Il 2020. Intervista a Massimo Petrucci.

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Il 2020. Intervista a Massimo Petrucci.
Una nuova era del marketing: come riparte
il 2020. Intervista a Massimo Petrucci.
Il 2020 segna l’ingresso di un nuovo decennio e nell’aria si respira una voglia di cambiamento
diversa da quella che abbiamo visto fino ad oggi. Si parla sempre più di etica nel mondo del
marketing, di persone e di bisogni reali, di autenticità.

Il post-digitale è qui e ora.
Ci troviamo in un’era post-digitale dove è scontato che le aziende e le persone abbiamo adottato
strumenti e abitudini connessi al mondo del web e della tecnologia, un’era dove bisogna fare un
passo ulteriore ed essere protagonisti del proprio destino.

Tutto questo emerge in modo evidente dal report Accenture Technology Vision 2019 che detta i
trend dei prossimi 3-5 anni. Il focus di questa edizione è proprio l’era post-digitale che segna il
passo verso un cambio di paradigma: essere digitali, adottare le tecnologie, vivere il web, non è più
un tratto di differenziazione, non è più il vostro vantaggio competitivo, è la base da cui partire.

Le tendenze evidenziate dal report sono 5:
■   DARQ, acronimo che indica Distributed Ledger, Artificial Intelligence, Extended Reality e
    Quantum Computing. Guideranno la trasformazione di interi settori e saranno il volano
    dell’innovazione futura, rappresentano il prossimo set di tecnologie che ogni azienda dovrà
    padroneggiare.
■   GET TO KNOW ME, identificare l’unicità dei consumatori e cogliere nuove opportunità. Imparare
    a cogliere le nuove opportunità di mercato offerte da un’identità digitale in continua evoluzione,
    pensando a livello di persona non di mero consumatore;
■   HUMAN + WORKER, trasformare l’ambiente di lavoro e valorizzare le persone. La tecnologia sta
    cambiando le mutate modalità di lavoro e di interazione uomo-macchina, le persone stanno
    acquisendo nuove competenze grazie alle macchine e questo cambiamento va gestito e supportato;
■   SECURE US TO SECURE ME, uno dei fattori più sentiti è la sicurezza e le aziende ne sono
    responsabili;
■   MY MARKETS, soddisfare le esigenze dei consumatori in tempo reale. La tecnologia sta creando
    esperienze fortemente personalizzate e on demand.

           Scopri il nuovo numero > Il futuro è aperto
In questa era post-digitale, si sente il bisogno di tornare ad essere umani, di riscoprire i valori come
la fiducia, la sicurezza legata soprattutto alla privacy, perché le persone contano in quanto singoli
individui e non aggregati di massa.
Il nuovo fattore critico di successo e vantaggio competitivo è il purpose, inteso come insieme di
valori, storia e scopi che mettono al centro la persona, non il consumatore. Il nuovo modo in cui le
aziende vogliono iniziare a relazionarsi con gli utenti, il nuovo modo in cui gli utenti pretendono di
essere coinvolti dalle aziende.

In questo contesto vediamo come i contenuti siano sempre più forti e importanti per brand e
customer, sono il vero tesoro di ogni azienda.
Il 2020. Intervista a Massimo Petrucci.
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ci, fondatore e CEO di 667 agency

Intervistiamo Massimo Petrucci, fondatore e CEO di 667 agency, per parlare proprio di questo
2020, delle sue tendenze e di come i marketer contemporanei devono muoversi in questo nuovo
decennio.

D. Buongiorno Massimo, lei è conosciuto come uno dei primi 100 professionisti al mondo
su Lead Generation e Copywriting, qual è il suo segreto?

R. Il segreto è che non esiste nessun segreto. La parola magica è perseveranza nell’applicare un
concetto molto semplice che i giapponesi chiamano Kaizen ovvero piccolo, lento e costante
miglioramento. Ogni giorno mi impegno a migliorare un po’, a volte basta davvero poco: leggere un
nuovo articolo, una nuova pagina di un libro, guardare un video. Se da un lato la perfezione non
esiste, l’eccellenza invece sì. Mi piace pensarla come Jigoro Kano, che anche quando tutti lo
ritenevano il più grande maestro di judo perché ne era stato il fondatore, quando morì volle farsi
seppellire con la sua cintura bianca. Il messaggio era chiaro: il più grande esponente del judo
abbracciava l’emblema del principiante per la sua vita e oltre, perché riteneva che il viaggio
dell’allievo che cerca l’eccellenza per tutta la vita non dovesse finire mai. Ecco, il giorno che pensi di
essere arrivato, di sapere tutto ciò che c’è da sapere, quello è il tuo ultimo giorno da professionista.

D. Ha scritto libri, manuali e compendi su copywriting, lead generation, neuromarketing e
molto altro. Quali sono le tendenze del 2020 per i marketer del nuovo decennio?

R. Nel 2020 il marketer deve superare il paradigma della “conquista”, sto personalmente lanciando
la sfida di un marketing prima di tutto etico, perché quello di “lancia la rete e trascina chiunque”
ormai non ha più ragione di esistere per un semplice motivo: non funziona più!

A partire dal 2020 assisteremo ad una nuova trasformazione da “Cacciatori” a “Coltivatori”, infatti
il marketing del 2020 deve superare la grande sfida dell’attenzione, ma prima di tutto deve
superare il concetto di “catturare” l’attenzione. Pensare alla “cattura” fa pensare ad una
trappola, ad una rete gettata su qualcuno per poi trascinarlo là dove non vuole andare. Invece la
grande sfida è imparare a “coltivare” l’attenzione.
Il 2020. Intervista a Massimo Petrucci.
I titoli d’assalto, folcloristici, da gossip vanno bene per “catturare” l’attenzione, vanno bene solo per
generare un clic tanto per fregare gli inserzionisti dei giornali online con migliaia di visualizzazioni
inutili (inutili perché corrispondono a tempi di permanenza sulla pagina davvero irrisori). Inutili
perché non riescono a trattenere le persone poiché nella maggior parte dei casi non c’è nulla di
davvero interessante da leggere o “consumare”.

Se invece impari a coltivare l’attenzione vuol dire che impari a coltivare la fiducia e se mi
fido di te allora sono davvero disposto ad ascoltarti. Se ti ascolto, allora hai davvero sedotto la
mia attenzione e se mi fido di te allora per me sei diventato un brand. Nel momento in cui sei
diventato un brand, allora sei diverso dagli altri e se per me sei diverso dagli altri allora non ne farò
più una questione di prezzo.

Lascia che te lo dica in maniera diversa: Se mi fido di te allora per me sei diverso dagli altri e sei
speciale. Se per me sei speciale, con te io mi sento speciale. Se solo con te mi sento speciale, allora
sei un brand. Se per me sei un brand, allora sono disposto a pagarti di più.

  Leggi anche le nostre rubriche:

  ■   Interviste
  ■   Social e New Media

D. Il suo podcast “Mai dire 30 min. di Marketing!” è molto seguito, quali sono le tematiche
che interessano maggiormente i suoi ascoltatori?

R. All’inizio tutti erano alla ricerca di un pulsante magico, una formula magica per ottenere clienti.
Tuttavia, dopo un anno di lavoro costante, Giuseppe Franco ed io, abbiamo lavorato ad un concetto
fondamentale: non esistono scorciatoie. Chi ti vende l’idea di “clienti a costo zero”, “ricco in 21
giorni”, “scrittura ipnotica per vendere qualunque cosa a chiunque anche se non la vuole”, ti sta
truffando. Oggi chi segue le nostre puntate sa che sono vere sedute di formazione, con un linguaggio
leggero, a volte divertente, ma sempre ricche di contenuto di alto valore formativo. Quello che ci
richiedono più spesso sono temi sulla scrittura persuasiva (copywriting), sulle strategie per ottenere
clienti, sul personal branding e, più in generale, sulla comunicazione efficace.

D. Quali progetti possiamo svelare per questo 2020 ruggente?

R. In questo 2020 mi focalizzerò molto di più sulla formazione, in molti me lo stanno chiedendo e
fino ad ora ho sempre mantenuto al minimo questo tipo di attività. Eppure è ciò che amo più di ogni
altra cosa, mi piace dare, divulgare e far comprendere alle persone come ottenere risultati grazie
alla comunicazione, al copywriting e alla lead generation. Ad ottobre 2020 condividerò il palco con
uno dei più grandi esperti mondiali di marketing, parlo di David Meerman Scott e lo farò per il
secondo anno consecutivo. È un grande onore per me e sono orgoglioso di rappresentare l’Italia in
questo evento. Anche per questo ho deciso di focalizzarmi di più sulla formazione e, magari, anche
sul mio nuovo libro, ho in mente qualcosa di strepitoso!

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Growth Hacking e Inbound Marketing: il
futuro delle imprese italiane è qui.
Intervista ad Alessia Camera.
L’ancora di salvezza delle aziende italiane si chiama internet e vede in due approcci, due facce della
stessa medaglia, la sua massima espressione: Growth Hacking e Inbound Marketing.

Entrati ormai nei nuovi anni ’20, è imprescindibile che le imprese che vogliano continuare a fare
business, abbiano una strategia chiara su tutto quello che è il posizionamento online e sul come
sfruttare le opportunità che il web offre.

Lo scenario dei consumi in cui viviamo è profondamente mutato negli ultimi 20 anni e continua a
farlo sempre più velocemente grazie alla tecnologia e all’innovazione che viene sviluppata ogni
giorno. Restare fermi a guardare equivale a perdere quote di mercato che regaliamo direttamente ai
nostri competitor senza possibilità di ritorno.

Il consumatore e il processo d’acquisto del 2020
L’esperienza è la chiave del successo di ogni impresa perché il consumatore di oggi è
profondamente cambiato:

■   utenti sempre connessi, multi-schermo e multi-device
■   utenti attivi che utilizzano il Web in ogni fase del processo d’acquisto
■   utenti che vogliono essere protagonisti di un’esperienza a loro dedicata
■   utenti che rigettano comunicazioni di massa ma pretendono la personalizzazione del messaggio

La creazione di valore della marca si realizza attraverso una total customer experience ossia
un’esperienza totalizzante, nutrita da diversi touch points con il consumatore da cui derivano il
vantaggio competitivo e la difendibilità del valore stesso. Con la diffusione dei canali digitali, le
opportunità di contatto con il cliente sono cresciute esponenzialmente.

Con il cambiamento e l’evoluzione del consumatore, abbiamo assistito all’inevitabile mutamento del
percorso d’acquisto. L’emblema di questa rivoluzione è lo ZMOT, creato da Google e oggi usato da
tutti i marketer per spiegare cosa è successo al consumatore.

Infatti l’esperienza d’acquisto offline, prima del Web e prima dei social, si suddivideva in 3 fasi:

■   stimolo,
■   scaffale dove avveniva la scelta fra le diverse opzioni disponibili (first moment of truth)
■   esperienza del prodotto (second moment of truth).

Con l’avvento della tecnologia e il successo di massa del Web e degli strumenti digitali, secondo
Google esiste un ulteriore passaggio focale: lo Zero Moment of Truth, ZMOT.

Si tratta del momento in cui il potenziale cliente costruisce le sue convinzioni e quello in cui il suo
proprio personale processo d’acquisto inizia. È la possibilità, che ogni potenziale cliente ha, di
cercare informazioni di ogni tipo (schede prodotto, recensioni, forum, blog dedicati, video tutorial e
molto altro) online e di farsi una propria opinione sul prodotto o servizio, ancor prima di averlo visto
dal vivo o provato.

Inbound Marketing, metodologia e applicazione
Lo scopo dell’Inbound Marketing è creare esperienze di valore che abbiano un impatto positivo sulle
persone e sulle aziende, che siano assolutamente utili a raggiungere i loro obiettivi. Ma come si fa
Inbound Marketing?

1. Attirando prospect e clienti sul vostro sito web e sul vostro blog attraverso contenuti pertinenti e
   utili.
2. Dando valore ai loro bisogni e alle loro esigenze, instaurando conversazioni 1 a 1 grazie agli
   strumenti di marketing come e-mail e chat.
3. Fidelizzandoli, continuando ad essere il loro consulente ed esperto, un punto di riferimento unico.

Una strategia di Inbound Marketing prevede un piano a medio-lungo termine che individui sia le
Buyer Persona di riferimento e quindi i clienti tipo ed ideali da voler attirare, coinvolgere e
fidelizzare, sia il loro Buyer’s Journey ovvero il percorso d’acquisto che si divide in tre fasi
(awareness-consideration-decision) e che deve guidare l’utente verso la conversione finale. Vanno
poi identificati gli obiettivi SMART (Specifici, Misurabili, Raggiungibili, Rilevanti e a Tempo) e
definiti gli strumenti per raggiungerli.

     Leggi anche:

     ■   L’evoluzione del mercato del lavoro nel marketing e nella comunicazione (digitale).
         Intervista a Cristiano Carriero.
■   I nuovi anni ‘20: gli anni ruggenti dei social e della tecnologia

Growth Hacking, definizione e sviluppo
Il termine “Growth Hacking” viene coniato nel 2010 da Sean Ellis, consulente noto per aver
risollevato le sorti di Dropbox, LogMeIn, EventBrite e Qualaroo. In una recente intervista rilasciata a
Ryan Holiday, Sean Ellis ha definito il Growth Hacking come un processo per trovare le modalità più
efficaci per far crescere un’azienda che comprende rapide sperimentazioni per trovare opportunità
di crescita in momenti specifici.
Mentre l’Inbound Marketing si occupa di creare una strategia a lungo termine, il Growth
Hacking ci permette di strutturare un processo di rapide sperimentazioni per verificare quali
strumenti inseriti nella strategia possano davvero essere performanti e scalabili. Per questo motivo
devono essere considerati come complementari perché insieme riescono davvero a incrementare la
crescita e a farlo sul lungo periodo.

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, Growth Manager & Head of Digital,
professionista e consulente di Marketing
digitale

Per capire ancora meglio lo scenario attuale e futuro e come le aziende debbano evolvere per
continuare a sviluppare business, abbiamo intervistato Alessia Camera, Growth Manager & Head
of Digital, professionista e consulente di Marketing digitale, che ha collaborato con 15+
startup, progetti tech, PMI e multinazionali a Londra e in Italia.

D. Buongiorno Alessia, sei approdata a Londra nel 2012 quando si era da poco iniziato a
parlare di Growth Hacking, come hai vissuto l’inizio di questo pensiero rivoluzionario?

R. Sono arrivata a Londra alla fine del 2012 quando la capitale inglese era molto diversa da oggi.
Stavano arrivando gli entusiasti delle startup un po’ da tutta Europa, si ritrovavano i founder che
avevano sviluppato app e idee a Helsinki legati all’ecosistema Nokia e Tallinn, per esempio i founder
di Skype che poi hanno dato vita a Transferwise proprio allora e gli americani, che dopo gli anni
d’oro delle dot.com decidevano di mettere un primo piede in Europa o di tornarci, e ovviamente
sceglievano Londra.
C’era moltissima energia e anche se nessuno sapeva davvero cosa significasse lavorare in una
startup oppure che sviluppare strategie di marketing per startup si chiamasse Growth
Hacking, era quello che ognuno di noi faceva nel proprio lavoro quotidiano.
Ero partita dall’Italia con un contratto come social media manager per una startup che poi si è
trasformato in digital marketing manager per un e-commerce di arredamento in chiave sostenibile,
non vedendo l’ora di toccare con mano cosa significasse fare marketing quando il prodotto fisico era
una conseguenza di un’esperienza digitale.
Mi ricordo che ci trovavamo in quei 3 coworking a Londra (ora ce ne sono più di 50) e già nei primi
mesi avevo scoperto che marketing non era solamente svolgere un insieme di attività con l’obiettivo
di “farsi conoscere” come avevo studiato e visto in Italia. L’approccio delle startup era totalmente
pratico, “scrappy” come si dice in gergo: qualsiasi attività doveva essere tracciata in modo da
analizzare i dati e capire quali fossero le conseguenze in termini di business. Nessuno aveva grandi
budget e nel 2012 i social media avevano ancora un po’ di potenzialità in termini di contenuto
organico: ogni giorno testavamo nuove idee per capire quale fosse quella che poteva farci
raggiungere le metriche e gli obiettivi che ci eravamo prefissati e non contava se per fare ciò
dovevamo stare in ufficio fino alle 9 di sera, eravamo tutti motivati al risultato. In quel primo anno
ho imparato le basi operative di quello che è ancora il mio modo di operare e il mio approccio: una
palestra di vita personale e professionale incredibile, che non dimenticherò mai.

D. Se dovessi spiegare a un neofita del marketing e del mondo digitale cosa vuol dire fare
Growth Hacking e quali sono i suoi vantaggi?

R. Il Growth Hacking è una metodologia, un approccio di marketing che si basa sul definire degli
obiettivi e sperimentare delle attività in diversi canali digitali utilizzando un approccio numerico per
definire se quegli obiettivi sono stati raggiunti. Mette da parte quello che è “il branding” per
ragionare in ottica performance utilizzando un metodo sperimentale che ci spinge a pensare che solo
i dati ci facciano capire quale è la via corretta.
Come dicevo a un evento recentemente, il fatto di “avere esperienza” è spesso una trappola perché
chi ha esperienza è “biased”, pensa infatti che una campagna su un canale non funzioni perché in
passato non ha funzionato. Il Growth Hacking mette in discussione tutto ciò e ci costringe a
pensare di avere ragione solo se abbiamo i dati dalla nostra parte. Si parte da un’ipotesi che
viene continuamente ottimizzata in ottica di esperienza digitale e di marketing con un mercato di
riferimento molto specifico.
Oggi il digitale ci fornisce un’opportunità pazzesca, possiamo misurare quasi tutto, dalle
performance ai processi aziendali, alla nostra attività e a quella dei nostri clienti online. Perché non
sfruttarla, quindi e mettere da parte le nostre convinzioni, cercando di sviluppare un approccio
basato su ipotesi che vengono continuamente validate e ottimizzate?

D. Come hai sfruttato il Growth Hacking nella tua esperienza in startup e nel progetto di
lancio europeo che hai seguito per Playstation PS4?

R. Dalla mia esperienza di 5 anni di lavoro come dipendente e consulente per startup posso dire che
l’approccio non è molto diverso dalle PMI italiane: budget ristretti, necessità di avere un riscontro
sulle metriche di business e poche risorse. Nelle startup il livello di difficoltà è maggiore poiché non
ci sono dati storici e c’è necessità di andare molto veloci (la media europea di vita di una startup è 1-
3 anni) ma al di là di questo le esigenze sono molto simili, ecco perché credo che la metodologia
di Growth Hacking possa essere utile anche se applicata dalle PMI italiane.

  Leggi anche:

  ■   Email marketing: ecco quali sono i trend più importanti per il 2020
  ■   Anno 2020: la trasformazione digitale è cominciata e non è fantascienza.

Nelle corporate invece la situazione è diversa e dipende molto dai progetti e dal team:
abbiamo utilizzato un approccio di Growth Hacking per il lancio di PS4 perché avevamo obiettivi
ambiziosi, potevamo testare i pre-ordini e poco tempo. Tuttavia i budget a 6 cifre che erano stati
predisposti non erano un grande incentivo all’ottimizzazione, ecco perché sei molto più tranquillo
nell’adottare un processo di Growth Hacking per lanciare un brand conosciuto da tutti: non c’è
praticamente nessun rischio. Vai veloce, ottimizzi le attività se il tuo team è molto appassionato al
proprio lavoro, com’è successo per il lancio di PS4, ma in realtà le grandi aziende hanno così tanto
budget da spendere, che spesso lo spendono in attività poco profittevoli, senza che ciò rappresenti
davvero nel breve termine. Bisogna prevedere il cambiamento e accorciare le distanze con i
propri utenti, capendo quali sono le attività che portano valore a loro incentivando la relazione tra
esperienza digitale e utenti, si impara a lavorare in un’ottica di lungo termine che non dipende solo
dai budget che si spendono in pubblicità. Ed è proprio questa la potenza di un approccio di Growth
Hacking!

D. Torni spesso in Italia per la promozione dei tuoi libri dedicati all’argomento, che
scenario pensi ci sia oggi nel nostro Paese e come si stanno muovendo marketer e aziende?

R. Negli ultimi 7 anni ho visto che l’Italia sta crescendo e si sta creando sempre più consapevolezza
verso i temi di startup e marketing digitale. Certo, non in modo estremamente veloce, ma sta
arrivando quella famosa trasformazione digitale di cui tanto abbiamo sentito parlare in questi anni.
Professionisti e aziende stanno capendo che non c’è più spazio per le definizioni ed è ora di agire, di
tirarsi su le maniche e iniziare a capire dove e come applicare i concetti di Growth Hacking, di
marketing e di innovazione che faranno davvero bene al Paese nei prossimi anni e che
permetteranno all’Italia di tornare a essere considerata un asset nel panorama internazionale. È
vero, sono un’inguaribile ottimista, ma io credo davvero che in Italia ci siano le competenze e
l’approccio giusto perché ciò arrivi, siamo persone abituate “a fare” con una grande creatività e
capacità di risolvere problemi (cosa che per esempio in UK non sono molto bravi a fare).
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essia Camera editi da Hoepli: Startup marketing e Viral Marketing, quest’ultimo assieme a
Michele Pagani

Siamo tuttavia anche conservatori, poco bravi a cogliere la visione d’insieme delle cose e un pochino
individualisti, ci aspetta una nuova trasformazione culturale spinta da una nuova ondata tecnologica:
useremo la realtà aumentata, il 5G, l’Internet delle cose non solo nel nostro tempo libero ma
sempre più in azienda. Ed ecco che sarà proprio nella capacità di applicare queste novità che
potremo usare il Growth Hacking per capire come sperimentare e innovare non solamente in
fabbrica, ma nel marketing e nella capacità di essere attrattivi per clienti e mercati internazionali.
Le opportunità ci sono, dovremo “solo” essere capaci a coglierle, ed è forse nel rischiare che le
nostre aziende non sono bravissime a fare, ma sono sicura che guidate e consigliate dalle persone
giuste, ce la faremo.

D. Qual è il consiglio che ti senti di dare ad una startup italiana che oggi vuole entrare nel
mercato ed avere successo?

R. Darei tre consigli che sono molto legati tra di loro: non innamoratevi dell’idea, ma testatela con il
vostro mercato di riferimento, che non è esclusivamente quello italiano ma è anche quello estero,
usando i dati per capire quale strada sia quella corretta da percorrere. Spesso chi si occupa di
startup si focalizza sull’idea, con la paura che qualcuno gliela possa copiare. Nonostante siano anni
che lo dico, mi trovo ancora a dover firmare degli accordi di non divulgazione (NDA) prima di fare un
meeting per discutere dell’idea di un app o di una piattaforma di e-commerce. Colgo l’occasione per
ribadire che nessuno vi ruba davvero l’idea, perché l’idea vale solo l’1% di un progetto
imprenditoriale. Quello che davvero conta è come sviluppare quell’idea e soprattutto come
ottimizzare quel prodotto digitale nel tempo, secondo i dati raccolti, le metriche di business e il
mercato di riferimento, che deve crescere velocemente. Ne approfitto anche per dire che è bello
parlare di blockchain o di intelligenza artificiale, ci fa sembrare più interessanti al pubblico, ma
non ci garantisce scorciatoie a lungo termine. La tecnologia è solo un abilitatore di un progetto, e
spesso, nella fase iniziale è importante davvero testare la nostra idea con gli strumenti che abbiamo
a disposizione, e pensare che se ciò funziona, allora possiamo integrare la tecnologia per crescere in
modo esponenziale. Il focus deve sempre rimanere sulla relazione tra prodotto digitale e utenti, se
ciò non avviene fin dalle prime fasi, beh, ottimizzate affinché questa relazione diventi un’abitudine o
lasciate perdere, perché la situazione non potrà che peggiorare.

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