PROGRAMMA DI SVILUPPO RURALE 2014-2020 - Analisi SWOT completa - Regione Sardegna

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PROGRAMMA DI SVILUPPO RURALE 2014-2020 - Analisi SWOT completa - Regione Sardegna
ASSESSORADU DE S’AGRICOLTURA E REFORMA AGRO-PASTORALE
    ASSESSORATO DELL’AGRICOLTURA E RIFORMA AGRO-PASTORALE

PROGRAMMA DI SVILUPPO RURALE 2014-2020

               Analisi SWOT completa

                         Allegato 1
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Allegato 1 – Analisi SWOT

   4. SWOT E IDENTIFICAZIONE DEI FABBISOGNI

   4.1 Analisi SWOT

      4.1.1   Descrizione generale e complessiva della situazione attuale dell’area di
              programmazione, sulla base di indicatori di contesto comuni e specifici del
              programma e di informazioni qualitative.

La descrizione generale è articolata secondo le sei priorità dello sviluppo rurale, inclusi i tre obiettivi
trasversali innovazione, ambiente e cambiamenti climatici. Nel testo sono riportati tra parentesi i riferimenti
sia agli indicatori di contesto comuni (ICC) enumerati nel paragrafo 4.1.6, sia ai punti dell’analisi SWOT,
forza (F), debolezza (D), opportunità (O), rischi o minacce (M), identificati nei paragrafi 4.1.2, 4.1.3, 4.1.4,
4.1.5. Nella descrizione dei fabbisogni (paragrafi 4.2.1 e seguenti) sono riportati i punti dell’analisi SWOT
collegati agli stessi fabbisogni. Nella descrizione della strategia e delle misure/sottomisure/tipi d’intervento
sono riportati le priorità, le focus area e i fabbisogni a cui contribuiscono le stesse misure/sottomisure/tipi
d’intervento.
Priorità 1 Promuovere il trasferimento di conoscenze e l’innovazione nel settore agricolo e forestale e
nelle zone rurali

Nel 2010 (rispetto al 2000) si assiste a un innalzamento del grado d’istruzione dei capoazienda, la quota dei
laureati passa dal 2,5% al 4,8%, quelli con diploma superiore da 11,9% a 13,9%, il titolo di studio prevalente
è la licenza media (40,4%) mentre nel 2000 era la licenza elementare (45,1%). Gli imprenditori con una
formazione di base o completa sono il 94,9% del totale e raggiungono il 100% tra i giovani agricoltori (in
Italia il 95% e il 99,8% rispettivamente) (ICC24). I dati evidenziano chiaramente la volontà dei produttori
agricoli e forestali a migliorare le proprie competenze tecniche e gestionali, favorita anche dalle iniziative di
informazione attuate nell’ambito delle misure agro ambientali e sul benessere animale (impegni volontari) nel
periodo 2007-2013; il 15,4% dei capoazienda ha partecipato nel 2010 ad azioni di formazione/informazione
(F1).

Le imprese risentono dello scarso utilizzo delle tecnologie dell’informazione e comunicazione (solo il 3,3%
delle aziende agricole è informatizzato) (D4), di una carenza di competenze tecniche di manodopera
specializzata e d’insufficienti attività di trasferimento delle conoscenze nei diversi comparti produttivi su
produzione e ambiente, benessere animale, biodiversità, ecc. (D5). Nonostante le iniziative di formazione e
informazione finanziate anche attraverso il PO FSE e il PSR 2007-2013 (O4) sono ancora carenti le attività
di informazione su innovazione e marketing, testimoniate dalla bassa capacità manageriale nel settore della
trasformazione e commercializzazione (D6), a fronte di un incremento delle richieste di prodotti di qualità da
parte del mercato e della società civile e maggiore sensibilità nei confronti delle problematiche etiche e
ambientali (O3).Il sistema dell’innovazione e trasferimento delle conoscenze è rappresentato in Sardegna
dalle istituzioni regionali, Assessorati e specifiche Agenzie regionali Sardegna Ricerche, AGRIS e LAORE
che svolgono attività di animazione, sperimentazione e trasferimento delle conoscenze (F3). A fronte di
quest’assetto istituzionale, ci sono da un lato l’offerta di Università, organismi di ricerca e aziende
sperimentali (2 Università, 331 ricercatori, 8 Centri di Ricerca nazionali e 2 regionali) (F4) e dall’altro la
domanda d’innovazione delle aziende agricole, imprese alimentari, ecc. Inoltre, sul fronte del trasferimento
delle competenze dal lato dell’offerta sono presenti una serie di organismi privati e professionalità che
operano nel settore della consulenza tecnica nel settore agricolo e forestale, tra cui gli organismi selezionati
e riconosciuti dalla Regione nell’ambito del PSR 2007-2013 (F5).

Una delle maggiori criticità è la mancanza di meccanismi di raccordo tra domanda e offerta d’innovazione,
causa della dispersione e frammentazione della domanda proveniente dalle imprese, non connessa o
rilevata dai sistemi di offerta. Sempre rispetto alla logica della cooperazione per l’innovazione mancano

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Allegato 1 – Analisi SWOT

meccanismi di integrazione orizzontale e verticale a livello territoriale per individuare le priorità relative agli
ambiti tecnologici di intervento. Il problema della frammentazione e della mancanza di raccordo è presente
sia nel sistema delle imprese ma anche in quello dell’offerta, ovvero degli enti che producono e diffondono
l’innovazione (D7).
L’innovazione riguarda non solo i prodotti e i processi, ma anche il tessuto di relazioni entro cui prodotti e
processi sono calati. E’ fondamentale il ruolo che svolgono le reti, ossia strutture stabili e affidabili di
cooperazione fornitore-cliente, oppure tra competitor, o soggetti della stessa filiera che si formano nel corso
del tempo e che consentono a molti attori di condividere la conoscenza senza perderne il controllo. La
partecipazione attiva dei produttori primari alle dinamiche di relazione con gli altri soggetti è molto limitata
(D8). Nel sistema di trasferimento delle conoscenze e dell’innovazione di fatto manca un piano di
monitoraggio e valutazione per misurare l’efficacia del sistema rispetto agli obiettivi di cambiamento (D9).

L’indicatore “spesa in R&S in % PIL” misurato (Istat) come totale della spesa in ricerca e sviluppo in % sul
prodotto interno lordo, nel 2012 in Sardegna è pari allo 0,74% rispetto al valore nazionale di 1,31%, ancora
distante dal target di Europa 2020 fissato per l’Italia a 1,53% (target EU-28 3%). La scomposizione
dell’indicatore regionale nelle componenti spesa pubblica e spesa delle imprese evidenzia che la quota di
spesa pubblica è 0,69% (Italia 0,56%) e la spesa privata 0,05% (Italia 0,71%) (D1).

La classificazione delle regioni europee in una scala da 0 a 1, posiziona la Sardegna a 0,369 per la spesa
pubblica in R&S e la spesa privata per le attività economiche a 0,062. Il confronto mostra anche una ridotta
capacità di innovazione collaborativa tra PMI e altri soggetti, con un valore di 0,143 (Fonte: RIS 2014) (D2).

La debole quota degli investimenti in R&S è legata all’eccessiva polverizzazione produttiva del sistema
regionale, con la predominanza di micro-imprese e ditte individuali (il 96,16% delle imprese ha meno di 10
addetti, Istat) e alla contingenza del periodo di recessione economica che riduce sostanzialmente la capacità
di investimento delle imprese stesse (M1).

La situazione è particolarmente diffusa nel settore agroalimentare dove le imprese e le produzioni sono di
tipo tradizionale, focalizzate su modelli semplici di gestione, produzione e approccio al mercato (D3). Nel
settore, tuttavia, operano anche alcune imprese innovatrici con competenze tecniche e manageriali, che
negli ultimi anni hanno cooperato con enti di ricerca e per il trasferimento delle conoscenze agli agricoltori,
nei settori vitivinicolo e lattiero-caseario (in particolare il lattiero-caseario è l’unico settore agroalimentare a
contribuire competitivamente alle esportazioni regionali con una quota pari nel 2012 a 97milioni di euro,
corrispondenti al 3,9% della quota relativa di esportazioni nazionali (Rapporto ICE 2013) (O1). Questo
fenomeno è attribuibile anche al significativo incremento nella regione delle risorse finanziarie pubbliche
destinate ad attività in R&S (F2).

La LR 7/2007 “Promozione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica in Sardegna” ha destinato
tra il 2008 e il 2012 alla ricerca scientifica, di base e tender, fondi pubblici per circa 63 milioni di euro. Oltre
all’incremento degli investimenti pubblici in ricerca e in conseguenza delle attività dei poli tecnologici e di
ricerca già attivi sul territorio con riferimento alle specializzazioni già consolidate (informatica e
telecomunicazioni, biotecnologie per l’industria, agricoltura, medicina e farmaceutica, energia e sostenibilità
ambientale, settori tradizionali, innovazione tecnologica e gestionale nel settore del turismo e dei beni
culturali) si rendono disponibili a livello locale nuove tecnologie e competenze di tipo biotecnologico,
energetico, informatico, nonché innovazioni nel settore agricolo, alimentare e forestale (O2). La LR 7/2007
prevedeva anche l’attivazione dei Comitati di Coordinamento delle Agenzie Regionali, non ancora attivati
(D10) e nel contempo l’attuazione di un’Anagrafe Regionale della Ricerca e della Consulta della Ricerca
(D11).
Il complesso sistema di relazioni tra i soggetti coinvolti (pubblici e privati) è dunque uno degli aspetti chiave
da affrontare nella gestione dell’innovazione cooperativa. In un sistema di governance specifica non
strutturato le esigenze di innovazione sono percepite in maniera sporadica, i meccanismi di collaborazione
sono stimolati da opportunità di finanziamento (come nel caso della Misura 124 nel PSR 2007-2013), con un

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Allegato 1 – Analisi SWOT

livello di espressione di esigenze di carattere generale, senza l’attivazione di percorsi di valutazione delle
esigenze e di innovazione puntuale e continua delle filiere e delle imprese sul territorio (D12). Risulta
necessaria, a questa stregua, l’eliminazione di vincoli stratificati e sovrapposizioni di responsabilità, è
fondamentale, nell’ambito della cooperazione per l’innovazione nel settore agroalimentare, rompere il
paradigma delle innovazioni importate da altri settori e da altri paesi, non adeguate ai contesti ambientali e
produttivi locali, e dai meccanismi di dipendenza delle innovazioni dalle reti di fornitura (M2).

È necessario intervenire repentinamente su questi aspetti, sostenendo il cambiamento di direzione anche
riguardo l’offerta di opportunità occupazionali in R&S nel settore pubblico e privato. La “fuga dei cervelli”
(brain drain), ossia dei flussi migratori dei giovani e delle risorse umane ad alta qualificazione, è un
fenomeno abbastanza preoccupante per l’Italia e seppure attualmente non esistono metodi di misurazione
accurata del fenomeno (Istat, BES 2013) si assiste oggi al progressivo abbandono delle attività e all’esodo di
giovani specializzati e laureati (M3).

Priorità 2 – Potenziare in tutte le regioni la redditività delle aziende agricole e la competitività
dell’agricoltura in tutte le sue forme e promuovere tecnologie innovative per le aziende agricole e la
gestione sostenibile delle foreste

Le caratteristiche delle aziende agricole

La dimensione media delle aziende agricole rilevata in Sardegna nel 2010 dal 6° Censimento generale
dell’agricoltura (SAU 19 ha/azienda; produzione standard 34.845 €/azienda) è superiore alla media italiana
(SAU 7,9 ha/azienda; produzione standard 30.514 €/azienda) ma tale dimensione non corrisponde a una
maggiore competitività del sistema, laddove sussistono condizioni oggettive di minore redditività (84,73%
della SAU in zone soggette a vincoli naturali ICC32) e situazioni di polverizzazione strutturale ed economica
(il 55,2% delle aziende agricole sarde ha una SAU inferiore a cinque ettari e il 40,9% ha una dimensione
inferiore a 4.000 euro produzione standard) (D13).

Anche l’utilizzazione della SAU (in totale 1.153.690 ha) evidenzia una situazione molto differente dalla media
italiana: il 60,1% della SAU è destinato a prati permanenti e pascoli (Italia 26,7%), il 34,1% è utilizzato da
seminativi (Italia 54,5%) e il 5,7% da coltivazioni legnose agrarie (Italia 18,5%) (ICC18).

L’analisi dei dati del 6° Censimento dell’agricoltura per classi dimensionali di produzione standard mostra
che su un totale di 60.810 (ICC17), le aziende agricole con dimensione maggiore/uguale a 4000 euro di
produzione standard sono 35.920 (59,1% del totale) e interessano il 96,1% della SAU regionale e il 98,5%
della produzione standard regionale; la produzione delle aziende con dimensione inferiore a 4000 euro
appare destinata soprattutto all’autoconsumo. L’analisi è di seguito riportata, raggruppando i dati in classi
aziendali e utilizzando la definizione INEA-RICA (piccola, media, grande azienda) per i corrispondenti limiti di
dimensione economica basati sulle produzioni standard:

    •   aziende con meno di 4.000 euro di Produzione Standard (PS) (non comprese nel campione RICA):
        rappresentano il 40,9% di tutte le aziende, detengono il 3,9% della SAU, lo 0,2% delle UBA e l’1,5%
        della produzione standard; in media hanno una dimensione di 1,8 ha/azienda e di 1.283
        euro/azienda in termini di produzione standard, richiedono in media 0,28 unità di lavoro
        (UL/azienda); l’82,9% di queste aziende destina più del 50% della produzione all’autoconsumo

    •   piccole aziende (PS da 4.000 a meno di 25.000 euro), rappresentano il 27,8% di tutte le aziende,
        detengono il 12,2% della SAU, il 5% delle UBA e l’8,9% della produzione standard. Per
        l’approfondimento delle caratteristiche dimensionali delle piccole aziende, distinguiamo tre gruppi

        -   da 4.000 a meno di 8.000 euro: rappresentano l’11,2% delle aziende, il 2,8% della SAU, lo 0,6%
            delle UBA e l’1,8% della produzione standard; hanno dimensioni medie di 4,7 ha/azienda e
            5.702 euro/azienda e richiedono in media 0,45 UL/azienda; è prevalente l’autoconsumo, con il
            59,4% di queste aziende che vi destina più del 50% della produzione;

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Allegato 1 – Analisi SWOT

        -   da 8.000 a meno di 15.000 euro: rappresentano il 9,5% delle aziende, il 4,2% della SAU, il 1,5%
            delle UBA e il 3,0% della produzione standard; hanno dimensioni medie di 8,4 ha/azienda e
            11.012 euro/azienda e richiedono in media 0,62 UL/azienda; il 41,5% destina più del 50% della
            produzione all’autoconsumo
        -   da 15.000 a meno di 25.000 euro: rappresentano il 7,2% delle aziende, il 5,3% della SAU, il
            2,9% delle UBA e il 4,0% della produzione standard; hanno dimensioni medie di 13,9 ha/azienda
            e 19.601 euro/azienda e richiedono in media 0,83 UL/azienda; prevale l’orientamento al
            mercato, il 23,2% destina più del 50% della produzione all’autoconsumo;

•   medio-piccole aziende (PS da 25.000 a meno di 50.000 euro): rappresentano il 10,6% di tutte le
    aziende, detengono il 12,7% della SAU, l’11,1% delle UBA e l’11,1% della produzione standard; hanno
    dimensioni medie di 22,7 Ha/azienda e 36.500 euro/azienda e richiedono in media 1,09 UL/azienda;
    sono prevalentemente orientate al mercato, il 10,8% di queste aziende destina più del 50% della
    produzione all’autoconsumo;
•   medie aziende (PS da 50.000 a meno di 100.000 euro): rappresentano l’11,6% di tutte le aziende,
    detengono il 25,2% della SAU, il 26,5% delle UBA e il 23,9% della produzione standard; hanno
    dimensioni medie di 41,4 Ha/azienda e 71.801 euro/azienda e richiedono in media 1,30 UL/azienda;
    sono orientate al mercato, solo il 3,7% destina più del 50% della produzione all’autoconsumo;

•   medio-grandi aziende (PS da 100.000 a meno di 500.000 euro): rappresentano il 8,6% di tutte le
    aziende, detengono il 38,2% della SAU, il 47,1% delle UBA e il 42,0% della produzione standard; hanno
    dimensioni medie di 83,7 ha/azienda e 169.358 euro/azienda, richiedono in media 1,75 UL/azienda;
    sono orientate al mercato, solo il 2,5% destina più del 50% della produzione all’autoconsumo;

•   grandi aziende (PS maggiore/uguale a 500.000 euro): rappresentano lo 0,4% di tutte le aziende,
    detengono il 7,8% della SAU, il 10,2% delle UBA e il 12,6% della produzione standard; hanno
    dimensioni medie di 389,1 ha/azienda e 1.161.569 euro/azienda, richiedono in media 5,30 UL/azienda;
    la produzione è destinata interamente al mercato, non è presente l’autoconsumo.

La dimensione delle aziende è calcolata in base al valore di PS delle colture per ettaro di superficie e degli
allevamenti per numero di capi. Per comprenderne il significato a livello regionale, occorrerebbe considerare
il carattere prevalentemente estensivo dell’agricoltura sarda e i valori di PS mediamente più bassi rispetto al
dato nazionale. In base ai dati attualmente disponibili dalla RICA (PS 2007), la PS del frumento duro in
Sardegna è pari a 535,37 €/ha (media Italia 1.152,70 €), per i prati permanenti e pascoli a 575,15 €/ha
(media Italia 642,32), per la frutta fresca a 4.000,09 €/ha (media Italia 8.640,79 €). Per ottenere lo stesso
valore di produzione in Sardegna occorre quindi una maggiore superficie e ciò spiega come, a parità di
classe dimensionale, le aziende agricole sarde hanno dimensioni fisiche in media superiori a quelle italiane
(RICA 2012: es. piccole aziende Sardegna: SAU 11,91 ha, Italia: SAU 6,77 ha).
Occorre precisare anche che la piccola dimensione economica è una caratteristica comune alle aziende
agricole, considerando la definizione fornita dalla Raccomandazione 2003/361/CE, per la quale è micro
impresa un’impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di
bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro.

Il basso reddito dell’agricoltura è confermato dagli indici rilevati dalla RICA nel 2012 su un campione
regionale Sardegna, rappresentativo di 34.894 aziende agricole (l’universo di riferimento è costituito da
aziende con dimensione da 4000 euro e oltre di produzione standard). Gli indici di redditività, seppure in
aumento rispetto al 2008, sono inferiori al dato nazionale: nel 2012 il Valore aggiunto netto del lavoro è pari
a 18.961 €/ULT (Italia 19.482 €/ULT) (proxy ICC25) e il tenore di vita degli agricoltori, stimato mediante
l’indice Redditività del lavoro familiare (proxy ICC26), raggiunge appena 15.746 €/ULF (Italia 17.521 €/ULF)
(D15).

La produttività del lavoro (Eurostat 2009-2011) è inferiore in Sardegna (15.547,5 €/ULT) rispetto all’Italia

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(20.898 €/ULT) (ICC14) e alto è anche il divario tra forze lavoro presenti nelle aziende agricole della
Sardegna (in media due persone per azienda, in totale 120.490 persone) e unità di lavoro a tempo pieno
richieste dalle stesse aziende (0,7 ULT/azienda, in totale 42.410 UL) (ICC22) (D16). Il rischio di perdita di
capacità produttiva del sistema agricolo sardo è evidente esaminando anche il numero di imprese attive
iscritte alle CCIAA della Sardegna nella sezione coltivazioni agricole e produzione di prodotti animali,
passate da 35.044 nel 2010 a 33.589 nel 2012 e a 32.635 nel 2014.

In un’ottica più generale di valorizzazione e sviluppo dell’agricoltura della Sardegna in tutti i suoi aspetti, è
necessario promuovere reali potenzialità di sviluppo, trovare soluzioni che favoriscono l’accorpamento delle
piccole unità aziendali e la valorizzazione del lavoro, anche attraverso la diversificazione delle attività.

La struttura delle aziende agricole mostra una distribuzione per età dei capoazienda squilibrata, solo il 6,9%
dei capoazienda ha meno di 35 anni di età, il 36,1% ha un’età compresa tra 35 e 54 anni e il 57,0% ha
un’età di 55 e più anni. Il ricambio generazionale può fornire una spinta propositiva in tale direzione, il
rapporto tra agricoltori con meno di 35 anni e con 55 anni e oltre (ICC23) è aumentato (dal 10% del 2000 al
12,1% del 2010), soprattutto nel settore zootecnico (26%); resta comunque elevato il rischio di abbandono
da parte degli agricoltori più giovani per l’assenza, soprattutto nelle aziende di minore dimensione
economica, di condizioni strutturali atte a garantire l’aumento degli indici reddituali, mentre è in crescita il
peso dei capoazienda con oltre 75 anni di età ( dal 12,6% del 2000 al 14,3% nel 2010) (D17).

Il valore del rapporto tra capoazienda con età 54 anni (ICC23: 12,1%) indica lo squilibrio
generazionale tra agricoltori più anziani e giovani (in totale per ogni cento agricoltori con più di 54 anni di età
ci sono poco più di 12 giovani capoazienda). L’analisi dell’indicatore per classe di produzione standard,
rileva che l’incidenza dei giovani capoazienda e quindi la propensione all’insediamento cresce all’aumentare
della dimensione economica dell’azienda agricola:

    •   nelle aziende con meno di 4.000 euro di PS, il rapporto è pari appena al 3,6%;

    •   nelle piccole aziende (PS da 4.000 a meno di 25.000 euro) al 9,1%; in particolare al 5,7% nelle
        aziende da 4.000 a meno di 8.000 euro, al 9,2% in quelle da 8.000 a meno di 15.000 euro e al
        15,6% (superiore alla media regionale) nelle aziende con dimensione da 15.000 a meno di 25.000
        euro,;

    •   nelle medio-piccole aziende (PS da 25.000 a meno di 50.000 euro), l’indicatore è pari a 28,8% e
        nelle medie aziende (PS da 50.000 a meno di 100.000 euro) raggiunge il 45,5%, evidenziando una
        buona ma ancora non sufficiente presenza di giovani rispetto agli agricoltori più anziani;

    •   nelle medio-grandi aziende (PS da 100.000 a meno di 500.000 euro), il valore del rapporto (54,4%)
        indica una maggiore presenza di giovani capoazienda, in particolare nella classe da 100.000 a meno
        di 250.000 euro dove l’indicatore raggiunge il 57,2%;

    •   infine, nelle grandi aziende (PS maggiore/uguale a 500.000 euro) l’indicatore scende al 22,5%, in
        queste aziende (che rappresentano lo 0,4% del totale delle aziende agricole regionali) è comunque
        maggioritaria la quota di capoazienda con età compresa tra 35 e 54 anni (52,6%).

L’analisi mostra una maggiore esigenza di ricambio generazionale nelle piccole aziende, che non sempre
offrono condizioni economiche sufficienti a garantire la permanenza dei giovani, e nelle aziende di medio-
piccola e media dimensione economica, che necessitano anche di maggiore sostegno per garantire
prospettive di crescita e sviluppo aziendale.
Un altro aspetto da affrontare è rappresentato dal peso crescente dei costi di produzione (47,8%) sul valore
della produzione agricola (Italia 46,9%) (Istat, 2009-2011) (D18). L’evoluzione dei mercati, infatti, sembra
favorire prevalentemente panieri di offerta agro-alimentare che, pur salvaguardando alcune soglie minime di
garanzia qualitativa, si caratterizzano per adeguati volumi e limitati costi di produzione e
approvvigionamento: si tratta di condizioni competitive che l’agricoltura sarda, per le proprie caratteristiche

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Allegato 1 – Analisi SWOT

produttive e di sostenibilità ambientale, non è in grado di sostenere.
A fronte di tali debolezze, tra le opportunità del sistema sono da segnalare la crescente attenzione, da parte
dei consumatori, alla salubrità, sostenibilità ambientale e caratterizzazione dei prodotti agricoli, alimentari e
forestali (O5), la presenza di turisti attenti all’ambiente, alle tradizioni e al consumo di prodotti locali tipici
(O6) e lo sviluppo di mercati (locali, di nicchia, ecc.) legati ai flussi turistici e alla valorizzazione
multifunzionale delle risorse agro-forestali (O7).

Negli ultimi anni (2009-2011) la produttività totale dei fattori in agricoltura, misurata rapportando il volume
degli output (prodotti) generati dal totale dei fattori di produzione (input), è tendenzialmente in crescita
(100,2) (ICC27) dimostrando le potenzialità del sistema, su cui è necessario intervenire evitando
l’abbandono e la perdita d’identità dell’agricoltura e zootecnia estensiva della Sardegna (M05), agendo
anche sulla multifunzionalità per superare le debolezze rappresentate principalmente da sottoccupazione e
bassa redditività del lavoro.

Lo sviluppo di attività legate ai flussi turistici e alla valorizzazione multifunzionale delle aziende, si lega a una
debolezza strutturale della regione dovuta alla scarsa diffusione di aziende agricole che svolgono attività
connesse (4,6% del totale) e ai loro bassi ricavi inferiori del 74% al dato medio nazionale (D19). Tra queste
aziende quelle che relativamente raccolgono più adesioni sono l’agriturismo (1,1%) la trasformazione di
prodotti animali (1%) e vegetali (0,7%) e la prestazione in conto terzi (0,9%). Inoltre, è da segnalare
l’allevamento di equini che nel 2010 interessa 3.695 aziende (in diminuzione del 18% circa rispetto al 2000)
con 16.285 capi e una media di 4,4 equini per azienda.

Agricoltura, innovazione e ambiente

La peculiarità dell’agricoltura e zootecnia sarda è nella sua connotazione prevalentemente estensiva, il cui
abbandono, ovvero la sua intensivizzazione, potrebbe compromettere il delicato equilibrio tra gestione del
suolo, pascolamento, biodiversità e conservazione delle risorse naturali (M04). Tale sistema è assicurato
dalle dimensioni aziendali, dall’estensione dei pascoli e delle superfici foraggere, dall’uso equilibrato delle
risorse (acqua, suolo) e dai bassi input, a cui contribuisce la presenza nelle zone rurali di una popolazione
agricola attenta ai valori ambientali dei propri luoghi (F06).

Un’importante classificazione dell’agricoltura (ICC33) evidenzia l’uso prevalentemente estensivo delle
superfici, con il 77,2% della SAU classificato nel 2010 a bassa intensità (Italia 51,1%), il 17,4% a media
intensità (Italia 24,9%) e il 5,5% ad alta intensità (Italia 24,0%); il 79,9% della SAU (in Italia il 27,9%) è
dedicato all’allevamento estensivo (< 1 UBA/ha di superficie foraggera). A tale risultato contribuiscono
soprattutto i prati permanenti e pascoli (in totale 692.990 Ha, 20% dei pascoli italiani) utilizzati per
l’allevamento di 585.860 UBA (6% delle UBA italiane) (ICC21) con un carico medio di bestiame di 0,85
UBA/ha (in Italia lo stesso indicatore è pari a 2,89 UBA/ha).

La superficie irrigata è una frazione ridotta della SAU totale (5,5% ICC20) ed è gestita prevalentemente con
tecnologie ad alta efficienza irrigua (aspersione 53% e microirrigazione 29%) (F07).

I seminativi sono rappresentati principalmente da foraggere avvicendate (58%), da cereali (27%,
principalmente grano duro) e da terreni a riposo (9%). Nel 2000-2010, all’incremento delle foraggere
avvicendate e dei terreni a riposo è corrisposta la decrescita dei cereali, evidenziando una tendenza
all’aumento della fertilità dei suoli attraverso coltivazioni azoto fissatrici (leguminose). Nel 2011, l’uso di
fertilizzanti (0,15 q/ha) e di prodotti fitosanitari (1,42 kg/ha) è in diminuzione e tra i più bassi d’Italia (Istat). Le
tecniche di produzione tuttavia risultano ancora obsolete, poco efficienti e innovative (nelle aziende con
seminativi prevalgono ancora i sistemi convenzionali di lavorazione del terreno (aratura 95%) ed è poco
diffusa l’agricoltura di conservazione (7%) (Istat, 2010) (D14).
Agricoltura biologica

L’agricoltura biologica affronta la sostenibilità delle attività agricole in modo globale, differenziando le

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Allegato 1 – Analisi SWOT

produzioni, adottando sistemi innovativi ed efficienti dal punto di vista dell’uso delle risorse naturali e
producendo effetti favorevoli alla biodiversità, all’acqua e al suolo. Secondo i dati rilevati nel 2010 dal 6°
Censimento generale, le aziende che applicano il metodo di produzione biologica alle coltivazioni sono 1.375
aziende, con 60.164 ettari di SAU (5,2% del totale della SAU) (ICC 19). Si osserva che il dato censuario può
non essere esaustivo della diffusione dell’agricoltura biologica nella regione, considerando che nel
questionario di rilevazione delle aziende che applicano il metodo di produzione biologica alle coltivazioni
sono esclusi i pascoli magri (che rappresentano il 67% circa dei pascoli della Sardegna).
La SAU di queste aziende agricole è investita prevalentemente in prati permanenti e pascoli (34.165 ettari,
pari al 56,8% della SAU) ed elevata è anche l’incidenza delle colture foraggere (15.402 ettari, pari al 25,6%
della SAU). Della restante quota di SAU, circa 7000 ettari sono destinati a cereali per la produzione di
granella, 4.000 ettari sono destinati alla produzione olivicola e per quote minimali alla viticoltura, legumi
secchi e fruttiferi. Il dettaglio provinciale fa emergere una maggiore presenza di aziende ed ettari dedicati
all’olivicoltura e fruttiferi nella provincia di Nuoro, mentre per la viticoltura prevale la provincia di Cagliari. Se
si considera la destinazione a prati permanenti e pascoli e colture foraggere ci si rende conto che l’82,4%
della SAU delle aziende che applicano il metodo di produzione biologica alle coltivazioni è connessa con
l’attività zootecnica.

Il 6° Censimento generale dell’agricoltura del 2010 ha rilevato 957 aziende che applicano il metodo di
produzione biologica agli allevamenti (il 4,7% delle aziende regionali con allevamenti). Il 66,6% alleva capi
ovini, il 51,6% bovini e il 21,8% sono aziende con allevamenti di suini, seguono le aziende con equini
(14,7%), caprini (13,9%), api (3,6%) e avicoli (2,6%). In queste aziende, il numero di capi biologici certificati
è pari a 208.496 capi ovini, 24.881 bovini, 15.519 caprini e 4.022 suini, mentre valori residuali afferiscono
alle altre specie. La distribuzione territoriale evidenzia che le aziende con allevamenti biologici sono
localizzate prevalentemente nelle province di Nuoro (39,1%), Sassari (22%) e Oristano (14,8%), mentre
percentuali minori interessano le altre province.

Un più recente quadro del settore biologico è stato ricostruito attraverso il SINAB (Sistema d’informazione
nazionale sull’agricoltura biologica) che fornisce informazioni relative alle superfici, alle colture e agli
operatori del biologico (Report INEA-LAORE, dati in via di pubblicazione). Nel 2012, la superficie coltivata
secondo il metodo biologico è risultata pari a 132.218 ettari che rappresenta l’11,5% della SAU regionale.
Prevalgono i prati e pascoli che, compreso il pascolo magro, occupano il 64,0% della superficie coltivata
secondo il metodo biologico, seguono le colture foraggere (22,5%), i cereali (7,6%) e l’olivo (2,9%).
Gli operatori in totale sono 2.199, per la quasi totalità (93,1%) produttori (2.048). Lo studio evidenzia come in
Sardegna, in contrasto con l’andamento a livello nazionale, la variazione positiva dei produttori (il 10,0% in
più nel 2012 rispetto al 2010) è stata accompagnata da un significativo incremento della superficie coltivata
con il metodo biologico (+12,4%) che colloca la Sardegna al 3° posto all’interno del quadro nazionale (F8).
Dalle rilevazioni effettutate nell’ambito del suddetto studio, presso un campione rappresentativo di aziende
agricole che praticano l’agricoltura biologica, emergono ulteriori margini di sviluppo “Coloro che operano nel
biologico in Sardegna, infatti, risultano in generale poco attenti agli aspetti relativi sia alla formazione che alla
programmazione delle attività, perseguendo scelte più di tipo opportunistico che non strategiche e di reale
miglioramento delle performance aziendali. Una parte consistente della produzione ottenuta continua ad
essere venduta come convenzionale o senza un marchio distintivo e l’ambito territoriale di vendita è in
prevalenza quello locale. Anche il clima collaborativo appare alquanto ridotto sul territorio. La maggioranza
degli operatori non aderisce infatti a nessun tipo di organizzazione di filiera, principalmente perché non si è
interessati o perché non si percepiscono dei reali vantaggi nella partecipazione a tale tipo di organizzazione.
Tuttavia, data la presenza di una consistente componente giovanile, emersa dall’esame dei dati censuari, si
può presupporre che nei prossimi anni la situazione riscontrata possa presentare margini di miglioramento,
con una maggiore attenzione sia agli aspetti strategici e di innovazione che alle dinamiche di rete,
auspicando da parte delle istituzioni una maggiore attenzione verso il settore” (Report INEA-LAORE, dati in
via di pubblicazione).

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Allegato 1 – Analisi SWOT

L’agricoltura biologica risponde all’esigenza di contenimento dei fattori negativi per l’ambiente ma in
generale, per evitarne l’abbandono, è necessario affrontare anche il mercato e il miglioramento della
redditività, promuovendo l’adesione al sistema di qualità, l’informazione e l’assistenza tecnica alle aziende,
l’adeguamento strutturale delle aziende (aumento delle dimensioni, diversificazione produttiva, attrezzature e
mezzi adeguati allo sviluppo sostenibile, ecc.), l’informazione ai consumatori, fino allo sviluppo di una vera e
propria filiera del biologico.

La Regione Sardegna ha sostenuto il comparto dell’agricoltura biologica principalmente attraverso i PSR
2000-06 e 2007-13 e il Programma di sviluppo dell’agricoltura biologica (DGR 39/8 del 03.10.2007). Il PSR
2000-2006 ha introdotto per la prima volta misure a sostegno dell’agricoltura biologica, derivante
dall’applicazione di Agenda 2000 e tramite la misura agro ambientale (Misura F). Nel PSR 2007-13, l’Azione
1 “Agricoltura biologica” della Misura 214 “Pagamenti agro-ambientali” (spesa pubblica programmata
88.721.136 €) ha suscitato un notevole interesse da parte dei produttori realizzando dal 2007 al 2013 n.
3.021 contratti e 254.480 ettari di superficie agricola sovvenzionata; la Misura 132 “Partecipazione degli
agricoltori ai sistemi di qualità” (spesa pubblica programmata 1.500.000 €) ha favorito l’adesione al sistema
di qualità con 937 aziende partecipanti, principalmente biologiche. Il Programma di sviluppo dell’agricoltura
biologica (in totale 767.000 € del Fondo statale per lo sviluppo dell’agricoltura biologica e di qualità) ha
previsto in sinergia con il PSR 2007-13 la costituzione di un gruppo di lavoro tra professionalità, istituzioni e
operatori interessati, uno studio per approfondire la conoscenza del settore (20.000 €), azioni di assistenza
tecnica e informazione alle aziende (297.411 €) e azioni di sensibilizzazione, informazione e divulgazione
(450.000 €). Il Programma è stato attuato dall’Agenzia Laore, con il coinvolgimento delle organizzazioni e
associazioni di produttori. Il nuovo Programma regionale di sviluppo 2015-2018, affronta i fabbisogni del
comparto biologico (scheda progetto 2.7.4) secondo un approccio strategico, che prevede un’interazione tra
diverse politiche e strumenti, per valorizzare il ruolo ambientale e socio-economico dell’agricoltura biologica
da specializzare nella commercializzazione di alimenti biologici.

Foreste e sughero

La valorizzazione multifunzionale in Sardegna è connessa anche alla diffusa presenza di paesaggi e foreste
d’importanza mediterranea.

Secondo i dati dell’Inventario Nazionale delle Foreste e dei serbatoi di Carbonio (INFC 2005), la superficie
forestale totale della Sardegna è pari a 1.213.250 ettari, 50,4% del territorio regionale (ICC29) di cui 583.472
ettari riferiti a boschi propriamente detti e 629.778 ettari rappresentati da altre superfici boscate, anche
soggette a pascolamento, come boschi radi e arbusteti.
La superficie forestale totale della Sardegna (esclusi impianti di arboricoltura) derivante dalle stime
preliminari INFC 2015, basate sui risultati della sola foto interpretazione, è risultata in aumento e pari a
1.241.409 ettari (fonte Corpo forestale dello Stato).Il confronto tra i dati regionali e quelli nazionali mette in
evidenza la notevole importanza della Sardegna nella categoria “altre aree boscate”, rappresentate
principalmente dalla macchia e dagli arbusteti mediterranei, e per la quale la regione concorre per oltre un
terzo al totale nazionale. I boschi alti sono invece meno significativi e incidono per meno del 7% sul totale
nazionale.

I dati del INFC riferiti al 2005, indicano che il 65% delle superfici forestali regionali è gestito da soggetti
privati e il 33% da soggetti pubblici (il restante 2% è definito come “non classificabile”).
Oltre 226mila ettari di boschi sono annessi alle aziende agricole, dove rappresentano il 15,4% della
superficie agricola totale (F9), principalmente (58%) nelle aziende con 100 ettari e oltre di superficie totale.

Per quello che riguarda i soggetti pubblici, l’estensione maggiore è di proprietà comunale e provinciale (poco
meno di 262.000 ettari, di cui circa 128.000 ettari di boschi alti e 134.000 di macchie, arbusteti e boschi radi
o bassi).

Nel 2011, il valore della produzione forestale si attesta appena su 25 milioni di euro (4% della produzione

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Allegato 1 – Analisi SWOT

forestale nazionale) e interessa circa 4.200 occupati a tempo pieno (4700 nel 2012, 0,8% degli occupati
totali nella regione ICC13). La produttività del lavoro forestale in Sardegna (5.263 euro/occupato) (ICC15) è
dunque nettamente più bassa di quella nazionale (11.600 euro/occupato).

Le superfici boschive oggetto di taglio (principalmente legna da ardere) oscillano tra i 5-6mila ettari per anno
(periodo 2007-2011), le superfici medie per tagliata, a loro volta, sono piuttosto ridotte e non superano 2 ha.
Questi valori indicano una certa frammentazione e polverizzazione nella gestione delle superfici forestali,
come nel resto d’Italia, e d’altro lato minore utilizzazione delle superfici boschive favorevole alla
conservazione della biodiversità.

Una delle maggiori debolezze del settore è legata alla carente pianificazione forestale e insufficiente attività
di gestione e manutenzione dei boschi. Gli strumenti di pianificazione forestale sono rappresentati da
prescrizioni di massima di polizia forestale (PMPF) o da veri e propri documenti pianificatori sia di livello
aziendale (pianificazione di dettaglio, per esempio i piani di assestamento) sia di area (pianificazione di
orientamento).
Il dato rilevabile dal IFNC (2005) indica che la metà delle superfici forestali regionali totali è privo di strumenti
di pianificazione forestale. Anche se il dato riportato fa riferimento al 2005, e quindi potrebbe aver subito in
questi anni un’evoluzione, occorre sottolineare che l’incidenza delle superfici forestali con pianificazione è
nettamente inferiore alla media nazionale. In Sardegna, infatti, i boschi propriamente detti con pianificazione
sono pari al 58% del totale, contro il 93% osservato a livello nazionale. Il dato relativo alle altre superfici
boscate con pianificazione è invece pari in Sardegna al 38%, contro il 52% medio nazionale. In particolare, i
boschi con pianificazione di dettaglio interessano 746 ettari e quelli con pianificazione di orientamento solo
373 ettari (D37).

Nell’ambito della tutela e valorizzazione turistica del patrimonio rurale, negli ultimi anni sono stati realizzati
dall’Ente foreste della Sardegna itinerari in 13 complessi forestali. Gli itinerari uniscono e raccordano
emergenze di carattere naturalistico e biologico (alberi monumentali, punti panoramici) ed elementi dei
paesaggi culturali del mediterraneo (degli antichi mestieri e delle architetture rurali). In un anno, dal
07.02.2011 al 06.02.2012, gli itinerari sono stati visitati da 150.764 turisti.

Il settore del sughero rappresenta una vera e propria peculiarità della Sardegna, regione in cui si trova
l’83% delle sugherete nazionali e dove, secondo alcune stime, viene lavorato oltre l’80% della produzione
sughericola italiana. Oltre ai 139.489 ettari di sugherete, in Sardegna sono presenti boschi bassi, pascoli
arborati o altre aree a forte vocazione che portano a circa 250.000 ettari la superficie complessiva di
interesse sughericolo regionale. Secondo alcune stime, tuttavia, l’area di vegetazione delle querce da
sughero sarde si aggira sui 210.000 ettari.

L’Italia è il terzo produttore di sughero a livello mondiale dopo il Portogallo (paese leader con oltre il 52%
della produzione mondiale) e la Spagna. Complessivamente, in Italia viene raccolto circa il 5,5% della
produzione mondiale, ovvero circa 170.000 quintali (fonte: APCOR, 2007). Di questi circa il 90% viene
raccolto in Sardegna, che con una produzione quantificabile in circa 150.000 quintali per anno rappresenta
un bacino produttivo di rilevanza internazionale. Le sugherete regionali tendono a concentrarsi nella parte
settentrionale dell’Isola, e in particolare nelle province di Olbia-Tempio, Sassari e Nuoro. Sono tuttavia
presenti altri areali a forte vocazionalità, di estensione più limitata, anche in altre province (p.e. Carbonia-
Iglesias).
Il settore è particolarmente importante in Sardegna ed è profondamente legato alla cultura produttiva e
industriale dell’Isola. L’estrazione e la lavorazione del sughero in Sardegna ha origini molto antiche e, oltre
ad essere un elemento fortemente caratterizzante il paesaggio isolano, rappresenta un settore importante
per l’economia regionale. In Sardegna, peraltro, ricade anche l’unico distretto industriale del sughero
riconosciuto a livello nazionale, nell’area di Calangianus-Tempio Pausania.

I prodotti sardi sono conosciuti e apprezzati sui mercati nazionali e internazionali anche per l’elevato livello

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Allegato 1 – Analisi SWOT

qualitativo. I principali prodotti sono rappresentati dai tappi per l’industria enologica, che assorbono circa il
60-70% della produzione, e da prodotti per il settore della bio-edilizia, il settore calzaturiero, l’artigianato e
anche altre applicazioni come ad esempio la nautica, l’arredamento, i giochi o altro (F21).

La sughera è una specie strategica a causa delle peculiari caratteristiche tecniche del suo prodotto
principale (sughero), irriproducibili dall’industria (basso peso specifico, elasticità e flessibilità, resistenza alla
compressione, capacità di isolamento termico, impermeabilità, resistenza all’attrito).

Negli ultimi anni, il settore della lavorazione del sughero ha subito un forte rallentamento derivante dalla crisi
dell’edilizia, dalla diffusione dei tappi in materiale sintetico e da altri fattori come l’incremento dei costi e la
sempre più accesa competizione internazionale (D38). Da 156 imprese con 1670 addetti nel 2004, si è
passati nell’aprile 2013 a 53 imprese (di cui 28 artigiane) con 847 dipendenti in totale. Tale debolezza
potrebbe riverberarsi anche sui livelli di qualità del sughero, con una riduzione della stessa e una
conseguente perdita di competitività e crollo del settore artigianale della lavorazione (M8).

L’abbandono completo delle formazioni di sughera può portare al loro degrado, accompagnato da una
modifica della composizione floristica dello strato erbaceo e cespuglioso.

Le foreste di sughera sono caratterizzate da popolamenti sparsi, utilizzati per scopi molteplici, che formano
sistemi agro-silvo-pastorali con una grande ricchezza floristica e faunistica (formazioni mature a bosco misto,
boschi puri ben strutturati con macchia alta ad erica e citiso, garighe arborate con strato arbustivo costituito
da cisto e lavanda, pascoli arborati). La foresta di sughera è anche un ecosistema basilare per la
conservazione della fauna selvatica che trova, oltre alla formazione principale, altri tipi fondamentali di
vegetazione necessari per il proprio ciclo biologico.

Strumenti finanziari

Nel 2011, gli investimenti fissi lordi in agricoltura e silvicoltura incidono per il 26,7% sul totale del valore
aggiunto a fronte di una media nazionale del 37,8% (ICC28), a ciò si legano anche le difficoltà di accesso
delle imprese al credito che mostra nel 2012 una brusca contrazione (-8,7%). Gli strumenti finanziari
nazionali attivati nel 2006 dalla Regione Sardegna per favorire l’accesso al mercato del credito da parte delle
imprese agricole e agroalimentari (Fondo d’investimento nel capitale di rischio e Fondo di garanzia)
presentano difficoltà riconducibili ai costi e alle procedure non sempre adeguate alle esigenze delle aziende
agricole di piccole dimensioni e bassi fatturati (D20). L’individuazione degli strumenti finanziari più idonei è
subordinata alla valutazione ex ante specifica di cui all’articolo 37(2) del Reg. (UE) n. 1303/2013.

L’Aiuto di Stato SA.37394 (2013/N) “Metodo di calcolo dell’equivalente sovvenzione lordo (ESL) per
interventi sotto forma di prestiti agevolati”, è stato approvato dalla Commissione europea in data 10.12.2014.
Il metodo è applicato per concedere aiuti alla produzione agricola primaria e alle attività di trasformazione e
commercializzazione nella regione Sardegna, nell’ambito di regimi di aiuti specifici approvati dalla
Commissione europea e a favore d’iniziative ammissibili a norma del PSR della Sardegna 2014-2020, nel
rispetto di tutti i criteri pertinenti degli aricoli 37 e 38 del Reg. (UE) n. 1303/2013 e del Reg. (UE) n.
1305/2013 come approvati nel PSR.

L’aiuto è concesso mediante uno specifico Fondo per il credito in agricoltura gestito dalla Società Finanziaria
Regione Sardegna (SFIRS). Il Fondo eroga un finanziamento a un tasso agevolato, l’ESL è ricavato
calcolando, per ciascuna rata, la differenza tra il tasso di riferimento e il tasso agevolato. Il rating delle
imprese beneficiarie è effettuato mediante l’applicazione del sistema di valutazione del rischio di credito (o
rischio di insolvenza) elaborato da ISMEA. Il metodo di rating di ISMEA è uno strumento in grado di valutare
le imprese tenendo conto delle loro peculiarità. A tale scopo sono stati messi a punto tre specifici modelli di
rating per la valutazione del merito creditizio, differenziato per tre gruppi di aziende agricole: cooperative,
piccole aziende, società di capitale.

Il rilascio di garanzie agevolate (Fondo di garanzia ISMEA) è disciplinato dal Decreto 22 marzo 2011 del
Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali di concerto con il Ministro dell'Economia e delle

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Allegato 1 – Analisi SWOT

Finanze. Il metodo di calcolo del regime di aiuto per il periodo dal 21.01.2015 al 31.12.2020 (SA.39957) è
stato approvato con decisione C(2015) del 05.02.2015. Le operazioni disciplinate dal Decreto 22
marzo 2011 sono definite all’articolo 2(3) (Finalità) e riguardano la concessione di: fideiussioni a fronte di
finanziamenti; controgaranzie e cogaranzie in collaborazione con confidi ed altri fondi di garanzia pubblici e
privati, anche a carattere regionale, a fronte di finanziamenti; garanzie a fronte di transazioni commerciali;
garanzie a fronte di porzioni di portafoglio costituite da esposizioni di durata residua non inferiore a diciotto
mesi e di importo residuo medio non superiore a un milione di euro.
Priorità 3 – Promuovere l’organizzazione della filiera alimentare, comprese la trasformazione e la
commercializzazione dei prodotti agricoli, il benessere degli animali e la gestione dei rischi nel
settore agricolo
Il valore della produzione agricola regionale (circa 1,6 miliardi di euro) è formato principalmente dagli
allevamenti (43% circa) dalle coltivazioni agricole (in totale circa il 41%, di cui 26% erbacee, 7% foraggere,
8% legnose) e dalle attività secondarie e di supporto (16%).
Tra i principali punti di forza dell’agricoltura sarda è da evidenziare il sistema di produzione principalmente
estensivo e a basso impatto ambientale, che conferisce ai prodotti elevate proprietà qualitative e
organolettiche, unite a una forte caratterizzazione e legame con l’ambiente (F10). In Sardegna sono presenti
alcune produzioni di eccellenza affermate e premiate con numerosi riconoscimenti (es. olio, vino, formaggi)
ed è in progressivo aumento la qualità delle produzioni (F11) così come sono presenti a livello regionale
prodotti con quote di mercato importanti sui mercati internazionali (F12). La Sardegna si conferma come il
più importante produttore nazionale e uno dei principali produttori europei di latte ovino e limitatamente al
livello nazionale anche caprino. Nel 2011, le industrie lattiero-casearie hanno raccolto presso le aziende
sarde circa 2,8 milioni di quintali di latte ovino e 100.000 quintali di latte caprino, pari rispettivamente al 67%
e 46% della produzione nazionale e al 25% e 2% della produzione europea (EU27). Tra le produzioni di
ortaggi, è da segnalare il carciofo sardo che detiene una quota del 21% del mercato nazionale.

La Sardegna vanta, altresì, la presenza consistente di prodotti con marchio di qualità, di cui alcuni
significativi in termini di volumi certificati (F13) (6 DOP, 1 IGP, 35 tra DOC, DOCG, IGT). Si stima, in
particolare, che circa il 62% dei formaggi ovini sardi sia costituito da pecorini DOP. Da un punto di vista
produttivo si evidenzia, sia per il complesso dei formaggi ovicaprini che, soprattutto, per le produzioni DOP,
una marcata specializzazione di prodotto (pecorino romano) e una significativa concentrazione a livello di
trasformazione (i primi 5 trasformatori lavorano il 45%, 86% e 58% del pecorino romano, pecorino sardo e
fiore sardo complessivamente prodotto (ISMEA). Inoltre, sono presenti, soprattutto nel comparto zootecnico,
significative forme di associazionismo efficiente e discreti livelli di aggregazione (F14). L’occupazione nel
settore dell’industria alimentare risulta in crescita, con 121mila persone occupate nel 2013 (2,2% del totale
occupati nella regione) (ICC13).
A fronte di tali evidenze positive si riscontrano, però, degli aspetti critici legati ad alcune dimensioni
competitive. Le filiere presentano in generale una scarsa integrazione verticale e orizzontale e squilibrio
economico a favore dei segmenti a valle, in particolare della commercializzazione (D21). Sempre in termini
generali l’offerta agricola è molto frammentata, sono presenti difficoltà nella programmazione, disponibilità e
continuità delle produzioni che comportano una minore competitività sui mercati internazionali (D22). Da
parte delle imprese appare carente la politica di marketing che valorizzi la qualità delle produzioni e il legame
con il territorio (D23).

Settore zootecnico

La Sardegna è una regione a forte orientamento zootecnico, in cui l’incidenza delle aziende con allevamenti
e il peso del valore della produzione zootecnica su quella agricola complessiva è nettamente superiore a
quello osservato in molte altre regioni italiane. Delle circa 60.000 aziende agricole sarde censite nel 2010,
20.550, quasi il 34% possiede uno o più allevamenti (a livello nazionale il dato si ferma al 13,4%). Gli
allevamenti presenti in Sardegna sono poco più di 33.000 (quindi oltre il 10% degli allevamenti italiani

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Allegato 1 – Analisi SWOT

complessivi) e ogni azienda zootecnica sarda possiede in media 1,6 allevamenti (a livello nazionale circa 1,4
allevamenti per azienda). Il carattere prevalentemente estensivo dell’attività zootecnica è confermato dal
consolidamento della base foraggera, nell’ambito dei seminativi, e dall’estensione delle superfici a prati e
pascoli permanenti, avvenuti nell’ultimo periodo intercensuario. Tale base fondiaria è funzionale al supporto
dell’attività zootecnica e, nel caso specifico della Sardegna, individua una vera e propria filiera foraggero-
zootecnica. Nella filiera zootecnica, l’allevamento ovino è il più diffuso (61,6% delle aziende con
allevamenti), seguono gli allevamenti di bovini (38,2%), quello suinicolo (23,6%) e dei caprini (12,8%).
La Sardegna infatti è la prima regione italiana produttrice nel comparto ovi-caprino (67% del valore nazionale
di latte ovino, 46% per il latte di capra e 40% per la carne ovi-caprina). Nel 2010 l’allevamento coinvolge
15.303 aziende, 3.028.373 ovini e 241.315 caprini (45% e 28% dei capi allevati in Italia). La dimensione
media del gregge raggiunge 239 capi/azienda per gli ovini e 92 capi/azienda per i caprini. Le dimensioni
delle greggi non appaiono sufficienti a superare le condizioni di debolezza strutturale che tradizionalmente
affliggono le aziende del comparto. Nelle aziende di dimensione media (50%), con greggi compresi tra 100 e
300 capi, è presente il 42% dei capi ovicaprini sardi (circa 1.400.000 capi), nelle aziende con allevamenti
superiori a 300 capi (25%) si concentra il 53% degli ovicaprini, mentre nelle aziende con meno di 100 capi
(25%) è presente il restante 5%. Le organizzazioni di produttori (OP) sono 12, con oltre cinquemila soci e
circa 67 milioni di euro di valore commercializzato. La produzione di formaggi avviene in 71 caseifici e in
misura minore in minicaseifici aziendali; il 56% della produzione è formato da pecorino romano destinato
principalmente all’esportazione.

In Sardegna, dove le possibilità di sviluppo non sono numerose, l’allevamento ovino e caprino estensivo ha
rappresentato una delle poche forme di sostentamento possibile, oltre a costituire una forma di gestione
sostenibile del territorio rurale diversamente destinato all’abbandono e alla perdita irreversibile di
biodiversità. L’allevamento estensivo o semiestensivo è il presupposto ottimale per il benessere degli
animali, le moderne tecniche di allevamento hanno consentito l’evoluzione e la crescita del comparto,
garantendo buoni livelli standard di qualità e sanità delle produzioni zootecniche, ma hanno determinato
anche situazioni di stress degli animali e maggiore rischio di sviluppo di patologie.

La nuova misura di benessere animale, attivata nel 2011, ha interessato 9.543 aziende ovi-caprine per un
totale di 332.408 UBA. Gli impegni previsti dalla misura sono finalizzati a migliorare le condizioni di gestione
dell’allevamento ovi-caprino tenendo conto delle specificità delle aziende interessate, con modalità di tipo
estensivo e dove il principale uso del suolo è rappresentato dai pascoli arborati per circa 450 mila ettari e dai
pascoli polifiti per circa 170 mila ettari. Gli impegni, compresa l’informazione fornita agli allevatori, stanno
mostrando effetti positivi rispetto alla riduzione degli stati di stress degli animali e del rischio di insorgenza di
patologie, in particolare mastiti e affezioni podali.

Il risultato atteso è un generale miglioramento delle condizioni di benessere degli animali, monitorato
attraverso il Contenuto di Cellule Somatiche nel latte (CCS), quale indicatore sia delle condizioni sanitarie,
sia del livello di management complessivo dell’allevamento che si riflette sul grado di benessere degli
animali. L’obiettivo è la riduzione del CCS fino ad almeno 1 milione di cellule somatiche per ml di latte ovino-
caprino. I risultati della misura, calcolati come media geometrica dei controlli mensili in tutte le aziende che
aderiscono alla misura, evidenziano al livello regionale una progressiva riduzione del contenuto di cellule
somatiche e altresì una significativa attività di assistenza/informazione a livello aziendale al fine di fornire agli
allevatori anche gli strumenti per individuare e valutare le possibili cause di scostamento dall’obiettivo di
benessere animale.

L’allevamento bovino da latte (in totale 33.505 capi) è presente in 1.247 aziende, riconducibili a due
tipologie. La prima (33% delle aziende, 63% dei capi allevati, in particolare ad Arborea nella provincia di
Oristano) comprende allevamenti specializzati con dimensioni delle unità produttive sensibilmente maggiori
della media regionale e caratterizzati da maggiori livelli di strutturazione. La seconda tipologia è diffusa nelle
aree collinari della parte centro-settentrionale dell’Isola ed è caratterizzata da strutture di dimensioni minori,

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