"Samantha": la bambola da stuprare - communitylacroce.it
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
“Samantha”: la bambola da stuprare “Samantha”: la bambola da stuprare di Davide Vairani “Samantha scende le scale di un policentro attrezzato comunale, trent’anni e poi l’appartamento sarà suo, o meglio, dei suoi genitori, che ogni mese devono strappare il mutuo da uno stipendio da fame, ma Milano è tanto grande da impazzire, e il sole incerto becca di sguincio, in questa domenica d’aprile, ogni pietra, ogni portone ed ogni altro ammennicolo urbanistico (…) Ed io, burattinaio di parole, perché mi perdo dietro a un primo sole? Perché mi prende questa assurda nostalgia?” “Samantha” è un’invenzione del maestrone di Pàvana, Francesco Guccini, nell’album “Parnassius”. “La canzone mi è venuta in mente un pomeriggio, passando per la periferia di Milano. Ho
visto questi palazzoni, e mi sono immaginato questa ragazza che ‘corre allegra lungo i graffiti osceni delle scale, / quasi donna, quasi bella’ e ‘Andrea giù nel cortile, / jeans regolari e faccia da vinile’.” “Samantha” è anche il nome di una bambola. Non è la Samantha di Guccini. E’ un robot del sesso. Fu esposta al Festival di Electronica delle Arti di Linz e venne così gravemente “molestata” da un gruppo di uomini, da dover essere mandata in un disperato bisogno di riparazione: a forza di essere cavalcata, presa a pugni e calci, penetrata con violenza, sporcata ovunque di liquido seminale, la bambola robot ha dato forfait. Nonostante il danno, il proprietario ha affermato che il robot è stato progettato per questo, dunque che c’è di male? E’ stata progettata e fabbricata appositamente per questo: per essere stuprata. Vi sembra un termine sproporziato ed esagerato? In fondo, non si tratta che di una bambola. In fondo, che male c’è? Il business delle “real doll”, le bambole umanoidi di nuova generazione, dotate di caratteristiche che le rendano sempre più simili a donne in carne e ossa, è un giro d’affari di milioni di euro e non da oggi. Il progresso della tecnologia capace di produrre dei robot sempre più simili a dei proto- androidi ha scatenato le fantasie più perverse. Banale legge di mercato: se la domanda aumenta, si risponde con una offerta sempre più su misura. Te la puoi comprare, se vuoi, e farci quello che credi: circa 10mila euro, per la versione che riconosce i volti. Senza questa capacità, la spesa si dimezza. Il mondo dei sex toys – con un giro d’affari di 30 miliardi di dollari l’anno – si è rivoluzionato: i bordelli del sesso robotico. Appartamenti di 70 metri quadrati, tre stanze, luci soffuse. Sulle pareti si proiettano film porno, per l’atmosfera e
preparare gli ospiti. Adagiate sul letto, tre costose bambole del sesso. I bordelli del sesso robotico stanno aprendo come i funghi non solo negli Stati Uniti, ma in tutta Europa. L’Italia poteva esserne esclusa? Certo che no. Il primo “locale” del genere – inaugurato a Torino in zona Mirafiori solo ieri – registra già un’esplosione di prenotazioni, che hanno portato al sold out del particolarissimo bordello almeno per il prossimo mese. Le richieste, sempre più numerose, arrivano non sono solo da Torino ma un po’ da tutta Italia. La società “Lumi Dolls” – che produce e vende le bambole robotiche – ha fatto il profilo del cliente tipo, amante delle bambole, snodate e iper-realistiche. Non c’è una categoria ben precisa, hanno informato: le prenotazioni sono state fatte in prevalenza da uomini, ma numerose telefonate o email sono arrivate anche da coppie o donne sole. Il pubblico, in generale, ha un’età compresa fra i 25 e i 65 anni. Alcuni appuntamenti sono stati prenotati addirittura per 8 ore, vere e proprie maratone che necessitano di grandi qualità fisiche. Queste le tariffe del bordello delle bambole robot: 80 euro per mezzora, 100 euro per un’ora e 180 euro per due ore. Vanno aggiunti inoltre 50 euro di cauzione che non verranno restituiti in caso di danni alle bambole. Insomma, a Torino è già bambola-mania. E visto il successo del particolare locale a luci rosse è probabile che l’iniziativa prenda presto piede anche in altre città. Helen Driscoll, psicologa della sessualità e delle relazioni all’Università di Sunderland, ha lanciato una previsione qualche anno fa’: 2070. La “tecnologia del sesso” avanza a un ritmo tale che “entro il 2070 le relazioni fisiche sembreranno primitive”. “Poiché la realtà virtuale diventa più realistica e immersiva ed è in grado di imitare e persino migliorare l’esperienza del sesso con un partner umano, è ipotizzabile che alcuni sceglieranno questo preferendo il sesso con un essere umano non perfetto”, ha detto la Driscoll.
“Oltre ad avere relazioni fisiche con le macchine, i progressi imminenti nell’intelligenza artificiale potrebbero consentire alle macchine o persino ai programmi per computer di diventare abbastanza realistici da innamorarsi. Questo può sembrare scioccante e insolito ora, ma non dovremmo automaticamente presumere che le relazioni virtuali abbiano meno valore delle relazioni reali” (in “Sex with robots will be the norm in 50- years”, “The Indipendent”, 04 agosto 2015). Ci stiamo avvicinando a velocità sonica. “E che male c’è?” – sembra essere ormai il leitmotiv con il quale si giustifica qualsiasi cosa, ogni desiderio, ogni pulsione anche la più depravata. “Samantha” ci racconta un chiaro esempio della violenza che può accadere quando diciamo agli uomini che possono fare tutto ciò che vogliono su un oggetto progettato per assomigliare al corpo di una donna. Ci saranno alcuni che sostengono che questo dimostra l’utilità di robot sessuali come sbocco innocuo di ogni pulsione ed aggressività. Semplicemente ridicolo. In primo luogo, non è supportato da prove, in parte perché i robot sono troppo nuovi per consentire una ricerca adeguata. Ma in secondo luogo – e forse la cosa più importante i robot sessuali fanno sembrare la violenza più normale, più accettabile e, invero, inevitabile. Come? Perché questi robot sono specificamente progettati per erotizzare il non-consenso. Un robot sessuale non può dare il consenso, può solo prendere qualunque cosa il suo proprietario gli lanci. Di conseguenza, non solo invita ad un trattamento abusivo, lo richiede. I marchi dietro i robot incoraggiano esplicitamente i proprietari ad attuare diritti sessuali ed aggressività su questi corpi di plastica, consentendo agli uomini di associare il piacere sessuale del loro orgasmo con il non consenso. Perché altrimenti le bambole di “True Companions” hanno un’impostazione “frigida Farrah” che incoraggia il proprietario a simulare lo stupro?
I robot sessuali non solo non mettono in discussione i “diritti” maschili ai corpi delle donne, ma li rafforzano. Anche il termine “proprietario” per l’acquirente del robot implica questo. Invia un messaggio che gli uomini possono “possedere” un oggetto sessuale che è stato progettato per loro per fare quello che vogliono. I proprietari hanno il diritto di recitare qualsiasi fantasia abbiano sulla loro bambola. Nel caso di Samantha, questo diritto ha anche dato agli uomini la possibilità di rompere le dita del robot. Allo stesso modo, la violenza sessuale non riguarda l’attrazione o il desiderio sessuale, riguarda il potere. Dopotutto, gli uomini non violentano le donne perché adorano la loro vittima. Lo stesso vale per i robot. Gli uomini non attaccano Samantha perché sopraffatti dall’attrazione sessuale per il suo corpo di plastica. Gli uomini non amano Samantha. Consciamente o meno, le violenze hanno permesso loro di mettere in atto una fantasia di potere e dominio maschile su un “corpo” flessibile. Di conseguenza, piuttosto che fornire uno sbocco per l’aggressione sessuale maschile, la violenza a Samantha mostra come i robot sessuali servono semplicemente a normalizzare e rendere accettabili le cause di quell’aggressività. Questo attacco replica le strutture di potere e le nozioni di diritto che alimentano la violenza sessuale. L’attrazione dei robot sessuali è che mentre sembrano un ideale pornizzato delle donne, non sono come le donne umane in carne, ossa e cuore. Non hanno voce. Non dicono di no, non hanno la loro sessualità, non hanno i loro gusti e le propensioni sessuali. Non sono mai stanchi, non esprimono alcuna emozione, non richiedono mai determinati atti sessuali e non esprimono i propri desideri sessuali. Se il robot dice di no, è un no che può essere ignorato e annullato. Prenderanno tutto ciò che l’uomo vuole. Questo invia un messaggio agli uomini che il partner sessuale
ideale è colui che risponde solo a ciò che vuole e ha bisogno, piuttosto che un essere autonomo con i propri desideri e bisogni. In questo modo, i sex robot sono chiaramente anti- umani. Tolgono l’umanità delle donne e sostituiscono i corpi e le sessualità delle donne con una serie di buchi di plastica. Il proprietario può anche disattivare le impostazioni vocali del robot, se lo desidera. Principalmente, il proprietario non deve preoccuparsi di ciò che il suo robot vuole. I suoi desideri, fantasie e potenziale violenza sono tutto ciò che conta. L’idealizzazione della donna che non dice mai di no; la normalizzazione dell’aggressività sessuale; l’erotizzazione del non consenso – questa è la realtà dei sex robot e questo è ciò che sta dietro le violenza a Samantha. In un momento in cui la pornografia, la prostituzione e lo sfruttamento minorile sono facilitati e proliferati dalla tecnologia digitale trasformandola in un’industria globale redditizia, questi sex robot promuovono ulteriormente l’oggettivazione del corpo femminile e come tali costituiscono un ulteriore assalto alla dignità della persona. Non oso pensare a quale sarà il passo successivo (ammesso che non sia già stato compiuto): bambole e robot infantili promossi come “terapeutici” per “pedofili e pedofili non-offensivi”. Gli studi dimostrano che i legami forti sono positivi per le persone e la società e che l’indebolimento dei nostri legami sociali sia un fattore importante che contribuisce al disagio della salute mentale, all’insicurezza economica e all’isolamento umano per donne, uomini e bambini. È quindi nell’interesse della società coltivare una cultura di mutuo sostegno e interdipendenza e porre delle pause su quelle pratiche sociali che rafforzano una cultura dell’isolamento. I robot e l’intelligenza artificiale dovrebbero essere usati per il bene dell’umanità e non dovrebbero essere finanziati o prodotti in forme che aumentano i problemi sociali umani.
Vogliamo davvero andare in questa direzione? Vogliamo davvero che nel 2070 saremo ridotti tutti a relazioni virtuali, manipolabili a piacimento? Leggi anche: “Boom del bordello delle bambole erotiche – A Torino è già tutto esaurito per oltre un mese”, “Torino News24”, 28 agosto 2018 “The damage to Samantha the sex robot shows male aggression being normalised”, di Sian Norris, “New Statesman”, 28 settembre 2017 “Bambole, puttane, Dee”, di Marina Terragni, Blog “FemminileMaschile” 09 agosto 9, 2018 “Sexdolls, prima casa di appuntamenti a Torino: è la fine dell’uomo?”, di Paola Belletti, “Aleteia”, 03 settembre, 2018 “Arrivano i robot: l’industria del sesso pronta alla rivoluzione high tech”, di Enrico Franceschini, “Repubblica”, 29 aprile 2017
“The Dream: Chiara&Federico”: solidarietà fatta un po’ per gioco “The Dream: Chiara&Federico”: solidarietà fatta un po’ per gioco di Davide Vairani È stato il week end del “matrimonio del secolo”. A Noto sono convolati a nozze Fedez, rapper e giudice di X Factor, e Chiara Ferragni, la madre di tutte le influencer. Sui “Ferragnez” si è scritto di tutto e si continuerà a scrivere ancora per molto, visto che tutto ciò che toccano, dicono e fanno sembra tramutarsi in oro. Due ragazzi giovani (lui classe 1989 e lei 1987) già all’apice del successo, pur con carriere professionali differenti. Il sogno luccicante e luminoso di entrare a fare parte dello start system, il sogno di migliaia di ragazzi e ragazze. Una coppia che messa insieme vale 20 milioni di persone pronte a seguirli ovunque sui social: Fedez vanta su Facebook 2,3 milioni di fan e 1,95 milioni di follower su Twitter, mentre Chiara Ferragni sul solo Instagram ne ha 14,5 milioni. “Che regalo di matrimonio ci piacerebbe ricevere?”: è una delle domande che tutte le coppie in procinto di sposarsi si
pongono. Diciamolo chiaramente: quello del regalo è uno dei passaggi più indigesti in un matrimonio, per tutti. Per gli invitati, che non sanno dove andare a parare: oggi, nella maggior parte dei casi, gli sposi vengono da una convivenza e hanno già messo su casa. Se, poi, non se ne conoscono i gusti si rischia di fare un regalo non gradito, salvo ripiegare inesorabilmente sulla classica “busta”, mettendo in mano ai novelli marito e moglie qualche soldo che non guasta mai ma che non è certo il massimo del gusto. Ma anche per gli sposi non è certo facile pubblicare una lista di nozze: magari si trovano nell’imbarazzo di desiderare un regalo ma di non poterlo chiedere perché troppo costoso, a meno che non si chieda agli invitati di unire le forze in un dono collettivo (il viaggio di nozze “cumulativo” ne è l’esempio più lampante degli ultimi anni). E allora via con i Matrimoni 2.0: oggi il regalo di nozze perfetto si fa con la colletta online. Basta collegarsi alle numerose piattaforme online, creare gratuitamente il sito del proprio matrimonio, inserire la lista nozze virtuale e voilà! Basta condividerla lcon amici e parenti attraverso vari canali, per farla arrivare a tutti: via email o tramite Facebook, via sms o WhatsApp, inserendo un link alla pagina web sulla partecipazione cartacea. Ci sono però sempre più giovani coppie che decidono un regalo diverso: un dono. “Niente fiori e regali, ma opere di bene” (lo so, citazione infelice da funerale, ma rende bene l’idea): una raccolta fondi per sostenere la costruzione di un pozzo in un paese africano; una colletta per un amico o una famiglia in difficoltà, insomma, la voglia di condividere la bellezza e la gioia di un momento così importante con chi non può farlo. E anche qui la tecnologia e l’online ti può aiutare: il crowdfunding.Il crowdfunding è ormai una forma di finanziamento alternativa cui le persone ricorrono sempre più di frequente, non solo le organizzazioni di volontariato, scommettendo su un valore importante: la solidarietà. Prova ne è il fatto che “ben il 70% delle donazioni dei primi sei mesi del 2018 sono state fatte online, segno che donare, non
soltanto è diventato un gesto semplice ma anche quotidiano, che si fa davanti al computer o al proprio dispositivo mobile. 36mila euro raccolti da 81 donatori in un mese a fronte di un goal di 50 mila euro” (da: “Crowdfunding, boom di donazioni online”, “Vita”, 12 luglio 2018″). Anche i Ferragnez si sono posti la classica domanda di tutte le coppie: “Che regalo di matrimonio ci piacerebbe ricevere?”. E così, un mese prima del fatidico giorno, sul portale “Go fund me” hanno lanciato il crowdfunding “The Dream: Chiara&Federico” con questo messaggio: “In occasione del loro matrimonio, Chiara&Federico desiderano aiutare una causa speciale, selezionandola fra quelle che riceveranno all’email dedicata. Gli invitati al matrimonio, e chiunque altro lo vorrà, potranno perciò inviare il loro regalo di nozze qui :)”. Bello vedere che il mondo dorato dei vip non ha fatto dimenticare loro la solidarietà verso gli altri. Peccato che sia stato un flop. In un mese sono state raccolti solamente 36.510 Euro donati da 83 persone: pochine, visto che l’obiettivo che si erano posti Chiara e Fedez era quello di arrivare a 50.000 Euro. (si veda: “Il flop dei #Ferragnez: perché 20milioni di follower valgono 36mila euro”, di Lorenzo Maria Alvaro, “Vita”, 03 settembre 2018). Tutti un po’ tirchi gli invitati vip? No, anzi. Le fotografie sui media e i rotocalchi ci hanno mostrato i regali extra lusso che la coppia ha ricevuto. Il crowdfunding è stato snobbato dai famosi invitati. Solo i followers hanno risposto. 83 persone tra i 20 milioni di social-Ferragnez che hanno donato 5, 10 Euro, ma anche 200 e 500 Euro. Insomma, persone manco invitate, persone che molto probabilmente Chiara e fedez manco sanno chi sono: faccine sui social. Pochi? Tanti? Non è questo il punto. E’ la differenza che ci passa tra filantropia e solidarietà (mi veniva da dire carità,
ma parola troppo alta, fermiamoci a solidarietà). La raccolta fondi ha una sola regola, banale o stupida, ma che rimane una regola: le persone donano se glielo chiedi. I Ferragnez non l’hanno chiesto. Un conto è la pressione di una non profit che ha necessità di quei soldi per un bisogno altro. Questa invece ha tutta l’aria di una raccolta “fatta un po’ per gioco”, in cui non si vede una vera esigenza. L’obbiettivo era ridicolo per dimensioni, non ben strutturato e senza una causa vera. Non stanno costruendo una palazzina nuova per l’Ospedale Niguarda di Milano. Stanno piuttosto dicendo: datemi i soldi poi vediamo. È l’anti raccolta fondi. Peccato. Pensate a quanti soldi avrebbero potuto raccogliere i Ferragnez in un solo week-end, tra invitati danarosi e 20 milioni di follower, se solo avessero chiesto di donare un solo, un solo euro per una buona causa, chiaramente individuata e attentamente promossa. La solidarietà implica cuore e rispetto. Non è un gioco.
“Che abbiamo a che fare con te, Gesù Nazareno?” “Che abbiamo a che fare con te, Gesù Nazareno?” #2minutixpregare Martedì 4 Settembre 2018 S. Mosè pr.; S. Rosalia; B. Caterina Mattei 22.a di Tempo Ordinario 1Cor 2,10b-16; Sal 144; Lc 4,31-37 + Dal Vangelo secondo Luca 4,31-37 In quel tempo, Gesù scese a Cafàrnao, città della Galilea, e in giorno di sabato insegnava alla gente. Erano stupiti del
suo insegnamento perché la sua parola aveva autorità. Nella sinagoga c’era un uomo che era posseduto da un demonio impuro; cominciò a gridare forte: «Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E il demonio lo gettò a terra in mezzo alla gente e uscì da lui, senza fargli alcun male. Tutti furono presi da timore e si dicevano l’un l’altro: «Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?». E la sua fama si diffondeva in ogni luogo della regione circostante. “Che abbiamo a che fare con te, Gesù Nazareno?” Il diavolo lo interpella proprio a partire dalle sue origini storico-geografiche: “Che abbiamo a che fare con te, Gesù Nazareno?”. Avrebbe potuto chiamarlo Gesù il Cristo o il Figlio di Dio. Ciò che gli fa paura è invece proprio la sua umanità concreta: un Dio che non si fa Uomo, umanità, ma proprio questo singolo uomo, entrando, solo così, nell’umanità, rendendosi capace di raggiungere ogni uomo. Bello il commento di un autore greco del IV secolo: “Gesù Nazareno: dico il suo nome e la sua patria… Non dico: Gesù che ha spiegato la volta del cielo, che ha acceso i raggi del sole, che ha disegnato le costellazioni nel cielo, che accende la lampada della luna, che ha fissato il suo tempo al giorno, che ha attribuito il suo corso alla notte, che ha stabilito la terra ferma sulle acque, che ha messo un freno al mare con la sua parola… Gesù Nazareno: di lui Natanaele disse nel suo dubbio: “Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?” (Gv 1,46). Davanti a lui la truppa dei demoni ha tremato dicendo: “Che abbiamo a che fare con te, Gesù Nazareno?” “Gesù Nazareno, disse l’apostolo Pietro, uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni” (Ac 2,22). “La modalità con cui il movimento – l’avvenimento cristiano – diventa presente è l’imbattersi in una diversità umana, in una
realtà umana diversa, che ci colpisce e ci attrae perché – sotterraneamente, confusamente, oppure chiaramente – corrisponde a un’attesa costitutiva del nostro essere, alle esigenze originali del cuore umano. L’avvenimento di Cristo diventa presente “ora” in un fenomeno di umanità diversa: un uomo vi si imbatte e vi sorprende un presentimento nuovo di vita, qualcosa che aumenta la sua possibilità di certezza, di positività, di speranza e di utilità nel vivere e lo muove a seguire. Gesù Cristo, quell’uomo di duemila anni fa, si cela, diventa presente, sotto la tenda, sotto l’aspetto di una umanità diversa. L’incontro, l’impatto, è con una umanità diversa, che ci colpisce perché corrisponde alle esigenze strutturali del cuore più di qualsiasi modalità del nostro pensiero o della nostra fantasia: non ce lo aspettavamo, non ce lo saremmo mai sognato, era impossibile, non è reperibile altrove. La diversità umana in cui Cristo diventa presente sta propriamente nella maggior corrispondenza, nell’impensabile e impensata maggiore corrispondenza di questa umanità in cui ci imbattiamo alle esigenze del cuore – alle esigenze della ragione -. Quest’imbattersi della persona in una diversità umana è qualcosa di semplicissimo, di assolutamente elementare, che viene prima di tutto, di ogni catechesi, riflessione e sviluppo: è qualcosa che non ha bisogno di essere spiegato, ma solo di essere visto, intercettato, che suscita uno stupore, desta una emozione, costituisce un richiamo, muove a seguire, in forza della sua corrispondenza all’attesa strutturale del cuore. “Poiché in realtà – come dice il cardinal Ratzinger – noi possiamo riconoscere solo ciò per cui si dà in noi una corrispondenza”(Il Sabato, 30.1.93). È nella corrispondenza il criterio del vero”. da: “Qualcosa che viene prima”, Appunti dall’intervento di
Luigi Giussani all’Assemblea responsabili, gennaio 1993.
Puoi anche leggere