tempo, per cui i vari paesi stanno ricercando
soluzioni con processi di riforma complessi e contrastati. Tali trasformazioni della domanda hanno
riproposto in modo nuovo il rapporto fra le risposte pubbliche e il ruolo del welfare privato; un ruolo
integrativo o anche di possibile supplenza nelle aree non raggiungibili dal welfare pubblico.
         Analizzando i dati forniti dalla banca dati Istat si evince che, il tasso di disoccupazione è al
12,7% in Italia e raggiunge il 39,5% per i giovani (Istat, dati giugno-luglio 2013), ciò significa che è
disoccupato più di un giovane su tre. Inoltre, il tasso di disoccupazione femminile è arrivato a luglio
2013 al 12,8%. I giovani e le donne sono i gruppi più svantaggiati nel mondo del lavoro, mentre la
popolazione anziana continua a crescere, più che nel resto d’Europa
         Dai dati Eurostat, emerge un’ulteriore considerazione: in Italia è presente una popolazione
anziana che cresce più che nel resto d’Europa. Gli ultraottantenni, che nel 2030 saranno l’8% della
popolazione, già oggi necessitano di cure mediche che non sempre riescono a ottenere a causa
dei costi e della mancanza di strutture facilmente accessibili.
In questo panorama “altri soggetti hanno fatto il proprio ingresso nell’arena del welfare per
contribuire con risorse (economiche, relazionali e organizzative) all’integrazione dei servizi lasciati
scoperti dallo Stato1”. Nasce così il secondo welfare o welfare aziendale che viene visto come un
tentativo di rispondere a questi nuovi rischi sociali. L’idea di un secondo welfare spesso, è stata
promossa dalla cooperazione dei diversi soggetti, pubblici e privati, che vivono e operano sui
territori e nelle comunità locali. Secondo Dario Di Vico e Maurizio Ferrera per lo sviluppo di efficaci
misure di welfare è necessario un welfare mix caratterizzato dall’ingresso di attori privati come
fondazioni, volontariato, sindacati, associazioni datoriali, assicurazioni, cooperative e aziende.
         Tra i protagonisti del secondo welfare un ruolo di rilievo è rivestito dalle imprese, che hanno
potenzialità in termini di risorse economiche e organizzative, per implementare quelle politiche
aziendali a favore della sostenibilità sociale e ambientale che rientrano oggi nell’ampio concetto di
corporate social responsability2. Il welfare aziendale è solitamente inteso come l’insieme di benefit
e servizi, forniti dall’azienda ai propri dipendenti al fine di migliorarne la vita privata e lavorativa,
che vanno dal sostegno al reddito familiare, allo studio, alla genitorialità, alla tutela alla salute, fino
a proposte per il tempo libero e agevolazioni di carattere commerciale.
         Spazio sempre più crescente all’interno delle aziende è occupato dalle misure riguardanti la
sfera del work life balance, ovvero quelle misure finalizzate all’obiettivo di favorire un migliore
equilibrio fra l’uso del tempo di lavoro e tempo dedicato alla vita personale, in vista di uno sviluppo
armonico della persona e di un complessivo well-being. Il well-being è un concetto che troviamo
già nei Principi di Alfred Marshall (Marshall A., 1972) e viene usato come sinonimo di welfare, con
l’intento però di distinguere la sua teoria economica dalla filosofia edonista-utilitarista dei suoi
colleghi inglesi. Tale termine è stato riattualizzato in tempi più recenti da Amartya Sen, in una certa
consonanza con il significato che gli attribuisce Marshall, per superare il concetto di benessere
inteso in senso economico, tipico dell’accezione utilitaristica, e visto come piacere o soddisfazione
che beni di diverso tipo possono garantire. Soggetti con uno stesso livello di reddito, infatti,
possono avere un well-being molto diverso fra loro. Questa nuova concezione di benessere
consiste, prevalentemente, nel cosiddetto “approccio alle capacità”(Sen A., 2004) intese come le
concrete possibilità che l’individuo ha di convertire le risorse e i beni in una qualità di vita
soddisfacente.
         L'esperienza ormai diffusa conferma che l’ambito aziendale è il più adatto allo sviluppo di
misure di welfare perché è capace di percepire le esigenze dei dipendenti e di conciliarle con le
loro esigenze di vita quotidiana. Inoltre, solo a livello aziendale è possibile verificare l'utilità delle
iniziative di welfare su diversi piani: miglioramento del clima aziendale, fidelizzazione e senso di
appartenenza dei dipendenti, attrazione delle alte professionalità, risultati positivi sia per l’azienda
(riduzione dell’assenteismo, livello di engagement del dipendente, qualità della produzione), sia
per i dipendenti (risparmi di tempi e delle spese personali, familiari, migliore rapporto fra quanto
erogato dalla azienda e quanto percepito).
         Come vedremo successivamente attraverso l’analisi di alcuni casi aziendali, le iniziative di
welfare all’interno delle imprese, creano una crescita della produzione, un miglioramento del lavoro
e della vita dei dipendenti. Dalle esperienze aziendali si può quindi dire che le politiche di welfare

1
    T. Treu, Welfare aziendale, Migliorare la produttività e il benessere dei dipendenti; IPSOA Milano, 2013.
2
    G. Mallone, Il secondo welfare in Italia: esperienze di welfare aziendale; www.secondowelfare.it
                                                                                                                2
hanno portato alla diffusione di buone pratiche, che hanno permesso di ridurre le diffidenze e le
resistenze da parte dei sindacati e non solo, che sempre più frequentemente aderiscono alle
proposte aziendali e accettano accordi innovativi.
        Le iniziative di welfare, quindi, costituiscono un contenuto frequente della contrattazione
aziendale e sicuramente le loro potenzialità risentono del contesto sociale e istituzionale. Il nuovo
welfare, che si sta espandendo sempre più, è attento non solo a ciò che lo Stato elargisce dall’alto,
ma anche a bisogni e strategie di soddisfacimento più personalizzati e alle capacità delle persone
di stabilire autonomamente in che cosa consista il proprio benessere.
        E' necessario quindi, tentare di definire il perimetro dei bisogni che devono essere
soddisfatti da politiche di welfare aziendale per facilitare la vita dei dipendenti. E' indispensabile
però sottolineare che la scala dei bisogni rappresenta un concetto in evoluzione nel tempo e
reagisce alla mobilità della struttura familiare, sociale, produttiva e legislativa del Paese.
        Negli anni in cui sono state emanate le norme fiscali concernenti la tutela del welfare
aziendale (anni '70) la composizione della forza lavoro in Italia, la struttura dei nuclei familiari, la
capacità del welfare primario, erano molto differenti rispetto ad oggi. Come conseguenza, alcuni
bisogni che oggi sono molto attuali e determinati dalla nuova curva demografica, non hanno un
riscontro nelle norme legislative vigenti. I programmi di welfare statale hanno continuato a erogare
prestazioni per la tutela di rischi già largamente coperti, e hanno trascurato nuove situazioni come
la non autosufficienza e la povertà tra i minori, o i bisogni di conciliazione tra vita personale e vita
lavorativa.
        Sotto il concetto di “nuovi rischi sociali”, quindi possiamo porre una serie di eventi, che
rispetto a quelli di welfare tradizionali (pensioni, sanità, disoccupazione, ecc.), sono il risultato di
mutamenti sociali ed economici legati al passaggio a una società postindustriale (Taylor-Gooby,
2004). In particolare possiamo prendere in considerazione tre macro aree di mutamento:
        Aumento dei tassi di attività femminili;
        Incremento della popolazione anziana;
        Cambiamenti nel mercato del lavoro che hanno reso più urgente la necessità di migliorare
        la transizione dal sistema educativo all’occupazione.

          Tali tipi di mutamenti hanno riportato al centro dell'attenzione, da un lato, la copertura dei
bisogni di cura, degli anziani e di minori, così come quelli di conciliazione per i lavoratori/lavoratrici
con tali compiti; dall'altro, il tema di come migliorare la transizione sistema educativo al mondo del
lavoro3”.
          Nella tabella in appendice (Tab. 1), si è scelto di schematizzare i temi dell'articolo
precedentemente citato in merito al rapporto tra le caratteristiche del welfare tradizionale e i “nuovi
rischi sociali”.
          Pare oggi impossibile ignorare che uno dei temi principali affrontati dalle imprese sia di
aumentare i gradi di benessere dei propri dipendenti. L’impresa si sostituisce, in alcuni frangenti,
all’opera che prima era appannaggio dello Stato, in particolare per quanto riguarda la salute e le
attività previdenziali. Il welfare dispiegato mostra i suoi limiti, al di là delle congiunture, quando la
crescita economica rallenta: l’offerta dei servizi pubblici si contrae (o può contrarsi) spostando
anche sulle aziende la “domanda” di welfare dei lavoratori. Walter Passerini e Marco Rotondi
hanno tentato di interpretare queste nuove condizioni attraverso la definizione di “wellness
organizzativo”, ossia la necessità di creare nell’impresa un ambiente capace di accogliere
esperienze multidimensionali di benessere (fisico, psichico, relazionale) sul lavoro per i propri
dipendenti così da aumentarne soddisfazione e motivazione (W. Passerini, M. Rotondi, 2011).
          Recentemente aziende e parti sociali, sollecitate e favorite da provvedimenti legislativi,
hanno sviluppato il welfare aziendale secondo logiche improntate al progressivo innalzamento dei
diritti e delle tutele.
          L’assistenza sanitaria integrativa è il servizio a cui viene dato maggior peso, attraverso
iniziative come vaccinazioni antinfluenzali, check up in strutture esterne e convenzioni con strutture
sanitarie. Segue poi il tempo libero, attraverso l’iscrizione a corsi di formazione di interesse del
lavoratore, le convenzioni con palestre, agenzie di viaggi, teatri, musei e cinema. Altrettanto diffuse

3
    Pavolini, Carrera, Romaniello, Politiche Sociali, 2012, p.145-146
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sono le iniziative per la famiglia (welfare familiare), tra cui l’asilo nido aziendale o convenzioni per
asili nido, le borse di studio per i figli dei dipendenti (per cui viene spesso predisposto un aiuto
nell’acquisto di testi scolastici) e alcune convezioni con esercizi relativi a beni di consumo. Inoltre,
con servizi di consulenza si prevede di offrire ai dipendenti assistenza in materia giuridica, fiscale,
medica e psicologica. Anche il management non è escluso da questa logica: il “servizio
maggiordomo” proposto da alcune importanti imprese offre al personale la possibilità di ricevere
direttamente in azienda alcuni prodotti e servizi di utilità quotidiana, a partire dalla lavanderia, dai
biglietti per eventi e spettacoli e dalla risoluzione di pratiche amministrative.
         L’attribuzione di senso del proprio lavoro passa anche attraverso la cura delle necessità
della persona, che prescinde la mera logica della prestazione e del salario. L’uomo è portato a
riflettere sul senso del proprio lavoro nel bilanciamento con la sua vita privata e l’impresa è portata
ad accompagnare questa necessità in una logica sempre più sussidiaria finalizzata al beneficio
non salariale che si innesta, sempre più, su un’ottica di reciprocità.

2. PRINCIPALI AREE DI INTERVENTO DI WELFARE AZIENDALE

        Uno dei principali problemi di ordine economico e sociale esistente attualmente in Italia è
costituito dalla perdita del potere d’acquisto dei redditi dei lavoratori dipendenti.
Questo può essere dovuto ad una serie di fattori:
        Una mancata crescita economica non consente incrementi del costo del lavoro;
        Gli oneri fiscali e contributivi sono molto elevati per qualsiasi classe di reddito e sono
        difficilmente comprimibili a causa del deficit pubblico;
        Il costo della vita cresce rispetto ai salari.

         Come già affermato in precedenza, il welfare tradizionale non riesce a dare risposte
adeguate ai nuovi bisogni di carattere economico e sociale. Molti studiosi e policy-maker si
interrogano se la strada più promettente sia oggi quella di promuovere misure e interventi di
secondo welfare, un welfare caratterizzato da soggetti non pubblici come fondazioni bancarie,
aziende, sindacati, associazioni datoriali, imprese sociali, assicurazioni, rappresentanti del terzo
settore e del volontariato (Ferrera e Maino,2012). Tali soggetti possono, grazie al loro radicamento
territoriale e in partnership con gli enti locali, contribuire a dare risposte ai nuovi bisogni, per
arginare l’arretramento del welfare pubblico e la situazione di crisi e difficoltà che molte famiglie e
lavoratori vivono. Nel secondo welfare confluiscono quindi programmi di protezione e misure di
investimento sociale da finanziarsi con risorse non pubbliche messe a disposizione da molti attori
economici e sociali fortemente presenti sul territorio e disponibili alla creazione di reti multi-
stakeholders.
         Dalla “Rilevazione sulle Forze di Lavoro-Media 2010” pubblicata dall’Istat, viene analizzata
la situazione delle aziende presenti sul territorio italiano, rappresentando un utile punto di partenza
per una riflessione sui bisogni dei lavoratori e delle loro famiglie. Si tratta di un ambito di misure
ancora poco conosciuto sia dagli esperti di welfare che dagli stessi operatori aziendali. Questi
ultimi, anche quando introducono innovazioni rilevanti all’interno delle imprese, possiedono poche
informazioni sulle alternative possibili e sui relativi costi e benefici. Il che riduce la possibilità di
ottimizzare le scelte e di progettarne di nuove. Per i suddetti motivi in Italia, tranne poche virtuose
eccezioni, le pratiche di welfare aziendale sono poco sviluppate e limitate a grandi realtà aziendali.
Inoltre la diffusione delle migliori iniziative ha incontrato resistenze da parte dei sindacati e dei
lavoratori, spesso per il timore che potessero mettere in dubbio la diffusione del welfare pubblico e
che esprimesse istanze di esclusivo interesse aziendale piuttosto che l’intento di promuovere il
benessere dei dipendenti. Questi ostacoli, ancora presenti, si sono ridotti permettendo una
progressiva estensione delle pratiche aziendali di welfare. Come vedremo nel corso della nostra
analisi, i casi aziendali discussi e presentati mostrano come diverse misure di welfare possano
offrire opportunità concrete, in quanto dirette a soddisfare i bisogni emergenti dei lavoratori e come
una responsabilità aziendale, così configurata, sia utile a tutti gli stakeholders in quanto accresce
risorse immateriali (lealtà, collaborazioni attive dei dipendenti, ecc.) preziose per una crescita
armoniosa e durevole dell’azienda.

                                                                                                        4
Una condizione rilevante per un welfare aziendale di successo è quella di partire dai bisogni
individuali dei singoli lavoratori e non da soluzioni preconfezionate e standardizzate. La scelta di
implementare un unico piano di benefit, sebbene differenziato per categoria contrattuale e
disegnato tenendo conto delle esigenze medie dei dipendenti, è ancora una prassi comune nelle
aziende italiane. Tale approccio non riesce a soddisfare completamente le necessità dell’intera
collettività, i cui bisogni variano in funzione di elementi quali lo status familiare, la presenza di figli
in età scolare e/o di genitori anziani. Questa problematica, unitamente alla necessità di contenere i
costi, sta indirizzando le aziende verso soluzioni alternative di compensation, tra cui i flexible
benefit. Questi ultimi consistono nell’assegnazione di un budget di spesa, con il quale ogni
dipendente può comporre, in accordo con la propria azienda, il pacchetto di benefit che più
rispecchia le sue necessità, minimizzando l’impatto fiscale e contributivo a carico del singolo e
della società, in modo da aumentarne l’efficienza aziendale (per approfondimenti si veda Tab.3 in
appendice).
         L’impresa deve quindi essere in grado di conoscere con precisione le necessità e le
esigenze dei propri lavoratori e dovrebbe estendere le proprie iniziative e i propri servizi anche alla
comunità territoriale in cui essa opera, in un’ottica di responsabilità sociale e in uno sforzo
congiunto con le istituzioni locali.
         Le due aree maggiormente considerate dal welfare aziendale sono:
         la tutela pensionistica complementare;
         l'assistenza sanitaria integrativa.

        Alle prestazioni sanitarie, spesso si accompagnano servizi di assistenza alle persone rivolte
a soddisfare le esigenze dei dipendenti e della loro famiglia, dai bambini agli anziani. Si tratta di un
settore in grande sviluppo in tutti i paesi europei che risponde alla profonda evoluzione
demografica, sociale e culturale. Interventi in quest'area sono importanti soprattutto in Italia per la
storica debolezza del welfare pubblico che sostiene poco la famiglia e scarica su di essa compiti
sempre più gravosi. I servizi di assistenza si sono differenziati per contenuti a seconda dei bisogni
e delle esigenze delle persone, comprendendo interventi a sostegno dei vari tipi di disagio sociale
e psicologico, attività di assistenza a portatori di handicap e anziani e servizi come asili nido e
baby sitting.
        I servizi per bambini e adolescenti sono inseriti all'interno di un più ampio welfare familiare
che mira a sostenere la famiglia nei compiti di cura in supplenza del welfare pubblico. Una
crescente importanza stanno assumendo le misure per la conciliazione fra lavoro e vita privata e
per la condivisione dei ruoli nella famiglia: congedi, orari flessibili, part-time, banca ore e telelavoro.
Misure del genere hanno un impatto positivo non solo sul benessere delle famiglie e del clima
aziendale, ma sullo sviluppo economico, in quanto contribuiscono ad accrescere il tasso di
occupazione femminile, in Italia estremamente basso. Tali misure vengono definite iniziative di
work-life balance.
        Inoltre, si sono sperimentate misure che mirano a valorizzare il tempo libero dei lavoratori,
come il sostegno allo svolgimento di pratiche amministrative, servizi personali di lavanderia,
sartoria, check-up.
        Un'altra area di interesse comprende le iniziative di sostegno all'istruzione e all'educazione,
sia per i giovani (borse di studio, contributi alle spese scolastiche, ecc.) che per gli adulti.
          Rientrano nel welfare aziendale ulteriori tipologie di servizi quali:
         incentivi alla mobilità che prevedono il pagamento dei biglietti e degli abbonamenti del
         trasporto pubblico o la concessione di auto aziendali;
         servizi ricreativi culturali e sportivi (palestre, centri di fitness, biblioteche e iniziative
         aggregative);
         forme di sostegno al potere d'acquisto dei lavoratori in forma non retributiva come mense,
         ticket-restaurant o spacci aziendali e polizze infortuni extraprofessionali.
         Alla luce di quanto esposto in precedenza, è utile definire un quadro generale dei bisogni
         che devono essere soddisfatti dalle politiche di welfare aziendale per facilitare la vita dei
         dipendenti.
         Per l’analisi dei bisogni dei dipendenti possiamo avvalerci del confronto tra più fonti:

                                                                                                         5
fonte normativa: i bisogni tutelati/promossi dalla legislazione vigente e da iniziative
       governative in relazione al welfare aziendale;
       fonte dell’analisi sociale: i bisogni attuali e prospettici degli individui che risultano dalle
       analisi sociali;
       fonte delle iniziative promosse dalla Pubblica Amministrazione: i bisogni individuati e
       proposti nei bandi di finanziamento pubblico a sostegno del welfare;
       fonte degli strumenti aziendali per l’individuazione dei bisogni dei dipendenti: i bisogni che
       emergono dall’analisi di indagini socio-demografiche.

         Per quanto riguarda gli strumenti aziendali, ai fini dell’impostazione di un programma di
welfare aziendale, le modalità più idonee per investigare i bisogni dei propri dipendenti sono
l’indagine socio-demografica e i sistemi di ascolto come interviste e focus group. Tra le dimensioni
che vengono esplorate dall’indagine socio-demografica, vi sono le caratteristiche del dipendente e
del relativo nucleo familiare (esempi: età, genere, reddito, istruzione, nucleo familiare, nucleo
monoreddito, genitori separati, genitori anziani a carico, familiari non autosufficienti, madri single,
ecc.), le caratteristiche del territorio (esempi: copertura dell’offerta di welfare in primis per quanto
concerne il grado di efficacia dell’assistenza sanitaria pubblica, aree di intervento di sussidiarietà,
ricettività delle strutture per bambini e anziani, caratteristiche delle strutture che offrono istruzione
o percorsi di inserimento nel mondo del lavoro per i giovani, ecc.). La realizzazione di un corretto
studio sui bisogni degli individui e della relativa importanza non può non considerare il contesto
professionale, familiare, culturale ed economico che circonda e condiziona la vita di ogni singolo
dipendente.
          A tal fine, dopo aver recuperato i dati messi a disposizione da diverse indagini socio-
demografiche è sembrato conveniente costruire una tabella (appendice, Tab. 2) che pone in
relazione le diverse caratteristiche del nucleo familiare dei lavoratori dipendenti con le rispettive
dimensioni di bisogni.(La famiglia in Italia: sfide sociali e innovative nei servizi, a cura di P. Donati,
Carocci, Roma.). Dalla tabella, emergono alcune considerazioni importanti: i bisogni dei
dipendenti, seppur differenti a seconda della categoria di riferimento, presentano tratti comuni tesi
a migliorare la vita professionale e privata. Il welfare aziendale evolve come evolvono bisogni delle
persone a seconda del contesto socio-economico in cui si trovano gli altri attori.

3. PROFILI LEGISLATIVI IN MATERIA DI WELFARE AZIENDALE

         La legge n°53 dell’ 8 Marzo del 2000, “Disposizioni per il sostegno della maternità e della
paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi della città”, sta
alla base del sistema di welfare italiano.
         La legge è conosciuta soprattutto per aver istituito il diritto ai congedi parentali non solo per
la madre ma anche per il padre. Affronta poi varie problematiche tutte relative alla conciliazione fra
i tempi del lavoro e quelli della vita familiare e personale per uomini e donne, ma è su queste
ultime che ricade ancora oggi gran parte del lavoro di cura.
         Riordina e propone congedi per eventi particolari (Art. 4), prevede periodi di assenza dal
lavoro fino a undici mesi per formazione (Art. 5), per la quale si possono richiedere anche voucher
individuali, sulla base di bandi regionali annuali delle Regioni (Art.6). La legge inoltre, come poche
altre, produce azioni positive per il mantenimento del posto di lavoro anche nei periodi di maggiore
impegno familiare, come quelli riguardanti la maternità, della cura ad un parente anziano o
disabile. E’ questa la causa per cui un’alta percentuale di donne lascia il lavoro in corrispondenza
delle maternità, interrompendo, in molti casi, la propria carriera lavorativa. Le statistiche dicono poi
che ogni volta che la donna, con molta fatica, tornerà a lavorare, lo farà in condizioni sempre più
disagiate e precarie. D’altra parte, la richiesta di un part time o di orari di lavoro più favorevoli e
conciliativi è spesso rifiutata dal datore di lavoro perché non consona ad una organizzazione
interna dell’azienda, basata sul tempo di permanenza al lavoro oltre che sulla professionalità e
sulla qualità.
         A fronte di tutto questo sono perciò di particolare interesse le misure di sostegno della
flessibilità di orario, che contengono incentivi alle aziende che applicano accordi contrattuali volti a
maggiore flessibilità dell’orario e, più in generale, dell’organizzazione del lavoro. Si interviene,
                                                                                                         6
dunque, con finanziamenti alle aziende proprio per fare in modo che tali misure di conciliazione
non siano onerose per il datore di lavoro. L’articolo contempla anche la sostituzione totale o
parziale del datore di lavoro, andando incontro a datori di lavoro, lavoratori autonomi, liberi
professionisti, lavoratori atipici. Le donne appartenenti a queste categorie hanno minori tutele delle
lavoratrici dipendenti.
        Il testo dell’articolo prevede la presentazione di:
        progetti articolati per consentire alla lavoratrice madre o al lavoratore padre, anche quando
        uno dei due sia lavoratore autonomo, ovvero quando abbia in adozione un minore, di
        usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell’organizzazione del lavoro, tra cui
        part time, telelavoro e lavoro a domicilio, orario flessibile in entrata o in uscita, banca delle
        ore, flessibilità sui turni, orario concentrato, con priorità per i genitori che abbiano bambini
        fino a dodici anni di età o fino a quindici anni in caso di affidamento o di adozione, ovvero
        figli disabili a carico;
        programmi di formazione per il reinserimento dei lavoratori dopo il periodo di congedo;
        progetti che consentano la sostituzione del titolare di impresa o del lavoratore autonomo,
        che benefici del periodo di astensione obbligatoria o dei congedi parentali, con altro
        imprenditore o lavoratore autonomo;
        interventi e azioni comunque volti a favorire la sostituzione, il reinserimento ,l’articolazione
        della prestazione lavorativa e la formazione dei lavoratori con figli minori o disabili a carico
        ovvero con anziani non autosufficienti a carico.

        Un altro aspetto fondamentale della legge n°53, lo ritroviamo nell’Art.22, nel coordinamento
    dei tempi delle città dove i punti crociali sono:
        Il coordinamento dei tempi delle città in capo agli Enti locali;
        Incarico alle Regioni di stabilire norme per il coordinamento da parte dei Comuni degli orari
        degli esercizi commerciali, dei servizi pubblici e degli uffici periferici delle amministrazioni
        pubbliche, oltre alla promozione dell'uso del tempo per fini di solidarietà sociale;
        Elaborazione in ogni Comune di un piano territoriale degli orari per la cui attuazione e
        verifica è previsto che il Sindaco costituisca un tavolo di concertazione con tutti i soggetti
        interessati;
        Obiettivo finale di innalzamento della qualità della vita, tenendo conto del traffico,
        dell'inquinamento, degli orari di lavoro pubblici e privati, degli orari di apertura ai cittadini di
        servizi pubblici e privati;
        Garanzia da parte della Pubblica Amministrazione, attraverso l'informatizzazione, di
        prestazioni e informazioni anche durante gli orari di chiusura dei servizi medesimi, di attesa
        più brevi per gli utenti e percorsi più semplici per l'accesso ai servizi;
        Incentivo alla nascita delle Banche del tempo, dove singoli cittadini o gruppi di essi,
        possono scambiare parte del proprio tempo per impieghi di reciproca utilità. Agli Enti locali
        è chiesto di favorire la crescita di queste strutture attraverso la messa a disposizione di
        locali e di servizi, oltre a promuoverne l'attività, la formazione e l'informazione.

        La legislazione in materia di welfare aziendale si compone di una serie di disposizioni non
organizzate in un quadro normativo sistematico, ma riconducibili invece ad ambiti diversificati quali
quelli relativi, in primis, alla previdenza e assistenza integrativa e/o complementare, regolati dalla
normativa primaria di riferimento per la previdenza contenuta nel D.Lgs. n. 205/2005 e da quella
per l'assistenza sanitaria integrativa di cui all'art. 9 del D.Lgs. n. 502/1992 e al D.M. 27 ottobre
2009.
        Ulteriori disposizioni sono quelle che disciplinano i profili impositivi delle forme di
retribuzione non monetaria, quali fringe benefit4, retribuzioni in natura, beni e servizi aziendali per
la generalità o per categorie di dipendenti o loro familiari. La disciplina normativa è in questo caso
esclusivamente fiscale ed è dettata dagli artt. 51 e 100 del T.U.I.R.

4 Con il termine fringe benefit si intende l’insieme delle utilità e dei vantaggi accessori che i lavoratori subordinati
possono ottenere a integrazione dello stipendio e della remunerazione in denaro. Tipicamente si può trattare della
concessione in uso di un autovettura aziendale, o della consegna di buoni pasto, oppure di un prestito a tasso agevolato.
                                                                                                                       7
L'adozione e la scelta delle iniziative di welfare aziendale sono in ogni caso subordinate al
trattamento fiscale alle stesse applicabile: erogare un benefit rilevante a fini IRPEF (di
conseguenza da tassare) e soggetto a contribuzione previdenziale, ne diminuisce l'attrattività per il
dipendente e risulta altresì oneroso per il datore di lavoro.
        La tassazione del reddito di lavoro dipendente si fonda infatti, ai sensi dell'art. 51, comma
1, del T.U.I.R.5, sul principio di onnicomprensività, in ragione del quale costituiscono materia
imponibile tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta,
anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro.
        Da ciò discende che:
        la retribuzione imponibile è costituita da tutti i compensi;
        sono tassabili non solo i redditi monetari, ma anche quelli in natura;
        la tassazione è collegata alla percezione, secondo il principio di cassa.

        Alcune deroghe al principio generale di onnicomprensività sono contenute nei commi
successivi dell'art. 51 del T.U.I.R., attraverso l'individuazione di una serie di ipotesi in cui la
rilevanza reddituale per il dipendente di determinate fattispecie risulta esclusa, in tutto o in parte.
Più in particolare, alcune iniziative di welfare aziendale non concorrono alla formazione del reddito
di lavoro dipendente, in quanto viene ad esse riconosciuto un particolare regime di favore fiscale,
derogando al principio dell'onnicomprensività a fini impositivi delle somme o valori erogati ai
dipendenti.
        Nel dettaglio, per quanto rileva ai fini del welfare aziendale, non concorrono a formare il
reddito ai sensi dell'art. 51 del T.U.I.R.:
        i contributi di assistenza sanitaria versati ad enti o casse per un importo non superiore a
        3.615,20 euro per anno (comma 2, lett. a);
        le somministrazioni di vitto in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite
        da terzi. Le prestazioni sostitutive di mensa (ticket restaurant) non concorrono sino
        all'importo complessivo giornaliero di 5,29 euro (comma 2, lett. c);
        le prestazioni di servizi di trasporto collettivo sostenute dall'azienda a favore della
        generalità o di categorie di dipendenti, anche se affidate a terzi ivi compresi gli esercenti
        servizi pubblici (comma 2, lett. d);
        l'utilizzazione delle opere e dei servizi di cui al comma 1 dell'art. 100 del T.U.I.R. da parte
        dei dipendenti e dei loro familiari (comma 2, lett. f);
        le somme, i servizi e le prestazioni erogati dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti
        o a categorie di dipendenti per la frequenza degli asili nido e di colonie climatiche da parte
        dei familiari nonché per borse di studio a favore dei medesimi familiari (comma 2, lett. f-
        bis);
        il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se complessivamente di importo non superiore
        nel periodo d'imposta 258,23 euro (comma 3);
        il valore convenzionale degli interessi in caso di concessione di prestiti ai dipendenti (pari al
        50% della differenza tra tasso ufficiale di sconto e tasso applicato).

4. EROGAZIONI DI UTILITÀ SOCIALE

         Le iniziative adottate dai datori di lavoro tendono, con sempre maggiore frequenza, ad
utilizzare le opportunità offerte dall'art. 51, comma 2, lett. f), del T.U.I.R. in combinato disposto con
l'art. 100, comma 1, del T.U.I.R., il quale legifera circa gli oneri di utilità sociale.
         Si tratta delle erogazioni di utilità sociale, e cioè dell'offerta ai dipendenti di opere o servizi
messi a disposizione dal datore di lavoro e che rispondono a finalità «meritevoli» di attenzione e
tutela.

5 Art. 51, comma 1, del T.U.I.R. (Determinazione del reddito di lavoro dipendente): «il reddito di lavoro dipendente è
costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di
erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d'imposta anche le somme e i
valori in genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d'imposta successivo a
quello cui si riferiscono».
                                                                                                                           8
Secondo il disposto dell'art. 51, comma 2, lett. f), del T.U.I.R. non concorre infatti a formare
il reddito di lavoro dipendente “l'utilizzazione delle opere e dei servizi di cui comma 1 dell'articolo
100 da parte dei dipendenti e dei soggetti indicati nell'articolo 12”.L'art. 100 del T.U.I.R. fa
riferimento alle spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti, o
categorie di dipendenti, volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione,
ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto.
         Tale norma riconosce in particolare la deducibilità dal reddito d'impresa, per un ammontare
complessivo non superiore al 5 per mille, dell'ammontare delle spese volontariamente sostenute
per le opere e servizi sopra citati. Occorre quindi verificare, alla luce delle interpretazioni fornite
dall'Amministrazione finanziaria, quando l'utilizzazione di predette opere e servizi da parte dei
dipendenti non costituisca per gli stessi reddito di lavoro. Diviene quindi fondamentale
comprendere se, in relazione ai benefit erogati, risulti applicabile o meno quanto prevede l'art. 100
del T.U.I.R.
         Tra le più frequenti tipologie di servizi di welfare aziendale offerte ai dipendenti - il cui
trattamento fiscale va in ogni caso verificato di volta in volta - vi sono quelle relative a:
         servizi per la salute: assistenza/cassa sanitaria personale/familiare, programmi di
         prevenzione, visite specialistiche, programmi di educazione alimentare;
         servizi di educazione, istruzione: rimborso libri scolastici, rimborso rette scolastiche, borse
         di studio, cessioni di strumenti per auto-istruzione, corsi per migliorare employability;
         servizi di assistenza alla famiglia e figli: centri estivi, doposcuola attrezzato/estivo, sostegno
         alla disabilità, orientamento al lavoro (figli);
         servizi di time utility: disbrigo pratiche amministrative, lavanderia, servizi di manutenzione
         abitazione;
         mobility: abbonamenti utilizzo mezzi pubblici, abbonamenti bike/car sharing, car pooling;
         servizi di assistenza sociale agli anziani: servizi di assistenza domiciliare, centri di
         aggregazione per la terza età, cura e assistenza anziani, badanti, contributo casa, sportello
         assistenza agli anziani;
         assistenza legale/finanziaria;
         famiglia/lavoro: baby sitting/asilo nido, congedi parentali, flessibilità orario di lavoro,
         telelavoro, job sharing;
         misure a sostegno del reddito: fondo di garanzia per la disoccupazione, integrazioni
         salariali di sostegno ai casi di indigenza familiare, integrazione del reddito in caso di cassa
         integrazione guadagni e mobilità, integrazione salariale nei casi di cessazione di contratti
         flessibili;
         sostenibilità ambientale: iniziative per il risparmio energetico, formazione su risparmio
         energetico, convenzioni.

5. PRASSI DELL'AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA

         I “valori” relativi all'utilizzazione da parte del lavoratore dipendente di beni e servizi messi a
disposizione dal datore di lavoro risultano, ai sensi dell'art. 51, comma 2, lett. f), del T.U.I.R.,
esclusi dalla formazione del reddito imponibile del lavoratore. Tale previsione deve tuttavia essere
letta in modo combinato con il disposto dell'art. 100, comma 1, del T.U.I.R., che disciplina il
trattamento fiscale, in capo all'impresa concedente, degli oneri di utilità sociale, fissando specifici
requisiti che tali spese devono soddisfare.
         Più nel dettaglio, ai fini dell'esclusione dalla formazione del reddito di lavoro dipendente,
devono ricorrere congiuntamente le seguenti condizioni:
         deve trattarsi di opere e servizi messi a disposizione della generalità dei dipendenti o di
         categorie di dipendenti;
         tali opere e servizi devono perseguire specifiche finalità di educazione, istruzione,
         ricreazione, assistenza sociale, sanitaria o culto;
         la spesa deve essere sostenuta volontariamente, e non in adempimento di un vincolo
         contrattuale.

                                                                                                          9
Al verificarsi delle condizioni indicate, l'utilizzazione di tali opere e servizi da parte del
dipendente non assume rilevanza reddituale per lo stesso.
        L'esclusione da tassazione opera anche se i servizi sono messi a disposizione dei
dipendenti tramite il ricorso a strutture esterne all'azienda. Nel caso in cui le strutture utilizzate non
siano di proprietà dell’azienda, il dipendente deve risultare estraneo al rapporto che intercorre tra il
datore di lavoro e l'effettivo prestatore del servizio, inoltre non deve risultare beneficiario dei
pagamenti effettuati dalla propria azienda.
        È quindi esclusa da tassazione solamente l'utilizzazione di opere e servizi da parte dei
dipendenti, mentre eventuali somme erogate dal datore di lavoro al dipendente, in relazione a tali
opere e servizi, andranno interamente sottoposte a tassazione.
        Successivamente, nel fornire risposte ai quesiti formulati in occasione del “Forum Lavoro”
del 17 marzo 2010, l'Agenzia delle Entrate, nel riconfermare le condizioni per l'applicabilità dell'art.
100, comma 1, del T.U.I.R. ha ulteriormente chiarito che:
        restano escluse dall'ambito applicativo della disposizione di esenzione le ipotesi di
        erogazione di somme, anche indirette, da parte del datore di lavoro, che possono
        consistere in rimborsi o anticipazioni di spese sostenute dal dipendente. Pertanto
        l'esenzione è riferibile unicamente alle erogazioni in natura e non si estende alle erogazioni
        sostitutive in denaro;
        gli oneri di utilità sociale che non concorrono alla formazione del reddito di lavoro
        dipendente, anche se corrisposti in denaro, sono espressamente previsti dall'art. 51,
        comma 2, lett. f-bis), e riguardano esclusivamente le somme erogate dal datore di lavoro
        alla generalità dei dipendenti, o a categorie di dipendenti, per frequenza di asili nido e di
        colonie climatiche da parte dei familiari, nonché per borse di studio a favore dei medesimi
        familiari.
        Per l'esclusione da imposizione di benefit consistenti nell'utilizzazione da parte del
    lavoratore dipendente di beni e servizi, messi a disposizione dal datore di lavoro, è necessario
    che sussistano i seguenti requisiti:
        utilizzo da parte di tutti i dipendenti o categorie di essi;
        erogazione volontaria da parte del datore di lavoro;
        specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o
        culto;
        esistenza di un rapporto contrattuale tra datore di lavoro e fornitore del servizio;
        acquisizione di opere o servizi in strutture dell'impresa o esterne ad essa, purché, in tal
        caso, il dipendente sia estraneo al rapporto tra la società e il prestatore del servizio e non
        percepisca pagamenti effettuati dalla propria azienda in relazione all'obiettivo di fornitura
        del servizio.

6. ANALISI COMPARATIVA DEL WELFARE AZIENDALE IN EUROPA

         L’analisi delle realizzazioni di progetti di welfare aziendale ci permette di studiare la
situazione, non solo dello stato dell’arte nelle aziende italiane e le innovazioni del nostro sistema
giuridico, ma anche le necessità socio-economiche dei lavoratori italiani che si traducono in
richieste da parte di questi ultimi alle azienda. A prescindere dal livello di protezione statale, non si
può non considerare che, in gran parte dei casi europei presi in esame, solo nella grande impresa
si realizza un equilibrio fra prestazioni private e prestazioni pubbliche.
         I sistemi di welfare privato in Europa fanno riferimento a due diverse impostazioni teoriche,
che variano da paese a paese, in quanto dipendenti dalle realtà socio-economiche, dalle relazioni
industriali, dal livello del sistema di sicurezza sociale pubblicistico6. Altro indice di forte distinzione
fra le tipologie di welfare privato applicabili dipendono dallo sviluppo e dalla capacità di azione di
contrattazione collettiva sia nazionale che decentrata e dalla capacità di liberazione del bisogno
socialmente individuato dal sistema di sicurezza sociale a livello pubblicistico7.

6 C. Aspalter,The development of ideal-typical welfare regime theory, in International Social Work, 2001.
7 Cit. T. Treu, IPSOA 2013.
                                                                                                            10
Un insieme omogeneo può essere considerato quello di paesi dell’area Bismarkiana e
Scandinava, dove l’elevato sistema di protezione sociale statale riduce gli spazi di manovra del
welfare aziendale. La contrattazione collettiva nazionale e/o decentrata infatti verte principalmente
a regolare aspetti gestionali e di flessibilità del lavoro.
        In contrapposizione a questo sistema chiamato scientificamente “welfare privato a bassa
incidenza” troviamo il “welfare ad alta incidenza”, tipico dei paesi in cui tagli e riduzioni alla spesa
pubblica negli anni hanno portato drastiche riduzioni di investimenti dello Stato nei sistemi sociali e
a una maggiore domanda di prestazioni integrative, non più garantite da parte di lavoratori e
sindacati. Questi sono paesi, come per esempio la Francia o l’Italia, dove la richiesta principale da
parte dei sindacati o dei lavoratori sono servizi come assistenza sanitaria, integrazioni
previdenziali, formazione professionale, tutela e supporto delle famiglie dei lavoratori.
        Mirando a una più performante comparazione è necessario analizzare il grado di
complementarietà dei servizi erogati, distinti in endo-aziendali ed eso-aziendali, dove per endo-
aziendali si intendono le politiche di welfare aziendale di una singola impresa riguardo ai propri
dipendenti, e per eso-aziendali invece la protezione sociale vincolata da contratti collettivi
nazionali, regionali o locali di singole categorie di lavoratori.
        Per le diversificazioni citate, in base alle contingenze specifiche e alle richieste dei
lavoratori, ogni stato europeo tende a rendere obbligatorie l’erogazione di determinati beni e
servizi, o a incentivarne l’attuazione con promozioni fiscali o contributive. Nella letteratura
scientifica di settore, per attuare un buon mix fra sicurezza sociale pubblica e privata, si consiglia
di prendere in esame:
         The type of social rights guaranteed, including systems of guaranteed minimum income
         (such as minimum wage, minimum state pensions, minimum levels of social assistance);
         The welfare mix applied;
         The specific emphasis of the role of the state, the market, the family and the individual;
         The degree of decommodification;
         The degree of stratification;
         The degree of individualization8.

       Un caso unico ed esemplare di welfare privato è quello dell’olandese “Levensloopregeling”,
chiamato anche fondo LCSS; basato sul principio del “peak hours of your life”, permette ai
lavoratori di accantonare parti del proprio stipendio per finanziare periodi di congedo/aspettativa.
Questo principio di “autodeterminazione del proprio tempo” permette al singolo dipendente di
scegliere, in ragione dell’età, della carriera professionale e con l’accordo con il datore di lavoro, il
periodo più opportuno per assentarsi dal lavoro per occuparsi della cura di figli o di genitori anziani,
di congedi formativi, di periodi di vacanza o addirittura periodi sabbatici.
Caratteristiche principali del fondo sono:
       Diritto garantito ai lavoratori subordinati con la predisposizione di strumenti idonei
       all’assicurazione dell’esercizio;
       Assenza di un obbligo di adesione al programma imposto dal contratto collettivo, e dunque
       l’esercizio individuale del diritto di adesione è rimesso alla libera scelta dell’individuo;
       Montante contributivo continuamente incrementato sino a un tetto massimo;
       Accumulo in capo al lavoratore di una posizione contributiva nel fondo LCSS, il quale è
       istituito presso un soggetto istituzionale diverso dal datore di lavoro coincidente con
       banche, imprese di assicurazione o fondi pensione9.

       Nel fondo LCSS è possibile versare fino al 12% del salario lordo annuo per un montante
contributivo del 210% realizzabile in diciassette anni e sei mesi. L’istituto non è applicabile nel
caso in cui siano in essere sospensioni dal lavoro già garantite per legge, per esempio maternità o
congedi parentali. Una volta utilizzato il fondo il lavoratore è libero di accantonare nuovamente
parte del suo salario o di non aderire più al progetto. È previsto anche un diritto di “portabilità”: in

8 Espring-Andersen, Social Fundations of Postindustrial Economies; Oxford, 1999.
9 L. Delsen, Does the Life Course Savings Scheme Have the potential to improve Work-Life Balance ?, British Journal of
Industrial Relations, 2010, pag 583-604.
                                                                                                                   11
caso di interruzione del rapporto lavorativo il fondo LCSS rimane al lavoratore e verrà ripreso
all’inizio della nuova carriera, o in caso di pensionamento i fondi accantonati saranno riversati in
una pensione complementare. Tutte le somme versate al Levensloopregeling sono esentasse e
l’unico costo è una tassazione forfettaria, al momento del congedo, di 200 € a carico del lavoratore
per ogni anno di accantonamento.
          Le adesioni al fondo LCSS però non sono state numerose: solo il 6% dei lavoratori ha
scelto di far parte del Levensloopregeling. Le caratteristiche del fondo e la congiuntura economica
poco favorevole hanno permesso solo a chi percepiva salari più alti di poter accantonare risorse10;
a ciò si aggiunge anche un’offerta più vantaggiosa ai fini pensionistici del Spaarloonregeling –
Salary Savings Scheme11 . Solo negli ultimi anni infatti il Fondo LCSS ha avuto un nuovo rilancio,
soprattutto grazie a giovani lavoratori e lavoratrici, più disposti dei propri predecessori a investire
risorse in un futuro “tempo libero”.
          In Francia invece, per andare incontro alle richieste dei lavoratori in materia di “peak hours
of your life”, è stato istituito il “Compte Èpargne Temps” (CET), un conto-ore che permette al
lavoratore di scegliere, a fronte di straordinari e/o ferie non godute, fra sospensione del lavoro o
liquidazione di una indennità.
Il contratto collettivo aziendale stabilisce:
          L’attribuzione unicamente al lavoratore del diritto di scelta fra sospensione del lavoro e
          indennità;
          Limiti e quantità possibili del conto ore;
          Modalità di gestione del CET;
          Modalità di liquidazione dell’importo;
          Durata delle sospensioni equivalenti12.

         In caso di interruzione del rapporto lavorativo, il dipendente potrà richiedere il trasferimento
della posizione finanziaria nella nuova azienda, qualora non richiedesse il trasferimento avrà
benefici contributivi e fiscali compresi nel proprio piano pensionistico. È da ricordare che
comunque il sistema contributivo fiscale francese incoraggia il lavoratore a mantenere la propria
posizione presso il CET.
         Parallelo al CET in Francia si può trovare un ulteriore interessante caso, l’OCIRP: uno
schema di welfare privato bilaterale volto al sostegno al reddito e alla formazione professionale.
Sotto il profilo giuridico, l’OCIRP è una istituzione paritetica di previdenza privata collettiva. Il punto
di forza dell’OCIRP è la sua versatilità e la sua applicabilità anche alle PMI, così da permettere
l’accesso a servizi di welfare privato già organizzati da istituzioni parietarie/bilaterali. I contratti
collettivi prevedono l’erogazione di servizi dell’OCIRP e creano un vincolo di adesione in capo al
datore di lavoro; sarà infatti la contrattazione (collettiva, decentrata, aziendale) a stabilire l’entità e
la fruibilità di questi servizi. Fra le prestazioni erogabili sono incluse l’assistenza sanitaria,
invalidità, indennità giornaliera per congedi parentali, sostegno al reddito per inoccupazione,
formazione professionale, piani di risparmio collettivi.

7. WELFARE PRIVATO OLTRE I CONFINI NAZIONALI: IL CASO GOOGLE

        Fuori da tutti gli schemi sopracitati è il caso di Google. La multinazionale statunitense ha
sviluppato un sistema di assistenza privata per i suoi dipendenti a livello transnazionale, istituendo
la figura del “Googler” che, in quanto dipendente di Google, gode degli stessi diritti e percepisce lo
stesso trattamento in qualunque sede dislocata nel mondo. Armonizzando le sue politiche di
welfare privato alle diverse legislazioni nazionali in materia, si viene a creare una specie di
“cittadinanza transnazionale” di cui i lavoratori godono.
        I pilastri di questa politica sono:
         “Stay healthy, save time”: oltre all’assistenza sanitaria di base, al Googler sono garantiti
         servizi aggiuntivi mirati a rendere il lavoratore “healthy and happy”. All’interno di ogni

10 Cit. L. Delsen, 2010
11 Cit. L. Delsen, 2010
12 L. Didelot, O. Barbe, Compete èpargne temps: la comptabilisation in Revue Française de comptabilitè, 2011.

                                                                                                                12
distaccamento sono presenti strumenti per rendere più felice e produttivo il dipendente e
        per incoraggiare uno stile di vita salutare, vengono offerti cibi e bevande biologiche di
        produzione locale;
         “Travel withoutworries”: assistenza completa per il Googler viaggiatore, qualora sia in
        pericolo o in situazioni di emergenza di vario tipo sono previsti aiuti e supporti ovunque si
        trovi;
        “More time with your baby”: sono previste prestazioni di welfare particolari in caso di
        nascita di figli di dipendenti come orari flessibili e particolare sostegno al reddito nelle prime
        quattro settimane;
        “Never stop learning”: l’azienda concede congedi ed eroga rimborsi spese per la
        formazione universitaria dei Googler (nel 2007 erano previsti 150 mila Dollari per un
        periodo non superiore ai cinque anni);
        “Legal aid for less”: mediante forme di mutualizzazioni il Googler riceve prestazioni legali e
        consulenze a costo ridotto.
    L’azienda propone verifiche dei propri schemi di welfare aziendale attraverso tre strumenti:
        un questionario riguardante i bisogni dei lavoratori (Googlegeist);
        dei Club dove i lavoratori si riuniscono e discutono dell’andamento dell’azienda (Grayglers);
         e-mail per saggiare continuamente il grado di soddisfazione dei dipendenti.

        Date queste premesse si può capire come le politiche di welfare aziendale di Google siano
legate a doppio filo con la strategia di gestione del personale. L’aspetto più significativo infatti è
che lo scambio fra prestazioni di welfare privato e modello di gestione del personale si traduce con
uno sviluppo del rapporto di fiducia fra i vari gruppi di lavoratori13.

8. WELFARE AZIENDALE NELLE PMI

        Le piccole e medie imprese occupano una posizione determinante nel tessuto economico
italiano. Si pensi che esse rappresentano il 99% delle aziende sul territorio e offrono lavoro all’81%
della forza lavoro. Il numero contenuto di forza lavoro, tipico di questo segmento industriale, può
rivelarsi un valore aggiunto, poiché permette di realizzare piani di welfare privato adatti alle
esigenze e ai bisogni dei singoli lavoratori. Al contrario nella grande impresa le iniziative di welfare
sono standardizzate e clusterizzate, viceversa nella PMI spesso si ricorre a piani di welfare
personalizzati, studiati per offrire risposte mirate alle crescenti domande individuali di servizi non
più offerti dal sistema di protezione sociale statale. Il sistema più adatto e più versatile sono
schemi di retribuzione che integrano o sostituiscono una quota della remunerazione con servizi per
il dipendente o per la sua famiglia (Flexible benefit). L’utilizzo di questi strumenti permette alle
imprese e ai dipendenti di ottenere considerevoli benefici: da un lato le aziende possono contare
su un esonero dei contributi previdenziali non previsti per quella quota di reddito trasformata in
benefit, dall’altro i dipendenti dispongono di un maggiore potere d’acquisto. I risultati che ne
derivano hanno un effetto positivo su:
        Clima aziendale;
        Performance dei dipendenti;
        Work life balance;
        Endorsement;
        Attrazione di talenti emergenti;
        Responsabilità sociale dell’impresa.

       Come ricorda la ricerca scientifica e confermano la maggioranza dei casi aziendali
analizzabili, è più facile per le grandi aziende applicare efficienti politiche di welfare privato. La
disponibilità di risorse maggiori e la necessità di sistemi organizzativi più strutturati, permettono e
obbligano le grandi aziende a maggiori investimenti nel welfare aziendale.

13 Center for Advanced Human Resource Studies, Building strong social connections increases innovation capability
(CAHRS ResearchLink No. 7). Ithaca, NY, Cornell University, ILR School, 2012, July.
                                                                                                                    13
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