Psicologa, cyclette e pesi: alla Fiumara il team che fa tornare a vivere i reduci del Covid

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Psicologa, cyclette e pesi: alla Fiumara il team che fa tornare a vivere i reduci del Covid
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     Psicologa, cyclette e pesi: alla Fiumara il team che fa
     tornare a vivere i reduci del Covid
     di Katia Bonchi
     10 Aprile 2021 – 7:44

     Genova. Clever, il labrador cane guida di Caterina sta comodamente sdraiato sul
     pavimento mentre la sua padrona pedala sulla cyclette: “Quando gli viene tolta la pettorina
     si sente un po’ in ferie – racconta un’infermiera – se ne va in giro cercando qualcuno che
     gli dia la focaccia o un amaretto, il suo snack preferito”. Intorno a lui, i pazienti lavorano
     concentrati alle macchine con i pesi, sulle bici o sul tapis roulant. Medici e infermieri li
     seguono, impostano gli allenamenti e scherzano e incoraggiano i loro speciali ‘atleti’ .

     Siamo al centro di riabilitazione per pazienti Covid allestito dalla Asl3 alla Fiumara. E’
     partito un anno fa, primo in Italia a realizzare un progetto di follow-up a tutto tondo.

     “E’ come essere in una grande famiglia e questo mi sta aiutando tantissimo” dice Sagitta
     mentre fatica alle macchine per rinforzare la muscolatura delle gambe. Non vuole parlare
     del Covid e solo al ricordo di quello che ha passato le trema la voce. “A me il Covid ha
     colpito il sistema neurologico – dice – avevo spasmi muscolari e dolori molto forti. Grazie a
     questo centro sono stata seguita da un neurologo e anche dalla psicologa perché è stato
     molto pesante: una volta che sei negativa al lavoro e in famiglia ti senti in dovere di stare
     bene e hai l’impressione che se dici come ti senti davvero gli altri pensino che stai

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     esagerando. Ora va molto meglio, non solo grazie alle terapie a alla ginnastica ma anche
     grazie al fatto che qui ti senti in un gruppo”.

     Clever si fa coccolare mentre i pazienti si allenano

     Accanto a lei c’è Silvana. Come Sagitta e come tutti i pazienti che si stanno allenando in
     palestra, si è ammalata a ottobre. Silvana fa l’infermiera: anche lei è alle prese con i
     macchinari: “Aspetta che guardo se ho anche il fiato per parlare” dice. Il fiato ce l’ha
     anche se un po’ di affanno non manca: “Va molto meglio – spiega – i primi tempi non
     riuscivo nemmeno a fare pochi passi. Sono al terzo mese di riabilitazione perché ho avuto
     problemi di pressione e ho dovuto rimodulare il farmaco. Adesso sembra che la pressione
     vada bene e potrò fare anche l’ultima prova sotto sforzo”.

     Anche Paola è un’infermiera, lavora al pre-triage del pronto soccorso dell’ospedale Villa
     Scassi. Il Covid se lo è preso a metà ottobre: “Ho passato indenne la prima ondata ma alla
     seconda mi è toccata una polmonite bilaterale con l’aggravante di una pericardite con
     versamento. Ho provato a rientrare a lavorare tre settimane ma non ce la facevo e ora
     sono qui perché avevo sempre affanno e dolore al petto”. Dopo un mese di riabilitazione e
     le cure parallele del neurologo per i dolori alle gambe “va meglio anche se a volte ancora
     non riesco a finire le frasi senza affanno”. Come le altre pazienti è contenta di essere stata
     chiamata e di poter essere seguita dall’equipe diretta da Pietro Clavario: “Qui sono
     splendidi, i medici come le colleghe infermiere. Ti rivoltano come un calzino e finalmente
     comincio a vedere la luce in fondo al tunnel”.

     Stefano sta pedalando sulla cyclette. “A ottobre ho rischiato di morire – racconta – e ho
     vissuto anche il momento peggiore al villa Scassi, quello delle 95 barelle in attesa, una era
     la mia. E’ stato molto pesante perché oltre a dover gestire il tracollo della malattia in quel
     momento cercavi un’accoglienza che l’ospedale non era in grado di darti. Fisicamente è

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     stata durissima: il Covid a me ha attaccato prevalentemente il sistema vascolare così mi
     sono ritrovato con le gambe sotto il ginocchio prevalentemente nere quasi setticemiche.
     Qui con il linfodrenaggio manuale i macchinari e anche il supporto della psicologa sono
     migliorato molto ma soprattutto in questo centro ho visto rimettere il paziente al centro e
     questo per me è fondamentale”.

     E’ un lavoro di squadra perfettamente coordinato quello che svolgono i medici e le
     infermiere che compongono il team messo insieme da Pietro Clavario. L’idea l’ha avuta
     lui “subito condivisa dal direttore generale Bottaro e da tutti i direttori di specialità” ci
     tiene a sottolineare il primario. Il centro è nato per la riabilitazioni dei pazienti
     cardiopatici ma con la pandemia la palestra ha chiuso. “Ora stiamo vaccinando i nostri
     pazienti storici e presto anche lui potranno tonare ad allenarsi – dice il medico – ma nel
     frattempo abbiamo pensato che questo posto potesse essere utile a quanti devono
     affrontare le conseguenze fisiche della malattia di coronavirus”. Ad essere chiamati dal
     centro per una valutazione sono i pazienti che sono stati ricoverati in una struttura
     della Asl3 per Covid e sono stati dimessi con una diagnosi di polmonite.

     “Dall’anno scorso ne abbiamo chiamati oltre 250 – racconta il primario – un primo
     colloquio telefonico anche con la nostra psicologa e poi l’invito a venire qui per eseguire
     una serie di test funzionali”. Il lavoro è complesso perché in base alle prime valutazioni i
     pazienti possono essere anche indirizzati ad altri specialisti, dal reumatologo al neurologo
     allo pneumologo: “Poi quelli che a livello fisico hanno una capacità funzionale ridotta li
     seguiamo direttamente qui facendoli allenare tre volte a settimana”.

     Chi esce dalla malattia spesso fatica a parlare, a camminare e il ritorno al lavoro anche
     settimane dopo la negativizzazione è una chimera, così come tornare a correre o fare
     sport. E questo non vale solo per chi è stato intubato: “Una delle cose che abbiamo capito
     in questo anno di pandemia vedendo tanti pazienti è che gli strascichi non sono
     direttamente correlati alla gravità della fase acuta quindi un paziente può non aver
     avuto bisogno di ossigeno e ora riesce nemmeno a fare le scale di casa. L’altra cosa che
     abbiamo imparato è che al contrario di quanto temevamo all’inizio se un paziente supera la
     fase acuta della polmonite, poi i polmoni e il cuore riprendono la loro funzionalità
     quasi completamente. Ma ci vuole tempo e sudore e anche per questo li aiutiamo qui.
     Chi si ritrova dopo il covid con 8 chili in meno e l’incapacità di camminare senza affanno
     non pensa di riuscire a tornare come prima per non parlare degli sportivi che pensano che
     non potranno tornare a correre o ad andare in bici. Qui li aiutiamo a capire che con il
     tempo e l’allenamento potranno tornare a fare quello che facevano prima”. Il percorso
     dura due o tre mesi: “E’ il tempo necessario a seconda delle condizioni iniziali in cui li
     troviamo per il recupero funzionale, poi possono proseguire ad allenarsi autonomamente
     perché capiscono che possono farcela”.

     Il team è composto da tre cardiologi (compreso il primario), tre infermiere, un
     fisioterapista e una psicologa, figura fondamentale perché le conseguenze fisiche sono
     spesso accompagnate da disturbi psichici: dall’ansia alla depressione al disturbo post
     traumatico da stress. “Li vedo tutti almeno una volta – spiega Marta Ferraris, la
     psicologa del gruppo – e cerco di fare una prima diagnosi attraverso una serie di test. Il
     punto è anzitutto capire se si tratta di persone che hanno necessità di tipo farmacologico o
     hanno bisogno di sostegni importanti che vengono di conseguenza inviate ai servizi di
     salute mentale. In alcuni casi infatti questo evento è stato la goccia che ha fatto traboccare
     il vaso ma dietro c’era già un quadro importante. In altri casi seguo io i pazienti con un
     numero limitato di colloqui, otto in tutto: con alcuni utilizzo la tecnica dell’Emdr che

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     consente di rielaborare il trauma, altrimenti faccio una serie di colloqui di sostegno che
     spesso sono sufficienti a far metabolizzare l’evento perché magari non hanno mai avuto
     uno spazio in famiglia dove poter parlare”.

     Tra i sintomi che vengono spesso descritti dai pazienti ci sono la perdita di memoria e la
     difficoltà a concentrarsi: “Per queste situazione c’è una collaborazione in sinergia con
     neurologia perché occorre capire se si tratta davvero una conseguenza neurologica del
     covid oppure dovuta ad ansia o stress. Così abbiamo deciso che prima di inviarli a fare una
     visita specialistica in neurologia affronto la fase di colloqui perché a volte questi sintomi si
     risolvono da soli in poche sedute. Fondamentale resta la condivisione e il gruppo che si
     forma tra i pazienti che hanno la possibilità di stare insieme, condividere le ansie e le
     paure e si sentono meno soli. Questo è un aspetto fondamentale per il percorso di
     guarigione”.

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