Remunerazioni Da il "Sole 24 Ore" agosto 2006

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Da il “Sole 24 Ore” agosto 2006

                                        1° - Remunerazioni
Nel primo semestre 2006 dalle società di Piazza Affari stock option per 230 milioni di
                           euro lordi (tassati a[ 12,5%)
 Bonus record per i manager italiani Primo in classifica l’ad. di Lottomatica Rosario
                      Bifulco con 37 milioni di plusvalenza

                           I guadagni da stock option nel primo semestre 2006
                           Plusvalenze al Lordo delle tasse. Valori in milioni di euro

Rosario Bifulco - Lottomatica – Ad. - 37.354 / Corrado Passera - Banca Intesa – Ad. – 25.836 /
Francesco Saverio Vinci - direttore centrale Mediobanca – 13.970 / Marco Sala - Lottomatica - Dg –
13.502 / Luca Cordero di Montezemolo Fiat e Ferrari – P – 10.296 / Guido de Vivo – Mittel - Dg 9.514/
Francesco Micheli – B.Intesa – Resp.ris.umane – 8.838 / Matteo Arpe - Capitalia - Ad – 8.784 /
Massimo Di Carlo – Mediobanca - Direttore Centrale – 8.770 / Luca Garavoglia - Campari - P – 7.016 /
Fabio Innocenzi - Banca Pop. Verona e Novara - Ad – 5.429 / Giovanni Boccolini - Banca Intesa -
Responsab. Banche - 4.878 / Michele Preda - Marazzi - Vp e Ad – 4.830 / Roberto Nicastro - Unicredit -
vice Dg – 4.057 / Gaetano Miccichi - Banca Intesa - Resp. corporate – 3.709 / Carmine De Robbio
Capitalia - vice Dg - 2,860 / Alberto Giordano - Capitalia - dirigente – 2.699 / JurgenDennert Mcc
(Capitalia) - Ad – 2.683 / Fabio Gallia - Capitalia - Cdg - 2.537 /Massimo Arrighetti - Banca lntesa -
responsabile rete – 2.362 / Massimo Minolfi – Banca Pop. Verona e Novara - dirigente – 2.262 / Stefano
Saccardi - Campari – Ad- 2.105 / Paolo Marchesini – Campari – Ad – 2.037 / Vincenzo Visone – Campari
– Ad – 1.950 / Giovanni Gorno Tampini – Banca Intesa – Direttore Ib e Cm – 1.805 / Domenico D’Arpizio
– Egr - Vp - 1.676 / Mario Aramini – Unicredit Banca d’Impresa Dg – 1.470 / Maurizio Faraoni – Banca
Pop. Verona e Novara – Dirigente – 1.199 / Carlo Bianco – Pirelli Real Estate – Vp – 1.180 / Giovanni Gilli
Banca Intesa – Dirigente – 1.177

Fonte: comunicazioni Internal dealing e documenti societari

di Gianni Dragoni

BOOM DI GUADAGNI - I primi trenta in graduatoria hanno già raddoppiato il valore dell’intero 2005 Passera
e Arpe reinvestono in azioni i proventi maturati

Almeno 230 milioni di euro guadagnati in sei mesi con le stock option. E quanto hanno incassato, al lordo
delle tasse, i dirigenti delle società italiane quotate nel primo semestre dell’anno, secondo un’inchiesta del
Sole 24 Ore. Il primo è Rosario Bifulco, amministratore delegato in uscita da Lottomatica, con 37,35 milioni
di plusvalenze a lordo delle tasse, davanti a Corrado Passera di Banca Intesa (25,8 milioni)
e Francesco Saverio Vinci di Mediobanca (quasi 14 milioni).Quinto Luca Cordero di MontezemoIo,presidente
della Fiat e della Ferrari, oltre che di Confindustria, con 10,3 milioni lordi incassati dalla vendita a Fiat di
stock option Ferrari. I guadagni sono aumentati vorticosamente rispetto all’anno scorso. I primi 30 dirigenti
della graduatoria hanno guadagnato quasi 200 milioni di euro, circa il doppio dei primi 30 nell’intero 2005.
I guadagni dei primi sei mesi sono soggetti al fisco leggero,con aliquota secca del 12,5%: quindi 25 milioni di
euro su 200 milioni lordi spettanti ai primi 30 dirigenti, oppure 2,7 milioni sulla torta di 230 milioni di guadagni
stimati per tutti La nuova disciplina approvata il 30 giugno dal Governo, ma in vigore dal 4 luglio, che
equipara questi redditi a retribuzione da dipendenti, avrebbe fatto scattare sulle stock option l’aliquota
massima, il 43%, oltre ai contributi. Con le nuove norme il fisco avrebbe quindi incassato maggiori entrate
comprese tra 61 milioni (sui 200 milioni) e 75 milioni (su 230 milioni), il nuovo regime lascia l’aliquota
leggera, solo a chi mantiene il possesso delle azioni per cinque anni. Ma il cassettista è raro tra i top
manager. Quasi tutti rivendono immediatamente le stock option, senza neppure sostenere il costo
dell’acquisto. Pochi i casi di dirigenti che reinvestono le plusvalenze nella società. È la strada seguita
dall’a.d. di Intesa, Passera e dall’ad. di Capitalia, Matteo Arpe (8,78 milioni di plusvalenze nel
semestre).Hanno        interamente      reinvestito    il    guadagno        in   azioni    e     raccomandano
agli altri beneficiari dì reinvestire almeno il 50% (così fanno i dirigenti di Mediobanca);
L’inchiesta del Sole 24 Ore è basata sulle comunicazioni ufficiali delle società (internal dealing o altri
documenti) e tiene conto solo delle plusvalenze effettivamente realizzate con la vendita delle azioni. Non
vengono considerate le plusvalenze virtuali, cioè la differenza tra prezzo di sottoscrizione e quello di mercato
al momento dell’esercizio, qualora il dirigente non rivenda i titoli ma se li tenga. Il metodo della plusvalenza
reale fa fare un balzo a Passera, l’ad. di Intesa vincitore della classifica 2005 con 9,89 milioni di plusvalenze
lorde. Nel maggio 2005 Passera aveva sottoscritto 10 milioni di stock option a 2,022 euro, rivendendone
5,75 milioni al prezzo di mercato (3,741 euro), Aveva tenuto gli altri 4,247 milioni come reinvestimento.
Questi titoli li ha venduti il 12 maggio di quest’anno (a 4,816 curo), insieme ai 5 milioni delle stock option
2006. Per tutti il prezzo medio di acquisto era 2,022 euro. La plusvalenza lorda è di 25,8 e milioni, di cui
13,97 milioni dal pacchetto 2006. Il 15 maggio Passera ha quindi reinvestito tutte le plusvalenze accumulate
nel biennio, al netto delle tasse: ha comprato 6,26 milioni di azioni Intesa spendendo 30,95 milioni (4,816
euro per azione) Il capo classifica, Bifulco, che non svetta nelle classifiche degli
stipendi (658mila euro annui lordi e tra i fringe benefit i buoni pasto), ha realizzato la plusvalenza di 37,35
milioni tra fine febbraio e marzo. L’operazione di Montezemolo non è stata comunicata attraverso gli avvisi
«internal dealing», sul sito di Borsa, ma è descritta nella semestrale Fiat al 30giugno. La relazione,
pubblicata il 26 luglio, informa che il presidente Fiat ha sottoscritto 104.000 azioni Ferrari tra il 12 maggio
(88.400) e l’8giugno (15.600)per 175 euro ciascuna. «Fiat Spa— aggiunge la relazione — ha
complessivamente acquistato da quest’ultimo (cioè Montezemolo) 93.600 azioni Ferrari ad un prezzo
unitario di euro 285 equivalente a quello pattuito da Mediobanca a Mubadala Development Company in
occasione della recente cessione», avvenuta un anno fa. La data di riacquisto non è indicata. Nella
graduatoria sono comprese, infine, le vendite di stock option fatte il luglio dai dirigenti di Campari e Banco
popolare di Verona e Novara, con assegnazione lampo delle opzioni e rivendita poche ore prima che il
fisco diventasse più pesante. Così Luca Garavoglia, presidente Campari, ha risparmiato 243 milioni di
maggiori tasse e Fabio Innocenzi (Bpvn) ha evitato un onere di 1,66 milioni.

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  LA MANOVRA D’ESTATE La cancellazione del beneficio fiscale sulle opzioni avrà
                                  effetti anche sui contributi
                                 Stock option senza vantaggi
  Sulle assegnazioni effettuate dal 4 luglio scatta il normale regime della ritenuta in busta paga

La cancellazione dell’agevolazione sui piani azionari destinati ai dipendenti rischia di far scattare un drastico
ridimensionamento dell’utilizzo di questo strumento. L’aggravio del prelievo, rispetto al regime precedente, è
infatti talmente elevato che rende meno conveniente il ricorso all’incentivo. Inoltre, la soppressione
dell’articolo 51, comma 2, lettera g-bis), del Tuir, disposta dall’articolo 36, comma 25, del decreto legge 4
luglio 2006, n. 223, non fa salvi i piani approvati dalle società in passato e organizzati secondo il precedente
regime agevolato. Le assegnazioni di azioni effettuate dal 4 luglio (data entrata in vigore del decreto legge),
anche se riguardanti programmi deliberati in precedenza, saranno sottoposte al regime ordinario di
applicazione delle ritenute in busta paga. E l’eliminazione del beneficio fiscale avrà effetto anche sul
versante contributivo, il cui onere è per la maggior parte a carico dei datori di lavoro. Il decreto non è dunque
coerente con la volontà manifestata dall’Esecutivo di ridurre il cosiddetto cuneo fiscale.

 Il nuovo fringe benefit. Con l’abrogazione della norma di favore del 2000, dal 4 luglio alle assegnazioni di
azioni si applicano le regole impositive in materia di redditi di lavoro dipendente, in particolare l’articolo 51
del Tuir. Il comma 2, lettera g-bis), della norma prevedeva l’irrilevanza della differenza fra valore delle azioni
al momento dell’assegnazione e il prezzo pagato dal dipendente, a condizione che quest’ultimo fosse non
inferiore al valore delle azioni alla data dell’offérta Ora la differenza diventa componente in natura del reddito
del lavoratore dipendente destinatario della acquisizione di azioni. E si applicherà il comma 3 dell’articolo 51
che fissa le regole di determinazione dei fringe benefit e, in particolare, il principio del valore normale di beni
e servizi, al netto di quanto pagato dal dipendente.

I sostituti d’imposta. L’esercizio dell’opzione del piano azionario comporterà, per il dipendente, l’emersione
di un reddito in natura (‘valore’) che si aggiungerà ai componenti monetari (“denaro”) della retribuzione nel
periodo di paga in cui avverrà l’assegnazione. In pie- senza di assegnazioni di elevato ammontare potrà
capitare che il reddito in denaro si rivelerà insufficiente per consentire il prelievo complessivo. In caso di
incapienza — secondo l’articolo 23, comma 1, ultimo periodo, del Dpr 600/73 — il sostituito (il dipendente)
dovrà versare al sostituto d’imposta l’importo della ritenuta. E anche se manca la disponibilità, il datore di
lavoro è obbligato a versare la ritenuta (circolare 326/E del 1997, punto 3.2).

Il capital gain. L’esercizio dell’azione di acquisto delle azioni è spesso preordinato alla successiva (se non
immediata) cessione delle azioni. L’operazione potrà generare una plusvalenza o una minusvalenza. In
questi casi (azioni cedute derivanti da piani di stock option), secondo l’articolo 68, comma 5, del Tuir il
prezzo di acquisto sarà dato dalla somma fra il corrispettivo pagato per l’opzione e il valore che ha
contribuito alla formazione del reddito di lavoro dipendente. Inoltre, il costo d’acquisto dovrà essere
aumentato degli oneri accessori: spese notarili, commissioni di intermediazione, tassa sui contratti di Borsa e
così via. Se l’attività finanziaria (azioni acquistate) viene ceduta, la plusvalenza (capital gain) deve essere
determinata come differenza Ira il corrispettivo percepito e il prezzo di acquisto. Per le partecipazioni non
qualificate, la tassazione (a titolo definitivo) è al 12,50 per cento. ALESSANDRO ANTONELLI - LUCA
POGGI

IN UN ESEMPIO IL TEST DI CONVENIENZA

    •   Il piano azionario approvato da una società nel 2003 prevede i seguenti valori: prezzo
        dell’offerta, 10 euro per ogni azione; numero di azioni offerte al dipendente Tizio, 1.000; scadenza,
        15luglio. 2006; quindi, il dipendente potrà esercitare l’opzione di assegnazione a un prezzo di 10
        euro per ogni azione; valore di ciascuna azione all’assegnazione, 15 euro.

    •   Il dipendente esercita l’opzione. Questi gli effetti: valore delle azioni assegnate, 15.000 euro; prezzo
        pagato per l’acquisto, 10.000 euro; fringe benefit (1 — 2), 5.000 euro.

    •    Fino al 3 luglio2006, secondo l’articolo 51, comma 2, lettera g)-bis, del Tuir il valore di 5.000 euro
        non sarebbe soggetto a tassazione e contribuzione come reddito di lavoro dipendente, ma solo
        come capital gain (con imposta sostitutiva al 12,5%), nell’ipotesi di cessione delle azioni.

    •   Con la cancellazione dell’agevolazione, la differenza tra valore al momento dell’assegnazione e
        corrispettivo pagato costituirà reddito di lavoro dipendente imponibile ai fini contributivi e fiscali.

    •   Così, sulla differenza di 5.000 euro si applicheranno i contributi previdenziali in misura ordinaria e
        sull’altra parte (al netto dei contributi a carico del dipendente) sarà effettuata la ritenuta lrpef con
        l’aliquota marginale, oltre al prelievo di addizionali regionali e comunali.

    •   Avremo dunque la seguente situazione: imponibile contributivo, 5.000 euro; contributi a carico del
        dipendente (9,89%), 494,50 euro; imponibile fiscale (1 —2), 4.505,50 euro; lrpef ad aliquota
        marginale 43%, 1.937,36 euro; addizionali locali ad aliquota 1,1%, 49,56 euro; netto (3—4— 5),
        2.518,58 euro.

    •    Va inoltre tenuto in considerazione il confronto tra vecchio e nuovo regime: — con il regime di stock
        option, il dipendente percepiva il fringe benefit al netto dell’imposta sostitutiva (dovuta peraltro solo
        in caso di cessione), nell’esempio 5.000 — (5.000*12,5%) = 4.375; — con l’attuale regime, lo stesso
        fringe benefit genera un importo netto pari a 2.518,58 euro. (Alessandro Mengozzi)

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                                Stock option, l’appeal perde il 244%,

MILANO. C’è chi si è salvato appena in tempo, come il presidente della Tod’s Diego Della Valle, il quale per
soli quattro giorni si stima che sia riuscito a risparmiare imposte per circa 253 milioni. E solo da ieri l’altro,
infatti, che le assegnazioni di azioni sono sottoposte al regime fiscale ordinario — non ÌÙ agevolato
anche nel caso in cui derivino da programmi deliberati in passato. Della Valle si è dato da fare prima dell’ora
“x”; l’assegnazione, nel suo caso, si è verificata il 30 e - giugno, cioè a quattro giorni dall’entrata in vigore
della “stretta”. A fissare le nuove regole fiscali sulle stock option e la decorrenza delle stesse è stato il
decreto legge 223/06, la manovra d’estate del Governo Prodi. Che da martedì 4 luglio (data di entrata in
vigore del provvedimento) ha soppresso il vecchio regime agevolato per sostituirlo con le ordinarie regole
impositive in materia di redditi di lavoro dipendente. La manovra non ha salvato dalla stretta i piani approvati
dalle società negli scorsi anni e organizzati dunque sulla base del vecchio, più favorevole regime: tutte le
assegnazioni di azioni (in pratica, l’esercizio dell’opzione) effettuate a partire dal 4 luglio — anche quelle che
derivano da programmi deliberati precedentemente — sono sottoposte al regime ordinario delle ritenute in
busta paga previste per amministratori e lavoratori dipendente. In pratica, da un giorno all’altro la pretesa del
Fisco è passata dal 12,5 al 43 per cento calcolato sulla differenza tra il valere delle azioni al momento
dell‘offerta e il valore delle stesse azioni al- momento dell’assegnazione In termini di Imposta l’aumento è
stato del 244 per cento, e a questo aggravio vanno poi aggiunti gli eventuali contributi
dovuti all’INPS nel caso in cui l’assegnatario sia titolare di un rapporto di lavoro dipendente
Della Valle è riuscito a scampare il pericolo. esercitando l’opzione su un pacchetto di azioni che nel tempo gli
ha garantito una plusvalenza di 1.157.000 euro, il presidente della Tod’s si è visto applicare un prelievo di
poco più di 144mila euro. Se avesse tergiversato quattro giorni avrebbe invece dovuto versare quasi tre
volte tanto. ALESSANDRO MENGOZZI - MARCO PERUZZI

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2° Pensioni
RIFORME A METÀ La pensione flessibile, una strada a ostacoli

di EIsa Fornero

Non c’è migliore tutela per le pensioni dell’equilibrio del sistema previdenziale. Ed è importante che il
ministro del Welfare, Cesare Damiano, in più occasioni (l’ultima nell’intervista pubblicata ieri su La Stampa)
abbia sottolineato che l’obiettivo principale dei nuovi interventi sulle pensioni, previsti nella prossima legge
finanziaria, deve essere proprio il mantenimento di quell’equilibrio Un sistema equilibrato è, infatti, in grado di
tutelare gli interessi dei lavoratori molto più di qualunque promessa politica. E non c’è bisogno di meccanismi
inventati ex novo, perché sono già stati, in buona misura, introdotti più di un decennio fa, quando, con la
riforma del ‘ e l’adozione del metodo contributivo, l’Italia fece da battistrada in Europa nel campo degli
interventi pensionistici. Paradossalmente, però, tale metodo non è mai giunto all’applicazione concreta
perché l’approvazione della riforma poté realizzarsi, con il consenso delle parti sociali, soltanto al prezzo di
una lunghissima posticipazione (dell’ordine di decenni) della sua entrata in vigore; lo stesso, d’altronde, è
accaduto per gli altri elementi fondanti del nuovo sistema, come il cosiddetto “pensionamento flessibile” —
ossia la facoltà per il lavoratore di decidere il momento della propria collocazione a riposo, superando la
rigida definizione di un’età”legale” di pensionamento — del quale tutti sembrano convinti assertori. Metodo
contributivo e pensionamento flessibile sono, a ben vedere, due facce della stessa medaglia. Attribuire al
singolo lavoratore la facoltà di scelta del momento del pensionamento—in base a elementi personali e
famigliari, che soltanto il lavoratore può conoscere — è, infatti, buona cosa. La corretta applicazione di
questo principio necessita tuttavia di alcuni requisiti fondamentali: un’età minima di uscita, correlata a un
vitalizio non troppo basso; l’adozione di una formula, com’è quella contributiva, che faccia crescere la
pensione in modo da incentivare la permanenza al lavoro (al contrario delle pensioni di anzianità); la
fissazione di un’età massima, oltre la quale scoraggiare la permanenza al lavoro per facilitare il ricambio
generazionale di manodopera nelle imprese. La riforma del ‘95 combinava tra loro questi requisiti stabilendo
la fascia d’età 57-65 per la variazione attuarialmente equa della pensione, sulla base di quei coefficienti di
trasformazione la cui revisione dovrebbe essere inclusa nel pacchetto autunnale (rinviarla sarebbe un
errore). La rigidità della fascia ne costituisce peraltro un elemento di debolezza: se i 57 anni d’età potevano
considerarsi un minimo appropriato nel ‘95, oggi risultano troppo bassi, e ancor più lo saranno negli anni a
venire con l’allungamento della vita media. Non a caso i detrattori del metodo contributivo ricorrono a una
sorta di pressione psicologica quando fanno riferimento ai bassi tassi di sostituzione (rapporto tra la prima
pensione e l’ultima retribuzione) che risulteranno dalla sua applicazione e li paragonano al rassicurante 80%
dell’ultima busta paga risultante dalla formula retributiva, Ciò che i detrattori non dicono è che quella
certezza era ottenuta a prezzo di oneri impropri sulle generazioni future, mentre la formula contributiva
svolge un importante ruolo segnaletico, mettendo in guardia il lavoratore dal rischio di uscire a un’età troppo
giovane con un vitalizio troppo basso. Nella prospettiva di tassi di sostituzione più elevati, anche il limite dei
65 anni per la variazione dei coefficienti di trasformazione è inadeguato. Anziché definire valori assoluti in un
contesto demografico in continua evoluzione, sarebbe preferibile indicizzare gli estremi alle variazioni della
longevità. La lunghezza del periodo di transizione e la mancanza di tale indicizzazione hanno di fatto
compromesso il meccanismo del pensionamento flessibile e messo in dubbio la volontà politica di continuare
sulla strada del metodo contributivo. Nel 2004, la riforma del Governo Berlusconi ha nuovamente modificato,
in modo sostanziale — ma con data di inizio nel 2008 —le norme sul pensionamento. Con lo scopo, in sé
buono, di aumentare l’età media dì uscita e rendere più difficile il pensionamento di anzianità, si è mandato
in soffitta il pensionamento flessibile, mediante l’introduzione di una serie di vincoli e di differenziazioni (in
particolare tra uomo e donna) scarsamente giustificabili in una logica di liberalizzazione. Il cerchio
si è chiuso con la riaffermazione del primato della politica in una sfera, quella relativa al momento di uscita
dall’attività di lavoro, nella quale i singoli dovrebbero invece avere, al tempo stesso, maggiore libertà e
maggiore responsabilità Compito dell’attuale Governo nel prossimo appuntamento autunnale con la
previdenza non potrà essere. solo quello di attenuare il cosiddetto “scalone”, ossia la differenza di
trattamento tra chi può andare in pensione nel 2007 e chi è invece costretto ad aspettare il 2008. Ancora più
importante sarà la piena attuazione del metodo contributivo, anche nel pensionamento flessibile. Sarà così
possibile riprendere la buona strada iniziata undici anni fa e ribadire il principio di libertà di scelta e il rifiuto di
soluzioni basate sul debito pubblico. EIsa Fornero

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PROFESSIONI E PREVIDENZA

(questo articolo anche se tratta di un argomento che non ci tocca direttamente, ha però nel suo
complesso temi che possono essere affini ai nostri)

                          Quel debito che pesa sulle nuove generazioni
                                                 di EIsa Fornero

L’obiettivo della sostenibilità dovrebbe essere la pietra angolare di ogni sistema previdenziale. E se questo è
vero per le pensioni pubbliche, dovrebbe essere ancor più vero per le casse professionali e privatizzate,
casse che devono trovare al loro interno strategie, strumenti e risorse per garantire il futuro dei loro iscritti. ,,
In questa prospettiva i dati. sulle casse previdenziali dei liberi professionisti, raccolti anche quest’anno dal
Sole-24 Ore, rivelano certamente alcuni aspetti positivi, ma ne lasciano trasparire altri, decisamente negativi,
ben più rilevanti per un giudizio complessivo sul loro stato di salute. Gli aspetti positivi riguardano il presente:
guardando ai parametri economico-demografici, sia il tasso di copertura, ossia il rapporto tra le entrate per
contributi e le uscite per pensioni, sia il rapporto tra il numero dei contribuenti e quello dei beneficiari, pur
presentando una certa variabilità tra casa e cassa, mostrano tutti valori da fare invidia alla previdenza
pubblica, da quella dei lavoratori dipendenti, pubblici e privati,a quella, ben più disastrata, dei lavoratori
autonomi.
Trarne motivo di compiacimento sarebbe però miope. È vero che si tratta di dati parziali (manca, per
esempio, proprio la cassa dei giornalisti) e limitati nel tempo, ma fanno emergere comunque evidenti
elementi di preoccupazione. In primo luogo un sistema previdenziale basato sulla ripartizione – ossia
sull’utilizzo dei contributi di un anno per il pagamento delle prestazioni dello stesso anno, con soltanto una
modesta accumulazione di riserve – lega le generazioni presenti (giovani e anziane) alle generazioni future e
si proietta quindi su un arco temporale di decenni anziché di anni, o anche di pochi lustri. In questa
prospettiva i buoni rapporti che quasi tutte le casse esaminate presentano sono indicativi della “giovinezza”
delle gestioni più che non di uno schema pensionistico lungimirante e ben disegnato. E’ naturale infatti che
in un’attività relativamente nuova vi siano molti lavoratori attivi e pochi pensionati e anche se il disegno
previdenziale della cassa fosse insostenibile, cioè promettesse pensioni sistematicamente superiori al loro
equivalente attuariale, essa presenterebbe pur sempre cospicui avanzi di gestione. Non mostrerebbe invece
il sottostante debito nei fronti delle generazioni future, destinate ad aumentare con il maturare della
professione della relativa gestione. In secondo luogo, quello che i dati non rivelano è l’inadeguatezza del
disegno pensionistico delle Casse. Tale inadeguatezza discende da due difetti di fondo. Il Primo, rimediabile
è tipico delle Casse di vecchia generazione privatizzate nel 1993, e discende da formule retributive di calcolo
della pensione, non compatibili con l’equilibrio finanziario di lungo termine della gestione Il rimedio — in
verità già adottato da qualche Cassa, ma ancora avversato da molte — consiste nel passaggio al metodo
contributivo, in analogia con quanto stabilito, con la riforma del 1995, sia per le nuove Casse, sia per il
sistema pensionistico pubblico. Se le pensione riflettono adeguatamente la dinamica interna della massa
contributiva della Cassa si evitano, da un lato, fenomeni di evasione e sottodichiarazioni dei redditi; dall’altro,
la formazione di disavanzi.

Ma anche quando al metodo contributivo fosse adottato (volontariamente o via intervento legislativo) da tutte
le Casse, resterebbe pur sempre il secondo difetto. Questo consiste nella insufficiente diversificazione del
rischio relativo al risparmio previdenziale: anche con gestioni in infatti, lo schema pensionistico fa dipendere
le prestazioni dalla sola dinamica della categoria (ossia dal numero e dai redditi dei lavoratori che vi
appartengono). In altre parole, mentre la pensione di un metalmeccanico o di un dipendente pubblico,
essendo ancorata al prodotto interno lordo, dipende dalla dinamica complessiva dell’economia, quella di uno
psicologo o di un consulente del lavoro dipende, oltre che dai contributi versati, dalla dinamica specifica della
categoria. Le categorie professionali però hanno vicende al- e teme: qualcuna cresce, qualcuna scompare e
nessuna è, in ogni caso, in grado di crescere sistematicamente più della media dell’economia. Il rimedio a
questo difetto è di aumentare le riserve; di cercare accorpamenti con altre Casse — come si ipotizza per
l’Inps e l’Inpadp, in modo da allargare la platea di riferimento; o di passare alla capitalizzazione. La risposta
delle Casse, senza che, nel loro complesso, abbiano fatto molto per correggere i propri difetti congeniti ma
forti— in apparenza— dei loro avanzi di breve periodo, è invece di proporsi come raccoglitrici anche delle
risorse da destinare alla previdenza complementare. L’autorizzazione a gestire il fondo pensione della
categoria dovrebbe però essere concessa soltanto a patto che la Cassa abbia prima posto in atto tutte le
misure necessarie per assicurare sostenibilità di lungo termine alla previdenza obbligatoria della categoria
stessa. Tale misura sarebbe utile non soltanto agli iscritti alla Cassa, i quali vedrebbero meglio tutelati i loro
interessi pensionistici, ma anche ai contribuenti in generale, dato che la storia del nostro Paese è ricca,
purtroppo anche in campo previdenziale, di episodi di “privatizzazione degli utili” e di “collettivizzazione delle
perdite”. E facile anticipare le reazioni negative a questa proposta, ma dovrebbero essere gli stessi iscritti, e
in particolare quelli più giovani, sui quali maggiormente peserà l’onere del debito pensionistico, a sostenere
che la gestione del fondo pensione non possa essere fatta dalle stesse organizzazioni che, in altra veste,
non sembrano avere grande considerazione del loro futuro. Elsa Foriero

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                                              Norme e tributi

            Previdenza. La corsa delle anzianità sulle pensioni doppio rischio

                                       ALLERTA DEI SINDACATI
L’esodo colpirà il settore pubblico e quello privato La fuga dall’impiego è determinata dall’incertezza
                                               sul futuro

ROMA Il rischio riforma non spaventa solo i lavoratori pubblici ma anche quelli privati. È quanto afferma Pier
Paolo Baretta, segretario generale aggiunto della Cisl, commentando l’inchiesta del «Sole-24 Ore» di ieri sul
vertiginoso aumento delle richieste all’Inpdap di pensionamento per anzianità. «Una tendenza comprensibile
a cautelarsi», spiega Baretta, generata dal «continuo dibattito sul fronte pensionistico, con un susseguirsi di
annunci, indiscrezioni, rumors». Per quanto riguarda la sostenibilità della spesa,il sindacalista conferma il
suo no «a modificare il calcolo pensionistico attraverso la revisione dei coefficienti, perché le pensioni non
possono essere ulteriormente tagliate». Secondo Baretta, l’innalzamento dell’età media pensionabile è
possibile solo su base volontaria; è necessario inoltre «approfittare del cuneo fiscale per stabilizzare
l’occupazione a tempo indeterminato, soprattutto quella giovanile». Anche per il segretario confederale Uil,
Antonio Foccillo, non è opportuno innalzare l’età pensionabile, visto che «l’età media della pubblica
amministrazione è già molto alta». Bisogna invece lasciare decidere «al lavoratore quando andare in
pensione usufruendo di incentivi>. Il segnale di fuga dei dipendenti pubblici è preoccupante anche se non
nuovo, spiega Beniamino Lapadula: il responsabile economico della Cgil si dice contrario a «interventi sulle
pensioni per fare cassa, piuttosto serve un rafforzamento strutturale della riforma Dini finalizzato a un
invecchiamento attivo>). Il modello indicato dal sindacalista è quello dei Paesi del Nord Europa, «dove si
stanno applicando forme flessibili di pensionamento, come il part time. Inoltre, bisogna pensare anche a
interventi di tipo formativo sugli over 45». Per quanto riguarda l’Inps, la prima nota di variazione del
preventivo 2006 indica in 203.357 le pensioni di anzianità attese, con un aumento del 48,9% rispetto al 2005
nonostante sia ancora in vigore il superbonus, che decadrà il 31 dicembre 2007. Ben 131.217 assegni
interesseranno il lavoro dipendente. Quanto agli autonomi, i pensionamenti d’anzianità previsti sono 72.140,
in linea con quelli dell’anno scorso, di cui 16.500 per i coloni e i mezzadri, 32.640 per gli artigiani, 23 mila
circa per i commercianti.

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                                        I CONTI IN TASCA
                                Previdenza, come si usa il comparto
                                           di Marco Liera

L’adeguamento dei coefficienti di trasformazione delle pensioni nel sistema contributivo ridurrà ulteriormente
le rendite attese dal primo pilastro, e i questo indurrà i lavoratori avveduti ad accumulare risparmi
previdenziali ancora più sostanziosi nei fondi pensione. Le mosse possibili per chi ha già aderito a una forma
di previdenza integrativa sono due: o aumentare il versamento, o ottenere un • rendimento più alto. Posto
che la prima opzione ha dei limiti nella • capacità di risparmio dei singoli lavoratori, e nei margini di
deducibilità fiscale, vediamo come perseguire la seconda strada. Puntare a un rendimento più alto significa
essere disposti a prendere maggiori rischi, e quindi è una facoltà concessa solamente a chi è disposto a
subire perdite anche su orizzonti di qualche anno, in cambio di una redditività maggiore sul lungo periodo.
Alcuni fra i principali fondi pensione offrono la possibilità di puntare a rendimenti più alti a lavoratori ancora
lontani dal pensionamento, consentendo di destinare i risparmi previdenziali a comparti di investimento
caratterizzati da diversi profilo di rischio. L’opzione multicomparto è quella che è stata prospettata al lettore
della provincia di Padova, perché prevista dal suo fondo di categoria, il Cometa. Il lettore, 40 anni di età,
appare molto incerto. sull’adesione al fondo, e sulla scelta del comparto perché iscrivendosi. a Cometa
rinuncerà alla disponibilità del Tfr maturando. Intuisce anche che se dovesse scegliere il comparto più
prudente, Monetario Plus, potrebbe ottenere un rendimento inferiore a quello del Tfr, anche se l’obiettivo
dichiarato per questa linea di gestione è quello di generare un ritorno comparabile a quello della
liquidazione”. Il lettore pensa di risolvere questo problema riservandosi la possibilità di”cambiare cavallo” di
tanto in tanto, cioè di spostare il suo montante previdenziale tra i vari comparti a seconda delle sue attese
sui mercati. In quest’ottica, Monetario Plus servirebbe solamente per i parcheggi temporanei. Il fatto è che
nessuno è in grado di indovinare quale sia il momento più adatto per scegliere comparti a maggio r
contenuto azionario e viceversa i vari comparti dovrebbero essere utilizzati a seconda dell’orizzonte
temporale di accumulazione rimanente, in modo abbastanza programmato. Quindi stare sui comparti più
aggressivi va bene da giovani, ma è molto meno indicato quando mancano pochi anni alla pensione.

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                                RIDIMENSIONATA LACOMMISSIONE
                          Nucleo spesa previdenziale Geroldi nuovo presidente

Il giro di vite sul Nucleo di valutazione della spesa previdenziale è arrivato. Il ministro del Lavoro Cesare
Damiano di concerto, con il collega dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa, ha disposto la riduzione dei
componenti dell’organismo tecnico da 20 a 12, e ha nominato il professor Giovanni Geroldi nuovo
presidente. L’intervento, deciso in attuazione alle misure taglia-commissioni della manovra-bis, arriva pochi
giorni dopo le critiche sollevate da diversi esponenti politici e sindacali sull’ultimo atto del vecchio Nucleo:
l’approvazione dei nuovi coefficienti di trasformazione, in dispensabili per il calcolo, insieme con il montante
contributivo delle future pensioni. A capo del Nucleo che ha approvato i coefficienti c’era l’ex sottosegretario
al Lavoro Alberto Brambilla, che resta nell’organismo al fianco di esperti previdenziali, economisti e tecnici
scelti in rappresentanza del ministero dell’Economia, del Lavoro e della Ragioneria generale dello Stato.
«Vorrei recuperare entro l’autunno, se possibile, l’obiettivo primario del Nucleo - spiega Giovanni Geroldi, 59
anni, economista, uno degli autori della riforma Dini - vale a dire la pubblicazione del Rapporto annuale con
gli andamenti della spesa previdenziale di breve, medio e lungo periodo». Geroni dà anche un giudizio
positivo sui nuovi componenti: “Prevalgono le competenze economiche - spiega- e la squadra ora è molto
più compatta. Già i primi di settembre riunirò il Nucleo per una ricognizione sull’agenda dei lavori».

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                             DOPO LA REVISIONE DEI COEFFICIENTI
                            Il Lavoro: sulle pensioni si decide in concertazione

Sulle pensioni nessun automatismo dopo il via libera ai nuovi coefficienti di trasformazione. Lo ha detto il
ministro del Lavoro, Cesare Damiano a margine della conferenza stampa sull’indulto: «Il vecchio Nucleo di
valutazione della spesa previdenziale — ha affermato il Ministro — ha compiuto il suo lavoro, ma non ci sarà
nessuna trasposizione automatica delle modifiche dei coefficienti di trasformazione». Damiano, che lunedì
ha ridotto da 20 a 13 il numero dei componenti del Nucleo, sostituendo alla presidenza Giovanni Geroldi
all’ex sottosegretario leghista Alberto l3rambilla, ha chiarito che sarà invece il tavolo di concertazione sulle
pensioni a prendere le «opportune decisioni»: «Qualsiasi modifica — ha detto — va fatta insieme con le parti
sociali, considerando sempre che il sistema ha bisogno di un adeguamento dal momento che si vive più a
lungo». Il «vecchio» Nucleo a fine luglio aveva approvato i nuovi coefficienti di trasformazione ,validi per il
calcolo di montante contributivo e pensioni future (con effetto dal 2013). Il ricalcolo vale per chi andrà in
pensione nei prossimi anni non con il metodo contributivo, ma con il cosiddetto «sistema misto» (dunque
coloro che nel 1998 avevano meno di 18 anni di contributi). La riduzione prevista dal Nucleo, variava tra il
6per cento e l’8 per cento a seconda dell’età in cui si esce dal lavoro verso la pensione di anzianità (più
basso il taglio se si esce prima perchè il coefficiente di trasformazione di partenza è inferiore, più alto
aumentando l’età del ritiro). In sostanza, il taglio si traduceva in un minore montante pensionistico. E a chi gli
ha chiesto se il cambio di presidenza del Nucleo dipendesse dallo spoil system, Damiano ha risposto: «E’
nella normale disponibilità del ministro cambiare il presidente del Nucleo di valutazione della spesa
previdenziale. Il nuovo presidente Geroldi ha tutte le caratteristiche per ricoprire questo ruolo».

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   Pensioni. Per la Cisl si deve discutere anche del rilancio delle forme integrative

                                 Apertura Cgil «Parliamo di età pensionabile»

                                        TAVOLO PREVIDENZIALE
Piccinini: «Apriamo un confronto che riguardi il complesso del sistema, per noi inaccettabile il gradone per il
                                                    2008»

Serena Danna
ROMA

Partono le prove di riforma del sistema pensionistico: la Cgil apre al confronto sulla possibilità di innalzare
l’età pensionabile e, insieme a Cisl e Uil,dettale sue condizioni in vista del tavolo di settembre La scintilla al
dialogo è stata offerta ieri dal ministro del Lavoro Cesare Damiano: in cima alla scala delle priorità per
l’esponente di governo c’è, come ha spiegato in un’intervista al «Messaggero», la correzione dello
«scalone» introdotto dal suo predecessore Roberto Maroni e la reintroduzione del principio di flessibilità; il
tutto, avverte il ministro, «0vviamente da discutere con le parti sociali». La «stella polare», come l’ha definita
Damiano, rimane sempre la riforma Dini, i cui requisiti minimi di età anagrafica (57 anni) e contributiva (35
anni) «vanno considérati in rapporto all’innalzamento della vita delle persone». L’apertura dei sindacati a
un confronto sull’età pensionabile poggia su due condizioni fondamentali: non toccare i coefficienti di
trasformazione e la libertà di scelta del lavoratore. Dalle stanze di Corso d’Italia, il segretario confederale
Morena Piccinini ha. dichiarato che il nodo delÌ’età pensionabile deve essere affrontato nell’ambito di una più
ampia discussione sull’andamento del sistema previdenziale, dal quale bisogna cancellare l’«inaccettabile
scalone» del 2008 della riforma Maroni e introdurre una maggiore flessibilità: «All’interno di un tavolo vero e
ampio di confronto — ha dichiarato — ci sta l’affrontare anche il capitolo dell’età pensionabile».D’accordo
anche il responsabile economia della Cgil, Beniamino Lapadula, che individua due parole d’ordine sul tema
pensioni: concertazione e flessibilità delle scelte. Rispetto all’ipotesi di eliminazione dello “scalone”,
Lapadula ha affermato che la sua «cancellazione pura e semplice» comporterebbe un aumento degli oneri e
per questo bisogna individuare il modo «più intelligente per superano», ragionando in termini di incentivi e di
flessibilità. La possibilità di una modifica dei requisiti anagrafici è una strada percorribile anche per il
segretario aggiunto della Cisl, Pier Paolo Baretta, a patto che «non ci sia nessun ritocco ai coefficienti, che
sia il lavoratore a decidere e che parta subito la previdenza complementare». Solo con queste premesse,
secondo il numero due di via Po, si può avviare il negoziato. Baretta individua nell’intenzione del ministro
una «soluzione di struttura» che consentirà di chiudere il capitolo previdenza e, allo stesso tempo, di
«risolvere» il problema sul versante della spesa Proprio sull’argomento spesa pubblica, però, il segretario
confederale della Uil, Domenico Proietti, avverte Damiano: «Non si può e non si deve fare cassa con il
sistema previdenziale». Come la Cisl, anche il sindacato guidato da Luigi Angeletti è favorevole a discutere
di innalzamento dell’età «solo a base volontaria», lasciando dunque la libertà ai lavoratori di decidere
quando andare in pensione. Favorevole all’abolizione dello «scalone», Proietti ha espresso perplessità sui
«continui annunci di riforme che finiscono solo per creare allarme» e ha ribadito l’opposizione a interventi sui
coefficienti: «Le pensioni so- no già basse — ha osservato —‘ non possiamo rischiare che diventino
insostenibili».

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Previdenza..Fissato il coefficiente per la rivalutazione da gennaio Cresce la
                                  pensione contributiva

                                      Dieci anni di tassi di rivalutazione

Annodi       riferimento         Annodi     rivalutazione            del       Misura         del      coefficente
del contributo                    montante contributivo *                                dl rivalutazione

1996                                      1997                                               1,055871

1997                                      1998                                               1,053597

1998                                      1999                                               1,056503

1999                                      2000                                               1,051781

2000                                      2001                                               1,047781

2001                                      2002                                               1,043698

2002                                      2003                                               1,041614

2003                                      2004                                               1,039272

2004                                      2005                                               1,040506

2005                                      2006                                               1,035386

* per l’anno precedente

Giuseppe Rodà

Fissato il nuovo tasso di capitalizzazione per la rivalutazione dei montanti contributivi. Il ministero del Lavoro,
con la nota 24/IV/0001754 del 17 luglio, ha comunicato la misura —-1,O35386 — per effetto del tasso medio
annuo composto di variazione del prodotto interno lordo nominale (cioè compresa l’inflazione), che nei
cinque anni precedenti il 2006 risultato pari a 0,035386. Il tasso riguarda le pensioni da liquidare nel 2007.
Lo rende noto l’Inps, con il messaggio 22913 del 22 agosto. il tasso vale per la liquidazione della pensione o
del supplemento con il sistema di calcolo contributivo introdotto dalla legge 335/95 (riforma Dini). Questa
pensione si determina, infatti, moltiplicando il montante contributivo individuale (cioè l’accantonamento dei
contributi annuali con la rivalutazione) per il coefficiente di trasformazione stabilito in relazione all’età di
pensionamento (età flessibile da 7 anni). ll sistema di calcolo contributivo vale:

* per i nuovi assunti dal 1° gennaio 1996, sprovvisti di contributi riferiti a periodi precedenti (il calcolo è solo
contributivo)

* per chi è in possesso, al 31 dicembre 1995, dimeno di 18 anni di contributi (sistema di calcolo misto: una
quota di pensione liquidata con il retributivo relativamente ai contributi maturati fino al 31 dicembre 1995 e
un’altra liquidata con il contributivo per i contributi acquisiti dal gennaio1996). Per chi è in possesso, al 31
dicembre 1995, di almeno 18 anni di contributi, infatti, la pensione viene liquidata interamente
con il sistema retributivo. Nel caso, però, di un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni al 31dicembre1995, il
calcolo può essere tutto contributivo, se gli interessati esercitano l’opzione per questo sistema di calcolo. Per
l’opzione sono previsti inoltre 15 anni di contributi, di cui almeno cinque nel sistema contributivo,
decollato dal 1°gennaio 1996

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DAMIANO: PIU’ DIALOGO
                                 Niente anticipo per le nuove regole sul Tfr

ROMA
Per ora il trasferimento del Tfr ai fondi pensione, non potrà partire in quanto «ci sono aspetti che vanno
approfonditi e rivisti». Lo ha detto il ministro del Lavoro Cesare Damiano tracciando un bilancio dei suoi primi
due mesi di incarico. «E’ mio intendimento - ha spiegato - far conoscere alle 23 parti sociali che hanno
sottoscritto l’intesa sulla previdenza integrativa e sull’uso del Tfr con il precedente ministro, l’accordo
stipulato con l’ABI sul fondo di garanzia. E’ un accordo sconosciuto alle parti sociali, ma in tempi brevmsimi
lo invierò». Damiano ha detto che dovrà fare «quello che finora non è stato fatto»in materia di previdenza
ma, ha precisato, che non è in discussione l’impostazione definita dal precedente governo: «Non
ho furie iconoclaste - ha detto - e manterrò l’impianto Maroni. Se una cosa serve ed è buona io la
mantengo». Parlando più in generale di pensioni, Damiano ha ribadito la necessità di tornare allo spirito
della legge Dini: «Quando parliamo di pensioni, parliamo di un argomento estremamente complesso.
Secondo me dovremo individuare una tecnica generale che riporta alla legge Dini e alla graduale flessibilità
nella scelta. Si dovranno stabilire pIafond minimi anagrafici e contributivi e, partendo da questo, restituire ai
lavoratori la possibilità di scegliere autonomamente di andare in pensione». Il ministro ha poi fatto un quadro
degli interventi normativi a cui sta lavorando, Al primo posto c’è «la lotta al lavoro precario» con incentivi che
premiano chi assume stabilmente e con l’aumento dei contributi per il lavoro a tempo determinato: «Vogliano
scoraggiare - ha detto - la concorrenza da “costo” e incoraggiare la buona flessibilità. Damiano ha parlato
anche di uno stanziamento di 30 milioni per l’occupazione nella regione Campania, un accordo con il
governatore Loiero per la stabilizzazione in Calabria di 2.500 lavoratori socialmente utili entro il 2007 e uno
in Puglia con il governatore Vendola per un accordo di programma nel brindisino. Ma soprattutto l’avvio del
suo incarico ministeriale è stato caratterizzato dalla concertazione: 41 parti sociali sono state incontrate in
meno di due mesi e entro l’autunno saranno avviati tavoli sulla politica dei redditi, su welfare e pensioni, sulla
cabina di regia nel settore trasporti, sulla verifica delle norme per il lavoro dei disabili e
sul lavoro nero. (r.r.)

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                Previdenza Annuncio del Ministro: teme bocciatura Ue
               Damiano: «integrativa»e Tfr, da rivedere l’intesa con l’Abi
                          LA RIFORMA IN ARRIVO - I nodi principali restano
   l‘innalzamento dell’età pensionabile e l’anticipo al 2007, al centro della trattativa con i sindacati

Marco Rogari

ROMA
Il Governo punta a modificare anche la riforma della previdenza complementare. Nel mirino è la questione
del meccanismo per garantire le compensazioni alle imprese per la perdita del Tfr e, in particolare. l’intesa
siglata dal Governo Berlusconi con l’Abi per attivare il fondo di garanzia per l’accesso agevolato al credito.
Ad annunciarlo è il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, nello stesso giorno in cui a Palazzo Chigi,nel
vertice di governo convocato da Romano Prodi cominciano ad essere abbozzate le linee guida
dell’intervento sulle pensioni obbligatorie, che dovrà scattare con la Finanziaria 2007. L’intesa sul fondo di
garanzia era stata disdetta tecnicamente, a causa del posticipo della riforma del Tfr al 2008, all’inizio
dell’anno dall’Abi. Che poi, nelle scorse settimane, l’ha resa nuovamente operativa. Ma per Damiano occorre
cambiare stia- da. «L’accordo sul fondo di garanzia andrà rifatto in modo condiviso dal Tesoro e dall’Unione
europea». il ministro ricorda che l’attuale fisionomia del fondo dl garanzia potrebbe configurare. «gli aiuti di
Stato» su cui scatterebbe lo stop della Ue. Il congelamento dell’intesa con l’Abi rende inattuabile; almeno per
il momento, la riforma del Tfr. Che, secondo la tabella di marcia fissata dal Governo Berlusconi, dovrebbe
entrare in vigore nel 2008, ma che per i sindacati (e per Damiano) dovrebbe essere anticipata al 2007.
La questione verrà affrontata con le parti sociali, al tavolo tecnico sul Welfare insieme a quella dei ritocchi da
apportare alle pensioni obbligatorie. Intervenendo a Radio24, Damiano ribadisce che sulle pensioni non ci
sarà alcuna riforma né controriforma, ma solo aggiustamenti. E ripete anche che la proposta dì revisione dei
coefficienti di trasformazione elaborati della spesa previdenziale, verrà adottata «a scatola chiusa». Quanto
agli eventuali correttivi, Damiano si limita a dire che i cambiamenti da adottare dovranno essere individuati
«con il massimo del consenso» e che la logica da seguire è una sola: «Il sistema deve restare in equilibrio,
adesso e per le generazioni future». In attesa di confrontarsi con le parti sociali, il Governo sta già
ipotizzando qualche intervento, di cui si è cominciato a discutere anche nel vertice di ieri a Palazzo Chigi
insieme all’esame di dossier dell’Inps e della Ragioneria generale dello Stato, contenenti una sorta di menù
di opzioni. Il Governo punta ad abolire lo “scalone” della legge Berlusconi percorrendo la via del ritardo
volontario del pensionamento (con “penalizzazioni” per chi ricorre all’uscita anticipata), partendo comunque
da e un innalzamento dell’età minima rispetto alla soglia della “Dini (57 anni + 35 di contributi). Ed è proprio
sull’individuazione dell’età minima di partenza (58 o 59 anni), oltre che sull’anticipo delle nuove regole al
2007, che si giocherà la partita con i sindacati.

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                               Cesare Damiano, ministro del Lavoro
                                  Pensioni, l’età sarà innalzata

COMPLEMENTARE AL PAOLO - Allo stato attuale la riforma del Tfr non può essere anticipata come
chiedono i sindacati

Marco Rogari

ROMA
«Bisogna restituire ai lavoratori la possibilità di decidere quando andare in pensione» attraverso un
meccanismo flessibile. Ma, allo stesso tempo, occorre «stabilire un plafond minimo, dal punto di vista
anagrafico e contributivo» che tenga conto dell’allungamento dell’aspettativa di vita. Con queste parole, il
ministro del Lavoro, Cesare Damiano, di fatto conférma l’intenzione di alzare e l’età minima di
pensionamento seppure tornando sul solco della legge Pini. Un’operazione comunque da concertare con le
parti sociali. Che potrebbero essere chiamate anche a riscrivere, almeno parzialmente, le nuove regole sulla
previdenza complementare. Anche perché, allo stato attuale, la riforma del Tfr non può essere anticipata al
2007, come invece chiedono i sindacati e il Vice ministro Sergio D’Antoni. Damiano lo. dice a chiare lettere:
«Per poter partire bisogna avere tutto in regola. E al momento non abbiamo tutto in regola». A rendere
impossibile l’eventuale anticipo è l’accordo siglato con l’Abi dal Governo Berlusconi sui fondo di garanzia,
necessario ad assicurare il credito agevolato per le imprese. Un’intesa che comporterebbe un costo per il
Tesoro (la copertura del fondo è ”pubblica”) e che rischierebbe di finire nel mirino della Ue perché si
potrebbe configurare un aiuto di Stato. Tra l’altro, secondo alcune voci, nell’intesa sarebbero già indicate
alcune banche incaricate di gestire l’operazione. Damiano, nel corso di una conferenza stampa sui primi 70
giorni di attività del dicastero, non si sbilancia, ma lascia intendere che qualcosa non quadra : «E mio
intendimento       far  conoscere       in    tempi    brevissimi      alle   23     parti sociali che   hanno
sottoscritto l’intesa sull’uso del Tfr con il precedente ministro l’accordo stipulato con l’Abi sul fondo di
garanzia, che è ancora sconosciuto”. Damiano sottolinea che l’accordo targato Governo Berlusconi per
diventare operativo «deve essere firmato dai ministri attuali, - del Lavoro e del Tesoro. E deve avere anche il
disco verde dell’Ue». E aggiunge: «Dovrò fare quello che finora non è stato fatto». Ma tiene a precisare che
non è in discussione l’impianto della riforma. Quanto al tavolo Governo- parti sociali sul Welfare, nel quale
vérranno discusse le misure previdenziali da inserire nella Finanziaria, Damiano conferma l’intenzione di
abolire lo “scalone” e di tornare alla filosofia della riforma Dini attuando «il principio della flessibilità»,
In altre parole, dovrà essere fissata una soglia minima di accesso alla pensione, consentendo al lavoratore
di decidere (fino al requisito di vecchiaia) quando “uscire”: chi opterà per la pensione anticipata avrà un
assegno “risicato” (penalizzazione); chi uscirà più tardi usufruirà di un trattamento più ricco (“incentivi”). Il
tutto, ricorda Damiano, si dovrà conciliare con la necessità di garantire l’equilibrio del sistema pensionistico
nel medio-lungo periodo e tenendo conto dell’allungamento dell’età di vita. Tradotto: l’attuale età minima di
pensionamento fissata dalla “Dini” ( anni più 5 di contributi) dovrà essere alzata. Damiano ripete poi che i
poteri della Covip devono resta- re immutati e, per quanto riguarda il mercato del lavoro, sottolinea che «il
nostro tratto è quello di far tornare al centro i percorsi di stabilizzazione del lavoro».

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Conti da rifare/ Addio agevolazioni
  Esodo, piani scompaginati - Maggiori oneri per i datori se gli incentivi
                         sono pattuiti al netto
                           Sparisce !‘aliquota valida per il Tfr scontata del 50%

Le somme erogate ai lavoratori per incentivarne L’esodo volontario dall’azienda sono tassabili ad aliquota
piena indipendentemente dall’età del lavoratore. Con l’abrogazione del comma 4-bis dell’articolo 19 del Tuir,
in base al decreto legge relativo alla. manovra bis — Di 223106 — viene infatti meno la tassazione
agevolata delle somme erogate alfine di incentivare l’esodo di lavoratori, di età superiore a 50 anni
per le donne, 55 per gli uomini. Fino a lunedì, si applicava l’aliquota ridotta del 50% rispetto, a quella
utilizzata per la tassazione del Tfr. Era necessario che la cessazione anticipata del rapporto fosse
concordata e che fossero offerte al dipendente maggiori somme rispetto i quanto spettante per effetto dileggi
o contratti. Da martedì, con l’entrata in vigore del decreto legge, vale la tassazione ad aliquota ordinaria. La
tematica è stata più volte affrontata, dalla dottrina, dalla prassi e dalla giurisprudenza L’Inps, nel confermare
l’esenzione contributiva delle somme erogate come incentivo, ricomprende, oltre alle somme corrisposte nei
casi di prepensionamento quelle erogate in caso di cessazione anticipata del rapporto di lavoro a tempo
indeterminato laddove la disciplina contrattuale o legale ponga al datore di lavoro limitazioni al potere di
recesso individuale e, quindi, nelle ipotesi di rapporti di lavoro assistiti dal regime di stabilità, secondo la
legge 604/1966. Assumono la stessa natura le somme erogate per cessazione del rapporto di lavoro a
termine prima della scadenza e quelle corrisposte per riduzione di personale attraverso licenziamenti
collettivi Sono altresì ricomprese le indennità per favorire l’esodo del personale in esubero del settore
creditizio (articolo 59, comma 3, della legge 449/97) e, come chiarito dall’agenzia delle Entrate con la
risoluzione 17/E/2003, gli assegni periodici corrisposti in via straordinaria per il sostegno del reddito del
lavoratore che abbia risolto prima del termine il rapporto di lavoro, avvalendosi di un provvedimento di esodo
anticipato (articolo 26, comma 23, legge 44/98). Secondo il ministero delle Finanze (circolare 326/1997) per
il diritto all’agevolazione era necessario che l’offerta fosse rivolta alla generalità? a categorie omogenee di
lavoratori, circostanza questa più volte smentita dalla Corte di cassazione che ha, invece,
sottolineato come la nonna non ponesse condizione alcuna se non l’età dei lavoratori. Anche quest’ultimo
requisito è stato, però, oggetto di censura da parte della Corte di giustizia Ue con la sentenza del 21luglio
2005 nella causa C-207/04. La direttiva 76/207, sulla parità di trattamento fra gli uomini e le donne quanto
alle condizioni di lavoro, secondo la Corte, «osta a una norma che consente, a titolo di incentivo all’esodo, il
beneficio della tassazione con aliquota ridotta » abbia come presupposto l’età, 50 anni per le donne e 55 ami
per gli uomini. La norma censurata è, ora, abrogata con effetto immediato dal decreto e legge 223/06 e ciò
pone problemi di non facile soluzione per i datori di lavoro che stavano trattando o avevano già concordato
piani di incentivi all’esodo. Infatti, ne aumenta sensibilmente il costo quando destinatari dell’accordo fossero
lavoratori con i - requisiti d’età, Peraltro, il maggior onere potrebbe ricadere sul lavoratore se l’accordo è
espressamente riferito a un importo da ero gare al lordo delle imposte, o sul datore di lavoro quando, come
spesso accade, l’accordo è volto a garantire una somma netta da qualsiasi trattenuta. Ancor più il problema
si pone nel settore bancario, per tutti quei lavoratori destinatari degli assegni periodici che l’Inps eroga a
fronte della provvista fondi da parte del datore di lavoro, quale forma di prestazione straordinaria per il
sostegno al reddito del lavoratore che ha consensualmente aderito all’esodo anticipato.

MARIA ROSA GHEIDO

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