Variazione diatopica: nello spazio (italiano vs. dialetti)

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Variazione diatopica: nello spazio (italiano vs. dialetti)
Variazione diatopica: nello spazio (italiano vs. dialetti)

Opinione comune:
Il dialetto è una varietà della lingua nazionale poco diffusa (cioè diffusa a
livello locale), con una modesta tradizione scritta, con una ‘grammatica’
poco sviluppata, utilizzata da pochi parlanti (soprattutto anziani) e in poche
circostanze. Il dialetto si configura dunque come una lingua quasi
parassitaria rispetto alla lingua nazionale.
Variazione diatopica: nello spazio (italiano vs. dialetti)
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ALCUNI CRITERI PER DISTINGUERE TRA LINGUA E DIALETTO
a) X è un dialetto di Y se X deriva dalla stessa lingua da cui deriva Y
Obiezione: ma questo è vero anche per italiano e francese, derivate
entrambe dal latino

b) X è un dialetto di Y se i parlanti di X e Y si comprendono reciprocamente
Obiezione: ma questo è vero anche per italiano e francese: è più facile
comprendere una persona che parla francese di una che parla ‘dialetto
napoletano’

c) X è un dialetto di Y se X e Y condividono almeno l’80% del loro lessico
Obiezione: ma questo è vero anche per tutte le lingue ‘sorelle’, cioè
derivate dalla medesima lingua madre (es. italiano, francese, spagnolo…)
Es. it. albero
sp. arbol
fr. arbre

d) X è un dialetto di Y se X e Y condividono una buona percentuale della
struttura
Obiezione: come al punto c)
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ràpe

                                                        gnotul

                                                    barbastêl
                                                         sottpence
                      gularàt                         travagghjàule
(la) rata tauleri
                           nóttora

  zurrundeddu
                                     spurtiglione

                                     gattarveggh

                    alepeddhe
                                                           taddarida
                                taddharita
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Flagermus
                                      lepakko
                  Fledermaus

          bat

                                        nietoperz

  chauve-souris                          netopýr

                                          liliac
morcego
                                            прилеп

                                        νυχτερίδα

 murciélago
                  pipistrello
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DIFFERENZA TRA LINGUA E DIALETTO
Se la differenza tra lingua e dialetto non è giustificabile in termini puramente linguistici (cioè non
ha nulla a che vedere con la struttura), allora essa va cercata altrove (cioè all’esterno del
sistema-lingua):

- sul piano sociale: le lingue hanno un riconoscimento sociale che il dialetto non ha
- sul piano funzionale: le lingue hanno un ambito di uso più ampio di quello dei dialetti
- sul piano politico: le lingue hanno uno statuto ufficiale (e una conseguente legislazione di
riferimento) che i dialetti non hanno. Le lingue sono state 'create' per consentire scambi
economici e culturali tra gruppi sociali geograficamente distanziati e come strumento
imprescindibile per l'assetto amministrativo degli Stati nazionali costituitisi nell'età moderna.

Lingua e dialetto hanno funzioni ugualmente importanti, ma complementari: vengono
usati in situazioni diverse e con interlocutori diversi. Le lingue nascono innanzitutto per la
comunicazione scritta e formale (es. per la stesura delle leggi) e per l'uso in contesti 'formali'
(es. scuola).

                     Una lingua è un dialetto con un esercito ed una marina
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Se volessimo calcolare tutte le
varianti dei volgari italiani, le
principali, le secondarie, le
minori, anche solo in questo
piccolissimo angolo di mondo
finiremmo per contare un
migliaio di varietà linguistiche,
anzi, persino di più'. (Dante,
De vulgari eloquentia, I, x)
Variazione diatopica: nello spazio (italiano vs. dialetti)
“Ancora oggi e tanto più nel vicino passato [...] la nazione
italiana è costituita da una maggioranza di minoranze.”
G.B. Pellegrini

È o era?

Variazione diacronica: nel tempo
a. “Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki kontene, trenta anni le possette parte
sancti Benedicti” Placiti cassinesi, convenzionalmente considerati la prima
attestazione di italiano volgare (Capua, marzo 960)

Prima attestazione di una contrapposizione netta tra latino e volgare all’interno dello
stesso documento
b. “Convenevole cosa è, carissime donne, che ciascuna cosa la quale l’uomo fa,
dallo ammirabile e santo nome di Colui, il quale di tutte fu facitore, le dea principio.”
Inizio della prima novella del Decameron, di Giovanni Boccaccio (1349-1353, circa)

“Dunqua da quale novitate comenzaraio? Io comenzaraio dallo tiempo de Iacovo
de Saviello. Essenno senatore solo per lo re Ruberto, fu cacciato da Campituoglio
dalli scendichi. Li scendichi fuoro Stefano della Colonna, signore de Pelestrina, e
Poncello de missore Orso, signore dello Castiello de Santo Agnilo. Questi se
redussero nello Arucielo e, sonata la campana, fecero adunare lo puopolo, la moita
cavallaria armata e li moiti pedoni.”
Cronica, Anonimo romano (XIV secolo)

c. “Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tutto a seni e a golfi, a
seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a
restringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promotorio a destra, e
un’ampia costiera dall’altra parte.”
Promessi sposi di Alessandro Manzoni (edizione del 1840)
Perché Firenze (e il fiorentino)?

Dante Alighieri
nato a Firenze nel 1265

Francesco Petrarca
nato ad Arezzo nel 1304

Giovanni Boccaccio
nato a Certaldo nel 1313
Nel XIII secolo il volgare inizia ad affermarsi in Italia anche in letteratura.

La diffusione del volgare in Italia avviene circa due secoli dopo rispetto alla Francia:
l’Italia è infatti politicamente frammentata e divisa.
In mancanza di una unità politica e sociale, è principalmente grazie alla letteratura
che “l’italiano” si afferma come lingua comune e come fattore di unificazione. E, al
pari della lingua, anche la letteratura non nasce come privilegio per pochi, ma come
un bene per tutti.
Ma perché proprio Firenze?
Firenze, con i suoi mercati e i suoi banchieri, usciva dal suo isolamento e si avviava a
divenire una delle capitale economiche europee e un vero crocevia di rotte commerciali,
che attraversano la quasi totalità dell’Europa. La Toscana diventa la meta ambita dai
mercanti e dagli intellettuali. E mostra una capacità di accoglienza sorprendente
(es. esenzione dalle tasse per gli stranieri, iscrizione gratuita alle università, ecc.).
Le fortune del fiorentino non dipendano dalla lingua stessa, ma dai casi della storia.

Il fiorentino si è giovato di una serie di eventi favorevoli:
- un contesto economico e culturale molto vitale
- una grande apertura al mondo
- la sensibilità di molti dei ‘governanti’ dell’epoca
- tre autori di successo!

La lingua in cui scrivono Dante, Petrarca e Boccaccio non è ovviamente definibile
come ‘italiano’: loro scrivono in fiorentino e senza reale consapevolezza di quello che
sta accadendo. Ma la moda letteraria che segue al successo di Dante, Petrarca e
Boccaccio si diffonde per la penisola e di fatto crea le condizioni per la promozione
del fiorentino (lingua ‘locale’) al rango di lingua ‘nazionale’.
Dante, Petrarca e Boccaccio, ovviamente, non sorgono dal nulla.

Si innestano su una tradizione che ha le sue radici nella cosiddetta scuola siciliana,
sorta a Palermo presso la Magna Curia di Federico II di Svevia (ricordato da Dante
stesso nel Convivio).

Federico II, imperatore ghibellino decisamente
avverso alla Chiesa, vede nel latino la lingua dei
suoi avversari e lo identifica come strumento di
potere. In questo modo, egli dà un impulso decisivo
alla nascita dell’italiano. Fu dopo la morte di
Federico che il primato del volgare passò alla
Toscana.
La diffusione del volgare si giovò anche di spinte ‘dal basso’.

Il Cantico delle Creature di San Francesco,
indicato come il più antico testo ‘poetico’ della
letteratura italiana, mostra come il volgare
penetri anche in un ambito che, almeno
ufficialmente, è ancora di esclusiva pertinenza
del latino: la religione. La predicazione rivolta
‘agli ultimi’ si inventa un modello linguistico
‘unificante’.

                    Questo modello si diffonde
                    nella Penisola, come mostrano
                    testi settentrionali come la
                    Lauda bergamasca o la
                    Lauda veronese (della seconda
                    metà del secolo XIII)
La moda letteraria che segue al successo di Dante, Petrarca e Boccaccio si diffonde
per la penisola e di fatto crea le condizioni per la promozione del fiorentino (lingua
‘locale’) al rango di lingua ‘nazionale’. Questo passaggio viene sancito: dalle Prose
della volgar lingua del Bembo (1525), che di fatto ‘legittimarono’ il fiorentino come
principale candidato a diventare italiano. L’aspetto sorprendente è che l’unico rivale
possibile, per prestigio e tradizione, era il veneziano. E fu proprio un veneziano,
Bembo, a sancire la vittoria del fiorentino, legittimata dalla pubblicazione del
primo vocabolario della lingua italiana della Crusca, nel 1612.
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