Pedofilia, Carlo Maria Viganò vs Papa Francesco/ 100 preti sotto accusa in Pennsylvania - Una Chiesa a Più ...

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Pedofilia, Carlo Maria Viganò vs Papa
Francesco/ 100 preti sotto accusa in
Pennsylvania
Papa Francesco, l'attacco di mons. Viganò sul caso McCarrick: "il Pontefice si dimetta, coprì un pedofilo". Il
documento anti-Vaticano dell'ex nunzio e la replica di Bergoglio 27 agosto 2018 - agg. 27 agosto 2018,
22.52 Niccolò Magnani

                                                                                               Papa
Francesco e la curia vaticana (LaPresse)

Il caso McCarrick è attualmente il più in vista tra gli scandali che affliggono la chiesa americana,
ma non l'unico. Recentemente è emerso un rapporto che parla di come sia una piaga endemica la
pedofilia ecclesiastica in Pennsylvania, con mille bambini coinvolti e circa 100 preti accusati in sei
diverse diocesi addirittura in ben 70 anni. Sono state ricostruite diverse testimonianze delle vittime
da parte dal procuratore generale della Pennsylvania, Josh Shapiro, e i preti in qualche modo
coinvolti sarebbero ben 300, tra abusi o mancate denunce di chi sapeva cosa stesse accadendo. Tra
le vittime presenti nel fascicolo c’è anche Mark Rozzi, oggi deputato alla Camera dei rappresentanti
della Pennsylvania. Ora a 46 anni e negli Stati Uniti ha fatto grande scalpore la sua testimonianza
degli abusi che avrebbe subito da un prete all'età di 13 anni. (agg. di Fabio Belli)

"DOSSIER OPPOSIZIONE INTERNA A FRANCESCO"

Con un editoriale in prima pagina, l’Osservatore Romano prende netta posizione in difesa di
Papa Francesco sul caso del dossier di Viganò e - in qualche modo - rappresenta la risposta ufficiale
della Santa Sede nel merito delle accuse ricevute sulla “fronda pro-Lgbt” denunciata
dall’arcivescovo milanese. «Durante la conferenza stampa sul volo di ritorno dall’Irlanda, Papa
Francesco, dopo aver discusso di aspetti diversi degli abusi, di potere, di coscienza e sessuali, da
parte di esponenti della Chiesa’ ha risposto su un nuovo episodio di opposizione interna»: scrive
così Giovanni Maria Vian, direttore del quotidiano ufficiale del Vaticano, prima di precisare «”Io
non dirò una parola su questo» ha detto il Papa, perché “parla da se stesso, e voi avete la capacità
giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni”. Dimostrando così fiducia nella “maturità
professionale” dei giornalisti, secondo una linea avviata nella Chiesa al tempo del concilio e poi
sviluppata nei decenni successivi, sia pure tra ombre e luci, da entrambe le parti», conclude il
quotidiano vaticano, con il titolo “Gli scandali e la guarigione”.
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COSA DICE IL DOSSIER SU PAPA WOJTYLA

Il dossier della “discordia” prende inizio e spunto addirittura durante il Pontificato di Papa Giovanni
Paolo Ii: all’interno del lungo documento riportato dal quotidiano La Verità, Carlo Maria Viganò
ritiene che già i suoi predecessori nel ruolo di nunzio dagli Usa avevano informato per tempo la
Santa Sede dei comportamenti di McCarrick (omosessualità praticata con adulti e seminaristi), «ma
l’ufficio che allora ricoprivo non fu portato a conoscenza di alcun provvedimento contro il vescovo
McCarrick», scrive l’accusatore di Papa Francesco nella prima parte del dossier. La promozione poi
a cardinale da parte di Wojtyla fece però esplodere la polemica in alcune aree del Vaticano, con
Viganò che rilancia: «Fu la nomina a Washington e a cardinale di McCarrick opera di Sodano
(l’allora segretario di Stato, ndr), quando Giovanni Paolo II era già molto malato? Non ci è dato
saperlo», scrive il monsignore che ha chiesto le dimissioni di Bergoglio, spiegando che è «lecito
pensare sia stata colpa di Sodano, ma non credo che sia stato il solo responsabile. McCarrick andava
con molta frequenza a Roma e si era fatto amici dappertutto, a tutti i livelli della Curia». Nel merito
del mancato intervento di Giovanni Paolo II, Viganò “spiega” che «era vicino alla fine dei suoi
giorni», anche se in realtà sarebbe morto ben 5 anni dopo: a quel punto, osserva Tornieli su Vatican
Insider, se si dà ragione a Viganò «bisogna supporre che Sodano nascondesse informazioni decisive
al Pontefice, notizie che arrivavano dal nunzio apostolico a Washington, il quale peraltro poteva
avere accesso diretto al Papa».

“TRA UN PO’ FORSE PARLERÒ..“

C’è un passaggio che riemerge ascoltando l’audio originale della risposta di Papa Francesco sul
tema spinoso del dossier di Carlo Maria Viganò e che rappresenta un messaggio importante che il
Pontefice vuole dare all’intera vicenda: «[…] È un atto di fiducia: quando sarà passato un po’ di
tempo e voi avrete tratto le conclusioni, forse io parlerò. Ma vorrei che la vostra maturità
professionale faccia questo lavoro: vi farà bene, davvero. Va bene così». Da un lato è come se
Francesco dicesse che quelle 11 pagine di attacco contro un Papa da parte di un arcivescovo di
Santa Romana Chiesa è cosa grave e nefasta; dall’altra però, evidentemente, vi sono degli elementi
di cui Papa Bergoglio è a conoscenza sul suo personale rapporto con Viganò che forse quando sarà
passato il “polverone” riterrà opportuno comunicare per fare un po’ di chiarezza. Intanto dal
quotidiano “La Verità” continua l’attacco diretto contro Francesco, con un video del direttore
Belpietro che chiede espressamente al Papa - come del resto fatto anche da Marco Politi sul Fatto
Quotidiano - «anziché non commentare, chiarisca le parole di Monsignor Viganò».

COSA DICE IL DOSSIER SU PAPA RATZINGER

Uno dei “pochi” ad uscire “bene” dal dossier di forti accuse dell’arcivescovo Viganò è certamente
Papa Benedetto XVI: nel documento d 11 pagine pubblicate da “La Verità” l’ex nunzio negli Usa
spiega di aver inoltrato in Vaticano diversi documenti fin dal 2006 contenenti accuse circostanziate
contro McCarrick. L’obiettivo iniziale di quella missiva era il Segretario di Stato Tarcisio Bertone:
dopo tre anni, scrive Viganò, Papa Ratzinger «ha imposto una sorta di clausura a McCarrick». Lo
stesso ex nunzio però spiega come quelle “sanzioni segrete” non furono mai prese in considerazione
dall’arcivescovo americano, tanto che la vita pubblica di McCarrick continuò senza alcuna sosta.
Viganò non spiega però perché vi fu quel ritardo, anzi scrive una fortissima accusa contro lo stesso
Bertone: ecco il passaggio centrale del dossier di Viganò, «non mi è dato sapere chi sia stato
responsabile di questo incredibile ritardo. Non credo certo papa Benedetto, il quale da cardinale
aveva già più volte denunciato la corruzione presente nella Chiesa, e nei primi mesi del suo
pontificato aveva preso ferma posizione contro l' ammissione in seminario di giovani con profonde
tendenze omosessuali. Ritengo che ciò fosse dovuto all' allora primo collaboratore del Papa,
cardinale Tarcisio Bertone, notoriamente favorevole a promuovere omosessuali in posti di
responsabilità, e solito gestire le informazioni che riteneva opportuno far pervenire al Papa».

LA REPLICA DEL PAPA: “NON PARLO, GIUDICATE VOI IL DOSSIER”
Il viaggio di ritorno da Dublino di Papa Francesco ha visto, come sempre, il momento di domande e
risposte in aereo del Pontefice: inutile dire che le questioni primarie e più scottanti erano proprio
quelle legate alla pedofilia e soprattutto al polverone alzato dall'arcivescovo Viganò col suo dossier
sul caso McCarrick. La risposta del Papa è stata secca, di poche parole ed è sembrata - come
comprensibile - a tratti “stizzita”. Ala domanda formulata da un collega vaticanista, «Cosa pensa del
dossier appena pubblicato dall’ex nunzio Viganò? L’ex nunzio sostiene che le parlò esplicitamente
degli abusi commessi dal cardinale McCarrick. È vero?», la immediata replica del Santo Padre ha
visto questo tono, «Ho letto questa mattina quel comunicato di Viganò. E sinceramente devo dirvi
questo: leggete voi attentamente e fatevi un giudizio. Io non dirò una sola parola su questo perché il
comunicato parla da sé e voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni, con
la vostra maturità professionale».

“OMBRE” SU ATTACCO A OROLOGERIA

L'arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico negli Stati Uniti che nel 2011 aveva
“ispirato” il primo Vatileaks con una lettera al Papa, si è ripreso la scena accusando mezza Curia di
aver coperto Theodore McCarrick. E chiede la testa di Bergoglio. La mossa sarebbe tutt'altro che
disinteressata: una sorta di “vendetta” per la cacciata dal Vaticano? Ne parla il vaticanista Fabio
Ragona su Stanze Vaticane per Tgcom24. Dopo il ritorno dagli Stati Uniti nel 2016, l'arcivescovo si
era trasferito a Città del Vaticano nell'appartamento che avrebbe dovuto lasciare ad un altro
inquilino durante il servizio diplomatico all'estero. Qualche mese fa però - scrive il giornalista - ha
ricevuto il foglio di via definitivo. Gli viene trovata una nuova sistemazione a Via delle Erbe, ma il
Papa ritiene che sia meglio un rientro nella diocesi di appartenenza, cioè Varese. «I meglio
informati sanno quanto Viganò ci sia rimasto male, anche perché, già dai tempi del primo Vatileaks,
Carlo Maria sognava, non è un mistero, una carriera in Curia», scrive Ragona, secondo cui Viganò
ambiva al ruolo di Presidente del Governatorato Vaticano con la nomina a cardinale di Santa
Romana Chiesa. Ambizioni rimaste tali. «Anche per queste cose l'arcivescovo nutre ancora, e lo
confermano in tanti (troppi), rancore e risentimento nei confronti di tanti uomini di Curia (che oggi
accusa d'insabbiamento) e del Pontefice stesso, principale artefice della sua “cacciata” dalla Città
del Vaticano», prosegue Ragona su Stanze Vaticane. Del resto Viganò avrebbe potuto protestare
privatamente, chiedere udienze al Papa per discutere del caso McCarrick, invece ha dato tutto alla
stampa per far esplodere una bomba. Ragona rilancia: anche lui ha taciuto sulla vicenda per cinque
anni, aspettando che il caso esplodesse negli Stati Uniti. Da qui la tesi che non sia «una
testimonianza del tutto disinteressata». (agg. di Silvana Palazzo)

IL CASO MCCARRICK E IL ‘DOSSIER’ RATZINGER

Secondo Andrea Tornielli, giornalista di Vatican Insider - nonché giornalista tra i più vicini al Papa
tra i “decani” della stampa italiana - qualcosa non torna nella parte del dossier di Viganò che parla
dell’incontro con Papa Francesco. È opera del Papa argentino «la prima vera e radicale sanzione
contro l’ex arcivescovo Mc Carrick, che non ha precedenti nella storia più recente della Chiesa.
Fino al 2018, cioè fino all'apertura formale dell'inchiesta canonica contro McCarrick, le accuse
riguardavano relazioni omosessuali con persone adulte». Secondo il giornalista italiano non ha, al
momento, spiegazione il fatto che Monsignor Viganò abbia aspettato tutto questo tempo a rendere
note le informazioni a lui in possesso, «se era così convinto che si trattasse di qualcosa di massima
importanza per la Chiesa», si interroga ancora Tornielli che poi affonda con una domanda che
denota la sostanziale distanza tra quanto detto da Viganò e quanto invece affermato dal Papa anche
in merito al suo predecessore Benedetto XVI che pare, secondo l’ex nunzio, consigliò il vescovo
americano a dimettersi e allontanarsi dal ruolo pastorale. «Perché da nunzio apostolico negli Stati
Uniti non le abbia messe per iscritto, invitando il nuovo Papa a prendere provvedimenti contro
McCarrick, per far sì che le sanzioni segrete di Benedetto fossero finalmente applicate, cosa che
evidentemente non era avvenuta prima..».

MONS. VIGANÒ ATTACCA IL PAPA “COPRÌ PEDOFILO, SI DIMETTA”
Con un documento di 11 pagine l’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, Monsignor Carlo Maria
Viganò (riportato oggi sul quotidiano “La Verità”) attacca pesantemente la gerarchia vaticana sul
caso McCarrick - ex arcivescovo di Washington, riconosciuto di abusi sui seminaristi, a cui il
Pontefice ha tolto il cardinalato - accusando infine Papa Francesco di aver coperto i crimini di
quest’ultimo per diverso tempo. Il caso spacca l’opinione pubblica in un momento in cui lo stesso
Papa Bergoglio è in Irlanda e ha duramente parlato del caso pedofilia, attaccando «la Chiesa ha
fallito. Dobbiamo ripartire da questa ferita ancora aperta in tante vittime degli abusi nella Chiesa
irlandese»: le accuse dell’ex nunzio sono gravissime, visto che secondo lui è da tempo che il
Pontefice conosceva lo stato di cose sull’ex arcivescovo americano. «Santo Padre, non so se lei
conosce il card. McCarrick, ma se chiede alla Congregazione per i Vescovi c'è un dossier grande
così su di lui. Ha corrotto generazioni di seminaristi e di sacerdoti e papa Benedetto gli ha imposto
di ritirarsi ad una vita di preghiera e di penitenza», racconta Viganò di un incontro con Bergoglio
del 23 giugno 2013, precisando poi «Il Papa non fece il minimo commento a quelle mie parole tanto
gravi e non mostrò sul suo volto alcuna espressione di sorpresa, come se la cosa gli fosse già nota
da tempo, e cambiò subito di argomento». Da questo comportamento del Papa, Viganò ritiene che
sia stato il segnale di come fin lì aveva tentato di “nascondere” lo scandalo, salvo poi ricredersi e
cacciare il porporato tempo dopo, il 27 luglio 2018.

I DUBBI SUL CASO MCCARRICK

Secondo Viganò in Vaticano è attiva e vivissima la “lobby gay” che condiziona e non poco la vita
della Chiesa da diversi decenni: nel lungo documento il monsignore fa diversi nomi, riportando
elementi e prove (anche se non sempre “schiaccianti” bensì spesso indicazioni, impressioni e ipotesi
personali). In particolare gi ex segretari di Stato Angelo Sodano e Tarcisio Bertone, e gli ex sostituti
Leonardo Sandri e Fernando Filoni, che a dire di Viganò non hanno preso gli opportuni
provvedimenti a carico di McCarrick e avrebbero consigliato male Papa Francesco. Già in passato
Viganò denunciò a Papa Benedetto XVI la presenza di malcostume nella Curia Romana, e si
sospettò poi che potesse esserci lui dietro alla “fuga di notizie” che portò fino al ben noto scandalo
Vatileaks: in questo caso però gli attacchi sono fortissimi, anche se nei riguardi del Papa argentino
non vi sarebbero elementi “indiscutibili” bensì diverse prese di posizione di un monsignore che da
tempo non nasconde la sua disapprovazione per il modo di condurre il Magistero in diversi temi per
Papa Francesco. L’attacco finale nel documento è durissimo e farà certamente discutere nei
prossimi mesi: «Francesco sta abdicando al mandato che Cristo diede a Pietro di confermare i
fratelli. Anzi con la sua azione li ha divisi, li induce in errore, incoraggia i lupi nel continuare a
dilaniare le pecore del gregge di Cristo. In questo momento estremamente drammatico per la Chiesa
universale riconosca i suoi errori e in coerenza con il conclamato principio di tolleranza zero, papa
Francesco sia il primo a dare il buon esempio a cardinali e vescovi che hanno coperto gli abusi di
McCarrick e si dimetta insieme a tutti loro». Alcune fonti vaticane riportano che Viganò ambisse a
ruoli di rilievo nello Stato Vaticano ma che davanti all'ennesimo diniego abbia intrapreso una
personale "battaglia" sul fronte pedofilia: se queste presunte "incoerenze" saranno verificate o
meno, al momento, non elimina il caso e lo scandalo provocato dalle sue accuse nel documento
"extralarge".

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Viganò screditato? Ecco come lui stesso risponde – di Aldo Maria Valli

28 agosto 2018

L’arcivescovo Carlo Maria Viganò, l’ex nunzio negli Stati Uniti che ha rivelato di aver informato
papa Francesco del caso McCarrick fin dal marzo 2013, ha rilasciato una nuova dichiarazione
scritta, che respinge come false alcune ricostruzioni che ora circolano con l’obiettivo di screditarlo.

La vicenda riguarda un articolo del New York Times del 2016, nel quale si sosteneva che l’allora
nunzio negli Usa annullò un’indagine sui comportamenti sessuali dell’arcivescovo John Nienstedt,
poi giudicato innocente dalle autorità civili.
Il NYT sostenne che nell’aprile 2014 Viganò ordinò a due vescovi ausiliari dell’arcidiocesi di St.
Paul e Minneapolis di bloccare l’inchiesta su Nienstedt e di distruggere una lettera che gli avevano
scritto per protestare contro la sua decisione.
Il NYT fondò la sua ricostruzione dei fatti su un memoriale di padre Dan Griffith, delegato per la
protezione dei minori nell’arcidiocesi di St. Paul e Minneapolis, secondo il quale l’ordine di Viganò
fu motivato dalla decisione di coprire tutto ed evitare scandali.
Riemersa ora allo scopo di screditare l’ex nunzio e minare la sua credibilità, l’accusa ha spinto
Viganò a intervenire con una dichiarazione scritta, datata 26 agosto 2018, nella quale parla di falsità
contro di lui.
Nella sua dichiarazione Viganò racconta di aver incontrato Neinstedt e due vescovi ausiliari – Lee
A. Piché e Andrew Cozzens – il 12 aprile 2014, nella nunziatura apostolica a Washington, per
discutere delle indagini in corso sull’arcivescovo, ma padre Griffith non era presente.

Durante l’incontro gli furono sottoposte alcune dichiarazioni giurate, fra le quali una che sosteneva
che Nienstedt “aveva avuto una relazione con una guardia svizzera durante il suo servizio in
Vaticano, circa vent’anni prima”.
Viganò spiega che “questi affidavit furono raccolti dallo studio legale Greene Espel, scelto da padre
Griffith a nome dell’arcidiocesi per indagare sull’arcivescovo Nienstedt”. Aggiunge che lo studio
appartiene al gruppo Lawyers for All Families, “schierato contro l’arcivescovo Nienstedt e a favore
dell’approvazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso nello Stato del Minnesota”.
“Investigatori privati del Greene Espel – spiega Viganò – avevano condotto un’inchiesta in modo
squilibrato e accusatorio, e ora volevano immediatamente estendere le indagini alla Guardia
Svizzera Pontificia, senza aver prima ascoltato l’arcivescovo Nienstedt”. Per questo motivo il
nunzio disse che gli sembrava giusto ascoltare prima Nienstedt, secondo il principio audiatur et
altera pars, e i vescovi furono d’accordo.
Il vescovo Piché telefonò subito a padre Griffith, informandolo del buon esito dell’incontro e
dicendo che una soluzione del caso era prossima. Ma il mattino seguente a Viganò arrivò una lettera
dei due vescovi ausiliari, nella quale si diceva che il nunzio aveva suggerito di fermare l’indagine.
Sorpreso, Viganò chiamò il vescovo Pichè per chiedergli spiegazioni e gli ordinò di rimuovere la
lettera dai computer e dagli archivi della diocesi. Non voleva passare come un insabbiatore. Aveva
solo chiesto di ascoltare la versione di Nienstedt prima di procedere con altri provvedimenti.
Scrive infatti Viganò: “Non ho mai detto a nessuno che Greene Espel avrebbe dovuto interrompere
l’inchiesta, e non ho mai ordinato di distruggere alcun documento. Ogni affermazione contraria è
falsa. Tuttavia incaricai uno dei vescovi ausiliari, Lee A. Piché, di rimuovere dal computer e dagli
archivi dell’arcidiocesi la lettera che asseriva falsamente che avevo suggerito che l’indagine fosse
fermata. Ho insistito su questo per proteggere non solo il mio nome, ma anche quello della
Nunziatura e del Santo Padre che sarebbero stati danneggiati”.
Viganò riferisce di non aver più saputo nulla fino al novembre successivo, quando, all’annuale
assemblea della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, a Baltimora, incontrò nuovamente i due
vescovi ausiliari, Pichè e Cozzens, i quali gli presentarono un rapporto e gli riferirono di averlo
consegnato anche al cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi, durante
una visita a Roma.

Davanti ai due ausiliari Viganò esaminò il documento e vide che “conteneva ancora la falsa
dichiarazione”. Quindi incaricò Piché e Cozzens di scrivere al cardinale Ouellet, presso la
congregazione a Roma, per correggere la dichiarazione.
Viganò è in possesso sia della lettera inviata dai due vescovi ausiliari al cardinale Ouellet sia di una
sua lettera a Ouellet.
Poi Viganò ricorda: “Proprio il giorno in cui la notizia apparve sul New York Times , il 21 luglio
2016, il Santo Padre chiese al Cardinale Parolin di telefonare al Nunzio a Washington (Christophe
Pierre), ordinandogli di aprire immediatamente un’indagine sulla mia condotta, così che io potessi
essere denunciato al tribunale incaricato di giudicare l’insabbiamento”.
Lo stesso giorno, ricorda Viganò, “informai la sala stampa della Santa Sede, nelle persone di padre
Lombardi e Greg Burke”. Inoltre, “con l’autorizzazione del sostituto della Segreteria di Stato,
l’allora arcivescovo Becciu, l’avvocato americano Jeffrey Lena, che lavorava per la Santa Sede, si
recò alla Congregazione per i vescovi, dove trovò documenti che dimostrano che la mia condotta
era stata assolutamente corretta”.
Lena consegnò a Viganò un rapporto scritto che lo scagionava, eppure la sala stampa vaticana non
ritenne necessario rilasciare una dichiarazione a difesa del nunzio per confutare il New York Times.
In ogni caso, quando l’inchiesta ordinata da papa Francesco fu completata, “la Nunziatura rispose
anche al Cardinale Parolin con un rapporto dettagliato, che ristabilì la verità e dimostrò che la mia
condotta [di Viganò, ndr] era stata assolutamente corretta. Questo rapporto si trova nella Segreteria
di Stato del Vaticano e nella Nunziatura di Washington”.

Conclude Viganò: “Il 28 gennaio 2017 scrissi sia all’arcivescovo Pierre sia all’arcivescovo Hebda
(il successore di Nienstedt), chiedendo loro di correggere pubblicamente il memorandum Griffith.
Nonostante le e-mail e le telefonate ripetute, non ho mai ricevuto risposta”.

Il caso. Dossier avvelenato contro il Papa. Francesco:
«Giudicate voi»

Francesco Ognibene lunedì 27 agosto 2018
L'ex nunzio negli Stati Uniti monsignor Carlo Maria Viganò diffonde un testo sulla vicenda del
cardinal McCarrick. Molti i dubbi e le incongruenze.

Il Papa chiede le dimissioni di vescovi che pur essendo a conoscenza di abusi e comportamenti
inappropriati del clero non fanno ciò che è in loro potere per fermarli; il Papa sapeva da tempo delle
malefatte del cardinale McCarrick ma ha ignorato le accuse agendo solo tardivamente; il Papa si
dimetta. È il vertiginoso sillogismo che sintetizza il lungo e puntiglioso dossier diffuso domenica a
mezzo stampa (in Italia dal quotidiano «La Verità») dall’ex nunzio negli Stati Uniti monsignor
Carlo Maria Viganò, con l’incredibile richiesta finale sul conto del Papa (per il quale peraltro poco
dopo chiede di pregare): «In questo momento estremamente drammatico per la Chiesa universale
riconosca i suoi errori e in coerenza con il conclamato principio di tolleranza zero, papa Francesco
sia il primo a dare il buon esempio a Cardinali e Vescovi che hanno coperto gli abusi di McCarrick
e si dimetta insieme a tutti loro».

Una petizione pubblica cui si stenta a credere, e alla quale il Papa domenica sera a domanda
diretta da parte di una giornalista americana nella conferenza stampa sul volo di ritorno da Dublino
ha risposto in modo eloquente: «Ho letto, questa mattina, quel comunicato. L’ho letto e
sinceramente devo dirvi questo, a lei e a tutti coloro tra voi che sono interessati: leggete voi,
attentamente, il comunicato e fate voi il vostro giudizio. Io non dirò una parola su questo. Credo che
il comunicato parla da sé stesso, e voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le
conclusioni. È un atto di fiducia: quando sarà passato un po’ di tempo e voi avrete tratto le
conclusioni, forse io parlerò. Ma vorrei che la vostra maturità professionale faccia questo lavoro: vi
farà bene, davvero. Va bene così».

E in effetti le 11 cartelle della «Testimonianza» diffusa tramite i media dallo stesso monsignor
Viganò si commentano da sole anzitutto per la durezza con la quale un prelato con lunga esperienza
di servizio alla Santa Sede tratta un Papa come Francesco che si spende con eccezionale rigore e
chiarezza sulla piaga degli abusi e dei comportamenti inconciliabili con il ministero sacerdotale, in
piena continuità con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, accusandolo apertamente di aver
sottovalutato se non coperto gli atti dell’arcivescovo emerito di Washington Theodore
McCarrick, lo stesso – va ricordato – del quale ha accettato il 28 luglio «la rinuncia da membro del
Collegio cardinalizio» disponendone anche la «sospensione dall’esercizio di qualsiasi ministero
pubblico, insieme all’obbligo di rimanere in una casa che gli verrà indicata, per una vita di
preghiera e di penitenza, fino a quando le accuse che gli vengono rivolte siano chiarite dal regolare
processo canonico».

Un atto pubblico, concreto ed efficace che come un gran numero di altri gesti, documenti e discorsi
– dall'istituzione della Pontificia Commissione per la tutela dei minori alla recentissima «Lettera
al popolo di Dio» in tema di abusi – documentano in modo incontrovertibile la risolutezza con la
quale il Papa sta agendo su un tema del quale ha parlato senza mezzi termini anche nella due giorni
irlandese. C’è dunque da chiedersi come possa davvero sfidare questa mole di iniziative verificabili,
che stanno realmente plasmando l’azione e il volto della Chiesa, una «Testimonianza» basata su
ricordi personali e interpretazioni di circostanze e fatti sui quali possono esistere versioni differenti,
e come su questa struttura si faccia poggiare addirittura la richiesta di dimissioni rivolta da un
vescovo a un Papa.

A Viganò tuttavia non sembra bastare neppure che Francesco abbia ottenuto l'uscita di un cardinale
dal Sacro Collegio, un fatto senza precedenti nella storia della Chiesa. L’ex nunzio ora a riposo,
nato a Varese nel 1941, oltre al Papa chiama infatti in causa come corresponsabili del mancato
intervento per fermare il porporato americano tre segretari di Stato (Sodano, Bertone e Parolin) e
uno stuolo di cardinali e vescovi protagonisti della Curia romana negli ultimi anni (Levada, Ouellet,
Baldisseri, Filoni, Becciu, Lajolo, Mamberti, Coccopalmerio, O’Brien, Martino, Farrell, O’Malley,
Maradiaga, Paglia, Ilson de Jesus Montanari...), tutti a diverso titolo collaboratori di Francesco. Un
atto d’accusa che punta evidentemente a compromettere la credibilità degli uomini che il Papa si è
scelto per affiancarlo nel governo della Chiesa.

Tanto che tra i motivi che avrebbero spinto monsignor Viganò – nunzio a Washington dal 2011
fino all’aprile 2016, tre mesi dopo il compimento dei 75 anni, età canonica della pensione – alla
scelta dirompente di scrivere e dare diffusione sui media al suo memoriale potrebbero esserci attese
frustrate per un incarico non ottenuto. Un’ipotesi avvalorata da un precedente altrettanto clamoroso:
l’aspra lettera scritta dallo stesso Viganò all’allora segretario di Stato cardinale Bertone pochi
mesi dopo l’invio come responsabile della Nunziatura negli Usa (riservata ma poi apparsa sulla
stampa italiana nel gennaio 2012) con l’accusa di averlo di fatto allontanato dalla Curia romana,
dov’era segretario del Governatorato, ritenendo a suo dire ingombrante la presenza a Roma di chi
sarebbe stato a conoscenza di comportamenti più che censurabili da parte di alcuni prelati in
posizioni di responsabilità.

Quali che siano l’origine e l’obiettivo del lungo e apparentemente circostanziato dossier, il Papa
domenica ha ritenuto sufficiente ciò che si sa per formulare un giudizio sulla credibilità della
denuncia e della conseguente, inaudita richiesta di lasciare il timone della Chiesa. Due, in
particolare, i passaggi del dossier nei quali Viganò delegittima il Papa: le «sanzioni» che «nel 2009
o nel 2010», e comunque con «incredibile ritardo», Benedetto XVI una volta informato delle
accuse sul conto dell’arcivescovo americano gli avrebbe inflitto riservatamente («lasciare il
seminario in cui abitava», il divieto di «celebrare in pubblico, di partecipare a pubbliche riunioni, di
dare conferenze, di viaggiare», «con obbligo di dedicarsi a una vita di preghiera e di penitenza»),
provvedimenti che tuttavia McCarrick avrebbe ignorato; e la ricostruzione di un colloquio privato
con Francesco che l’ex nunzio colloca il 23 giugno 2013, con la sua denuncia dei misfatti di
McCarrick («Se chiede alla Congregazione per i vescovi c’è un dossier grande così su di lui»)
davanti alla quale il Papa non avrebbe fatto «il minimo commento».

E se risulta comunque poco credibile che Benedetto abbia accettato di essere disobbedito su
disposizioni tanto stringenti, appare evidente il tentativo di opporre un Papa all’altro, secondo uno
stile – se non un intento – divisivo che percorre tutto l’articolato e livoroso documento e caratterizza
l’aggressiva retorica di una certa pubblicistica sempre più apertamente ostile al Pontefice. Una
nuova, rumorosa tappa della strategia che sembra voler creare disorientamento e contrapposizione
nella Chiesa pur con l’asserita intenzione di agire per il suo bene. Un comportamento che, per citare
il Santo Padre, «parla da sé stesso».

La farsa e la fiducia. Ciò che resta dell’attacco al Papa

Stefania Falasca AVVENIRE : giovedì 30 agosto 2018

Ècurioso ma assai significativo che papa Francesco sia stato l’unico a non qualificare come
"dossier" il j’accuse di undici pagine dell’ex nunzio Carlo Maria Viganò fatto detonare, come è
noto, sotto i cieli d’Irlanda in piena Festa mondiale delle famiglie. Rispondendo sul volo di ritorno
da Dublino alla domanda sulla veridicità di quelle accuse, il Papa lo ha infatti definito
semplicemente «comunicato». Per due volte: «Ho letto il comunicato» e «credo che il comunicato
parli da se stesso».

E poi la sorprendente, espressa volontà, rilanciata dai media di tutto il mondo, di lasciare a noi
cronisti il «giudizio», in un «atto di fiducia», contando sulla «maturità professionale di ciascuno»,
perché «voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni».

Sembra invece sfuggita ai più come questa sequenza di termini fosse in relazione anche con quanto
detto a conclusione della conferenza stampa ad alta quota, quando parlando della fede degli
irlandesi il Papa ha affermato che questi «sanno ben distinguere le verità dalle mezze verità».
Quella che dunque al momento era parsa una non-risposta si è rivelata traccia di una pertinente,
lucida indicazione, anche pedagogica, stando proprio a quanto è emerso sul cartiglio Viganò a
distanza di pochi giorni. Per le verità, infatti, sono bastate poche ore e non c’è stato neppure bisogno
di indagini approfondite. Ma cominciamo dalle «mezze verità».

Del cartiglio sono state già ampiamente messe in luce le frequenti contraddizioni e i ripetuti omissis
della narrazione. A un’attenta lettura il cartiglio-comunicato appare chiaramente un miscuglio di
mezze verità. Si tratta di una viziata tecnica nota nella comunicazione, si chiama disinformazione,
che è più grave rispetto anche alla calunnia e alla diffamazione, come ha ricordato più volte lo
stesso Francesco, perché propone soltanto una parte della verità per perseguire un fine.

La disinformazione si costruisce, appunto, sulle mezze verità. Un classico meccanismo che punta a
impedire la risposta. In una simile costruzione a spirale non c’era dunque soltanto da chiedersi se
ciò che racconta Viganò sia vero (come ripetono a mo’ di mantra personaggi e media che chiedono
le «dimissioni» di Francesco).
C’era da chiedersi, e anche questo è stato già ampiamente rilevato, se la sequenza descritta da
Viganò, le sue considerazioni, le sue omissioni, le sue interpretazioni portano davvero ad attribuire
una qualche responsabilità al Pontefice oggi regnante. A questo si aggiunge la non attendibilità del
testimone, anche questa ampiamente rilevata, per avere un quadro preciso del j’accuse. E
probabilmente per renderci immuni da veleni che hanno la presunzione di far tremare la terra sotto i
piedi del Successore di Pietro e di indurre in soggezione e sgretolare il sensus fidei del popolo di
Dio.

In questi giorni sono poi emersi dettagli che dimostrano come si è trattato di una operazione pensata
e organizzata a tavolino da diversi soggetti, italiani e statunitensi, inserita in un piano preciso, tanto
che la sua preparazione includeva anche l’assistenza giuridica di un avvocato, consultato
preventivamente da Carlo Maria Viganò due settimane fa, legato all’agenzia statunitense Ewtn-
Catholic National Register.

E alla fine è arrivata anche la ciliegina sulla torta di tutto l’affaire. In una lunga conversazione con
l’agenzia Ap, un giornalista di un blog notoriamente anti-Bergoglio, preso da un’irrefrenabile
euforia di protagonismo narcisistico, in pochi minuti ha offerto su un piatto d’argento i piedi
d’argilla della maldestra operazione: ha confessato pubblicamente che è stato lui a scrivere il
cartiglio della cosiddetta testimonianza-denuncia. Queste le testuali parole: «Ho fatto l’editing
professionale; cioè abbiamo lavorato sulla bozza, il cui materiale era integralmente del nunzio, per
verificare che fosse scorrevole e giornalisticamente utilizzabile». Insomma, un lavoro creativo per
un programma «giornalisticamente utilizzabile» e che di veramente preciso ha avuto solo il
meccanismo a orologeria.

Eccoci così al succo del marchingegno Viganò, e si capisce perché il Papa l’abbia definito
«comunicato». A questo punto, scoperchiati gli altarini, scolato il brodo, di fronte a 'cotanto senno',
l’unica cosa che stringendo viene da chiedersi è quella che con rara efficacia si è chiesto un
osservatore molto attento: «E papa Francesco dovrebbe rispondere a questo giornalista? Il grande
Totò direbbe: 'Ma mi faccia il piacere!' ».

Viene da aggiungere: ma si può davvero pensare di mettere alle strette un pontificato con simili
sgangherate confezioni giornalistiche che sono un insulto all’intelligenza? E anche qui la risposta è
certamente da lasciare al grande Totò. Alla fine di questa grottesca farsa la conclusione potrebbe,
dunque, essere quella del drammaturgo Bernard Show: «Come è comica la verità!». Grazie Santo
Padre per l’«atto di fiducia»' che ha concesso a chi fa questo nostro mestiere (e non altro).

“Ecco perché crediamo a Viganò” 30 agosto 2018
di Aldo Maria Valli

L’arcivescovo Carlo Maria Viganò è un uomo integro che nutre un «sincero amore per la Chiesa»,
da lui servita con «dedizione disinteressata». Parola dell’arcivescovo di San Francisco, Salvatore
Cordileone, che così scrive in una lettera ai fedeli della sua diocesi dopo la pubblicazione del
memoriale di monsignor Viganò.
«Ho conosciuto bene l’arcivescovo Viganò durante gli anni in cui ha prestato servizio come nunzio
apostolico qui negli Stati Uniti», scrive Cordileone. «Posso attestare che ha svolto la sua missione
con dedizione altruistica, che ha realizzato bene il mandato petrino affidatogli dal Santo Padre per
confermare i fratelli nella fede e che lo ha fatto con grande sacrificio personale, senza alcuna
considerazione motivata dal promuovere la sua carriera. Tutto ciò parla della sua integrità e dl suo
sincero amore per la Chiesa».
«Inoltre – continua Cordileone –, pur non avendo informazioni privilegiate sulla situazione
dell’arcivescovo McCarrick, dalle informazioni che ho in merito a pochissime altre dichiarazioni
rilasciate dall’arcivescovo Viganò posso confermare che sono vere. Le sue dichiarazioni, quindi,
devono essere prese sul serio. Lasciarle perdere con leggerezza darebbe continuità a una cultura di
negazione e offuscamento. Ovviamente, per convalidare le sue dichiarazioni nel dettaglio dovrà
essere condotta un’indagine formale, completa e obiettiva».
Ma Cordileone non è l’unico vescovo statunitense a prendere posizione a favore di Viganò e del suo
memoriale. C’è infatti da registrare anche una dichiarazione del vescovo di Phoenix, in Arizona,
Thomas J. Olmsted che definisce Viganò «un uomo sincero».
«Sebbene non abbia conoscenza delle informazioni che rivela nella sua testimonianza scritta del 22
agosto 2018, e quindi non mi sia possibile verificarne personalmente la veridicità, l’ho sempre
conosciuto e rispettato come un uomo di verità, fede e integrità», scrive il vescovo. Questo il
motivo per cui Olmsted ritiene che la recente testimonianza di Viganò debba essere presa sul serio.
«Molte persone innocenti sono state seriamente danneggiate da religiosi come l’arcivescovo
McCarrick», conclude Olmsted. «Chiunque abbia nascosto questi atti vergognosi deve essere
portato alla luce del giorno».
La dichiarazione di Olmsted è significativa anche perché l’attuale vescovo di Phoenix conosce
Viganò da molti anni, fin dal 1979, ai tempi in cui Olmsted entrò al servizio della Segreteria di
Stato della Santa Sede.
Di accuse «credibili» contenute nel memoriale di Viganò parla anche il vescovo Joseph Edward
Strickland, vescovo di Tyler nel Texas, mentre il vescovo di Tusla, David Austin Konderla, in un
tweet dice: «Le accuse da lui [Viganò, ndr] dettagliate costituiscono un buon punto di partenza per
le indagini, che devono svolgersi in modo da poter ripristinare la santità e la responsabilità nella
gerarchia della Chiesa».
Importante poi il sostegno espresso a monsignor Viganò dall’ex primo consigliere della nunziatura
apostolica a Washington, Jean-François Lantheaume, secondo il quale «Viganò ha detto la verità.
Questo è tutto».
Anche l’arcivescovo di Filadelfia, Charles J. Chaput, pur dichiarando di «non essere a conoscenza»
di elementi che gli permettano di giudicare il grado di veridicità delle dichiarazioni di Viganò, ha
tenuto a far conoscere il suo giudizio positivo sul lavoro dell’ex nunzio, «caratterizzato da integrità
nei confronti della Chiesa».
Come abbiamo già riferito, stima per Viganò è stata espressa senza mezzi termini dal vescovo di
Madison, Robert Morlino, che ha definito «reali e concrete» le affermazioni dell’arcivescovo
italiano.
Da non dimenticare poi il sostegno subito espresso a Viganò dal cardinale Raymond Burke e dal
vescovo Athanasius Schneider di Astana.
Ed ora il giudizio di George Weigel, docente all’Ethics and Public Policy Center di Washington,
nonché celebre biografo di san Giovanni Paolo II (suo è il best seller mondiale Testimone della
speranza), secondo il quale Viganò ha dimostrato coraggio, onestà e lealtà verso la Chiesa e il
papato.
Scrive Weigel su First Things (https://www.firstthings.com/web-exclusives/2018/08/why-we-stay-
and-the-vigan-testimony): «Subito dopo la pubblicazione del memoriale, le polemiche all’interno
della Chiesa si sono immediatamente intensificate, rimbalzando attraverso i media. In questa
atmosfera febbrile è praticamente impossibile per chiunque dire qualcosa senza destare sospetti e
accuse. Ma poiché ho conosciuto bene l’arcivescovo Viganò durante il suo servizio come
rappresentante diplomatico pontificio a Washington, mi sento obbligato a parlare di lui, in modo
tale, spero, da poter aiutare gli altri a riflettere attentamente sulle sue affermazioni molto, molto
serie».
«In primo luogo, l’arcivescovo Viganò è un coraggioso riformatore, che fu allontanato dal Vaticano
dai suoi diretti superiori perché si dimostrò deciso a fronteggiare la corruzione finanziaria nel
Governatorato, l’amministrazione dello Stato della Città del Vaticano».
In secondo luogo, continua Weigel, «l’arcivescovo Viganò è, in base alla mia esperienza, un uomo
onesto». Infatti «abbiamo parlato spesso di molte cose, grandi e piccole, e non ho mai avuto
l’impressione che mi dicesse qualcosa di diverso da quello che in coscienza riteneva essere la
verità».
«Ciò non significa – continua il professor Weigel – che egli abbia fatto tutto bene; uomo di umiltà e
di preghiera, sarebbe il primo ad ammetterlo. Ma lascia pensare che i tentativi di ritrarlo come
qualcuno che fa deliberatamente false accuse, qualcuno che non è onesto testimone di ciò che egli
crede essere la verità, non sono convincenti. Quando nella sua testimonianza dice che è “pronto a
sostenere [queste accuse] sotto giuramento chiamando Dio come testimone”, parla sul serio.
L’arcivescovo Viganò sa che, prestando un tale giuramento, se dicesse il falso perderebbe la sua
anima».
Non bisogna infine dimenticare, scrive Weigel, che l’arcivescovo Viganò è un leale ecclesiastico
che appartiene a una generazione cresciuta per mettersi al servizio del papa. «La sua formazione nel
servizio diplomatico pontificio lo porta istintivamente a fare della difesa del papa la sua prima,
seconda, terza e centesima priorità». Dunque se egli adesso crede che dare questa testimonianza sia
il modo migliore di difendere la Chiesa e il papa, significa che ha motivi davvero molto seri per
comportarsi così.
«Ciò che l’arcivescovo Viganò testimonia di conoscere sulla base di esperienze dirette, personali e
in molti casi documentabili, a Roma e Washington, merita di essere preso sul serio, non
perentoriamente respinto o ignorato. Evidentemente il cardinale Daniel DiNardo, presidente della
Conferenza episcopale degli Stati Uniti, è d’accordo, come chiarisce la sua dichiarazione del 27
agosto. Questo è un altro passo verso la purificazione e la riforma di cui abbiamo bisogno».
Da George Weigel, in un articolo per il Wall Street Journal (A Crisis, but not of Faith, Una crisi,
ma non di fede) arriva anche un’analisi a più vasto raggio sul momento attraversato dalla Chiesa
cattolica.
Durante la messa, dice Weigel, i cattolici affermano di credere alla Chiesa «una, santa, cattolica e
apostolica», ma certamente da alcuni mesi un bel po’ di fedeli, specie negli Stati Uniti, si
interrogano su quell’aggettivo «santa». Ciò che abbiamo visto in Cile, Honduras, Irlanda, Gran
Bretagna, Australia e Usa, senza contare le polemiche a Roma, ci fa porre una domanda: dov’è la
santità in tutto questo?
Non c’è da stupirsi, dunque, se in qualcuno c’è una crisi di rigetto. Tuttavia, annota Weigel,
sbaglieremmo se parlassimo di crisi di fede. «La Chiesa cattolica è un’istituzione così grande,
affascinante, complessa e leggendaria, e la vita cattolica è così focalizzata su istituzioni come
parrocchie, scuole e ospedali, che è facile per i cattolici seri perdere di vista qualcosa di piuttosto
semplice: i cattolici non vanno, e non dovrebbero andare, alla messa domenicale perché ammirano
il papa del momento, o il loro vescovo locale, o il loro pastore. I cattolici vanno a messa la
domenica per ascoltare ciò che crediamo essere la Parola di Dio nella Scrittura e per entrare in ciò
che crediamo essere la comunione con Dio mediante Gesù Cristo».
Insomma, per quanto si possano condividere «rabbia e disgusto per ciò che è emerso in questi ultimi
mesi», Weigel suggerisce a coloro che presuppongono una crisi di fede di pensare che siamo di
fronte a qualcosa di diverso: «Una sfida per capire che cosa è davvero la Chiesa».
La Chiesa è fondata su Gesù Cristo, e da questo fondamento deriva la fiducia nei suoi confronti e
nelle sue istituzioni. Quando questa fiducia si spezza, come è avvenuto tante volte nel corso di due
millenni, «è importante rifocalizzarsi su quella che è la base della fede cattolica, la fede in Gesù
Cristo».
Ecco il motivo, scrive Weigel, che sta alla radice dell’essere cattolici nella Chiesa. Il motivo che
porta «a fare ogni sforzo perché la Chiesa possa essere una testimonianza credibile del Signore che
offre la comunione con Dio e le parole di vita eterna».
Weigel ricorda che quindici anni fu molto colpito da una coppia di giovani contadini che, mentre lui
firmava copie del suo libro, gli dissero che la lettura della sua descrizione della corruzione
ecclesiastica, anche allora era al centro dell’attenzione, li aveva spinti a entrare, dopo due anni di
indecisione, nella Chiesa cattolica. Ma come, replicò lo scrittore, proprio ora? E quelli risposero:
una Chiesa che riesce a essere onesta, ammettendo ciò che è sbagliato al suo interno, dev’essere
certamente fondata sulla verità e su Gesù Cristo.
Dunque, non crisi di fede, ma occasione per riflettere su che cosa è veramente la Chiesa. Ed ecco
perché chi crede nella guida provvidenziale di Dio deve chiedersi seriamente: perché avvengono
queste cose orribili e che cosa dovremmo fare al riguardo?
«La mia risposta, ispirata in parte da quegli agricoltori dell’Indiana nel 2003, è che la Chiesa è
chiamata a una grande purificazione attraverso una fedeltà molto più radicale a Cristo,
all’insegnamento cattolico e alla missione cattolica. I vescovi che hanno fallito nelle loro
responsabilità di insegnanti, pastori e amministratori in genere lo hanno fatto perché hanno messo il
mantenimento istituzionale davanti alla missione evangelica. Lasciare che il meccanismo
istituzionale cattolico filasse nel modo più liscio possibile, se necessario giungendo a compromessi
con la verità e la disciplina, è stato ritenuto più importante dell’offrire agli altri il dono ricevuto:
l’amicizia con Gesù Cristo».
Tutto questo cattolicesimo che vive all’insegna del «mantenimento istituzionale», sostiene Weigel,
«ora deve finire». Perché «lì c’è poca santità».
La riforma di cui la Chiesa ha bisogno sarà dunque attuata dai veri fedeli, da coloro che, pur
stimolati a protestare per la situazione della Chiesa, «non sono stati scossi nella loro fede». Di
questa schiera fanno parte vescovi, sacerdoti, laici, uomini, donne, tutti accomunati dal fatto che
non si accontentano di quella forma di manutenzione istituzionale chiamata stonewalling
[ostruzionismo, tergiversare], sia che provenga dal loro vescovo locale negli Stati Uniti o da
Roma».
«Fortunatamente – conclude Weigel – questi cattolici esistono e sono tanti. E questo è il loro
momento».
                                                               Aldo Maria Valli

Quelle “prove” contro Viganò che non provano nulla
Aldo Maria Valli 30 agosto 2018

Recenti commenti giornalistici sulla vicenda dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò tendono a
screditare l’ex nunzio negli Stati Uniti dopo la pubblicazione del suo memoriale. In particolare si
osserva che in una cerimonia di gala negli Usa, del maggio 2012, Viganò ebbe parole di simpatia e
di stima per il cardinale McCarrick, sebbene sapesse che il porporato era stato già sanzionato da
Benedetto XVI, che gli aveva chiesto di non presenziare a cerimonie pubbliche e non viaggiare.
Un video mostra che il nunzio Viganò, nell’aprire il suo discorso alla World Mission Dinner delle
Pontifical Mission Societies, in un hotel di Manhattan, saluta prima di tutti proprio il cardinale
McCarrick dicendo: «Distinti ospiti, vescovi qui presenti, e ospiti onorati questa sera come
“Ambasciatori Pontifici delle Missioniˮ, che è un bel titolo. Prima di tutti, sua eminenza il cardinale
McCarrick, ambasciatore già da diverso tempo, come prete, vescovo, arcivescovo, cardinale e a cui
tutti noi vogliamo molto bene…».
Secondo alcuni, questa sarebbe la prova che Viganò mente. Nel memoriale accusa McCarrick di
non aver rispettato gli ordini imposti da Benedetto XVI, ma all’epoca lo elogiava.
A mio avviso il video non prova nulla di simile. Proviamo a pensare alle circostanze. Viganò
all’epoca è nunzio negli Stati Uniti da pochi mesi (dal novembre 2011). Si trova a una delle sue
prime uscite pubbliche come ambasciatore della Santa Sede. L’occasione è molto prestigiosa.
Quando c’è la presenza di un cardinale, dal punto di vista gerarchico, il nunzio viene dopo di lui ed
è tenuto a salutarlo per primo e a rendergli onore in qualche forma. Ora, che cosa avrebbe dovuto
fare il nunzio Viganò? Ignorare McCarrick? Oppure dire pubblicamente: «Eminenza, dovrei
salutarla ma non lo faccio, perché lei è un mascalzone»? Oppure indicarlo al pubblico ludibrio e
dichiarare: «Ecco qui il cardinale McCarrick, che si porta a letto i seminaristi e che è stato
sanzionato dal papa. Lo salutiamo!».
È chiaro che in un’occasione simile il nunzio, il rappresentante del papa, fa il nunzio: cioè non
mette in piazza ciò che sa e ciò che sente dentro di sé. Tocca spesso agli ambasciatori nascondere le
proprie emozioni e salvare le apparenze. Fa parte del loro lavoro, spesso ingrato.
Dunque Viganò usa quell’espressione. Lo fa a braccio, senza particolare enfasi, e Dio solo può
sapere che cosa ci fosse nell’animo del nunzio in quel momento. Ma poi che «elogio» sarebbe?
Viganò dice a proposito di McCarrick che «tutti noi gli vogliamo bene». E non è proprio questo che
fa il cristiano? Voler bene al peccatore, nonostante il peccato? A me sembra che con
quell’espressione Viganò se la sia cavata piuttosto bene. Pur essendo all’inizio del suo mandato e
quindi ancora non molto esperto come nunzio, ha tenuto a bada i suoi sentimenti ed ha salvato le
esigenze del protocollo. In questi casi, ripeto, un ambasciatore è tenuto ad agire proprio così: fare
come se non sapesse nulla, senza lasciar trapelare nulla. Se Viganò non avesse agito così avrebbe
dato scandalo e tradito la fiducia del papa.
Direte: ma perché McCarrick non rispettava gli ordini di Benedetto XVI e se ne andava in giro
indisturbato? Giusta domanda. La stessa che si fece Viganò e che lo portò a concludere che
McCarrick era protetto da qualcuno molto in alto, così da potersi fare beffe dello stesso papa
Benedetto.
Ma veniamo ora a un secondo video che sta circolando e che, secondo alcuni commenti,
mostrerebbe di nuovo che Viganò è un mentitore. Si tratta del video relativo al primo, breve
incontro tra lo stesso Viganò e Francesco, al termine della riunione dei nunzi nel 2013. Viganò nel
memoriale ricorda che il papa, senza preamboli, lo investì con tono di rimprovero dicendogli che «i
vescovi negli Stati Uniti non devono essere ideologizzati! Devono essere dei pastori!». Ora, dicono
coloro che contestano la versione di Viganò dandogli di nuovo del mentitore, il video mostrerebbe
invece un papa inizialmente sorridente, per niente aggressivo, il quale, saputo di aver di fronte il
nunzio negli Usa, incomincerebbe poi un discorso. Ebbene, di quel discorso non sappiamo nulla,
perché il video, come succede in questi casi, è stato tagliato, in modo da non rivelare il contenuto
privato della conversazione. Mi sembra comunque del tutto comprensibile che Viganò, nel ricordare
quel momento, abbia conservato dentro di sé non tanto il sorriso iniziale del papa (il quale in queste
circostanze sorride a tutti, nello stesso modo), ma il contenuto del breve colloquio successivo. Ecco
perché Viganò nel memoriale dice che il papa, senza troppi preamboli, lo investì in tono di
rimprovero. In effetti è probabile che sia andata proprio così. Dopo il sorriso iniziale, il papa si
mette a parlare subito con Viganò, ma noi non sappiamo che cosa seguì perché il video non ce lo
mostra.
A questo punto vorrei sottolineare che se ribatto alle osservazioni critiche e alle accuse contro
Viganò non lo faccio per salvare monsignor Viganò, ma per il rispetto della verità, e perché mi
sembra ingiusto che accuse anche pesanti, come quella di essere un mentitore, abbiano libera
circolazione.
Infine una risposta a chi sostiene che Viganò sarebbe anche spergiuro, perché, pubblicando il
memoriale, ha violato il segreto pontificio al quale era tenuto come nunzio.
A questo proposito c’è da osservare che il segreto di cui stiamo parlando non è di natura
sacramentale. Non è, tanto per intenderci, come il segreto al quale è tenuto il confessore. Il segreto
al quale è tenuto un nunzio è funzionale alle esigenze della Chiesa e alla sua libertà di azione nel
mondo. Ma se questo segreto viene usato non per il bene della Chiesa bensì contro di essa, se
diventa cioè omertà per coprire una lobby, chi si accorge di questa perversione non solo può ma
deve violare il segreto. È un suo dovere per il bene della Chiesa, nel nome della verità.
Ripeto ancora una volta che se ho voluto rispondere ad alcune accuse contro Viganò non è per
entrare in conflitto con altri osservatori e commentatori. Credo anzi che in tutta questa vicenda si
debba accuratamente evitare di scendere sul terreno della guerra personale. Ciò che occorre è invece
tenere fisso lo sguardo sulla questione in sé: la corruzione morale denunciata da Viganò. Una
corruzione che, secondo l’ex nunzio, ha raggiunto ormai i vertici della Chiesa, tanto da rendere
necessaria un’azione di forza, come la pubblicazione del suo memoriale, per consentire l’inizio di
una purificazione.
                                                           Aldo Maria Valli
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