PROTOCOLLO DI KYOTO - Regione Toscana
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PROTOCOLLO DI KYOTO Il 16 febbraio 2005 è entrato in vigore il Protocollo di Kyoto con l'obiettivo di fronteggiare la minaccia dell'effetto serra e dei cambiamenti climatici. Sottoscritto da 141 nazioni è un tentativo di conciliare gli interessi dell'ambiente con quelli dell'economia. Il Protocollo di Kyoto è un trattato adottato dalla comunità internazionale nel 1997, nel corso della Terza Sessione della Conferenza delle Parti (COP) sul clima, istituita nell'ambito della Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite (UNFCCC). L'obiettivo è quello di rallentare il riscaldamento globale. Prende il nome dalla località giapponese, Kyoto, dove si è tenuto questo storico incontro. Nel Protocollo di Kyoto sono indicati per i paesi dell'Annesso I gli impegni di riduzione delle emissione dei gas responsabili dell'effetto serra (anidride carbonica soprattutto). Più precisamente le Parti (i paesi industrializzati che hanno aderito alla Convenzione Quadro) dovranno, individualmente o congiuntamente, assicurare che le emissioni derivanti dalle attività umane globali vengano ridotte di almeno il 5% entro il 2008-2012, rispetto ai livelli del 1990. Il Protocollo di Kyoto prevede impegni di riduzione differenziati da paese a paese. All'interno dell'Unione Europea, che si è prefissa un obiettivo di riduzione della CO2 dell'8%, per l'Italia l'obiettivo si traduce in un impegno di riduzione del 6,5% delle emissioni. I paesi che hanno ratificato il Protocollo, al fine di raggiungere il loro obiettivo di riduzione, potranno avvalersi anche dei cosidetti "meccanismi flessibili": si tratta di misure quali l'Emission Trading (ET), il Clean Developement Mechanism (CDM) e la Joint Implementation (JM). Il trattato prevede l'obbligo in capo ai paesi industrializzati di operare una riduzione delle emissioni di elementi inquinanti (biossido di carbonio ed altri cinque gas serra, ovvero metano, ossido di diazoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo) in una misura non inferiore al 5% rispetto alle emissioni registrate nel 1990 — considerato come anno base — nel periodo 2008- 2012 Il protocollo di Kyōto prevede il ricorso a meccanismi di mercato, i cosiddetti Meccanismi Flessibili; il principale meccanismo è il Meccanismo di Sviluppo Pulito. L'obiettivo dei Meccanismi Flessibili è di ridurre le emissioni al costo minimo possibile; in altre parole, a massimizzare le riduzioni ottenibili a parità di investimento. Perché il trattato potesse entrare in vigore, si richiedeva che fosse ratificato da non meno di 55 nazioni firmatarie e che le nazioni che lo avessero ratificato producessero almeno il 55% delle emissioni inquinanti; quest'ultima condizione è stata raggiunta solo nel novembre del 2004, quando anche la Russia ha perfezionato la sua adesione. Premesso che l'atmosfera terrestre contiene 3 milioni di megatonnellate (Mt) di CO2, il Protocollo prevede che i paesi industrializzati riducano del 5% le proprie emissioni di questo gas. Il mondo
immette 6.000 Mt di CO2, di cui 3.000 dai paesi industrializzati e 3.000 da quelli in via di sviluppo; per cui, con il protocollo di Kyōto, se ne dovrebbero immettere 5.850 anziché 6.000, su un totale di 3 milioni. Ad oggi, 174 Paesi e un'organizzazione di integrazione economica regionale (EEC) hanno ratificato il Protocollo o hanno avviato le procedure per la ratifica. Questi paesi contribuiscono per il 61,6% alle emissioni globali di gas serra. Il protocollo di Kyōto prevede inoltre, per i Paesi aderenti, la possibilità di servirsi di un sistema di meccanismi flessibili per l'acquisizione di crediti di emissioni: • Clean Development Mechanism (CDM): consente ai paesi industrializzati e ad economia in transizione di realizzare progetti nei paesi in via di sviluppo, che producano benefici ambientali in termini di riduzione delle emissioni di gas-serra e di sviluppo economico e sociale dei Paesi ospiti e nello stesso tempo generino crediti di emissione (CER) per i Paesi che promuovono gli interventi. • Joint Implementation (JI): consente ai paesi industrializzati e ad economia in transizione di realizzare progetti per la riduzione delle emissioni di gas-serra in un altro paese dello stesso gruppo e di utilizzare i crediti derivanti, congiuntamente con il paese ospite. • Emissions Trading (ET): consente lo scambio di crediti di emissione tra paesi industrializzati e ad economia in transizione; un paese che abbia conseguito una diminuzione delle proprie emissioni di gas serra superiore al proprio obiettivo può così cedere (ricorrendo all’ET) tali "crediti" a un paese che, al contrario, non sia stato in grado di rispettare i propri impegni di riduzione delle emissioni di gas-serra. Paesi aderenti Per approfondire, vedi la voce Nazioni firmatarie del Protocollo di Kyoto. Adesione al Protocollo di Kyōto al febbraio 2009. In verde gli stati che hanno firmato e ratificato il trattato, in giallo gli stati che lo hanno firmato ma non ancora ratificato. Gli Stati Uniti hanno firmato ma hanno poi rifiutato di ratificare il trattato. Nel novembre 2001 si tenne la Conferenza di Marrakech, settima sessione della Conferenza delle Parti. In questa sede, 40 paesi sottoscrissero il Protocollo di Kyōto. Due anni dopo, più di 120 paesi avevano aderito al trattato, fino all'adesione e ratifica della Russia nel 2004, considerata importante poiché questo paese produce da solo il 17,6% delle emissioni. All'aprile 2007 gli stati aderenti sono 169.
I paesi in via di sviluppo, al fine di non ostacolare la loro crescita economica frapponendovi oneri per essi particolarmente gravosi, non sono stati invitati a ridurre le loro emissioni. L'Australia, che aveva firmato ma non ratificato il protocollo, lo ha ratificato il 2 dicembre 2007.[1] Paesi non aderenti Stati Uniti Tra i paesi non aderenti figurano gli USA, cioè i responsabili del 36,2% del totale delle emissioni (annuncio del marzo 2001). In principio, il presidente Bill Clinton aveva firmato il Protocollo durante gli ultimi mesi del suo mandato, ma George W. Bush, poco tempo dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, ritirò l'adesione inizialmente sottoscritta. Alcuni stati e grandi municipalità americane, come Chicago e Los Angeles, stanno studiando la possibilità di emettere provvedimenti che permettano a livello locale di applicare il trattato. Anche se il provvedimento riguardasse solo una parte del paese, non sarebbe un evento insignificante: regioni come il New England, da soli producono tanto biossido di carbonio quanto un grande paese industrializzato europeo come la Germania. Altri stati L'India e la Cina, che hanno ratificato il protocollo, non sono tenute a ridurre le emissioni di anidride carbonica nel quadro del presente accordo, nonostante la loro popolazione relativamente grande. Cina, India e altri paesi in via di sviluppo sono stati esonerati dagli obblighi del protocollo di Kyōto perché essi non sono stati tra i principali responsabili delle emissioni di gas serra durante il periodo di industrializzazione che si crede stia provocando oggi il cambiamento climatico. I paesi non aderenti sono responsabili del 40% dell'emissione mondiale di gas serra. STATO DI ATTUAZIONE Le emissioni di gas serra europee sono diminuite per il terzo anno consecutivo. Il commissario Ue all'ambiente Stavros Dimas ha reso noti i dati 2007 dell’inventario delle emissioni dell’Agenzia Europea per l’ambiente (EEA). Nel 2007 le emissioni dell’Ue-15 sono diminuite dell’1,6% rispetto al 2006, nonostante la concomitante crescita economica del 2,7%. Il calo delle emissioni è stato principalmente dovuto alle temperature miti, che hanno consentito minori consumi per il riscaldamento domestico, e alle riduzioni nell’industria manifatturiera e nella produzione di ferro e acciaio. Al contrario, sono aumentate le emissioni legate alla refrigerazione e al condizionamento degli ambienti, ma, soprattutto, quelle dei trasporti, cresciute del 23,7%. Complessivamente, il livello di emissioni dell’Ue-15 è del 5% in meno rispetto al 1990, l'anno base del protocollo di Kyoto. L’obiettivo Kyoto del -8% al 2012 sembra quindi raggiungibile. Ma non è scontato che tutti i 27 stati membri riescano a rispettarlo. Tra questi, l'Italia, la Spagna, il Portogallo, il Lussemburgo e l'Austria, per i quali si concretizzerebbe l'ipotesi di sanzioni.
Il costo del ritardo sugli obiettivi di Kyoto L’Italia dal 1° gennaio 2008 ogni giorno accumula un debito di 3,6 milioni € (42 € al secondo) per il mancato raggiungimento degli obiettivi del Protocollo di Kyoto. Il contatore nel sito internet del Kyoto Club visualizza in tempo reale la crescita di questo debito. L'Italia sta accumulando un debito di 3,6 milioni di euro al giorno per lo sforamento delle emissioni di CO2 rispetto all'obiettivo previsto dal Protocollo di Kyoto. Per la precisione, sulla base delle prime stime delle emissioni climalteranti nel primo anno di conteggio, nel 2008 si è accumulato un debito di 1,3 miliardi di euro. La crescita del debito (per ogni tonnellata di CO2 abbiamo stimato un prezzo di 20 €) si può visualizzare in tempo reale dal contatore presente nel sito del Kyoto Club (ad oggi un debito di 42 € al secondo). Questo costo deriva dal divario di oltre 64 milioni di tonnellate di CO2 tra i valori del 2008 e il target di Kyoto. Va ricordato che nel periodo di adempimento 2008-2012, la quantità di emissioni assegnate all'Italia è pari a 483 Mt CO2 eq (-6,5% rispetto al 1990). Per il quarto anno consecutivo le emissioni climalteranti italiane si sono ridotte, dopo essere arrivate nel 2004 ad un livello dell’11% superiore ai livelli del 1990. Nel 2008, in base alle nostre prime stime, esse sono state del 6% più alte rispetto al 1990. Il recupero degli ultimi anni deriva dall’aumentato prezzo dell’energia, da inverni poco rigidi, dall’arrivo della recessione e per finire dai primi risultati delle politiche di efficienza energetica e di incentivazione delle rinnovabili. E tutto fa pensare che anche il 2009, a seguito della crisi, vedrà un’ulteriore riduzione delle emissioni. Malgrado il modesto calo delle emissioni degli ultimi anni, quella di Kyoto rimane un'emergenza pesante in termini economici, di immagine e di mancate opportunità. Paghiamo dieci anni di sottovalutazione del problema climatico e di una notevole superficialità rispetto all'entrata in vigore del Protocollo. Poiché ogni ulteriore ritardo comporterà costi crescenti sarà fondamentale che le istituzioni mettano al centro delle politiche del paese la questione climatica, con conseguenti scelte oculate su efficienza energetica, utilizzo delle fonti rinnovabili e trasporti. DA KYOTO VERSO COPENAGHEN Il 30 novembre 2009 i governi del mondo si riuniranno a Copenhagen per la quindicesima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima. Sarà il più grande vertice sul cambiamento climatico di sempre perché si dovrà decidere se tentare di risolvere il problema o proseguire sull’inconcludente linea di Bali (il vertice precedente). I risultati fin qui ottenuti sono stati scarsissimi perché sostanzialmente si è deciso di andare avanti - a parte le vuote dichiarazioni d’intenti - sul modello “business as usual”. Cosa significa andare avanti con il modello “business as usual”? Significa non fare assolutamente niente e portare il pianeta sull’orlo del collasso. Secondo gli scienziati britannici del Met Office infatti seguendo questa strada ci sarebbe un innalzamento delle temperature medie globali di 5,5- 7,1 gradi centigradi entro il 2100. Tanto per capirci con un innalzamento di soli 4 gradi un quinto delle specie animali sarebbero a rischio estinzione e 1-2 miliardi di persone patirebbero la scarsità d’acqua. Non solo, le piante
e il suolo ridurrebbero drasticamente la quantità di carbonio assorbito, e il metano rilasciato dal permafrost e lo scioglimento dei ghiacci accelererebbero ulteriormente questi processi. Cosa dicono gli scienziati britannici? Semplice, bisogna iniziare ad agire a partire dal 2010 “early and fast”, presto e velocemente, altrimenti non saremmo in grado di limitare i danni, ovvero mantenere l’aumento delle temperature entro il limite sopportabile di 2 gradi. Per questo Copenhagen rappresenterà un momento cruciale da questo punto di vista: significherà decidere concretamente il nostro futuro. A questo scopo attivisti e organizzazioni di 21 paesi si sono riuniti a Copenhagen nel weekend del 13-14 settembre 2008 per dare il via alla discussione su una grande mobilitazione nella capitale danese durante la conferenza del 2009, e hanno lanciato un appello rivolto a tutti affinché la mobilitazione inizi già da ora. OSSERVATORIO DI KYOTO www.osservatorio Kyoto.it A 100 giorni da Copenhagen l’Onu chiede firme online per sbloccare i negoziati LIVORNO. Il summit di Copenhagen si avvicina inesorabilmente a grandi passi e, a 100 giorni dalla Cop15 di dicembre, l'Onu chiede milioni di firme per una petizione on-line lanciata in occasione dell'annuncio della first-ever Global Climate Week, che fa parte della campagna "Seal the Deal!". Il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha invitato le comunità di tutto il mondo ad approfittare della of Global Climate Week che si svolgerà dal 21 al 25 settembre per incoraggiare i loro leader a firmare un accordo equo, equilibrato ed efficace sul cambiamento climatico: «Time is running out - ha detto Ban Ki-moon - Gli scienziati ci avvertono che gli impatti climatici stanno accelerando. Ora più che mai, abbiamo bisogno di una leadership politica al più alto livello che ci garantisca che proteggerà la gente ed il pianeta, e che catalizzerà la crescita verde che può alimentare l'economia del XXI secolo. Con ancora soli 15 giorni di negoziati prima dell'inizio della COP15, ora è il momento che le persone, in ogni angolo del mondo, sollecitino i loro governi a suggellare un accordo equo, efficace e ambiziosa a Copenaghen». Il primo settembre Ban sarà n visita alle Svalbard, l'arcipelago norvegese all'interno del Circolo Polare Artico, vicino al Polo Nord, per toccare con mano il problema dell'accelerato scioglimento dei ghiacci e gli altri impatti del cambiamento climatico. «Spero di essere compreso dai dirigenti mondiali e che questo fornisca l'occasione per buone discussioni nel corso del summit dei Capi di Stato e di governo il 22 settembre a New York - ha detto il segretario dell'Onu - Il livello di riduzione dei gas serra raccomandato nel rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sull'evoluzione del clima (Ipcc) in novembre dovrebbe già essere riconsiderato alla luce dell'accelerazione del riscaldamento del pianeta». Intanto, in un'intervista alla radio dell'Onu, il capo dell'Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo), Michel Jarraud, ha detto che «A causa del cambiamento climatico, i dati meteorologici storici non sono più dei buoni indicatori di tendenze per il futuro né una guida adeguata per prendere decisioni. Numerosi settori socio-economici sono molto dipendenti dalle condizione climatiche per poter prendere delle decisioni a lungo termine». La Week Global Climate coinciderà con il vertice climatico internazionale convocato da Ban Ki- moon a New York il 22 settembre, un giorno prima della riunione annuale dell'Assemblea generale annuale e tra gli eventi previsti in più di 120 Paesi ci sono: incontri con i giovani, iniziative per piantare alberi, il climate neutral day ed il Go Green Day.
Per il direttore esecutivo dell'United Nations environment programme (Unep ), Achim Steiner, «Un accordo scientificamente credibile a Copenhagen è in grado di innescare una transizione verso una Green Economy low carbon, efficiente nell'uso delle risorse, che è così essenziale su un pianeta di sei miliardi di persone, in aumento ad oltre nove miliardi entro il 2050. Questo rappresenterà forse il pacchetto di stimolo di più grande e vasta portata del 2009 ed oltre. Le comunità, le imprese e gli individui sono invitati ad aggiungere la loro voce alla campagna Seal the Deal! durante la Global Climate Week firmando la Climate petition su www.sealthedeal2009.org per raggiungere milioni di firme». La Climate petition serve a sostenere la campagna Seal the Deal! dell'Onu e verrà presentata a Copenhagen dalle Ong della società civile alle delegazioni dei governi del mondo. La campagna ha già ottenuto l'appoggio del premier thailandese Abhisit Vejjajiva, del presidente etiope Girma Woldegiorgis, del primo ministro sudcoreano Han Seung-soo e dalla premio Nobel kenyana Wangari Maathai. Alla campagna Onu il gruppo pop austriaco My Excellence ha dedicato la canzone "Come On (Seal the Deal)" che oggi verrà suonata dal vivo per la prima volta a Vienna in occasione della cerimonia all'Ufficio dell'Onu alla quale partecipa Ban Ki-moon che ha detto: «Gli sforzi compiuti oggi per combattere i cambiamenti climatici sono uno degli investimenti più intelligente possibili che possiamo fare per il nostro futuro. Dobbiamo dimostrare il nostro supporto ai green stimulus packages e per un accordo equo a Copenhagen che determineranno il percorso dell'economia globale ed i livelli di benessere per centinaia di milioni di persone nel XXI secolo». Intanto l'Unep ha annunciate il suo sostegno all'Internews Earth Journalism Awards che premia i migliori articoli e rapporti sul climate change reporting pubblicati lungo la road map che porta a Copenhagen. Per informazioni: http://awards.earthjournalism.org/content/climate-change-negotiations-award. Per firmare la petizione: www.sealthedeal2009.org La vittoria dei democratici in Giappone è una buona notizia per Copenhagen LIVORNO. La schiacciante vittoria del Partito democratico giapponese (Pdj) non è solo una buona notizia perché mette fine all'eterno dominio del Partito liberale e dei suoi alleati della destra buddista del Komeito, ma anche perché il Pdj ha una politica ambientale, climatica ed internazionale molto più avanzata di quella dell'ossificato e spesso corrotto centro-destra nipponico. Il nuovo assetto politico dell'impero del Sol Levante, che probabilmente vedrà un governo di coalizione aperto a sinistra ai socialdemocratici, al nuovo Partito del popolo e forse ai redivivi comunisti, porterà probabilmente ad una mitigazione del neo-nazionalismo e del riarmo (con un riavvicinamento alla Cina) e soprattutto ad un allineamento delle posizioni sul cambiamento climatico del Giappone a quelle dell'Unione europea, con una possibilità di tagli dei gas serra molto più ambiziosi e con un aumento della pressione sugli Usa e le gli altri Paesi sviluppati perché incrementino i loro impegni per il post-Kyoto. Secondo il Protocollo di Kyoto, il Giappone dovrebbe ridurre le emissioni del 6% entro il 2012 rispetto al 1990, ma finora sono aumentate del 9%. Durante la campagna elettorale il nuovo primo ministro Yukio Hatoyama ha detto che il suo governo entro il 2020 ridurrà del 25% le emissioni di gas serra giapponesi rispetto al 1990, una via di mezzo tra l'obiettivo dichiarato dell'Ue del 20% e quello che al quale si è detta disponibile, il 30%, se altri Paesi sviluppati adotteranno obiettivi più ambiziosi. Molto di più del misero 8% in meno di quanto si era detto disposto a fare il governo liberaldemocratici-Komeito. Non a caso il primo apprezzamento per il nuovo impegno del nuovo governo "progressista" giapponese è venuto dal ministro (di centro-destra) per il clima e l'energia della Danimarca, Connie Hedegaard, che ospiterà a Copenhagen il vertice Onu sul clima di dicembre: «Per mantenere la sua
promessa elettorale, il nuovo governo giapponese dovrebbe portare al momento giusto un nuovo slancio alla politica climatica internazionale - ha detto la Hedegaard - forzando l'industria giapponese ad incrementare le soluzioni per l'innovazione e l'efficienza energetica". Hatoyama ha detto che parteciperà personalmente al summit sul clima indetto dall'Onu a New York per il 22 settembre. Il Pdj ha vinto l'elezioni con una piattaforma progressista che ha letteralmente spazzato via il premier Taro Aso, indebolito dalla crisi e dagli scandali, e che prevede l'abolizione delle tasse sull'istruzione superiore, un aumento del sostegno alle politiche per l'infanzia, pensioni minime e salari minimi per gli agricoltori ed una revisione dell'alleanza subalterna con gli Usa. Ma una parte centrale delle proposte del Pdj sono state proprio le riforme verdi: Hatoyama ha promesso di realizzare un "domestic emissions trading scheme" vincolante, una cosa pervicacemente rifiutata dai precedenti governi, di introdurre una tariffa "feed-in" per sostenere l'incremento delle energie rinnovabili e di raggiungere entro il 2020 l'obiettivo del 10% di utilizzo di energie pulite rispetto ai consumi totali giapponesi di energia. Secondo quanto detto al New York Times alla vigilia delle elezioni da Jake Schmidt, direttore della politica climatica internazionale del Natural resources defense council Usa, per mantenere le promesse elettorali il nuovo governo dovrà affrontare grandi sfide ed uno scontro con l'impenetrabile burocrazia nipponica ed una forte opposizione del mondo degli affari: «Non immaginatevi che premano semplicemente un interruttore. Avranno ancora a che fare con problemi delle industrie e con funzionari dei ministeri che hanno opinioni molto diverse dalle loro sul cambiamento climatico e che sono molto forti». Alex Steffen, executive editor del sito di economia sostenibile Worldchanging ed ex giornalista ambientale in Giappone, dice che il risultato delle elezioni è «Molto emozionante. Mentre ci sono grandi barriere strutturali e culturali ai progressi in materia di clima e per altre questioni ambientali, i giapponesi hanno anche un enorme capacità d'innovazione di cui il mondo ha bisogno per affrontare le sfide della sostenibilità. Un Giappone chiaramente impegnato a trasformarsi in una potenza verde è una buona notizia per tutti noi».
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