Verifiche sismiche al tempo della sentenza n. 190/2018 della Cassazione: quando si può tenere aperta una scuola?

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Verifiche sismiche al tempo della sentenza n. 190/2018 della Cassazione:
quando si può tenere aperta una scuola?
di Antonio Borri1, Alessandro De Maria2 e Franco Gallori3
1
    Dipartimento di Ingegneria, Università degli Studi di Perugia
2
    Regione Umbria, Servizio Rischio Sismico
3
    Responsabile Settore Sismica, Regione Toscana

Introduzione

C’è uno spettro che si aggira per l’Italia, suscitando sgomento tra tecnici e responsabili della sicurezza sismica
delle scuole: è la sentenza n. 190/2018 della Corte di Cassazione penale, relativa alla scuola di Ribolla,
frazione del Comune di Roccastrada (GR).

In questa ridente località toscana, classificata come zona sismica 3, si trova infatti un edificio scolastico
sequestrato dalla magistratura e assurto – suo malgrado - agli onori delle cronache giudiziarie e tecniche
proprio a causa di tale sentenza.

Ciò che ha destato scalpore è stata l’apparente intransigenza dei giudici che, pur in assenza di un qualsiasi
danno, hanno visto come “violazione di una norma di sicurezza” una lieve carenza dell’ “indice di rischio”
(rapporto capacità/domanda) dell’edificio: 0,985 invece di quel valore, 1, che la magistratura evidentemente
ha ritenuto fosse assolutamente necessario per la sicurezza della scuola.

In realtà, come vedremo alla fine dell’articolo, i fatti non stanno proprio così, e la problematica è più
complessa e articolata. Vale però la pena di esaminare, anzitutto, alcuni aspetti di questa vicenda che
possono risultare di interesse generale.

L'edificio, che prima del sequestro accoglieva più di 200 alunni, era stato realizzato negli anni '40 come
dormitorio per i lavoratori delle miniere di lignite del territorio. Negli anni '60, a seguito della chiusura delle
miniere fu riconvertito a plesso scolastico, con lavori di ristrutturazione che comportarono la trasformazione
dei due corpi di fabbrica originari in un unico complesso rettangolare a due piani, con corte interna. Nel 2003-
2004 venne poi interessato da lavori di consolidamento e di sostituzione della copertura.

Nel 2013 il Comune commissionò ad un professionista le verifiche sismiche previste dall'Ordinanza
3274/2003. Il tecnico presentò una relazione, nella quale, tra le altre cose (di cui parleremo successivamente)
si diceva che il rapporto tra capacità e domanda per lo stato limite di collasso (SLC) era pari a 0,985. Questo
valore – come vedremo – è stato assunto come indicativo del livello della sicurezza sismica dell'edificio in
tutti gli atti della magistratura.

Si deve dire subito che né il PM né i giudici in questione si sono avvalsi di un consulente tecnico esperto in
materia. Questo, da un lato ci conforta, perché almeno non è stato un collega ad interpretare così
rigidamente tale (piccola) carenza, dall’altro spiega come mai, sia negli atti del PM, sia nelle sentenze, si faccia
riferimento a questa (impalpabile) differenza, invece che ad altri aspetti tecnicamente più significativi.

La vicenda giudiziaria

Nel 2017 un comitato locale composto da genitori degli studenti di quella scuola, ritenendo – sulla base della
relazione di cui sopra - che l’edificio non fosse sicuro, presentò un esposto alla Procura di Grosseto, ritenendo
troppo elevati i rischi derivanti dal mantenimento in attività del plesso scolastico. Il PM, a seguito
dell’esposto, ha indagato il sindaco, l'assessore competente ed il responsabile dell'ufficio tecnico per il reato
di cui all'art. 328 cpp (rifiuto di atti d'ufficio - omissione, per non aver chiuso la scuola) ed ha trasmesso gli
atti al GIP.

La vicenda giudiziaria si è poi sviluppata come segue:

- 31/03/2017: il tecnico comunale, con proprio parere, dichiara che, in relazione ai valori delle verifiche
sismiche della scuola, l'edificio ha un buon grado di sicurezza alle azioni sismiche, anche in assenza di
interventi;

- 12/4/2017: il GIP del tribunale di Grosseto, accoglie la richiesta del PM e dispone il sequestro preventivo
della scuola;

- 24/4/2017: il Comune di Roccastrada presenta ricorso al tribunale del riesame di Grosseto, finalizzato alla
revoca del provvedimento di sequestro;

- 26/4/2017: il tribunale del riesame di Grosseto accoglie le motivazioni a difesa del Comune (basate sulle
NTC 2008 e sulla circolare del Dipartimento della protezione civile del 4.11.2010) e dispone la revoca del
decreto di sequestro della scuola;

- 14/6/2017: il PM della Procura di Grosseto, contestando le motivazioni a difesa del Comune e ritenendo il
perdurare di una situazione di rischio, presenta ricorso alla Corte di Cassazione penale, per l'annullamento
dell'ordinanza del tribunale del riesame;

- 31/1/2018: la Corte di Cassazione penale, con sentenza n. 190/2018, accoglie il ricorso del PM e rinvia gli
atti, per un nuovo esame, al tribunale di Grosseto, sulla base delle seguenti considerazioni:

“Il rischio, apprezzato in chiave generale su tutto il territorio nazionale, classificato per zone con
indicazione, per ciascuna, della percentuale di esposizione all'evento sismico, si traduce nella
mappatura dell'intero patrimonio immobiliare con attribuzione alle singole costruzioni di un
indicatore del 'rischio di collasso', calcolato in ragione dell'esposizione al rischio sismico di zona.
La inosservanza della regola tecnica di edificazione proporzionata al rischio sismico di zona, anche
ove quest'ultimo si attesti su percentuali basse di verificabilità, integra pur sempre la violazione di
una norma di aggravamento del pericolo e come tale va indagata e rileva ai fini dell'applicabilità
del sequestro preventivo.”

Nella stessa data, il tribunale di Grosseto dispone il ripristino del sequestro preventivo della scuola.

A seguito del deposito delle motivazioni della nuova ordinanza del tribunale del riesame di Grosseto,
conseguente alla sentenza di Corte di Cassazione penale, il sindaco di Roccastrada ha fatto istanza di
dissequestro al GIP del tribunale di Grosseto, motivandola con le nuove disposizioni contenute nelle NTC 2018
(in particolare quelle di cui al § 8.3) in merito alla sicurezza sismica delle scuole esistenti.

Il PM, valutate le motivazioni, ha chiesto l’incidente probatorio; il GIP l'ha ammesso, nominando un CTU, che
ha iniziato i suoi lavori in data 20 marzo 2018….

Aspetti giuridici: una riflessione

Lo sviluppo del procedimento di sequestro – dissequestro dell’immobile si è sviluppato più velocemente del
procedimento penale ex art. 328 (rifiuto di atti d'ufficio – omissione) anche se, nella sostanza, l’esito del
secondo può condizionare il primo, proprio a partire dalla sua legittimazione. Infatti, la sentenza della Corte
di Cassazione penale non entra nel merito della sussistenza del reato di rifiuto/omissione d'atti d'ufficio (art.
328 cpp), contestato al sindaco di Roccastrada, ma sulle condizioni per il sequestro del bene che si trovi in
relazione di pertinenzialità con l'asserito reato.
Al momento, il procedimento penale per il reato di cui all'art. 328 cpp risulta ancora pendente e, in caso di
assoluzione del sindaco, verrebbe evidentemente meno anche il reato, presupposto per il sequestro. La
giurisprudenza della Corte di Cassazione afferma infatti che è preclusa, in sede di verifica della legittimità del
provvedimento di sequestro preventivo di beni, ogni valutazione sulla sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza a carico degli indagati e sulla gravità degli stessi (Sez. 5, n. 18078 del 26/01/2010, De Stefani,
Rv. 247134; Sez. 2, n. 5656 del 28/01/2014, PM in proc. Zagarrio, Rv. 258279).

Nella sostanza, in sede di sequestro non è necessario valutare la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza,
essendo sufficiente che sussista il "fumus commissi delicti", vale a dire l’astratta riconducibilità ad una
fattispecie di reato.

Non è scontato che il processo a carico del sindaco accerti tale sussistenza, e se così fosse verrebbe meno il
presupposto di legittimità del sequestro dell’immobile.

Dunque, in tal caso, tanto rumore per nulla? Comunque sia, la vicenda ha aperto una discussione su un tema
importante e di interesse generale.

Osservazione 1 - La “giurisprudenza creativa”: in mancanza di norme esplicite, PM e giudici “interpretano”
…

Come detto, né il PM né il GIP si sono avvalsi di un consulente tecnico (solo dopo la sentenza della Cassazione
è stato nominato un CTU) ed hanno stabilito, in maniera del tutto autonoma, che il raggiungimento del valore
“1” di quell’ “indice di rischio” (rapporto capacità/domanda) fosse il criterio per definire l’edificio “sicuro” o
meno, a prescindere dal giudizio formulato dal tecnico comunale (inquisito anche lui) che ne asseverava la
sicurezza.

Le norme vigenti prima del 22 marzo 2018 (data di entrata in vigore delle NTC 2018, di cui parleremo più
avanti) stabilivano che il rapporto capacità/domanda dovesse essere maggiore o eguale a 1 solo per le nuove
costruzioni, senza nulla dire, a tale proposito, per le costruzioni esistenti.

Evidentemente, mancando indicazioni esplicite, PM e giudici hanno “interpretato” la norma, stabilendo che
tale parametro (visto come se fosse un coefficiente di sicurezza) dovesse essere pari ad 1 anche per la scuola
in questione.

D’altra parte, nel pensare comune (cui i giudici fanno riferimento) un coefficiente di sicurezza deve essere al
100%, e se stiamo al di sotto del 100% (visto come la “garanzia della sicurezza”) non va bene.

Noi tecnici sappiamo che quel rapporto non è un coefficiente di sicurezza, ma indica solo quale percentuale
della domanda sismica di quel sito è “coperta” dalla capacità dell’edificio in esame. Sappiamo anche che la
domanda sismica è un valore definito in modo convenzionale (è l’accelerazione che ha certa probabilità di
essere superata in un dato periodo di tempo) e che tale valore viene individuato mediante metodi
probabilistici e perciò ha in sé, inevitabilmente, una consistente aleatorietà.

Le NTC 2008 (ed anche le NTC 2018) ci dicono di assumere, come accelerazione di riferimento per la
progettazione allo SLV di una scuola nuova, quel valore che ha probabilità 90% di non essere superato nel
periodo di riferimento pari a 75 anni. I colleghi sismologi, sulla base di modelli probabilistici poissoniani, ci
hanno fornito (e sono riportati nella normativa) i valori di tali accelerazioni, ma bisogna ricordare che le teorie
utilizzate si basano su osservazioni statistiche (storie sismiche) temporalmente molto limitate, e di ciò ne
risente in modo significativo l’attendibilità dei risultati. In ogni caso, poi, resta comunque “scoperto” quel
10% di probabilità di superamento, ovvero si ammette che comunque, in quel sito, possano avvenire sismi
con accelerazione più elevata, per i quali lo SLV non sarebbe soddisfatto.
Per quanto prima detto, a noi tecnici risulta chiaro che la parola “sicurezza”, in ambito sismico, ha un
significato puramente probabilistico e progettiamo consapevoli di questa aleatorietà, assumendoci i rischi
connessi. Rischi che in realtà sono abbastanza limitati, almeno fino a che si tratta di accettare che la nostra
scuola possa avere problemi (cioè non soddisfi lo SLV) per accelerazioni di picco che hanno (solo) il 10% di
probabilità di avvenire in un arco temporale consistente (75 anni). In questi casi, infatti, la differenza tra
“probabilità di resistere” e “sicurezza” è esigua, perchè la probabilità annua di superamento (0,1/75 = 1,33
per mille) è piuttosto bassa.

Problemi (e rischi) molto più rilevanti possono nascere quando si pensa di poter utilizzare questi modelli
probabilistici anche su periodi temporali brevi, perché in questi casi la probabilità annua può risultare molto
(troppo) elevata.

Su questo punto occorre riflettere, in particolare quando si seguono metodi proposti in alcuni documenti
tecnici non cogenti [1][2][3] nei quali si dice che le costruzioni esistenti, come scuole, ospedali ed altro, anche
se hanno capacità molto inferiori alla domanda possono essere considerate “sicure” come quelle nuove
(perfettamente a norma) differenziando solo il periodo di validità delle verifiche.

Il metodo (o meglio, il “trucco”) suggerito si basa sul fatto che, se si mantiene fisso quel 10% di probabilità di
superamento, ma si riduce il periodo di riferimento, automaticamente diminuisce la domanda sismica con la
quale ci dobbiamo confrontare. Così, se per una scuola nuova la verifica vale per un periodo di 75 anni (e
quindi per la domanda sismica probabilisticamente correlata a quel periodo temporale) per una scuola
esistente (con carenze più o meno gravi) basta ridurre il periodo di riferimento (e con esso il periodo di
validità della verifica) fino a che l’accelerazione di riferimento (di tale periodo) non diventa talmente piccola
da soddisfare le verifiche della struttura in esame.

Dire che, in questi casi, si hanno gli stessi livelli di sicurezza di un edificio a norma appare, francamente, un
po’ azzardato. È infatti evidente l’artificiosità di questo modo di ragionare [4], visto che in tale approccio si
trascurano completamente le differenze nelle probabilità annue di superamento: una cosa è il 10% in 75 anni
(scuola a norma), ben altra cosa è quello stesso 10% di probabilità concentrato, ad esempio, in pochissimi
anni!

Si può arrivare così a certificare come “sicure” - seppure per periodi di tempo ridotti - costruzioni che hanno
scarsissime capacità di superare sismi anche modesti (che, ricordiamolo, possono avvenire in qualsiasi
momento, non essendo essi così attenti e scrupolosi nel seguire le teorie probabilistiche e le circolari
ministeriali …).

Alcuni dei documenti tecnici prima citati (e, per quanto è dato sapere, anche la bozza della Circolare
esplicativa delle NTC 2018), nel suggerire questo approccio probabilistico attribuiscono al periodo di
riferimento ridotto il significato di “tempo entro il quale deve essere attuato l’intervento”, che appare così
come la data di scadenza di una garanzia. Al termine di quel periodo, l’intervento sarà necessario, anzi
obbligatorio, ma il corollario è che, quasi certamente, per tutto quel periodo l’intervento verrà procrastinato.
Del tutto incerto, invece, è il fatto che il sisma sia così paziente da aspettare la scadenza indicata ...

Qui la domanda sorge spontanea: su chi grava la responsabilità per quanto può accadere, in quel periodo, a
quell’edificio di manifesta vulnerabilità? La risposta è ovvia: su chi ha dichiarato (confidando sulla teoria
poissoniana delle probabilità di occorrenza dei sismi) che per N anni l’intervento può essere rimandato (con
ciò considerando – implicitamente - che quell’edificio sia sicuro almeno per quel periodo).

Il punto di vista della magistratura sulla probabilità degli eventi sismici appare – a giudicare dalle sentenze
già passate in giudicato - molto diverso da quanto detto sopra: se si è una zona sismica, il sisma va considerato
come possibile in qualsiasi momento, e se qualcuno ha dichiarato che un certo edificio, in una determinata
zona, è sicuro (o anche solo che l’intervento su di esso può essere rimandato per un certo periodo) se ne
assume lui, personalmente, tutta la responsabilità. Anche perché, come detto, nessuno dei documenti
[1][2][3] che suggeriscono questo approccio è cogente, e quindi seguirli o meno è solo una nostra scelta.

Osservazione 2 - Prevedibilità dei terremoti, PM e giudici la vedono così

Su questo tema, una lettura particolarmente interessante è quella dell’e-book di Raffaele Guariniello:
“Terremoti: obblighi e responsabilità. Gli insegnamenti della Cassazione” [5].

Le sentenze citate (e commentate) in questo libro esprimono più volte il concetto che in zona sismica - anche
debolmente sismica - il sisma non può essere considerato come un evento eccezionale ed imprevedibile, ma
va considerato come una “normale vicenda del suolo”.

Dire che un evento è “prevedibile” comporta, evidentemente, delle responsabilità a prescindere dal fattore
“tempo”. In altri termini, se in un determinato sito l’evento è “prevedibile”, occorre tenerne conto e
comportarsi di conseguenza; bisogna usare tutte le opportune cautele, pensando che tale evento potrebbe
avvenire in qualsiasi momento ed evitando di far dipendere la vita di chi occupa quell’edificio da una
valutazione probabilistica (sui tempi di arrivo del sisma) di limitata attendibilità.

Ad esempio, nella sentenza (Cass. 1° luglio 2010, n. 24732) riferita al crollo della scuola di San Giuliano di
Puglia, si legge: “i terremoti di massima intensità sono eventi che, anche ove si propongano con scadenze che
eccedono una memoria rapportata alla durata di molte generazioni umane, rientrano nelle normali vicende
del suolo, e, certamente, non possono essere qualificati eccezionali o imprevedibili quando si verifichino in
zone già qualificate ad elevato rischio sismico o in zone formalmente qualificate come sismiche”

Nella sentenza (Cass. 24 marzo 2016, n. 12478) relativa al sisma all’Aquila, si conferma quanto sopra: “Già da
tempo la giurisprudenza di questa corte ha chiarito come i terremoti, anche di rilevante intensità, siano da
considerare alla stregua di eventi rientranti tra le normali vicende del suolo, e non possano essere giudicati
come accadimenti eccezionali e imprevedibili quando si verifichino in zone già qualificate ad elevato rischio
sismico, o comunque formalmente classificate come sismiche”.

Già nella sentenza (Cass. 18 dicembre 1990, n. 17492) riferita al caso di un crollo a Nocera Inferiore, si
stabiliva chiaramente che chi si occupa di tali edifici deve considerare come possibile – in un qualsiasi
momento - l’eventualità di un forte terremoto:
“In breve, si tratta di eventi con i quali i professionisti competenti sono chiamati a confrontarsi senza poterne
addurre fondatamente la relativa scientifica imprevedibilità”.

Risulta evidente il differente approccio dei giudici delle sentenze della Cassazione (che fanno giurisprudenza)
rispetto a quanto suggerito dai documenti tecnici prima citati. Si può solo ripetere che tali documenti non
hanno alcuna cogenza, e quindi, l’assumerli come validi o meno è una libera scelta del tecnico (che se ne
assume tutta la responsabilità).

Riassumendo: per la Giustizia, se ci troviamo in zona sismica dobbiamo comportarci come se il sisma potesse
avvenire in qualsiasi momento.

Osservazione 3: l’inadeguatezza sismica è motivo di azione penale anche in assenza di danni

Quella seppur lievissima carenza (0,985 invece di 1) per la scuola di Ribolla sembra sia stata ritenuta
inaccettabile sia dal Giudice del tribunale di Grosseto, sia dalla Corte di Cassazione, da cui il sequestro della
scuola e l’azione penale nei confronti di coloro (sindaco, assessore e tecnico comunale) che non ne avevano
disposto la chiusura cautelativa.

Come detto, la vicenda giudiziaria non si è conclusa; altri giudici se ne occuperanno e, coadiuvati da un
consulente tecnico (finalmente!) stabiliranno se quella scuola abbia effettivamente dei problemi.
Ma al di là del caso specifico, la sentenza della Corte di Cassazione penale introduce una serie di interrogativi
ed apre alcuni problemi di carattere generale su una tematica - quella della sicurezza sismica degli edifici
pubblici - che dal punto di vista giuridico non appare ben definita, con le comprensibili preoccupazioni per i
tecnici verificatori e per i proprietari o i gestori di tali edifici.

In primo luogo, è significativo il fatto che la scuola in questione è stata oggetto di tutta questa vicenda
giudiziaria pur in totale assenza di danni, di crolli o di sismi. Qui, semplicemente, c’è stato un esposto di un
gruppo di cittadini, i quali, vista la relazione del tecnico che ha effettuato le verifiche sismiche, hanno detto:
“secondo noi non è sicura e quindi va chiusa”. Ci troviamo dunque in un caso ben diverso dalle vicende
giudiziarie che hanno riguardato edifici danneggiati o crollati in occasione di terremoti, oppure edifici crollati
per inadeguatezza nei confronti delle azioni statiche in conseguenza di vizi progettuali od esecutivi.

Ma come ci ricorda la Corte di Cassazione penale nelle motivazioni della sentenza in questione, per un
provvedimento di sequestro preventivo “non è richiesta la presenza di gravi indizi di colpevolezza, ma è
sufficiente la semplice enunciazione di una ipotesi di reato”. Inoltre, il secondo presupposto legittimante del
sequestro preventivo, il c.d. “periculum in mora” deve essere inteso come “concreta possibilità che il bene
assuma carattere strumentale rispetto all’aggravamento o alla protrazione delle conseguenze del reato
ipotizzato o alla agevolazione della commissione di altri reati”. “Nel caso in esame il requisito in questione
deve ritenersi sussistente, poiché mantenere in funzione un edificio scolastico non adeguato sismicamente, in
violazione della normativa di settore, determina una situazione di oggettivo e concreto pericolo per
l’incolumità di alunni, personale docente e di tutti gli altri soggetti che, per ragioni di lavoro o per altri motivi,
vi trascorrono periodi più o meni lunghi della giornata”.

Ci sono dei punti sui quali ci sarebbe molto da dire, ma, la cosa più rilevante che emerge da queste frasi è
che basta l’ipotesi che l’edificio non sia sicuro (qui – in apparenza - è bastata quella piccolissima differenza
tra 0,985 e 1) perché se ne disponga il sequestro, visto che mantenerlo disponibile potrebbe dar luogo ad
altri (gravi) reati.

Il problema è che in una situazione simile a quella della scuola di Ribolla (rapporto capacità/domanda
inferiore ad 1) si trovano migliaia e migliaia di scuole in Italia e perciò viene da chiedersi cosa debbano fare
gestori ed amministratori di questi edifici pubblici, come anche i tecnici verificatori.

Quand’è che si può tenere aperta una scuola (o un qualsiasi altro edificio pubblico)?

Forse PM e giudici del caso della scuola di Ribolla hanno sbagliato (con tutto il rispetto) a prendere quello
0,985 come parametro rappresentativo della sicurezza per la scuola, e se quello fosse veramente l’indice di
rischio saremmo in presenza di una delle scuole più sicure d’Italia (ne parleremo però alla fine dell’articolo),
Questa sentenza ci consente comunque di comprendere l’attenzione e l’importanza che in sede giudiziaria
può essere data ai valori numerici degli indicatori di sicurezza, che evidentemente travalica la loro
convenzionalità ed aleatorietà.

Qui, pur non essendo scritto su nessuna norma che il rapporto capacità/domanda per gli edifici esistenti
debba essere maggiore o eguale a 1, PM e giudici hanno comunque considerato quel valore come una linea
rossa invalicabile: qualunque numero al di sotto di 1, fosse anche 0,99999, non va bene.

Ovviamente, un giudice, ove assistito da un CTU, può comprendere il senso e la convenzionalità di tali
parametri e quindi, caso per caso, può prendere la decisione più opportuna. Resta però il fatto che qualsiasi
PM può ritenere una qualsiasi (anche minima) differenza numerica rispetto al valore di riferimento (ove
esistente) motivazione più che sufficiente per indagini, richieste di sequestro e rinvii a giudizio, innescando
procedimenti che poi magari finiscono nel nulla, ma innescano problematiche non irrilevanti (e procurano,
talvolta, ferite profonde) in chi li subisce.
Si potrebbe provare a ricordare quanto scritto nella (già citata) circolare DPC del 4.11.2010 [1], ribadito in un
parere del Comitato Tecnico Scientifico della Regione Emilia Romagna del 2010 [3] e riaffermato nella
Circolare esplicativa n. 617 del 2009: sussiste l'obbligo di intervenire nel caso di carenza per carichi verticali,
mentre per le azioni sismiche “non si può pensare di imporre l’obbligatorietà dell’intervento o del
cambiamento di destinazione d’uso o, addirittura, la messa fuori servizio dell’opera, non appena se ne
riscontri l’inadeguatezza”.

In tutti questi documenti nulla viene detto circa la messa fuori servizio per le costruzioni che manifestino
carenza per azioni sismiche, salvo tracciare un percorso di gestione dell'uso di immobili non sicuri nei
confronti di tali azioni. Valga per tutti quanto riportato nella Circolare n. 617 del 2009, sostanzialmente
ripreso (per quanto è dato di sapere) nella bozza della Circolare esplicativa delle nuove NTC 2018:

“… più complessa è la situazione che si determina nel momento in cui si manifesti l’inadeguatezza di un’opera
rispetto alle azioni ambientali, non controllabili dall’uomo e soggette ad ampia variabilità nel tempo ed
incertezza nella loro determinazione. Per le problematiche connesse, non si può pensare di imporre
l’obbligatorietà dell’intervento o del cambiamento di destinazione d’uso o, addirittura, la messa fuori servizio
dell’opera, non appena se ne riscontri l’inadeguatezza. Le decisioni da adottare dovranno necessariamente
essere calibrate sulle singole situazioni (in relazione alla gravità dell’inadeguatezza, alle conseguenze, alle
disponibilità economiche e alle implicazioni in termini di pubblica incolumità). Saranno i proprietari o i
gestori delle singole opere, siano essi enti pubblici o privati o singoli cittadini, a definire il provvedimento più
idoneo, eventualmente individuando uno o più livelli delle azioni, commisurati alla vita nominale restante e
alla classe d’uso, rispetto ai quali si rende necessario effettuare l’intervento di incremento della sicurezza
entro un tempo prestabilito”.

Quanto detto, però non ha validità di legge, ed infatti questi documenti, citati dal Comune di Roccastrada nel
suo ricorso, non sono stati minimamente considerati dai giudici, ed il PM li ha liquidati in due righe: “quanto
alla circolare della Protezione civile del 2010 appare evidente che non può derogare alla normativa
antisismica”.

Di questo conviene ricordarsi: le circolari – di qualsiasi tipo - sono un atto normativo “debole”, e i progettisti,
i valutatori di sicurezza e i dipendenti pubblici che esercitano il controllo o la gestione di tali edifici non
possono giustificarsi appellandosi ad esse, perché non hanno carattere di cogenza.

(Nota: quante volte, fra noi tecnici, ci siamo detti: “ho seguito la circolare, quindi senz’altro andrà bene così!”.
La realtà è che se succede qualcosa - o anche se non succede niente: basta un esposto! - tale circolare non
vale gran che, come “difesa”, di fronte ai magistrati).

E allora torniamo alla domanda: quando è che si può tenere aperto un edificio scolastico (o qualsiasi altro
edificio pubblico) senza dover temere conseguenze giudiziarie? Da quanto si potrebbe desumere dalla
sentenza della Cassazione n. 190/2018, si può tenere aperto solo se il rapporto capacità/domanda è pari o
superiore ad 1. Ma se fosse così dovremmo chiudere quasi tutte (se non tutte) le scuole esistenti in Italia!

Qualche schiarita è stata portata dall’uscita delle nuove NTC.

Cosa cambia con le nuove NTC 2018?

Con le nuove NTC (legge dello Stato e non semplice circolare!) si compie un significativo passo in avanti,
perché lì si afferma esplicitamente che a seguito di interventi di miglioramento il rapporto capacità/domanda
(adesso indicato con il simbolo E) può essere, per gli edifici esistenti, minore di 1, e si stabilisce che (sempre
nel caso di interventi di miglioramento) per gli edifici scolastici e per gli edifici strategici si deve raggiungere,
quanto meno, un coefficiente E pari a 0.6.
Certo, resta il dubbio se quanto sopra valga anche nel caso di verifica sismica pura e semplice e non solo per
gli interventi di miglioramento. Potrebbe sembrare una pignoleria da azzeccagarbugli, ma è pur vero che si
tratta di due casi abbastanza diversi dal punto di vista della conoscenza che il tecnico può acquisire. Ma
ipotizziamo che sia la stessa cosa e domandiamoci: se una scuola, in una verifica, avesse questo livello siamo
a posto?

Certo, 0,6 non è poco, e in generale corrisponde a situazioni strutturali più che accettabili. Ciò non significa
però che, automaticamente, se E è uguale a 0.6 l’edificio può essere certificato come sicuro. Ove servisse,
ce lo ricorda quella frase che sembra sia contenuta nella bozza della emananda circolare esplicativa, laddove
si afferma che, almeno per gli edifici strategici, “il raggiungimento del valore minimo” (quello 0,6) “non
costituisce, di per sé, fattore sufficiente per validarne l’uso”.

(Nota: una frase così, in caso di problemi, dimostra che quello 0,6 non ci autorizzava a considerare sicuro
quell’edificio. Per la serie: le circolari non valgono per difenderci, ma in senso negativo possono funzionare
molto bene …).

In ogni caso, il problema più rilevante è che molti edifici pubblici strategici e molte scuole sono ben lontani
da quel valore 0,6, e raggiungerlo mediante interventi richiede risorse che spesso non ci sono.

In questi casi, che devono fare i responsabili di tali strutture ed i tecnici per evitare di essere esposti ad azioni
penali e civili?

Certo non è accettabile la politica dello struzzo, talvolta adottata da proprietari e gestori: se non sono state
ancora fatte le verifiche sismiche, queste vengono rimandate, evitando così di venire a conoscenza di quale
sia la situazione attuale e, da qui, l’eventuale conseguenza di dover chiudere quelle strutture (o prendersi la
responsabilità di tenerle aperte).

Però, non va bene neppure che, fatte le verifiche, ogni responsabilità venga scaricata sui singoli (proprietari,
gestori, tecnici); la mancanza di chiari riferimenti normativi, giuridicamente validi, sui livelli di sicurezza
sismica che devono sussistere per l’utilizzo degli edifici pubblici espone a rischi elevati queste persone, che
da sole non possono risolvere i problemi legati alla mancanza di fondi da parte delle Amministrazioni
pubbliche.

Bisognerebbe che almeno una parte di responsabilità venisse assunta dallo Stato, ad esempio attraverso una
indicazione normativa esplicita (una legge, e non una semplice circolare!) che indichi quale è il valore minimo
dell’indice E che consente di tenere aperti gli edifici pubblici senza doverne rispondere a livello personale.
Poi, si può ragionare su quale sia il valore più corretto del minimo indice ammissibile, se sia meglio fare
riferimento a singoli valori oppure a classi (tipo sisma bonus); si può ragionare sul fatto che sia più o meno
opportuno differenziare valori o classi in funzione delle zone sismiche, delle classi d’uso e delle funzioni svolte
dentro gli edifici.

Andrebbe bene anche una disposizione che desse valore legale a quel parametro “tempo dell’intervento” (e
quindi anche a quella gradualità nella attuazione degli interventi) stabilendo che la responsabilità di quello
che può avvenire in tale periodo non ricade sul tecnico che ha fatto la valutazione di sicurezza.

In ogni caso, appare più che opportuno un atto normativo che delinei in modo preciso le responsabilità,
sgombrando il campo dagli equivoci e dalle incertezze in cui oggi ci troviamo.

Il DPR 380, in fase di revisione, è certamente il testo dove tale concetto potrebbe essere espresso e chiarito
con maggior efficacia. In attesa di ciò, sarebbe auspicabile che qualche indicazione venisse dal Consiglio
Superiore dei Lavori Pubblici.
E la scuola di Ribolla?

Vogliamo concludere riprendendo il caso da cui siamo partiti, ovvero la vicenda della scuola sequestrata pur
avendo quel rapporto capacità/domanda pari a 0,985.

In realtà, leggendo gli atti, ci si accorge che il problema non risiede tanto (o comunque non solo) in quella
lievissima differenza tra 0,985 e 1, anche se PM e giudici hanno assunto proprio quel valore a riferimento per
stabilire la “violazione della norma”.

Quello 0,985 è il valore del rapporto capacità/domanda per lo stato limite di collasso (SLC), mentre per lo
stato limite di salvaguardia della vita (SLV) il valore riportato nella relazione del verificatore è pari a 0,441.
Avendo entrambi questi indici, è evidente che conta quello inferiore (0,441) che, pur non essendo tra i “più
peggiori” che si possono trovare per le scuole in Italia, comunque è ben diverso da 0,985 (e con questo valore
tutta la vicenda avrebbe sicuramente fatto meno scalpore).

Ma ciò che ha condizionato tutta la vicenda non è questo 0,441 (che è stato del tutto ignorato da PM e giudici)
quanto quello che il tecnico verificatore ha scritto nella sua relazione: “i risultati delle elaborazioni effettuate
evidenziano che la struttura ha una buona resistenza ai soli carichi statici, ma presenta delle criticità relative
alle azioni sismiche. Infatti, è stato rilevato che l'applicazione del sisma di progetto dettato dalle Norme, porta
al superamento delle caratteristiche di resistenza di diversi maschi murari, soprattutto quelli in direzione
trasversale (est ovest) e quelli in prossimità della parte seminterrata dell'edificio. Inoltre, dalla analisi
dinamiche eseguite emerge che la struttura ha delle buone risorse in termini di deformabilità e ridondanza
delle strutture portanti che riducono le possibilità di crollo totale del fabbricato, ma che poco influenzano
situazioni locali di cedimenti e crolli parziali dei paramenti murari in caso di sisma. Data la vulnerabilità
propria dei materiali costituenti l'edificio, risulta anche presente la possibilità di danneggiamento della
struttura a seguito di fenomeni sismici di minor intensità”.

Questi concetti sono ribaditi nel certificato di idoneità statica (sempre del 2013) dove si specifica che: “le
opere in oggetto sono strutturalmente idonee a sopportare le azioni verticali di esercizio, in relazione alla
destinazione d'uso dell'edificio (scuola pubblica), ovvero in condizioni statiche: mentre in conseguenza alle
possibili sollecitazioni derivanti dall'azione sismica di riferimento normativo, queste appaino carenti sia dal
punto di vista del comportamento reale (si sono valutate possibilità di cedimenti e crolli seppur localizzati) sia
da punto di vista della rispondenza ai criteri realizzativi specifici prescritti dalla norma (fondazioni, cordoli,
solette, ecc.) quindi non risultano sismicamente idonee (condizione dinamica), fatte salve le due scale di
sicurezza esterna in c.a. autonome rispetto al corpo principale”.

Leggendo quanto sopra, si può supporre che, al di là dei numeri, siano stati questi giudizi formulati dal tecnico
verificatore ad avere un ruolo sostanziale nella vicenda, determinando l’azione dei genitori prima e le
decisioni dei giudici poi.

Stabilire quale sia la situazione di quella scuola è adesso compito del CTU e dei giudici che si stanno
interessando del caso, che comunque è servito per portare all’attenzione di noi tutti un problema importante,
di carattere generale e di non facile soluzione.

Riferimenti bibliografici
[1] Circolare del Dipartimento della Protezione Civile n. DPC/SISM/0083283 del 04/11/2010: “Chiarimenti sulla gestione
delle verifiche sismiche condotte in ottemperanza all’art. 2 comma 3 dell’OPCM n. 3274 del 23/3/2003”, 2010.
[2] Parere del Comitato Tecnico Scientifico della Regione Emilia Romagna – Seduta del 27/07/2010.
[3] Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 febbraio 2011: “Valutazione e riduzione del rischio sismico del
patrimonio culturale con riferimento alle NTC di cui al DM 2008”; G.U. n. 47 del 26/02/2011 – Suppl. n. 54.
[4] A. Borri e A. De Maria: “Vita nominale ridotta: sicurezza e responsabilità”. Structural, Ed. De Lettera, n. 193, 2015.
[5] R. Guariniello: “Terremoti: obblighi e responsabilità. Gli insegnamenti della Cassazione”. Ed. Wolters Kluwer Italia,
2016.
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