COLLANA EBAF PIERLUIGI GILIBERT - BANCA EUROPEA PER GLI INVESTIMENTI - FEBAF

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COLLANA EBAF PIERLUIGI GILIBERT - BANCA EUROPEA PER GLI INVESTIMENTI - FEBAF
collana            ebaf              02/2013

Pierluigi Gilibert
Banca Europea per gli Investimenti

Strumenti finanziari previsti dalla BEI
per il rilancio dell’economia europea

Con contributi di: Anna Gervasoni,
Rainer Masera e Edoardo Reviglio
                                               Incontri
COLLANA EBAF PIERLUIGI GILIBERT - BANCA EUROPEA PER GLI INVESTIMENTI - FEBAF
PIERLUIGI GILIBERT
  Direttore Generale della BEI per le Operazioni di Finanziamento all’interno
dell’Unione europea e le Operazioni di Finanziamento dei Paesi Candidati all’am-
missione alla UE. Ha lavorato presso i Dipartimenti Research e International della
Banca Commerciale Italiana. In BEI dal 1984, ha ricoperto il ruolo di Capo Divisione
del Dipartimento Financial Research e del Dipartimento Credit Risk e poi il ruolo di
Direttore Generale della Direzione Risk Management.

  ANNA GERVASONI
  È Direttore Generale di AIFI. Dottore Commercialista e Revisore Contabile, ha
contribuito alla fondazione (nel 1991) dell’Università Carlo Cattaneo di Castellan-
za - LIUC, dove attualmente è Professore Ordinario di Economia e Gestione delle
imprese, ed è titolare delle Cattedre di “Economia e Gestione delle Imprese” e di
“Finanza Aziendale”, nonché Direttore del Master Universitario in Merchant Ban-
king. È Direttore del Centro di Ricerca dei Trasporti e delle Infrastrutture.

  EDOARDO REVIGLIO
  È Capo economista, responsabile della ricerca economica e statistica presso la
Cassa depositi e prestiti (CDP). Insegna materie economiche alla LUISS Guido Carli
di Roma. È Segretario Scientifico della Commissione sui Beni Pubblici presso il Mini-
stero della Giustizia. È stato Capo dell’Ufficio Studi dell’IRI (2000-2001); Consulente
presso il Consiglio degli Esperti del Dipartimento del Tesoro al Ministero dell’Eco-
nomia e delle Finanze (2001-2006); e Consulente del Ministro dell’Economia e delle
Finanze per gli Affari Internazionali (2009-11).

  RAINER MASERA
  Preside della Facoltà di Economia e Professore Ordinario di Politica Economica
presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi di Roma. Ex Ministro tecnico del
Bilancio e della Programmazione Economica nel Governo Dini, è stato Membro del
gruppo ad alto livello della Commissione europea per la revisione del “processo
Lamfalussy” (IIMG) e Membro del Gruppo de Larosière per la revisione della rego-
lamentazione finanziaria. È stato Amministratore Delegato e Presidente del Gruppo
SanPaolo IMI ed è attualmente Membro Esperto del CdA della BEI.
COLLANA EBAF PIERLUIGI GILIBERT - BANCA EUROPEA PER GLI INVESTIMENTI - FEBAF
Sommario

Presentazione: Rainer Masera                                                    2

Relazione: Pierluigi Gilibert                                                   4

Commenti: Edoardo Reviglio                                                     15

Anna Gervasoni                                                                 22

Allegato n. 1: Presentazione “Strumenti finanziari previsti dalla BEI per il
rilancio dell’economia europea: problemi e prospettive” a cura di Pierluigi
Gilibert, in occasione dell’Incontro f organizzato dalla Federazione delle
Banche, delle Assicurazioni e della Finanza (Roma, 6 dicembre 2012).           29

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COLLANA EBAF PIERLUIGI GILIBERT - BANCA EUROPEA PER GLI INVESTIMENTI - FEBAF
Presentazione: Rainer Masera
      Ringrazio il Dott. Pier Luigi Gilibert che con FeBAF ci ha offerto questa impor-
    tante occasione di approfondimento e di dibattito sull’interessante tema del
    ruolo della Banca Europea per gli Investimenti e dell’innovazione per il finanzia-
    mento degli investimenti nell’ambito delle strategie di crescita e occupazione
    dell’Unione europea.

      La BEI – e quindi il Consiglio Ecofin - hanno deliberato un aumento di capitale
    per un importo pari a 10 miliardi di euro, per sostenere le strategie di crescita e
    occupazione che l’Unione intende perseguire nei prossimi anni.

      La Banca ha riconosciuto la gravità dell’attuale crisi, che ha già prodotto in-
    genti perdite nell’attività economica e che rischia di incidere negativamente sul
    potenziale produttivo dell’Unione europea. Il pericolo, infatti, è - in prospettiva
    - quello di compromettere lo stock di capitale fisico e umano, irrinunciabile per
    la competitività europea nei mercati globali.

      La Banca intende svolgere, in questo contesto, un ruolo essenziale per soste-
    nere il rilancio dell’economia europea, favorendo gli investimenti e ponendosi
    come elemento catalitico di un virtuoso processo di crescita.

      L’Unione ha inteso affrontare la crisi attraverso due fondamentali percorsi,
    quello del risanamento delle finanze pubbliche e quello del consolidamento del-
    le banche. Si tratta di due soluzioni evidentemente giuste e oggettivamente
    necessarie, ma discutibili nei modi, nelle forme e nei tempi di attuazione.

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L’eccesso di rigore fiscale, come dimostrano i casi della Grecia, del Portogallo
e della Spagna, è controproducente nel breve termine, determinando una con-
trazione della domanda aggregata e del PIL nazionale. Il Fiscal Compact, in par-
ticolare, non riconosce il ruolo fondamentale per la crescita degli investimenti
pubblici cofinanziati dalla BEI.

  Gli eccessivi vincoli per il rafforzamento dei presidi patrimoniali delle banche
creano seri problemi di liquidità, che minano lo sviluppo del mercato dei capitali
e favoriscono il rafforzamento di mercati paralleli, che sfuggono ai vincoli.

  Non a caso gli Stati Uniti e il Canada, Paesi nei quali le banche rivestono un
ruolo decisamente meno rilevante - in relazione al PIL - rispetto all’Europa,
hanno deciso di rinviare Basilea 3 per non pesare sulle prospettive di crescita
con oneri eccessivi. Occorre un’analoga, costruttiva pausa di riflessione e di
revisione del CRD IV in Europa.

  Ai vincoli sulle banche si aggiunge, nel contesto europeo, anche una forte
asimmetria nei costi di approvvigionamento del capitale, evidentemente fa-
vorevoli alle banche tedesche, contribuendo ad allontanare il raggiungimento
dell’essenziale obiettivo di convergenza economica.

  Occorre, quindi, intervenire per rafforzare la capacità di credito all’economia,
soprattutto in favore delle PMI, anche attraverso il fondamentale ruolo che in tal
senso possono svolgere la BEI e le istituzioni come la Cassa Depositi e Prestiti, la
Kreditanstalt fur Wiederaufbau e la Caisse des Dépots et Consignations.

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Relazione: Pierluigi Gilibert
      Ringrazio gli organizzatori per avermi invitato ad illustrare quale potrebbe
    essere il ruolo della BEI nei prossimi tre anni in termini di sostegno alla crescita
    e all’occupazione in Europa.

      Propongo di fare una breve introduzione. Sono tre gli aspetti da considerare
    a questo riguardo. Il primo, puramente quantitativo, è la capacità della BEI - in
    termini di volumi di prestiti - di giocare un ruolo anticiclico a sostegno della
    crescita in Europa. Il secondo riguarda invece aspetti qualitativi, cioé il tipo di
    crescita che vogliamo, vale a dire una crescita sostenibile basata sull’andamento
    della competitività nella ricerca dello sviluppo che crea un’occupazione stabile
    e a lungo termine. In riferimento al terzo aspetto, cercherò di dirvi quali sono
    gli orientamenti della BEI in materia di nuovi prodotti finanziari che rispondono
    a mutevoli esigenze di mercato. Parleremo di project bonds e di altre iniziative
    del sistema finanziario europeo la logica è quella di favorire l’attenzione e il
    rafforzamento del sistema finanziario dal sistema bancario verso un mercato
    avanzato dei capitali. Farò due esempi: project bonds alle infrastrutture e alle
    piccole e medie imprese.

      Per coloro che non sono totalmente familiari con la Banca Europea per gli Inve-
    stimenti, ricorderò che è un istituto finanziario a medio-lungo termine creato nel
    1958. I 27 paesi membri della UE - da luglio 2013 saranno 28 - sono gli azionisti
    della BEI.

      Siamo una banca tripla A con outlook negativo secondo due delle tre principali

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agenzie di rating. Una realtà grande in termini quantitativi: il totale di bilancio è
di 500 miliardi di euro, mezzi propri per 45 miliardi. Come ricordava il Prof. Ma-
sera, ce ne saranno altri 10 a partire dal 2013. Nel 2012 il livello delle erogazioni
si è aggirato intorno ai 50 miliardi, di cui 40-45 all’interno della Comunità e il
resto in paesi partner e paesi in via di sviluppo. In termini di rapporti, inoltre, ci
sono circa 70 miliardi all’anno di emissioni sui mercati obbligazionari internazio-
nali. Siamo quindi di gran lunga la più grande emittente non sovrana al mondo.

  I nostri prestiti vanno a supporto di obiettivi comunitari, siano essi di sostegno
alle piccole e medie imprese, alle infrastrutture (in particolare le Trans Euro-
pean Networks, con valenza cioè cross border), alla protezione dell’ambiente o
alla ricerca e sviluppo. Questi sono i principali obiettivi della BEI. La BEI non fi-
nanzia industrie, imprese o banche - noi finanziamo progetti concreti (un ponte,
un’autostrada, un capannone). L’unica eccezione è rappresentata dalle piccole
e medie imprese dove, essendo i progetti molto frammentati, molto piccoli,
operiamo attraverso prestiti alle banche, prestiti globali. Non finanziamo mai la
totalità di un progetto perché vogliamo che il promotore abbia una stake in the
game, generalmente eroghiamo al massimo il 50% del suo costo. Eccezionalmen-
te possiamo arrivare al 65%.

   Lavoriamo in sintonia con le banche nazionali dei paesi in cui operiamo e circa
il 50% del nostro attivo è rappresentato da prestiti a banche, garantiti da banche
o da intermediari di banche. Tale collaborazione con i sistemi bancari nazionali
è molto proficua. Inoltre lavoriamo attraverso una sussidiaria, il Fondo Europeo
degli Investimenti, di cui siamo azionisti al 60% (mentre la Commissione lo è al
30%) che è dedicato al finanziamento delle piccole e medie imprese sia nella
forma di garanzie, sia nella forma di venture capital.

  Sempre ai fini della mia introduzione, voglio ricordare che dal 2007-2008 siamo
in una fase di crisi permanente. La crisi è cominciata negli Stati Uniti nel 2007
con il problema dei subprime che portò al default di Lehman Brothers e sofferen-
ze finanziarie per diversi istituti di credito anche in Italia. Le ricadute sono state
ampie e rilevanti, tra queste: la nazionalizzazione di importanti banche (non in
Italia ma in altri paesi d’Europa), la distruzione del mercato interbancario, la
crisi di liquidità e il minor credito all’economia. Adesso la crisi è mutata in una
dimensione sovrana ma, nonostante questo, il sistema bancario è colpito sia dal

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lato degli investimenti, sia dal lato dei titoli pubblici detenuti.

      Abbiamo quindi un problema congiunturale, vale a dire rilanciare l’economia
    e sostenere l’occupazione, ma anche dei problemi strutturali, come ricordava il
    Prof. Masera, cioè il problema di mantenere lo stock di capitale produttivo e di
    rafforzare la competitività delle economie europee. Ci sono poi vari meccanismi
    di mercato che funzionano meno di quanto sarebbe desiderabile. In Europa e,
    in particolare in Italia, l’afflusso di credito alle piccole e medie imprese, da un
    lato, e i progetti alle infrastrutture, dall’altro, presentano un certo numero di
    problemi.

       Infine occorre ricordare che essendo questa una crisi di tipo sovrano, ha for-
    ti ripercussioni sull’Unione Europea stessa. Fortunatamente oggi la situazione
    sembra rientrata dalla fase di piena emergenza, ma nel 2011 la tenuta dell’Euro
    era messa in questione, per cui esiste un problema di integrazione europea da
    rilanciare per favorire la convergenza delle varie economie europee a livelli
    qualitativi e quantitativi più accettabili.

      Queste sono le sfide che abbiamo davanti e di cui la BEI è naturalmente con-
    sapevole. Cercheremo di fare del nostro meglio per affrontare queste situazioni.
    Più concretamente, come vedremo, l’idea della BEI per il biennio 2013 – 2015 è
    di aumentare il volume di prestiti del 40% grazie all’aumento di capitale di cui
    parlerò fra poco.

      L’idea, inoltre, è di concentrarsi su tre o quattro priorità tematiche, peraltro
    abbastanza ampie, e sulla qualità dei progetti da finanziare. Il programma di
    espansione dei prestiti della BEI è ambizioso, per la quantità di denaro che do-
    vrà trattare e soprattutto perché l’ambiente in cui opereremo è tutt’altro che
    favorevole.

      L’attuale contrazione della domanda aggregata è aggravata dalle restrizioni
    dei bilanci pubblici che hanno avuto un forte impatto in alcune aree dove la BEI
    è tradizionalmente attiva.

      Un esempio è rappresentato dal settore delle energie rinnovabili dove a li-
    vello europeo è stato radicalmente rivisto tutto il sistema di tariffe, che prima
    era, forse, oltremodo generoso in favore di questo comparto. Un altro esempio
    è quello dei programmi di partnership pubblico-private (PPPs) infrastrutturali,

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specie in paesi adesso in crisi (Portogallo, Spagna e altrove). Ho già ricordato
il problema delle piccole e medie imprese, problema aggravato dal fatto che i
requisiti di capitali di Basilea 3, che potrebbero intervenire nel prossimo futuro,
mettono le banche in difficoltà in un momento non propizio per introdurre que-
sta regolamentazione. Tutto il mercato degli ABS, Asset Backed Securities, che
serviva alle banche per fare liquidità e rinnovare le erogazioni di credito soprat-
tutto alle piccole e medie imprese, è stato la vittima collaterale del problema
dei subprime. Il mercato è praticamente chiuso ma varrebbe la pena rivederlo.

  Per noi è anche importante notare che la maggioranza degli intermediari finan-
ziari, che sono la nostra controparte, hanno subito severi downgrade da parte
delle agenzie di rating e allo stesso tempo si trovano a corto di attivi (collateral)
utilizzabili a garanzia del funding.

   Se da un lato siamo determinati a fare di più, dall’altro ci rendiamo conto che
il contesto è molto insidioso.

  Vorrei spendere poche parole anche sul business model della BEI. Siamo una
banca all’ingrosso e quindi non abbiamo depositi della clientela. Raccogliamo
tutto sul mercato dei capitali e i nostri prestiti sono in gran parte di dimensioni
unitarie elevate. Quest’anno la dimensione media è intorno ai 150 milioni di
euro, raramente prestiamo per meno di 30 o 40 milioni, facilmente andiamo
oltre i 500 milioni.

  Il nostro portafoglio non è particolarmente granulare o differenziato: questo
ci impone degli standard creditizi particolarmente elevati e rigorosi all’origine
dei prestiti. Concediamo crediti a un livello di perdita attesa prossima allo 0
all’inizio del prestito e chiaramente abbiamo l’obiettivo di mantenere il nostro
rating di tripla A.

  Standard&Poor’s ha recentemente pubblicato un rapporto che conferma la
tripla A ma anche il negative outlook. Devo ammettere che qualche volta sulla
stampa, non in Italia ma altrove, si legge che ciò che preme alla BEI è semplice-
mente cercare di mantenere la tripla A. Penso che questo non sia vero e cercherò
di dimostrarlo più avanti. E’ vero tuttavia che la tripla A costituisce un pilastro
della nostra capacità di giocare un ruolo anticiclico perché ci permette di acce-
dere alla raccolta di cospicui capitali a costi contenuti, quindi di riflettere tutto

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questo dal lato dei prestiti. Avere all’origine questi requisiti creditizi stringenti
    ci porta a mantenerli anche durante la vita del prestito. In caso di downgrade
    della controparte, quello che generalmente si fa è impegnarsi attivamente per
    riportare il prestito allo stesso livello di perdita attesa che c’era all’inizio del
    rapporto e comunque all’interno dei nostri limiti di politica creditizia.

      L’ambiente in cui operiamo, come per tutti i paesi, è fortemente condizionato
    e significativi aggiustamenti sono stati fatti. Il primo, il più importante, di cui
    parlerò a breve, è l’aumento di capitale che rimuove una serie di ostacoli alla
    nostra capacità di crescere e mette a tacere certi timori che le agenzie di rating
    avevano espresso circa la volontà degli specialisti di dare supporto alla BEI in
    questo suo ruolo anticiclico. Penso che questo nodo sia stato risolto.

      Abbiamo anche adottato alcune misure temporanee di deroga ai nostri stan-
    dard tradizionali, all’interno di massimali ben definiti, e abbiamo incrementato
    la nostra attività in compartecipazione con la Comunità Europea usando fondi
    strutturali - sia a livello di bilancio centrale europeo sia a livello locale, regio-
    nale e nazionale - per aumentare la nostra capacità di presa di rischio in singoli
    project bond. Anche la nostra attività di collaborazione con altri istituti di cre-
    dito pubblico, soprattutto la Cassa Depositi e Prestiti in Italia, è un fattore che
    ci permette di operare con maggiore serenità.

      Passo adesso a cose più pratiche: nel 2007 abbiamo erogato prestiti per 48
    miliardi e nel 2008 ne prevedevamo in egual misura ma ne abbiamo finanziato
    10 in più (58 miliardi). Nel 2009 pensavamo di tornare a 48 ma ne facemmo 31 in
    più, quindi raggiungemmo 79 miliardi di prestiti: un record storico per la banca.

       Con la crisi fu inevitabile per i nostri azionisti giocare un ruolo anticiclico per
    dare supporto all’economia. Nel 2009, per esempio, introducemmo quella che
    si chiamava allora Clean Transport Facility, cioè una serie di prestiti per tutto
    il settore europeo dell’automotive a favore di tecnologie più pulite. Abbiamo
    sostenuto in questo modo tutti i produttori di automobili in Europa e anche il
    settore componentistico. Lo facemmo usando quello che è detto Risk Sharing
    Finance Facility (in italiano “strumento a sostegno di un regime di condivisione
    del rischio”) condividendo il rischio di credito con la Commissione. Questo stru-
    mento ci permette naturalmente di assorbire maggiori rischi e per le organizza-
    zioni beneficiarie costituisce un modo indiretto di avere supporto di tipo equity.

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Il problema è che nel 2010-2011 le agenzie di rating hanno cominciato a notare
un declino della nostra capitalizzazione e hanno cominciato a fare domande. Ci
siamo chiesti quale fosse la crescita sostenibile per la BEI, cioè quale crescita del
nostro totale di portafoglio fosse compatibile con il mantenimento di standard
elevati, in particolare con la tripla A. All’epoca, come ricordava il Prof. Masera,
nessuno pensava che si sarebbe avuto un aumento di capitale da parte degli
azionisti e cominciammo a ridurre l’attività di prestito. Rapidamente passammo
dai 79 miliardi del 2009 ai 73 del 2010, ai 62 del 2011.

     L’idea ora è quella di ritornare a livelli di attività superiori e devo dire che que-
sta attesa si realizzerà nel marzo del 2013. Gli stati membri, infatti, hanno accet-
tato di fare un aumento di capitale alla BEI di 10 miliardi. Per la prima volta dopo
un paio di decenni, non si tratterà soltanto di un aumento di capitale sottoscritto,
ma di 10 miliardi in più di capitale pagato, quindi versato nelle casse della BEI.

  Il processo si porterà a compimento nel primo trimestre del 20131. I principali
paesi, fra cui l’Italia, hanno accettato di pagare le loro quote in una rata unica
alla fine del primo trimestre mentre altri hanno preferito farlo in rate successive
di due anni ma, praticamente, il 90% di questi 10 miliardi sarà disponibile entro
la prima metà del 2013. In cambio, la Banca aumenterà i propri prestiti di 20
miliardi all’anno salendo a circa 60 miliardi di nuove sottoscrizioni nel triennio.
A livello europeo pensiamo che ciò possa generare 180 miliardi di nuovi investi-
menti. Quindi c’è un rapporto di 1 a 18: un euro di aumento di capitale della BEI
dovrebbe generare 18 euro di investimento addizionale. Questo è il programma
quantitativo che ci impegniamo a mettere in piedi negli anni a venire.

  Ricordiamo adesso gli aspetti qualitativi di questo programma. Come dicevo,
la componente qualitativa dell’unità di prestito è essenziale nei programmi della
BEI. Per i prossimi due anni abbiamo essenzialmente quattro priorità tematiche:

  - Innovazione e competitività: prestiti a favore di ricerca e sviluppo, scienza,
riqualificazione professionale e nuove tecnologie, quindi a favore dell’incremen-
to complessivo della competitività dell’economia europea. In tre anni pensiamo
di erogare almeno 15 miliardi di prestiti in favore di questo obiettivo.

     - Accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese e delle società

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    L’aumento di capitale è stato effettivamente deliberato all’unanimità in data 8 Gennaio 2013.

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Mid-cap: sappiamo che al momento il canale di credito alle imprese non fun-
     ziona particolarmente bene, c’è quindi la necessità di riattivare la liquidità a
     questo settore dell’economia europea che costituisce il motore per generare
     nuova occupazione.

        - Infrastrutture strategiche: necessità di crearne di nuove e di mantenere
     e rinnovare quelle esistenti garantendo così il necessario presupposto per lo
     sviluppo di una maggiore produttività dell’economia europea. In particolare,
     l’interesse si focalizzerà sulle Trans European Networks nel settore dell’energia,
     delle telecomunicazioni e dei trasporti.

       - Uso e ricerca delle risorse naturali: energie rinnovabili, efficienza energe-
     tica, gestione dei rifiuti, acqua, interventi sul territorio per evitare catastrofi
     naturali e protezione dell’agricoltura. Su 60 miliardi, circa 20 saranno dedicati
     a questa priorità.

       La terza parte del mio intervento affronta il tema dei nuovi prodotti a sostegno
     della crescita e dell’occupazione, cioè la capacità e la propensione della BEI di
     adattarsi alle realtà in continuo movimento dell’economia europea.

        Parlerò di tre prodotti in particolare: 1) prestiti a società Mid-cap ad alta
     innovazione intermediati da banche; 2) obbligazioni di progetto per rilanciare
     l’incidenza degli investimenti nelle infrastrutture; 3) operazioni congiunte BEI –
     FEI (Fondo Europeo degli Investimenti) nel mercato ABS per le piccole e medie
     imprese.

       Nei tre casi la BEI ricorre sia all’aiuto della Commissione Europea, sia a quello
     del nostro sussidiario, il FEI, sia ad altri partner europei fra cui la Cassa Depositi
     e Prestiti.

       Non parlerò, invece, dei prodotti che abbiamo introdotto in paesi sotto pro-
     gramma (Grecia e Portogallo).

        Vorrei aprire una piccola parentesi: è in corso un importante dibattito a Bru-
     xelles sul budget della Comunità per il periodo 2013-2020. Il dibattito è comples-
     so ed è stato rimandato al primo trimestre del 2013. Tra i vari temi, si segnala
     il problema di come utilizzare meglio i fondi strutturali, sia quelli che sono a
     Bruxelles e sono gestiti centralmente dalla Commissione, sia quelli che sono
     delocalizzati a livello regionale e nazionale.

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In passato, la grandissima parte di questi fondi era attribuita attraverso grants
(come sussidi). Il dibattito è particolarmente corposo e specializzato su questa
questione: i detrattori degli strumenti finanziari di cui sopra, sostengono che
l’utilizzo dei grants sia più rapido, diretto e semplice mentre la parte avversa
sostiene che i grants determinino troppi sprechi. Gli strumenti finanziari, infatti,
immettono nei fondi strutturali una logica di mercato: c’è la possibilità di fare
un blending, cioè di accorparli a fondi del settore privato. Tutto questo permet-
terebbe di aumentare la qualità degli interventi e, soprattutto, questi fondi non
sarebbero persi ma riciclabili nella misura in cui sono rimborsabili. Il dibattito è
ancora vivo in corso e, comunque finirà, pensiamo che questi strumenti saranno
importanti e lo saranno in misura quantitativa molto maggiore rispetto a quanto
non sia avvenuto sino ad oggi.

  Parlerò fra breve della LGTT (Loan Guarantee Instrument for TENs Transport),
del RSFF (Risk Sharing Finance Facility) e del RSI (Risk Sharing Instrument). Sono
tutti JFI (Joint Financial Instruments) su cui la BEI sta lavorando.

  Fra i principi essenziali alla base di questi nuovi strumenti c’è il fatto che essi
debbano focalizzarsi in settori in cui il mercato non riesce a funzionare come
dovrebbe, che debbano essere in numero ristretto e sufficientemente generali
da poter essere replicabili in situazioni diverse, che debbano avere la capacità di
attrarre finanziamenti soprattutto nel settore privato fungendo da moltiplicatori
e che debbano essere autosufficienti dal punto di vista gestionale.

   Partiamo esaminando il Risk Sharing Instrument (RSI), introdotto dal gruppo
BEI e in particolare dal Fondo Europeo degli Investimenti molto recentemente.
Si tratta di un sistema di garanzie dato agli intermediari finanziari che si im-
pegnano a finanziare le piccole e medie imprese e le Mid-cap con meno di 500
addetti. Il FEI garantisce il 50% delle perdite eventualmente sostenute in cambio
di una commissione di garanzia. Il meccanismo di garanzia prevede che parte del
rischio sia traslata sulla commissione.

   Il take-up da parte del mercato è stato positivo: la prima tranche è stata esau-
rita con 5 contratti firmati per oltre 250 milioni. C’è anche una pipeline robusta
da parte di due banche italiane e adesso l’idea è quella di ampliare la portata
del RSI sia in termini quantitativi sia in termini di nuovi beneficiari.

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Un altro strumento riguarda non tanto le piccole e medie imprese ma quelle
     che noi definiamo Mid-cap, società di taglio medio (numero di addetti fra i 500 e
     i 3000), particolarmente attive nel settore della innovazione tecnologica. Come
     per lo strumento che ho appena presentato, l’idea è che il gruppo BEI dia una
     copertura al 50% delle perdite incorse alle banche nel prestare a queste Mid-cap.

       Ci siamo resi conto che il prodotto BEI per le piccole e medie imprese è ve-
     ramente capace di raggiungere le micro-imprese. La BEI con il suo prodotto
     tradizionale di prestito bilaterale raggiunge un ammontare di prestiti di 30-40
     milioni per le singole società individuali. In mezzo c’è tutta una popolazione di
     imprese medie che per ora è sfuggita alla BEI e pensiamo che questo prodotto
     possa essere particolarmente adatto.

       Nel primo trimestre del 2013 faremo due operazioni di questo tipo da 200
     milioni ciascuna, per le quali abbiamo già individuato le banche. I 200 milioni
     sosterrebbero da 15 a 20 operazioni individuali, ciascuna con prestiti individuali
     non superiori a 50 milioni.

       Questo meccanismo prevede che il rischio sia in parte traslato sulla Commis-
     sione Europea attraverso un meccanismo di first loss per cui la Commissione
     assorbe le prime perdite e la BEI prenda le eventuali perdite superiori a questo
     minimum. Questo è ripartito in maniera trasparente: rischi e ricavi vengono
     ripartiti fra la BEI e la Commissione.

        Questi project bonds sono tra i prodotti più attraenti di questi tempi. Il loro
     precursore si chiama Loan Guarantee Instrument for TENs Transport (LGTT):
     prevede la possibilità della BEI di estendere garanzie e quindi credito di firma
     in modo subordinato per mitigare il rischio di credito che i senior lenders, cioè
     i portatori di credito nei progetti di infrastrutture, hanno tra la fine del periodo
     di costruzione e l’inizio dell’operatività delle infrastrutture.

       Dedicato solo al settore dei trasporti, abbiamo fatto tali operazioni per 525
     milioni. La Banca ha assunto dei rischi con traslazione almeno parziale sul bilan-
     cio della comunità.

       I project bonds sono la naturale evoluzione di questo prodotto: espandono la
     tipologia dei rischi coperti (non solo il rischio di ramp up ma anche il rischio di
     costruzione del progetto) ed estendono il settore di interesse, non solo quello

12
dei trasporti ma anche dell’energia e della banda larga.

   C’è un supporto di equity da parte della Commissione di 230 milioni, più un 5%
della BEI. L’intervento della BEI può avvenire sia sotto forma di credito di firma,
sia sotto forma di credito per cassa di tipo subordinato. Riteniamo che da qui
fino alla fine del 2014, quando questo prodotto spirerà, possiamo mobilizzare
fino a 700 milioni di prestiti BEI per un totale di 4,4 miliardi di investimenti totali
nelle infrastrutture.

   L’idea fondamentale è che l’intervento della BEI possa trasformare il credito
senior, dal punto di vista qualitativo, in qualcosa di appetibile per il settore
istituzionale – quindi trasformarlo in obbligazioni.

  L’obiettivo è di estendere agli investitori istituzionali (fondi pensione, fondi di
investimento, compagnie di assicurazione) la capacità di finanziare opere infra-
strutturali.

   Ci sono delle ragioni valide per questo: le opere di infrastrutture spesso ge-
nerano un cash flow stabile, sono asset reali a lungo termine e quindi possono
rappresentare un matching ideale per la passività di una compagnia di assicu-
razioni o di un fondo pensioni che cura dei caratteri estremamente lunghi. In
settori istituzionali che gestiscono miliardi e miliardi di fondi è sufficiente che,
in un’ottica di diversificazione del portafoglio, l’1 o il 2% sia destinato a questo
fine per sbloccare volumi di fondi importanti, quindi per compensare il ritiro
del settore bancario da questo tipo di prestiti che sono a lungo termine, molto
specializzati, non semplici, considerati più rischiosi e certamente da riassorbire
molto più in ritardo.

  Non vi è totale uniformità anche su quali siano i pro e i contro di questo pro-
getto. Certamente fra le attrattive del project bond vi è il fatto che il costo
della tranche senior se trasformato in obbligazioni potrebbe essere molto più
basso di quello che è un tradizionale prestito bancario e soprattutto, ancor più
importante, che si elimina il rischio di rifinanziamento in corso d’opera.

  In questo caso le obbligazioni coprirebbero l’intera durata del progetto ma
per contro emergebbe un problema di flessibilità e i prestiti bancari sono in-
dubbiamente i più flessibili. Ci sono anche problemi di prepagamento nel caso
in cui, per qualsiasi ragione, c’è un termination dell’opera e c’è necessità di

                                                                                          13
rimborsare i portatori di obbligazioni poiché normalmente richiedono delle pe-
     nalties molto alte. Ciò che si può fare per risolvere la controversia su quale sia
     lo strumento più efficace è offrire ai promotori le due possibilità e poi lasciare a
     loro la scelta dell’uno o dell’altro.

       Ultimo punto. Desidero ritornare sulle piccole e medie imprese. Un’altra ini-
     ziativa è mettere insieme FEI e BEI per cercare di riattivare un canale di li-
     quidità alle piccole e medie imprese che è completamente inaridito, cioè gli
     Asset Backed Securities. Questo mercato è completamente sparito nel nulla - a
     nostro avviso per ragioni non corrette - perché è vittima della cattiva reputa-
     zione che prodotti simili hanno avuto nel 2007-2008, prodotti che non erano con
     sottostante prestito alle piccole e medie imprese ma crediti ipotecari. Se si va
     a vedere quale è stata la performance degli ABS, si nota che ci sono stati sì dei
     downgrade, oltretutto fisiologici, ma non ci sono state perdite. Alla BEI - dove
     ne abbiamo in portafoglio parecchi miliardi - siamo nettamente soddisfatti delle
     loro performance. Pensiamo dunque che sia importante riaprire questo tipo di
     canale per le banche: permetterebbe loro di raccogliere liquidità, naturalmente
     nella misura in cui le banche si impegnino a rinnovare il credito alle piccole e
     medie imprese. Quello che viene liberato nei loro bilanci ritorni sotto forma di
     prestito. L’idea è che in cooperazione fra la BEI e il FEI si possano portare avanti
     delle emissioni obbligazionarie di questo tipo con dimensioni interessanti per
     l’investitore istituzionale e che ancora una volta il FEI faccia la parte di garanzia
     e la BEI faccia la parte per cassa. Pensiamo a 4-5 transazioni per anno a partire
     dal 2013.

       Spero di aver convinto circa la capacità della BEI di operare in maniera antici-
     clica. Certamente ce ne è la volontà. Si tratta di un programma ambizioso in un
     contesto difficile. Ancora vorrei sottolineare la necessità di assicurare non solo
     la componente quantitativa ma quella qualitativa e ricordare che la BEI è aperta
     a forme di collaborazione con i sistemi finanziari nazionali per portare avanti di-
     scorsi innovativi nella misura in cui siano coerenti con l’ambizione di contribuire
     ad una maggiore crescita occupazionale.

14
Commenti: Edoardo Reviglio
  1 - La Cassa depositi e prestiti (CDP) collabora da molti anni con la Banca Eu-
ropea degli Investimenti (BEI). Possiamo dire che per la “nuova” CDP la BEI è un
benchmark, un modello. Questo rapporto si è andato intensificando nel corso del
tempo, con una accelerazione negli ultimi anni, quando, nel settembre 2008,
fu portata all’Ecofin una proposta della Presidenza Italiana di creare un grande
fondo equity europeo di lungo periodo per infrastrutture, energia e rinnovabili
che mettesse a fattore comune le grandi banche di sviluppo europee, le BEI sot-
to l’egida della Commissione, per sostenere il mercato del finanziamento delle
infrastrutture duramente colpito dalla crisi. Da questa prima iniziativa (di suc-
cesso) si è avviata la creazione di un vero e proprio network tra grandi banche di
sviluppo europee, che ha portato, nel 2009, alla costituzione del Club dei Long-
Term Investors. Il Club, ha successivamente accolto altri soci al di fuori dell’Eu-
ropa, ma mantiene ancora un nucleo europeo molto forte. In tale contesto, la
BEI consolidava la propria vocazione di essere la principale banca di sviluppo
dell’Unione, protagonista delle più importanti iniziative di politica economica
ed industriale in Europa. Iniziative che seguono una logica policy oriented più
che profit oriented, con un ruolo “complementare” e non sostitutivo o in con-
correnza con il mercato - sostenendo gli investimenti di lungo termine, anche
attraverso l’ideazione e lo sviluppo di nuovi strumenti finanziari europei.

  2 – Consentitemi di tornare alla riflessione iniziale di Rainer Masera: Come con-
ciliare crescita ed austerità, nella costruzione di una exit strategy dalla crisi? In
Europa, infatti, si sommano l’austerità fiscale e il razionamento del credito. In

                                                                                        15
questo contesto è molto difficile fare ripartire l’economia.

       Ma facciamo un passo indietro. Vediamo brevemente come USA ed Europa han-
     no reagito alla crisi. Si delineano due modelli molto diversi.2

       Gli USA hanno scelto di intervenire, fin dall’inizio, su due fronti: da un lato, la
     pulizia di bilancio delle istituzioni finanziarie e la ricapitalizzazione di banche,
     assicurazioni e industrie automobilistiche (attraverso il TARP)3, dall’altro un pia-
     no straordinario di stimolo all’economia, comprensivo di strumenti di accelera-
     zione degli investimenti in infrastrutture4, che ha portato il debito pubblico oltre
     la soglia psicologica del 100% del PIL5.

       L’Europa, che pure ha visto interventi nazionali a sostegno delle banche per
     1.600 mld di euro (incluse le garanzie)6, ha imposto piani rigorosi di risanamento
     delle finanze pubbliche e riduzione dei debiti sovrani, anche attraverso l’intro-
     duzione di regole e vincoli nelle Costituzioni degli Stati membri, rendendo di fat-
     to impossibili significativi programmi di stimolo di tipo keynesiano; ha imposto al
     settore bancario un’accelerazione nell’applicazione delle più stringenti regole
     prudenziali di Basilea 37 e progetta l’introduzione di regole analoghe anche per

     2
       Cfr. al riguardo F. Bassanini e E. Reviglio, “Gli investimenti per la crescita: istituzioni, regole e
     strumenti”, in G. Amato e R. Gualtieri (a cura di), “Prove d’Europa unita. Le istituzioni europee
     di fronte alla crisi”, ASTRID Passigli Editori, 2013.
     3
       Col Troubled Asset Relief Program (TARP) il Governo USA ha acquistato attivi dalle istituzioni
     finanziarie (e non) colpite dalla crisi. In origine il Piano era di 700 mld di dollari, ridotti a 475
     dal Dodd–Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act. Il Congressional Budget Office
     (CBO) ha stimato le risorse messe in campo dal TARP in 431 mld di dollari, in buona parte già
     restituiti al Governo (dei 245 mld destinati alle banche, 169 sono stati ripagati).
     4
        L’American Recovery and Reinvestment Act (2009), noto come Stimulus o Recovery Act ha
     previsto interventi per 787 mld di dollari poi saliti a 831, di cui 552 in infrastrutture, istru-
     zione, sanità, energia, contributi alla disoccupazione e altre spese sociali, e 288 per incentivi
     fiscali. La priorità assegnata agli investimenti in infrastrutture rispondeva anche all’esigenza
     di recuperare il relativo handicap competitivo degli USA rispetto ai Paesi più avanzati nella
     infrastrutturazione del Paese.
     5
       Utilizzando i criteri Eurostat, il debito dell’intero settore pubblico USA supererebbe, secondo
     le stime più accreditate, il 130% del PIL.
     6
        Nel periodo 2008-2011, gli Stati membri della UE, hanno approvato aiuti alle banche per
     4.500 mld di euro (36,7 per cento del PIL UE). Cfr. “High Level Expert Group on Reforming the
     Structure of the EU Banking Sector”, Chaired by E. Liikanen, Final Report, ottobre, 2, 2012,
     box 2.2, p. 21.
     7
       Il riferimento non è solo alle regole dettate dall’EBA, ma anche al progetto di direttiva CRD IV
     (che ha respinto al mittente gli inviti a mantenere margini di flessibilità simili a quelli adottati
     negli USA nel recepimento dei vincoli di Basilea 2). Gli USA hanno recentemente annunciato un
     rinvio nella applicazione delle regole di Basilea 3.

16
le assicurazioni e i fondi pensione8, con una conseguente stretta sul finanziamen-
to degli investimenti. Sul fronte della crescita, ha bensì mantenuto gli ambiziosi
obiettivi dell’Agenda di Lisbona (2.000 mld di euro di investimenti in trasporti,
energia e TLC), ma (scartata per il momento l’ipotesi di finanziarli con Euro-
bond) prevede di realizzarli per lo più mediante investimenti privati e, per le
infrastrutture, mediante la finanza di progetto. In sostanza, mentre l’attenzione
degli USA è stata focalizzata soprattutto sulla ripresa della crescita e dell’oc-
cupazione, quella dell’Europa lo è stata principalmente su stabilità finanziaria,
crisi dei debiti sovrani, riequilibrio delle finanze pubbliche.

   È ancora presto per valutare l’efficacia di lungo periodo delle due diverse scel-
te di politica economica. Ma è evidente che gli USA non potranno non affrontare
il problema del loro crescente debito pubblico9. E che l’Europa non potrà realiz-
zare gli obiettivi di stabilità finanziaria e consolidamento fiscale che si è posta
senza riprendere la strada della crescita e ridurre gli squilibri macroeconomici e
di produttività tra Nord e Sud del continente: allo stato, la crisi finanziaria e le
misure prese per la stabilità e il consolidamento fiscale hanno contribuito a ge-
nerare recessione (in specie nei Paesi periferici), deindustrializzazione (Francia
e Spagna) e allargamento delle disuguaglianze (tra Nord e Sud), con effetti di
contrazione della crescita economica - come è stato autorevolmente rilevato10 -
maggiori delle aspettative degli esperti e degli operatori.

  3 - In Europa le banche hanno avuto sempre un ruolo centrale nel finanziamen-
to di medio e lungo periodo dell’economia. Negli USA, invece, è il mercato dei
capitali che finanzia gran parte delle iniziative. Ciò è principalmente dovuto alle
differenze strutturali tra i due sistemi. Dai dati della European Banking Federa-
tion (EBF) emerge che, nel 2010, il totale degli attivi di bilancio delle banche
8
  Direttive Solvency II e IORP, entrambe ancora in discussione.
9
  Ben Bernanke è stato il primo a usare il termine “fiscal cliff”, sostenendo che “un precipizio di
imponenti dimensioni composto di ingenti tagli di spesa e aumenti di imposte potrebbe colpire
l’economia americana nel 2013”, se il Congresso non riuscirà a raggiungere un accordo sulla
soppressione o rimodulazione dei tagli fiscali del Governo Bush e dei tagli di spesa previsti dal
Budget Control Act del 2011.
10
   FMI, “World Economic Outlook, Coping with High Debt and Sluggish Growth”, ottobre, 2012.
Ma già L. Christiano, M. Eichenbaum, and S. Rebelo, “When Is the Government Spending Mul-
tiplier Large?”, in Journal of Political Economy, Vol. 119, 2011, pp. 78–121; G. B. Eggertsson, e
P. Krugman, “Debt, Deleveraging, and the Liquidity Trap”, in Quarterly Journal of Economics,
2012, pp. 1469–1513. E, ora, O. Blanchard and D. Leigh, “Growth Forecast Errors and Fiscal
Multipliers”, IMF Working Paper, January 2013.

                                                                                                      17
USA era pari a 8.600 mld di euro (l’80% del Pil), quelli delle banche europee a
     42.900 mld (il 350% del Pil). Negli USA, durante il periodo 2008- 2009, grazie
     all’Obama Recovery Plan, sono state finanziate opere pubbliche per circa 200
     mld di dollari mediante il collocamento sul mercato di project bond (i c.d. Build
     America Bonds - BABs)11. In Europa, come si vedrà, la crisi ha ridotto i finanzia-
     menti bancari degli investimenti delle PMI e delle infrastrutture, e il mercato
     stenta a sostituirli.

       Ma perché le grandi banche europee non finanziano più l’economia reale? Dal
     recente Rapporto Liikanen12 è emerso un eccesso di rischio nelle banche europee
     – prevalentemente nelle attività di trading, soprattutto nei prodotti più com-
     plessi e nel finanziamento al settore immobiliare – e un eccessivo affidamento a
     fonti di raccolta a breve. Il rischio non è stato protetto da sufficiente capitale.
     Inoltre, il rischio sistemico era fondato sui legami troppo stretti tra i vari attori
     del mercato finanziario. La quota dei ricavi da margine d’interesse, che rap-
     presenta tipicamente l’attività d’intermediazione tra i depositi ed i prestiti, ha
     iniziato a scendere rispetto ad altre fonti di ricavo. Attualmente, le prime dieci
     banche europee hanno un rapporto tra prestiti ai clienti/totale attivi che nella
     media non supera il 30 per cento.13

     11
        BABs sono emessi da enti pubblici (Municipalities o Public Authorities). Il loro successo è di-
     peso anche dagli incentivi fiscali concessi, e dal fatto che esiste un ampio e profondo mercato
     dei “municipal bond” su cui essi vengono negoziati. Di solito una stessa entità pubblica finanzia
     varie opere che vengono poi raccolte (“bundled”) in un unico bond bilanciando così il rischio dei
     flussi di cassa delle varie iniziative. I BABs non sono conteggiati nel debito pubblico, cosa che in
     Europa non sarebbe consentita dalle regole Eurostat. Per questa ragione i project bond europei
     verranno emessi direttamente dalle società di progetto e non dalle amministrazioni pubbliche.
     12
        La misura del rischio, basata su modelli interni consentiti da Basilea II, ha permesso di rag-
     giungere livelli di ROE molto elevati, ma l’aumento della leva ha avuto come conseguenza una
     forte riduzione della capacità di assorbire gli shock negativi e le perdite. Nel frattempo, mentre
     la crescita dei depositi seguiva la crescita del PIL, le banche hanno incominciato a finanziare
     la loro forte espansione degli attivi (ben superiore alla crescita del PIL) utilizzando i mercati
     interbancari (non garantiti) ed i mercati dei repo (garantiti).
     13
        Il Rapporto Liikanen riporta due grafici che riguardano rispettivamente la prima e la quinta
     banca europea. Nel 1993 esse avevano un totale dell’attivo diviso equamente tra prestiti ed
     altre attività finanziarie. Negli anni successivi, il peso delle altre attività è cresciuto molto. Nel
     2011, nel caso della Deutsche Bank, su un totale attivo pari a circa 2.200 mld di euro, le altre
     attività erano pari a 1.800 mld, mentre i prestiti a 400 miliardi; nel caso della Barclays, su un
     totale attivo pari a 1.900 mld di euro, le altre attività erano pari a 1.400 mld, mentre i prestiti
     a 500 mld. E tutto ciò con un rapporto tra capitale totale/totale attivi pari al 2,3 per cento
     per la Deutsche Bank e del 4 per cento per la Barclays. Infine, in entrambi i casi, la raccolta da
     depositi è inferiore al 30 per cento.

18
In sintesi, il sistema delle grandi banche europee è cresciuto oltre misura pri-
ma della crisi e ha continuato a crescere anche dopo. Ma l’attività tradizionale
d’intermediazione del risparmio verso gli investimenti produttivi è diventata
quasi “residuale” rispetto ad altre attività, tra le quali quella del trading è, tut-
tora, di gran lunga l’attività più ampia. A fronte di questa crescita di attività ri-
schiose, remunerative e di breve periodo, la leva è aumentata a livelli abnormi.

  4 - Sul fronte della regolamentazione, anche le assicurazioni e i fondi pensio-
ne si trovano a fronteggiare problemi analoghi a quelli degli istituti finanziari.
Gli investitori istituzionali di lungo periodo (principalmente assicurazioni, fondi
pensione, fondi comuni d’investimento e fondi sovrani) hanno attivi per circa 73
trilioni di euro a livello globale e oggi investono circa l’1% del portafoglio nelle
infrastrutture. Nei prossimi 30 anni, data la grande domanda di capitali a livello
globale, i paesi che riusciranno ad attrarre maggiori risorse finanziarie saranno
quelli che avranno più vantaggio competitivo. Per attirare questi capitali sarà
tuttavia necessaria una cornice regolamentare che favorisca gli investimenti. La
Commissione sta predisponendo un “Green Paper” volto ad individuare regole,
condizioni e strumenti per favorire l’afflusso di capitali privati nel finanziamento
degli investimenti di lungo termine. A livello internazionale, la presidenza russa
del G20 proporrà di indicare il tema del finanziamento degli ILT fra le priorità
dell’agenda per il 2013. Ciò potrebbe rappresentare una svolta.

  5 - Nell’attesa di una ritrovata stabilità del sistema bancario europeo, il ruo-
lo degli investitori istituzionali di lungo termine diventerà comunque sempre
più importante. Per quanto concerne le c.d. banche pubbliche di sviluppo (BEI,
KfW, CDC, CDP, ecc), il cambiamento è già evidente. Come si vedrà, sono stati
disegnati nuovi strumenti finanziari; sono state mobilitate risorse aggiuntive per
sostenere l’economia durante la crisi, in primis mediante il finanziamento delle
infrastrutture e delle PMI, direttamente o attraverso l’intermediazione del siste-
ma bancario; e sono stati lanciati nuovi fondi equity di lungo periodo, europei e
nazionali, con l’obiettivo di investire in progetti infrastrutturali e di rafforzare
la capitalizzazione delle imprese. La cooperazione fra queste istituzioni potrà
produrre nuove iniziative e nuovi strumenti. Ma è evidente che non potranno, da

                                                                                        19
sole, far fronte alle esigenze di finanziamento della gran mole di investimenti
     previsti dall’Agenda 2020 e comunque dalla necessità di rilanciare la crescita
     e recuperare competitività nell’economia globale. Ancor meno potranno farlo
     gli altri investitori istituzionali di lungo termine, come le assicurazioni e i fondi
     pensioni, se prevarranno regolazioni procicliche penalizzanti per gli ILT nell’eco-
     nomia reale e nelle infrastrutture. E’ dunque ineludibile il problema di politiche
     pubbliche, nazionali ma anche europee, per la crescita e gli investimenti.

       La Cassa Depositi e Prestiti, in questi ultimi quattro anni, ha vissuto profonde
     trasformazioni, per far fronte ai bisogni dell’economia nazionale, duramente
     colpita dalla crisi. A tal fine ha predisposto una serie di nuovi strumenti finanzia-
     ri, molti dei quali sono stati concepiti e realizzati in collaborazione con la BEI.

        Con riferimento alla Project Bond Initiative. Essa tende ad attirare addizionale
     capitale finanziario privato mediante meccanismi volti a migliorare il rating del
     debito delle società che emettono bond per finanziare le infrastrutture Ten-T,
     Ten-E e NGN in finanza di progetto. La Commissione compartecipa al rischio in-
     sieme alla BEI (o altri partner finanziari) mediante garanzie o debito subordinato
     (fino al 20 per cento del totale della componente di debito).14 Questo strumento
     non è una panacea, ma potrà rappresentare una valida alternativa per quegli
     investitori istituzionali, anche a livello internazionale, che vogliono aumentare
     la loro quota di attivi infrastrutturali. Tra questi, un ruolo importante potrebbe
     essere rivestito dai fondi pensione e dalle assicurazioni sulla vita. Gli attivi in-
     frastrutturali generano, infatti, flussi di cassa stabili e duraturi e garantiscono
     un’equilibrata distribuzione degli impieghi rispetto a un modello di business fon-
     dato principalmente su passività a lungo termine.

          La project bond iniziative è un’iniziativa interessante che crediamo richiederà
     un po’ di tempo. Molto importante è che ci siano i progetti e che i progetti siano
     “buoni”. Per la garanzia degli investitori è necessario che le regole non cambino

     14
        La fase pilota è stata avviata a novembre del 2012. Sarà finanziata da UE con circa 230 mld
     per una decina di progetti. Considerando un moltiplicatore pari a circa il 15-20 potrebbe mobi-
     litare investimenti fino a 4,6 mld. L’obiettivo è quello di creare in 5-7 anni un mercato ampio,
     profondo e liquido di titoli europei di progetto. Si vedano al riguardo, Bassanini F., del Bufalo
     G. e Reviglio E., “Financing Infrastructures in Europe: Project Bonds, Solvency II and the Con-
     necting Europe Facility”, in Astrid Rassegna, n. 16/2011; Bassanini F. e Reviglio E., “Financial
     Stability, Fiscal Consolidation and Long-Term Investments after the Crisis”, in OECD Journal of
     Financial Trends, 1/2011.

20
in corso d’opera. Non è facilissimo e non è uguale in tutti i contesti nazionali: ci
sono paesi che governano l’incertezza meglio di altri e questo rende lo strumen-
to più adatto per i paesi del Nord Europa che per quelli del Sud Europa. Questo
potrebbe richiedere “calibrazioni” diverse del livello di credit enanchment per
essere adattato alle diverse realtà nazionali europee.

                                                                                       21
Commenti: Anna Gervasoni
       Ringrazio di essere stata invitata a contribuire a questo tema. Per me ha rap-
     presentato l’opportunità di riavvicinarmi alla BEI, su cui ho elaborato la mia tesi
     di laurea nel dicembre del 1984. Questa occasione, molti anni dopo, mi ha dato
     modo di riscoprire una BEI, molto cambiata. La cosa mi ha fatto molto piacere
     perché questa istituzione ora è molto attenta al mercato, soprattutto quel pezzo
     di mercato di cui mi occupo di più io, ossia il private equity e venture capital,
     soprattutto attraverso il FEI che, come è stato ben detto, è una costola impor-
     tante del sistema BEI ma che assolutamente non esaurisce il ruolo e le funzioni
     di questa grande Istituzione.

       Il FEI ha un’influenza importantissima sul mercato per i finanziatori delle
     aziende a titolo di capitale di rischio in Europa perché ha investito negli ultimi
     12 anni in 350 fondi; una ventina di questi sono fondi italiani ed il Fei ha avuto
     un’azione di leva nell’attrarre altri capitali.

       Ha dato quindi una forte spinta indiretta al finanziamento delle piccole e me-
     die imprese, soprattutto delle nuove, quelle innovative. Il problema attuale è
     costituito dai gap di mercato sempre più grandi.

       Abbiamo parlato di necessità di finanza, sia a titolo di capitale di debito e - io
     aggiungo a titolo di capitali di rischio - nel sistema delle piccole medie imprese
     e nelle infrastrutture. Come il Prof. Masera, anche io ho seguito molto da vicino
     questi gap di mercato che stanno diventando sempre più delle voragini. Forse
     nel periodo pre 2008 la BEI rappresentava semplicemente una delle opzioni di

22
finanziamento poiché ce ne erano tante altre. Adesso, su tanti temi, la BEI rap-
presenta l’unica soluzione di finanziamento esistente, e per fortuna riesce a
tenersi stretta la tripla A.

  Negli anni ’80 quando cominciai ad occuparmi del tema come studentessa,
la BEI era veramente sconosciuta in Italia. Adesso, forse anche grazie alla sua
abilità come emittente, è conosciuta molto di più e ci si incuriosisce anche nel
vedere cosa fa sul fronte degli investimenti. Dai dati che il Dott. Gilibert ci ha
mostrato è emersa una dimensione molto importante. I fondi sovrani stanno
diventando i protagonisti della finanza e dell’economia reale mondiale: infatti,
hanno raddoppiato, tra il 2007 ed il 2011, il loro asset management. Altra cosa
molto interessante è il cambiamento del loro profilo degli investimenti negli
ultimi due anni.

  Ciò denota la capacità da un lato di crescere, dall’altro di avere un interlocu-
tore, di mercato un pò particolare, molto importante per i mercati finanziari.
BEI sicuramente ha dimostrato una capacità simile a quella di un fondo sovrano
per dimensione di capitali, e fortunatamente sa fare - quella che io continuo a
chiamare in modo positivo - innovazione finanziaria.

  Le piccole medie imprese hanno bisogno di ritornare al mercato anche sotto il
profilo del debito e quindi, secondo me, tutti gli strumenti che riuscite e riuscia-
mo a mettere in piedi per realizzare in modo sano questo riavvicinamento, data
la situazione del sistema del credito, sono estremamente interessanti. Altrettan-
to interessanti gli interventi sul filone delle infrastrutture, che è la vostra grande
area in crescita, perché avete aumentato sia l’area di intervento con strumenti
non banali sia la capacità di focalizzarvi su aree infrastrutturali diverse (i tra-
sporti, l’energia, la tutela dell’ambiente).

  Guardare alle infrastrutture con metodologie uniformi applicate per tutti i
Paesi europei e con criteri trasparenti di selezione, aiuta anche i Paesi europei
e i partner di mercato ad utilizzare delle metodologie di lavoro simili. Questo
io l’ho sperimentato nel private equity: nel momento in cui il FEI è cominciato
ad intervenire come investitore istituzionale su un numero di fondi significativo,
ha dato anche delle guideline di investimento, di lettura, di due diligence agli
altri investitori istituzionali locali italiani contribuendo a fornire metodologia
e trasparenza. Secondo me il ruolo della BEI è anche culturale perché avete

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dimostrato, nonostante il periodo, una capacità di cambiamento molto positiva.

        Credo sia molto importante non pensare all’Europa come alla somma di tanti
     Paesi, che poi sono gli azionisti della BEI; la stessa Europa per poter crescere
     deve guardare, a mio parere, anche all’Africa e non solo. Quindi la mia percezio-
     ne è che la BEI dovrebbe e dovrà – dal momento che negli ultimi anni ha investito
     molto sui progetti fuori dai confini dell’Europa - aiutare ancora una volta anche
     i nostri investitori istituzionali locali nei vari Paesi a guardare con più interesse
     i grandi progetti extraeuropei. Questi costituiscono fondamentali opportunità di
     sviluppo per le nostre imprese, che devono comprendere di non potersi trincera-
     re entro i confini nazionali ed europei ma che devono diventare player con delle
     alleanze, a mio parere, più estese.

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