Pedofilia, Carlo Maria Viganò vs Papa Francesco/ 100 preti sotto accusa in Pennsylvania - Una Chiesa a Più ...
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Pedofilia, Carlo Maria Viganò vs Papa Francesco/ 100 preti sotto accusa in Pennsylvania Papa Francesco, l'attacco di mons. Viganò sul caso McCarrick: "il Pontefice si dimetta, coprì un pedofilo". Il documento anti-Vaticano dell'ex nunzio e la replica di Bergoglio 27 agosto 2018 - agg. 27 agosto 2018, 22.52 Niccolò Magnani Papa Francesco e la curia vaticana (LaPresse) Il caso McCarrick è attualmente il più in vista tra gli scandali che affliggono la chiesa americana, ma non l'unico. Recentemente è emerso un rapporto che parla di come sia una piaga endemica la pedofilia ecclesiastica in Pennsylvania, con mille bambini coinvolti e circa 100 preti accusati in sei diverse diocesi addirittura in ben 70 anni. Sono state ricostruite diverse testimonianze delle vittime da parte dal procuratore generale della Pennsylvania, Josh Shapiro, e i preti in qualche modo coinvolti sarebbero ben 300, tra abusi o mancate denunce di chi sapeva cosa stesse accadendo. Tra le vittime presenti nel fascicolo c’è anche Mark Rozzi, oggi deputato alla Camera dei rappresentanti della Pennsylvania. Ora a 46 anni e negli Stati Uniti ha fatto grande scalpore la sua testimonianza degli abusi che avrebbe subito da un prete all'età di 13 anni. (agg. di Fabio Belli) "DOSSIER OPPOSIZIONE INTERNA A FRANCESCO" Con un editoriale in prima pagina, l’Osservatore Romano prende netta posizione in difesa di Papa Francesco sul caso del dossier di Viganò e - in qualche modo - rappresenta la risposta ufficiale della Santa Sede nel merito delle accuse ricevute sulla “fronda pro-Lgbt” denunciata dall’arcivescovo milanese. «Durante la conferenza stampa sul volo di ritorno dall’Irlanda, Papa Francesco, dopo aver discusso di aspetti diversi degli abusi, di potere, di coscienza e sessuali, da parte di esponenti della Chiesa’ ha risposto su un nuovo episodio di opposizione interna»: scrive così Giovanni Maria Vian, direttore del quotidiano ufficiale del Vaticano, prima di precisare «”Io non dirò una parola su questo» ha detto il Papa, perché “parla da se stesso, e voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni”. Dimostrando così fiducia nella “maturità professionale” dei giornalisti, secondo una linea avviata nella Chiesa al tempo del concilio e poi sviluppata nei decenni successivi, sia pure tra ombre e luci, da entrambe le parti», conclude il quotidiano vaticano, con il titolo “Gli scandali e la guarigione”.
COSA DICE IL DOSSIER SU PAPA WOJTYLA Il dossier della “discordia” prende inizio e spunto addirittura durante il Pontificato di Papa Giovanni Paolo Ii: all’interno del lungo documento riportato dal quotidiano La Verità, Carlo Maria Viganò ritiene che già i suoi predecessori nel ruolo di nunzio dagli Usa avevano informato per tempo la Santa Sede dei comportamenti di McCarrick (omosessualità praticata con adulti e seminaristi), «ma l’ufficio che allora ricoprivo non fu portato a conoscenza di alcun provvedimento contro il vescovo McCarrick», scrive l’accusatore di Papa Francesco nella prima parte del dossier. La promozione poi a cardinale da parte di Wojtyla fece però esplodere la polemica in alcune aree del Vaticano, con Viganò che rilancia: «Fu la nomina a Washington e a cardinale di McCarrick opera di Sodano (l’allora segretario di Stato, ndr), quando Giovanni Paolo II era già molto malato? Non ci è dato saperlo», scrive il monsignore che ha chiesto le dimissioni di Bergoglio, spiegando che è «lecito pensare sia stata colpa di Sodano, ma non credo che sia stato il solo responsabile. McCarrick andava con molta frequenza a Roma e si era fatto amici dappertutto, a tutti i livelli della Curia». Nel merito del mancato intervento di Giovanni Paolo II, Viganò “spiega” che «era vicino alla fine dei suoi giorni», anche se in realtà sarebbe morto ben 5 anni dopo: a quel punto, osserva Tornieli su Vatican Insider, se si dà ragione a Viganò «bisogna supporre che Sodano nascondesse informazioni decisive al Pontefice, notizie che arrivavano dal nunzio apostolico a Washington, il quale peraltro poteva avere accesso diretto al Papa». “TRA UN PO’ FORSE PARLERÒ..“ C’è un passaggio che riemerge ascoltando l’audio originale della risposta di Papa Francesco sul tema spinoso del dossier di Carlo Maria Viganò e che rappresenta un messaggio importante che il Pontefice vuole dare all’intera vicenda: «[…] È un atto di fiducia: quando sarà passato un po’ di tempo e voi avrete tratto le conclusioni, forse io parlerò. Ma vorrei che la vostra maturità professionale faccia questo lavoro: vi farà bene, davvero. Va bene così». Da un lato è come se Francesco dicesse che quelle 11 pagine di attacco contro un Papa da parte di un arcivescovo di Santa Romana Chiesa è cosa grave e nefasta; dall’altra però, evidentemente, vi sono degli elementi di cui Papa Bergoglio è a conoscenza sul suo personale rapporto con Viganò che forse quando sarà passato il “polverone” riterrà opportuno comunicare per fare un po’ di chiarezza. Intanto dal quotidiano “La Verità” continua l’attacco diretto contro Francesco, con un video del direttore Belpietro che chiede espressamente al Papa - come del resto fatto anche da Marco Politi sul Fatto Quotidiano - «anziché non commentare, chiarisca le parole di Monsignor Viganò». COSA DICE IL DOSSIER SU PAPA RATZINGER Uno dei “pochi” ad uscire “bene” dal dossier di forti accuse dell’arcivescovo Viganò è certamente Papa Benedetto XVI: nel documento d 11 pagine pubblicate da “La Verità” l’ex nunzio negli Usa spiega di aver inoltrato in Vaticano diversi documenti fin dal 2006 contenenti accuse circostanziate contro McCarrick. L’obiettivo iniziale di quella missiva era il Segretario di Stato Tarcisio Bertone: dopo tre anni, scrive Viganò, Papa Ratzinger «ha imposto una sorta di clausura a McCarrick». Lo stesso ex nunzio però spiega come quelle “sanzioni segrete” non furono mai prese in considerazione dall’arcivescovo americano, tanto che la vita pubblica di McCarrick continuò senza alcuna sosta. Viganò non spiega però perché vi fu quel ritardo, anzi scrive una fortissima accusa contro lo stesso Bertone: ecco il passaggio centrale del dossier di Viganò, «non mi è dato sapere chi sia stato responsabile di questo incredibile ritardo. Non credo certo papa Benedetto, il quale da cardinale aveva già più volte denunciato la corruzione presente nella Chiesa, e nei primi mesi del suo pontificato aveva preso ferma posizione contro l' ammissione in seminario di giovani con profonde tendenze omosessuali. Ritengo che ciò fosse dovuto all' allora primo collaboratore del Papa, cardinale Tarcisio Bertone, notoriamente favorevole a promuovere omosessuali in posti di responsabilità, e solito gestire le informazioni che riteneva opportuno far pervenire al Papa». LA REPLICA DEL PAPA: “NON PARLO, GIUDICATE VOI IL DOSSIER”
Il viaggio di ritorno da Dublino di Papa Francesco ha visto, come sempre, il momento di domande e risposte in aereo del Pontefice: inutile dire che le questioni primarie e più scottanti erano proprio quelle legate alla pedofilia e soprattutto al polverone alzato dall'arcivescovo Viganò col suo dossier sul caso McCarrick. La risposta del Papa è stata secca, di poche parole ed è sembrata - come comprensibile - a tratti “stizzita”. Ala domanda formulata da un collega vaticanista, «Cosa pensa del dossier appena pubblicato dall’ex nunzio Viganò? L’ex nunzio sostiene che le parlò esplicitamente degli abusi commessi dal cardinale McCarrick. È vero?», la immediata replica del Santo Padre ha visto questo tono, «Ho letto questa mattina quel comunicato di Viganò. E sinceramente devo dirvi questo: leggete voi attentamente e fatevi un giudizio. Io non dirò una sola parola su questo perché il comunicato parla da sé e voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni, con la vostra maturità professionale». “OMBRE” SU ATTACCO A OROLOGERIA L'arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico negli Stati Uniti che nel 2011 aveva “ispirato” il primo Vatileaks con una lettera al Papa, si è ripreso la scena accusando mezza Curia di aver coperto Theodore McCarrick. E chiede la testa di Bergoglio. La mossa sarebbe tutt'altro che disinteressata: una sorta di “vendetta” per la cacciata dal Vaticano? Ne parla il vaticanista Fabio Ragona su Stanze Vaticane per Tgcom24. Dopo il ritorno dagli Stati Uniti nel 2016, l'arcivescovo si era trasferito a Città del Vaticano nell'appartamento che avrebbe dovuto lasciare ad un altro inquilino durante il servizio diplomatico all'estero. Qualche mese fa però - scrive il giornalista - ha ricevuto il foglio di via definitivo. Gli viene trovata una nuova sistemazione a Via delle Erbe, ma il Papa ritiene che sia meglio un rientro nella diocesi di appartenenza, cioè Varese. «I meglio informati sanno quanto Viganò ci sia rimasto male, anche perché, già dai tempi del primo Vatileaks, Carlo Maria sognava, non è un mistero, una carriera in Curia», scrive Ragona, secondo cui Viganò ambiva al ruolo di Presidente del Governatorato Vaticano con la nomina a cardinale di Santa Romana Chiesa. Ambizioni rimaste tali. «Anche per queste cose l'arcivescovo nutre ancora, e lo confermano in tanti (troppi), rancore e risentimento nei confronti di tanti uomini di Curia (che oggi accusa d'insabbiamento) e del Pontefice stesso, principale artefice della sua “cacciata” dalla Città del Vaticano», prosegue Ragona su Stanze Vaticane. Del resto Viganò avrebbe potuto protestare privatamente, chiedere udienze al Papa per discutere del caso McCarrick, invece ha dato tutto alla stampa per far esplodere una bomba. Ragona rilancia: anche lui ha taciuto sulla vicenda per cinque anni, aspettando che il caso esplodesse negli Stati Uniti. Da qui la tesi che non sia «una testimonianza del tutto disinteressata». (agg. di Silvana Palazzo) IL CASO MCCARRICK E IL ‘DOSSIER’ RATZINGER Secondo Andrea Tornielli, giornalista di Vatican Insider - nonché giornalista tra i più vicini al Papa tra i “decani” della stampa italiana - qualcosa non torna nella parte del dossier di Viganò che parla dell’incontro con Papa Francesco. È opera del Papa argentino «la prima vera e radicale sanzione contro l’ex arcivescovo Mc Carrick, che non ha precedenti nella storia più recente della Chiesa. Fino al 2018, cioè fino all'apertura formale dell'inchiesta canonica contro McCarrick, le accuse riguardavano relazioni omosessuali con persone adulte». Secondo il giornalista italiano non ha, al momento, spiegazione il fatto che Monsignor Viganò abbia aspettato tutto questo tempo a rendere note le informazioni a lui in possesso, «se era così convinto che si trattasse di qualcosa di massima importanza per la Chiesa», si interroga ancora Tornielli che poi affonda con una domanda che denota la sostanziale distanza tra quanto detto da Viganò e quanto invece affermato dal Papa anche in merito al suo predecessore Benedetto XVI che pare, secondo l’ex nunzio, consigliò il vescovo americano a dimettersi e allontanarsi dal ruolo pastorale. «Perché da nunzio apostolico negli Stati Uniti non le abbia messe per iscritto, invitando il nuovo Papa a prendere provvedimenti contro McCarrick, per far sì che le sanzioni segrete di Benedetto fossero finalmente applicate, cosa che evidentemente non era avvenuta prima..». MONS. VIGANÒ ATTACCA IL PAPA “COPRÌ PEDOFILO, SI DIMETTA”
Con un documento di 11 pagine l’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, Monsignor Carlo Maria Viganò (riportato oggi sul quotidiano “La Verità”) attacca pesantemente la gerarchia vaticana sul caso McCarrick - ex arcivescovo di Washington, riconosciuto di abusi sui seminaristi, a cui il Pontefice ha tolto il cardinalato - accusando infine Papa Francesco di aver coperto i crimini di quest’ultimo per diverso tempo. Il caso spacca l’opinione pubblica in un momento in cui lo stesso Papa Bergoglio è in Irlanda e ha duramente parlato del caso pedofilia, attaccando «la Chiesa ha fallito. Dobbiamo ripartire da questa ferita ancora aperta in tante vittime degli abusi nella Chiesa irlandese»: le accuse dell’ex nunzio sono gravissime, visto che secondo lui è da tempo che il Pontefice conosceva lo stato di cose sull’ex arcivescovo americano. «Santo Padre, non so se lei conosce il card. McCarrick, ma se chiede alla Congregazione per i Vescovi c'è un dossier grande così su di lui. Ha corrotto generazioni di seminaristi e di sacerdoti e papa Benedetto gli ha imposto di ritirarsi ad una vita di preghiera e di penitenza», racconta Viganò di un incontro con Bergoglio del 23 giugno 2013, precisando poi «Il Papa non fece il minimo commento a quelle mie parole tanto gravi e non mostrò sul suo volto alcuna espressione di sorpresa, come se la cosa gli fosse già nota da tempo, e cambiò subito di argomento». Da questo comportamento del Papa, Viganò ritiene che sia stato il segnale di come fin lì aveva tentato di “nascondere” lo scandalo, salvo poi ricredersi e cacciare il porporato tempo dopo, il 27 luglio 2018. I DUBBI SUL CASO MCCARRICK Secondo Viganò in Vaticano è attiva e vivissima la “lobby gay” che condiziona e non poco la vita della Chiesa da diversi decenni: nel lungo documento il monsignore fa diversi nomi, riportando elementi e prove (anche se non sempre “schiaccianti” bensì spesso indicazioni, impressioni e ipotesi personali). In particolare gi ex segretari di Stato Angelo Sodano e Tarcisio Bertone, e gli ex sostituti Leonardo Sandri e Fernando Filoni, che a dire di Viganò non hanno preso gli opportuni provvedimenti a carico di McCarrick e avrebbero consigliato male Papa Francesco. Già in passato Viganò denunciò a Papa Benedetto XVI la presenza di malcostume nella Curia Romana, e si sospettò poi che potesse esserci lui dietro alla “fuga di notizie” che portò fino al ben noto scandalo Vatileaks: in questo caso però gli attacchi sono fortissimi, anche se nei riguardi del Papa argentino non vi sarebbero elementi “indiscutibili” bensì diverse prese di posizione di un monsignore che da tempo non nasconde la sua disapprovazione per il modo di condurre il Magistero in diversi temi per Papa Francesco. L’attacco finale nel documento è durissimo e farà certamente discutere nei prossimi mesi: «Francesco sta abdicando al mandato che Cristo diede a Pietro di confermare i fratelli. Anzi con la sua azione li ha divisi, li induce in errore, incoraggia i lupi nel continuare a dilaniare le pecore del gregge di Cristo. In questo momento estremamente drammatico per la Chiesa universale riconosca i suoi errori e in coerenza con il conclamato principio di tolleranza zero, papa Francesco sia il primo a dare il buon esempio a cardinali e vescovi che hanno coperto gli abusi di McCarrick e si dimetta insieme a tutti loro». Alcune fonti vaticane riportano che Viganò ambisse a ruoli di rilievo nello Stato Vaticano ma che davanti all'ennesimo diniego abbia intrapreso una personale "battaglia" sul fronte pedofilia: se queste presunte "incoerenze" saranno verificate o meno, al momento, non elimina il caso e lo scandalo provocato dalle sue accuse nel documento "extralarge". --------------------------------------------------------- Viganò screditato? Ecco come lui stesso risponde – di Aldo Maria Valli 28 agosto 2018 L’arcivescovo Carlo Maria Viganò, l’ex nunzio negli Stati Uniti che ha rivelato di aver informato papa Francesco del caso McCarrick fin dal marzo 2013, ha rilasciato una nuova dichiarazione scritta, che respinge come false alcune ricostruzioni che ora circolano con l’obiettivo di screditarlo. La vicenda riguarda un articolo del New York Times del 2016, nel quale si sosteneva che l’allora nunzio negli Usa annullò un’indagine sui comportamenti sessuali dell’arcivescovo John Nienstedt,
poi giudicato innocente dalle autorità civili. Il NYT sostenne che nell’aprile 2014 Viganò ordinò a due vescovi ausiliari dell’arcidiocesi di St. Paul e Minneapolis di bloccare l’inchiesta su Nienstedt e di distruggere una lettera che gli avevano scritto per protestare contro la sua decisione. Il NYT fondò la sua ricostruzione dei fatti su un memoriale di padre Dan Griffith, delegato per la protezione dei minori nell’arcidiocesi di St. Paul e Minneapolis, secondo il quale l’ordine di Viganò fu motivato dalla decisione di coprire tutto ed evitare scandali. Riemersa ora allo scopo di screditare l’ex nunzio e minare la sua credibilità, l’accusa ha spinto Viganò a intervenire con una dichiarazione scritta, datata 26 agosto 2018, nella quale parla di falsità contro di lui. Nella sua dichiarazione Viganò racconta di aver incontrato Neinstedt e due vescovi ausiliari – Lee A. Piché e Andrew Cozzens – il 12 aprile 2014, nella nunziatura apostolica a Washington, per discutere delle indagini in corso sull’arcivescovo, ma padre Griffith non era presente. Durante l’incontro gli furono sottoposte alcune dichiarazioni giurate, fra le quali una che sosteneva che Nienstedt “aveva avuto una relazione con una guardia svizzera durante il suo servizio in Vaticano, circa vent’anni prima”. Viganò spiega che “questi affidavit furono raccolti dallo studio legale Greene Espel, scelto da padre Griffith a nome dell’arcidiocesi per indagare sull’arcivescovo Nienstedt”. Aggiunge che lo studio appartiene al gruppo Lawyers for All Families, “schierato contro l’arcivescovo Nienstedt e a favore dell’approvazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso nello Stato del Minnesota”. “Investigatori privati del Greene Espel – spiega Viganò – avevano condotto un’inchiesta in modo squilibrato e accusatorio, e ora volevano immediatamente estendere le indagini alla Guardia Svizzera Pontificia, senza aver prima ascoltato l’arcivescovo Nienstedt”. Per questo motivo il nunzio disse che gli sembrava giusto ascoltare prima Nienstedt, secondo il principio audiatur et altera pars, e i vescovi furono d’accordo. Il vescovo Piché telefonò subito a padre Griffith, informandolo del buon esito dell’incontro e dicendo che una soluzione del caso era prossima. Ma il mattino seguente a Viganò arrivò una lettera dei due vescovi ausiliari, nella quale si diceva che il nunzio aveva suggerito di fermare l’indagine. Sorpreso, Viganò chiamò il vescovo Pichè per chiedergli spiegazioni e gli ordinò di rimuovere la lettera dai computer e dagli archivi della diocesi. Non voleva passare come un insabbiatore. Aveva solo chiesto di ascoltare la versione di Nienstedt prima di procedere con altri provvedimenti. Scrive infatti Viganò: “Non ho mai detto a nessuno che Greene Espel avrebbe dovuto interrompere l’inchiesta, e non ho mai ordinato di distruggere alcun documento. Ogni affermazione contraria è falsa. Tuttavia incaricai uno dei vescovi ausiliari, Lee A. Piché, di rimuovere dal computer e dagli archivi dell’arcidiocesi la lettera che asseriva falsamente che avevo suggerito che l’indagine fosse fermata. Ho insistito su questo per proteggere non solo il mio nome, ma anche quello della Nunziatura e del Santo Padre che sarebbero stati danneggiati”. Viganò riferisce di non aver più saputo nulla fino al novembre successivo, quando, all’annuale assemblea della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, a Baltimora, incontrò nuovamente i due vescovi ausiliari, Pichè e Cozzens, i quali gli presentarono un rapporto e gli riferirono di averlo consegnato anche al cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi, durante una visita a Roma. Davanti ai due ausiliari Viganò esaminò il documento e vide che “conteneva ancora la falsa dichiarazione”. Quindi incaricò Piché e Cozzens di scrivere al cardinale Ouellet, presso la congregazione a Roma, per correggere la dichiarazione. Viganò è in possesso sia della lettera inviata dai due vescovi ausiliari al cardinale Ouellet sia di una sua lettera a Ouellet. Poi Viganò ricorda: “Proprio il giorno in cui la notizia apparve sul New York Times , il 21 luglio 2016, il Santo Padre chiese al Cardinale Parolin di telefonare al Nunzio a Washington (Christophe Pierre), ordinandogli di aprire immediatamente un’indagine sulla mia condotta, così che io potessi essere denunciato al tribunale incaricato di giudicare l’insabbiamento”. Lo stesso giorno, ricorda Viganò, “informai la sala stampa della Santa Sede, nelle persone di padre Lombardi e Greg Burke”. Inoltre, “con l’autorizzazione del sostituto della Segreteria di Stato, l’allora arcivescovo Becciu, l’avvocato americano Jeffrey Lena, che lavorava per la Santa Sede, si
recò alla Congregazione per i vescovi, dove trovò documenti che dimostrano che la mia condotta era stata assolutamente corretta”. Lena consegnò a Viganò un rapporto scritto che lo scagionava, eppure la sala stampa vaticana non ritenne necessario rilasciare una dichiarazione a difesa del nunzio per confutare il New York Times. In ogni caso, quando l’inchiesta ordinata da papa Francesco fu completata, “la Nunziatura rispose anche al Cardinale Parolin con un rapporto dettagliato, che ristabilì la verità e dimostrò che la mia condotta [di Viganò, ndr] era stata assolutamente corretta. Questo rapporto si trova nella Segreteria di Stato del Vaticano e nella Nunziatura di Washington”. Conclude Viganò: “Il 28 gennaio 2017 scrissi sia all’arcivescovo Pierre sia all’arcivescovo Hebda (il successore di Nienstedt), chiedendo loro di correggere pubblicamente il memorandum Griffith. Nonostante le e-mail e le telefonate ripetute, non ho mai ricevuto risposta”. Il caso. Dossier avvelenato contro il Papa. Francesco: «Giudicate voi» Francesco Ognibene lunedì 27 agosto 2018 L'ex nunzio negli Stati Uniti monsignor Carlo Maria Viganò diffonde un testo sulla vicenda del cardinal McCarrick. Molti i dubbi e le incongruenze. Il Papa chiede le dimissioni di vescovi che pur essendo a conoscenza di abusi e comportamenti inappropriati del clero non fanno ciò che è in loro potere per fermarli; il Papa sapeva da tempo delle malefatte del cardinale McCarrick ma ha ignorato le accuse agendo solo tardivamente; il Papa si dimetta. È il vertiginoso sillogismo che sintetizza il lungo e puntiglioso dossier diffuso domenica a mezzo stampa (in Italia dal quotidiano «La Verità») dall’ex nunzio negli Stati Uniti monsignor Carlo Maria Viganò, con l’incredibile richiesta finale sul conto del Papa (per il quale peraltro poco dopo chiede di pregare): «In questo momento estremamente drammatico per la Chiesa universale riconosca i suoi errori e in coerenza con il conclamato principio di tolleranza zero, papa Francesco sia il primo a dare il buon esempio a Cardinali e Vescovi che hanno coperto gli abusi di McCarrick e si dimetta insieme a tutti loro». Una petizione pubblica cui si stenta a credere, e alla quale il Papa domenica sera a domanda diretta da parte di una giornalista americana nella conferenza stampa sul volo di ritorno da Dublino ha risposto in modo eloquente: «Ho letto, questa mattina, quel comunicato. L’ho letto e
sinceramente devo dirvi questo, a lei e a tutti coloro tra voi che sono interessati: leggete voi, attentamente, il comunicato e fate voi il vostro giudizio. Io non dirò una parola su questo. Credo che il comunicato parla da sé stesso, e voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni. È un atto di fiducia: quando sarà passato un po’ di tempo e voi avrete tratto le conclusioni, forse io parlerò. Ma vorrei che la vostra maturità professionale faccia questo lavoro: vi farà bene, davvero. Va bene così». E in effetti le 11 cartelle della «Testimonianza» diffusa tramite i media dallo stesso monsignor Viganò si commentano da sole anzitutto per la durezza con la quale un prelato con lunga esperienza di servizio alla Santa Sede tratta un Papa come Francesco che si spende con eccezionale rigore e chiarezza sulla piaga degli abusi e dei comportamenti inconciliabili con il ministero sacerdotale, in piena continuità con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, accusandolo apertamente di aver sottovalutato se non coperto gli atti dell’arcivescovo emerito di Washington Theodore McCarrick, lo stesso – va ricordato – del quale ha accettato il 28 luglio «la rinuncia da membro del Collegio cardinalizio» disponendone anche la «sospensione dall’esercizio di qualsiasi ministero pubblico, insieme all’obbligo di rimanere in una casa che gli verrà indicata, per una vita di preghiera e di penitenza, fino a quando le accuse che gli vengono rivolte siano chiarite dal regolare processo canonico». Un atto pubblico, concreto ed efficace che come un gran numero di altri gesti, documenti e discorsi – dall'istituzione della Pontificia Commissione per la tutela dei minori alla recentissima «Lettera al popolo di Dio» in tema di abusi – documentano in modo incontrovertibile la risolutezza con la quale il Papa sta agendo su un tema del quale ha parlato senza mezzi termini anche nella due giorni irlandese. C’è dunque da chiedersi come possa davvero sfidare questa mole di iniziative verificabili, che stanno realmente plasmando l’azione e il volto della Chiesa, una «Testimonianza» basata su ricordi personali e interpretazioni di circostanze e fatti sui quali possono esistere versioni differenti, e come su questa struttura si faccia poggiare addirittura la richiesta di dimissioni rivolta da un vescovo a un Papa. A Viganò tuttavia non sembra bastare neppure che Francesco abbia ottenuto l'uscita di un cardinale dal Sacro Collegio, un fatto senza precedenti nella storia della Chiesa. L’ex nunzio ora a riposo, nato a Varese nel 1941, oltre al Papa chiama infatti in causa come corresponsabili del mancato intervento per fermare il porporato americano tre segretari di Stato (Sodano, Bertone e Parolin) e uno stuolo di cardinali e vescovi protagonisti della Curia romana negli ultimi anni (Levada, Ouellet, Baldisseri, Filoni, Becciu, Lajolo, Mamberti, Coccopalmerio, O’Brien, Martino, Farrell, O’Malley, Maradiaga, Paglia, Ilson de Jesus Montanari...), tutti a diverso titolo collaboratori di Francesco. Un atto d’accusa che punta evidentemente a compromettere la credibilità degli uomini che il Papa si è scelto per affiancarlo nel governo della Chiesa. Tanto che tra i motivi che avrebbero spinto monsignor Viganò – nunzio a Washington dal 2011 fino all’aprile 2016, tre mesi dopo il compimento dei 75 anni, età canonica della pensione – alla scelta dirompente di scrivere e dare diffusione sui media al suo memoriale potrebbero esserci attese frustrate per un incarico non ottenuto. Un’ipotesi avvalorata da un precedente altrettanto clamoroso: l’aspra lettera scritta dallo stesso Viganò all’allora segretario di Stato cardinale Bertone pochi mesi dopo l’invio come responsabile della Nunziatura negli Usa (riservata ma poi apparsa sulla stampa italiana nel gennaio 2012) con l’accusa di averlo di fatto allontanato dalla Curia romana, dov’era segretario del Governatorato, ritenendo a suo dire ingombrante la presenza a Roma di chi sarebbe stato a conoscenza di comportamenti più che censurabili da parte di alcuni prelati in posizioni di responsabilità. Quali che siano l’origine e l’obiettivo del lungo e apparentemente circostanziato dossier, il Papa domenica ha ritenuto sufficiente ciò che si sa per formulare un giudizio sulla credibilità della denuncia e della conseguente, inaudita richiesta di lasciare il timone della Chiesa. Due, in particolare, i passaggi del dossier nei quali Viganò delegittima il Papa: le «sanzioni» che «nel 2009 o nel 2010», e comunque con «incredibile ritardo», Benedetto XVI una volta informato delle accuse sul conto dell’arcivescovo americano gli avrebbe inflitto riservatamente («lasciare il
seminario in cui abitava», il divieto di «celebrare in pubblico, di partecipare a pubbliche riunioni, di dare conferenze, di viaggiare», «con obbligo di dedicarsi a una vita di preghiera e di penitenza»), provvedimenti che tuttavia McCarrick avrebbe ignorato; e la ricostruzione di un colloquio privato con Francesco che l’ex nunzio colloca il 23 giugno 2013, con la sua denuncia dei misfatti di McCarrick («Se chiede alla Congregazione per i vescovi c’è un dossier grande così su di lui») davanti alla quale il Papa non avrebbe fatto «il minimo commento». E se risulta comunque poco credibile che Benedetto abbia accettato di essere disobbedito su disposizioni tanto stringenti, appare evidente il tentativo di opporre un Papa all’altro, secondo uno stile – se non un intento – divisivo che percorre tutto l’articolato e livoroso documento e caratterizza l’aggressiva retorica di una certa pubblicistica sempre più apertamente ostile al Pontefice. Una nuova, rumorosa tappa della strategia che sembra voler creare disorientamento e contrapposizione nella Chiesa pur con l’asserita intenzione di agire per il suo bene. Un comportamento che, per citare il Santo Padre, «parla da sé stesso». La farsa e la fiducia. Ciò che resta dell’attacco al Papa Stefania Falasca AVVENIRE : giovedì 30 agosto 2018 Ècurioso ma assai significativo che papa Francesco sia stato l’unico a non qualificare come "dossier" il j’accuse di undici pagine dell’ex nunzio Carlo Maria Viganò fatto detonare, come è noto, sotto i cieli d’Irlanda in piena Festa mondiale delle famiglie. Rispondendo sul volo di ritorno da Dublino alla domanda sulla veridicità di quelle accuse, il Papa lo ha infatti definito semplicemente «comunicato». Per due volte: «Ho letto il comunicato» e «credo che il comunicato parli da se stesso». E poi la sorprendente, espressa volontà, rilanciata dai media di tutto il mondo, di lasciare a noi cronisti il «giudizio», in un «atto di fiducia», contando sulla «maturità professionale di ciascuno», perché «voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni». Sembra invece sfuggita ai più come questa sequenza di termini fosse in relazione anche con quanto detto a conclusione della conferenza stampa ad alta quota, quando parlando della fede degli irlandesi il Papa ha affermato che questi «sanno ben distinguere le verità dalle mezze verità». Quella che dunque al momento era parsa una non-risposta si è rivelata traccia di una pertinente, lucida indicazione, anche pedagogica, stando proprio a quanto è emerso sul cartiglio Viganò a distanza di pochi giorni. Per le verità, infatti, sono bastate poche ore e non c’è stato neppure bisogno di indagini approfondite. Ma cominciamo dalle «mezze verità». Del cartiglio sono state già ampiamente messe in luce le frequenti contraddizioni e i ripetuti omissis della narrazione. A un’attenta lettura il cartiglio-comunicato appare chiaramente un miscuglio di mezze verità. Si tratta di una viziata tecnica nota nella comunicazione, si chiama disinformazione, che è più grave rispetto anche alla calunnia e alla diffamazione, come ha ricordato più volte lo stesso Francesco, perché propone soltanto una parte della verità per perseguire un fine. La disinformazione si costruisce, appunto, sulle mezze verità. Un classico meccanismo che punta a impedire la risposta. In una simile costruzione a spirale non c’era dunque soltanto da chiedersi se ciò che racconta Viganò sia vero (come ripetono a mo’ di mantra personaggi e media che chiedono le «dimissioni» di Francesco).
C’era da chiedersi, e anche questo è stato già ampiamente rilevato, se la sequenza descritta da Viganò, le sue considerazioni, le sue omissioni, le sue interpretazioni portano davvero ad attribuire una qualche responsabilità al Pontefice oggi regnante. A questo si aggiunge la non attendibilità del testimone, anche questa ampiamente rilevata, per avere un quadro preciso del j’accuse. E probabilmente per renderci immuni da veleni che hanno la presunzione di far tremare la terra sotto i piedi del Successore di Pietro e di indurre in soggezione e sgretolare il sensus fidei del popolo di Dio. In questi giorni sono poi emersi dettagli che dimostrano come si è trattato di una operazione pensata e organizzata a tavolino da diversi soggetti, italiani e statunitensi, inserita in un piano preciso, tanto che la sua preparazione includeva anche l’assistenza giuridica di un avvocato, consultato preventivamente da Carlo Maria Viganò due settimane fa, legato all’agenzia statunitense Ewtn- Catholic National Register. E alla fine è arrivata anche la ciliegina sulla torta di tutto l’affaire. In una lunga conversazione con l’agenzia Ap, un giornalista di un blog notoriamente anti-Bergoglio, preso da un’irrefrenabile euforia di protagonismo narcisistico, in pochi minuti ha offerto su un piatto d’argento i piedi d’argilla della maldestra operazione: ha confessato pubblicamente che è stato lui a scrivere il cartiglio della cosiddetta testimonianza-denuncia. Queste le testuali parole: «Ho fatto l’editing professionale; cioè abbiamo lavorato sulla bozza, il cui materiale era integralmente del nunzio, per verificare che fosse scorrevole e giornalisticamente utilizzabile». Insomma, un lavoro creativo per un programma «giornalisticamente utilizzabile» e che di veramente preciso ha avuto solo il meccanismo a orologeria. Eccoci così al succo del marchingegno Viganò, e si capisce perché il Papa l’abbia definito «comunicato». A questo punto, scoperchiati gli altarini, scolato il brodo, di fronte a 'cotanto senno', l’unica cosa che stringendo viene da chiedersi è quella che con rara efficacia si è chiesto un osservatore molto attento: «E papa Francesco dovrebbe rispondere a questo giornalista? Il grande Totò direbbe: 'Ma mi faccia il piacere!' ». Viene da aggiungere: ma si può davvero pensare di mettere alle strette un pontificato con simili sgangherate confezioni giornalistiche che sono un insulto all’intelligenza? E anche qui la risposta è certamente da lasciare al grande Totò. Alla fine di questa grottesca farsa la conclusione potrebbe, dunque, essere quella del drammaturgo Bernard Show: «Come è comica la verità!». Grazie Santo Padre per l’«atto di fiducia»' che ha concesso a chi fa questo nostro mestiere (e non altro). “Ecco perché crediamo a Viganò” 30 agosto 2018 di Aldo Maria Valli L’arcivescovo Carlo Maria Viganò è un uomo integro che nutre un «sincero amore per la Chiesa», da lui servita con «dedizione disinteressata». Parola dell’arcivescovo di San Francisco, Salvatore Cordileone, che così scrive in una lettera ai fedeli della sua diocesi dopo la pubblicazione del memoriale di monsignor Viganò. «Ho conosciuto bene l’arcivescovo Viganò durante gli anni in cui ha prestato servizio come nunzio apostolico qui negli Stati Uniti», scrive Cordileone. «Posso attestare che ha svolto la sua missione con dedizione altruistica, che ha realizzato bene il mandato petrino affidatogli dal Santo Padre per confermare i fratelli nella fede e che lo ha fatto con grande sacrificio personale, senza alcuna considerazione motivata dal promuovere la sua carriera. Tutto ciò parla della sua integrità e dl suo sincero amore per la Chiesa». «Inoltre – continua Cordileone –, pur non avendo informazioni privilegiate sulla situazione dell’arcivescovo McCarrick, dalle informazioni che ho in merito a pochissime altre dichiarazioni rilasciate dall’arcivescovo Viganò posso confermare che sono vere. Le sue dichiarazioni, quindi, devono essere prese sul serio. Lasciarle perdere con leggerezza darebbe continuità a una cultura di negazione e offuscamento. Ovviamente, per convalidare le sue dichiarazioni nel dettaglio dovrà
essere condotta un’indagine formale, completa e obiettiva». Ma Cordileone non è l’unico vescovo statunitense a prendere posizione a favore di Viganò e del suo memoriale. C’è infatti da registrare anche una dichiarazione del vescovo di Phoenix, in Arizona, Thomas J. Olmsted che definisce Viganò «un uomo sincero». «Sebbene non abbia conoscenza delle informazioni che rivela nella sua testimonianza scritta del 22 agosto 2018, e quindi non mi sia possibile verificarne personalmente la veridicità, l’ho sempre conosciuto e rispettato come un uomo di verità, fede e integrità», scrive il vescovo. Questo il motivo per cui Olmsted ritiene che la recente testimonianza di Viganò debba essere presa sul serio. «Molte persone innocenti sono state seriamente danneggiate da religiosi come l’arcivescovo McCarrick», conclude Olmsted. «Chiunque abbia nascosto questi atti vergognosi deve essere portato alla luce del giorno». La dichiarazione di Olmsted è significativa anche perché l’attuale vescovo di Phoenix conosce Viganò da molti anni, fin dal 1979, ai tempi in cui Olmsted entrò al servizio della Segreteria di Stato della Santa Sede. Di accuse «credibili» contenute nel memoriale di Viganò parla anche il vescovo Joseph Edward Strickland, vescovo di Tyler nel Texas, mentre il vescovo di Tusla, David Austin Konderla, in un tweet dice: «Le accuse da lui [Viganò, ndr] dettagliate costituiscono un buon punto di partenza per le indagini, che devono svolgersi in modo da poter ripristinare la santità e la responsabilità nella gerarchia della Chiesa». Importante poi il sostegno espresso a monsignor Viganò dall’ex primo consigliere della nunziatura apostolica a Washington, Jean-François Lantheaume, secondo il quale «Viganò ha detto la verità. Questo è tutto». Anche l’arcivescovo di Filadelfia, Charles J. Chaput, pur dichiarando di «non essere a conoscenza» di elementi che gli permettano di giudicare il grado di veridicità delle dichiarazioni di Viganò, ha tenuto a far conoscere il suo giudizio positivo sul lavoro dell’ex nunzio, «caratterizzato da integrità nei confronti della Chiesa». Come abbiamo già riferito, stima per Viganò è stata espressa senza mezzi termini dal vescovo di Madison, Robert Morlino, che ha definito «reali e concrete» le affermazioni dell’arcivescovo italiano. Da non dimenticare poi il sostegno subito espresso a Viganò dal cardinale Raymond Burke e dal vescovo Athanasius Schneider di Astana. Ed ora il giudizio di George Weigel, docente all’Ethics and Public Policy Center di Washington, nonché celebre biografo di san Giovanni Paolo II (suo è il best seller mondiale Testimone della speranza), secondo il quale Viganò ha dimostrato coraggio, onestà e lealtà verso la Chiesa e il papato. Scrive Weigel su First Things (https://www.firstthings.com/web-exclusives/2018/08/why-we-stay- and-the-vigan-testimony): «Subito dopo la pubblicazione del memoriale, le polemiche all’interno della Chiesa si sono immediatamente intensificate, rimbalzando attraverso i media. In questa atmosfera febbrile è praticamente impossibile per chiunque dire qualcosa senza destare sospetti e accuse. Ma poiché ho conosciuto bene l’arcivescovo Viganò durante il suo servizio come rappresentante diplomatico pontificio a Washington, mi sento obbligato a parlare di lui, in modo tale, spero, da poter aiutare gli altri a riflettere attentamente sulle sue affermazioni molto, molto serie». «In primo luogo, l’arcivescovo Viganò è un coraggioso riformatore, che fu allontanato dal Vaticano dai suoi diretti superiori perché si dimostrò deciso a fronteggiare la corruzione finanziaria nel Governatorato, l’amministrazione dello Stato della Città del Vaticano». In secondo luogo, continua Weigel, «l’arcivescovo Viganò è, in base alla mia esperienza, un uomo onesto». Infatti «abbiamo parlato spesso di molte cose, grandi e piccole, e non ho mai avuto l’impressione che mi dicesse qualcosa di diverso da quello che in coscienza riteneva essere la verità». «Ciò non significa – continua il professor Weigel – che egli abbia fatto tutto bene; uomo di umiltà e di preghiera, sarebbe il primo ad ammetterlo. Ma lascia pensare che i tentativi di ritrarlo come qualcuno che fa deliberatamente false accuse, qualcuno che non è onesto testimone di ciò che egli crede essere la verità, non sono convincenti. Quando nella sua testimonianza dice che è “pronto a sostenere [queste accuse] sotto giuramento chiamando Dio come testimone”, parla sul serio. L’arcivescovo Viganò sa che, prestando un tale giuramento, se dicesse il falso perderebbe la sua
anima». Non bisogna infine dimenticare, scrive Weigel, che l’arcivescovo Viganò è un leale ecclesiastico che appartiene a una generazione cresciuta per mettersi al servizio del papa. «La sua formazione nel servizio diplomatico pontificio lo porta istintivamente a fare della difesa del papa la sua prima, seconda, terza e centesima priorità». Dunque se egli adesso crede che dare questa testimonianza sia il modo migliore di difendere la Chiesa e il papa, significa che ha motivi davvero molto seri per comportarsi così. «Ciò che l’arcivescovo Viganò testimonia di conoscere sulla base di esperienze dirette, personali e in molti casi documentabili, a Roma e Washington, merita di essere preso sul serio, non perentoriamente respinto o ignorato. Evidentemente il cardinale Daniel DiNardo, presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, è d’accordo, come chiarisce la sua dichiarazione del 27 agosto. Questo è un altro passo verso la purificazione e la riforma di cui abbiamo bisogno». Da George Weigel, in un articolo per il Wall Street Journal (A Crisis, but not of Faith, Una crisi, ma non di fede) arriva anche un’analisi a più vasto raggio sul momento attraversato dalla Chiesa cattolica. Durante la messa, dice Weigel, i cattolici affermano di credere alla Chiesa «una, santa, cattolica e apostolica», ma certamente da alcuni mesi un bel po’ di fedeli, specie negli Stati Uniti, si interrogano su quell’aggettivo «santa». Ciò che abbiamo visto in Cile, Honduras, Irlanda, Gran Bretagna, Australia e Usa, senza contare le polemiche a Roma, ci fa porre una domanda: dov’è la santità in tutto questo? Non c’è da stupirsi, dunque, se in qualcuno c’è una crisi di rigetto. Tuttavia, annota Weigel, sbaglieremmo se parlassimo di crisi di fede. «La Chiesa cattolica è un’istituzione così grande, affascinante, complessa e leggendaria, e la vita cattolica è così focalizzata su istituzioni come parrocchie, scuole e ospedali, che è facile per i cattolici seri perdere di vista qualcosa di piuttosto semplice: i cattolici non vanno, e non dovrebbero andare, alla messa domenicale perché ammirano il papa del momento, o il loro vescovo locale, o il loro pastore. I cattolici vanno a messa la domenica per ascoltare ciò che crediamo essere la Parola di Dio nella Scrittura e per entrare in ciò che crediamo essere la comunione con Dio mediante Gesù Cristo». Insomma, per quanto si possano condividere «rabbia e disgusto per ciò che è emerso in questi ultimi mesi», Weigel suggerisce a coloro che presuppongono una crisi di fede di pensare che siamo di fronte a qualcosa di diverso: «Una sfida per capire che cosa è davvero la Chiesa». La Chiesa è fondata su Gesù Cristo, e da questo fondamento deriva la fiducia nei suoi confronti e nelle sue istituzioni. Quando questa fiducia si spezza, come è avvenuto tante volte nel corso di due millenni, «è importante rifocalizzarsi su quella che è la base della fede cattolica, la fede in Gesù Cristo». Ecco il motivo, scrive Weigel, che sta alla radice dell’essere cattolici nella Chiesa. Il motivo che porta «a fare ogni sforzo perché la Chiesa possa essere una testimonianza credibile del Signore che offre la comunione con Dio e le parole di vita eterna». Weigel ricorda che quindici anni fu molto colpito da una coppia di giovani contadini che, mentre lui firmava copie del suo libro, gli dissero che la lettura della sua descrizione della corruzione ecclesiastica, anche allora era al centro dell’attenzione, li aveva spinti a entrare, dopo due anni di indecisione, nella Chiesa cattolica. Ma come, replicò lo scrittore, proprio ora? E quelli risposero: una Chiesa che riesce a essere onesta, ammettendo ciò che è sbagliato al suo interno, dev’essere certamente fondata sulla verità e su Gesù Cristo. Dunque, non crisi di fede, ma occasione per riflettere su che cosa è veramente la Chiesa. Ed ecco perché chi crede nella guida provvidenziale di Dio deve chiedersi seriamente: perché avvengono queste cose orribili e che cosa dovremmo fare al riguardo? «La mia risposta, ispirata in parte da quegli agricoltori dell’Indiana nel 2003, è che la Chiesa è chiamata a una grande purificazione attraverso una fedeltà molto più radicale a Cristo, all’insegnamento cattolico e alla missione cattolica. I vescovi che hanno fallito nelle loro responsabilità di insegnanti, pastori e amministratori in genere lo hanno fatto perché hanno messo il mantenimento istituzionale davanti alla missione evangelica. Lasciare che il meccanismo istituzionale cattolico filasse nel modo più liscio possibile, se necessario giungendo a compromessi con la verità e la disciplina, è stato ritenuto più importante dell’offrire agli altri il dono ricevuto: l’amicizia con Gesù Cristo». Tutto questo cattolicesimo che vive all’insegna del «mantenimento istituzionale», sostiene Weigel,
«ora deve finire». Perché «lì c’è poca santità». La riforma di cui la Chiesa ha bisogno sarà dunque attuata dai veri fedeli, da coloro che, pur stimolati a protestare per la situazione della Chiesa, «non sono stati scossi nella loro fede». Di questa schiera fanno parte vescovi, sacerdoti, laici, uomini, donne, tutti accomunati dal fatto che non si accontentano di quella forma di manutenzione istituzionale chiamata stonewalling [ostruzionismo, tergiversare], sia che provenga dal loro vescovo locale negli Stati Uniti o da Roma». «Fortunatamente – conclude Weigel – questi cattolici esistono e sono tanti. E questo è il loro momento». Aldo Maria Valli Quelle “prove” contro Viganò che non provano nulla Aldo Maria Valli 30 agosto 2018 Recenti commenti giornalistici sulla vicenda dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò tendono a screditare l’ex nunzio negli Stati Uniti dopo la pubblicazione del suo memoriale. In particolare si osserva che in una cerimonia di gala negli Usa, del maggio 2012, Viganò ebbe parole di simpatia e di stima per il cardinale McCarrick, sebbene sapesse che il porporato era stato già sanzionato da Benedetto XVI, che gli aveva chiesto di non presenziare a cerimonie pubbliche e non viaggiare. Un video mostra che il nunzio Viganò, nell’aprire il suo discorso alla World Mission Dinner delle Pontifical Mission Societies, in un hotel di Manhattan, saluta prima di tutti proprio il cardinale McCarrick dicendo: «Distinti ospiti, vescovi qui presenti, e ospiti onorati questa sera come “Ambasciatori Pontifici delle Missioniˮ, che è un bel titolo. Prima di tutti, sua eminenza il cardinale McCarrick, ambasciatore già da diverso tempo, come prete, vescovo, arcivescovo, cardinale e a cui tutti noi vogliamo molto bene…». Secondo alcuni, questa sarebbe la prova che Viganò mente. Nel memoriale accusa McCarrick di non aver rispettato gli ordini imposti da Benedetto XVI, ma all’epoca lo elogiava. A mio avviso il video non prova nulla di simile. Proviamo a pensare alle circostanze. Viganò all’epoca è nunzio negli Stati Uniti da pochi mesi (dal novembre 2011). Si trova a una delle sue prime uscite pubbliche come ambasciatore della Santa Sede. L’occasione è molto prestigiosa. Quando c’è la presenza di un cardinale, dal punto di vista gerarchico, il nunzio viene dopo di lui ed è tenuto a salutarlo per primo e a rendergli onore in qualche forma. Ora, che cosa avrebbe dovuto fare il nunzio Viganò? Ignorare McCarrick? Oppure dire pubblicamente: «Eminenza, dovrei salutarla ma non lo faccio, perché lei è un mascalzone»? Oppure indicarlo al pubblico ludibrio e dichiarare: «Ecco qui il cardinale McCarrick, che si porta a letto i seminaristi e che è stato sanzionato dal papa. Lo salutiamo!». È chiaro che in un’occasione simile il nunzio, il rappresentante del papa, fa il nunzio: cioè non mette in piazza ciò che sa e ciò che sente dentro di sé. Tocca spesso agli ambasciatori nascondere le proprie emozioni e salvare le apparenze. Fa parte del loro lavoro, spesso ingrato. Dunque Viganò usa quell’espressione. Lo fa a braccio, senza particolare enfasi, e Dio solo può sapere che cosa ci fosse nell’animo del nunzio in quel momento. Ma poi che «elogio» sarebbe? Viganò dice a proposito di McCarrick che «tutti noi gli vogliamo bene». E non è proprio questo che fa il cristiano? Voler bene al peccatore, nonostante il peccato? A me sembra che con quell’espressione Viganò se la sia cavata piuttosto bene. Pur essendo all’inizio del suo mandato e quindi ancora non molto esperto come nunzio, ha tenuto a bada i suoi sentimenti ed ha salvato le esigenze del protocollo. In questi casi, ripeto, un ambasciatore è tenuto ad agire proprio così: fare come se non sapesse nulla, senza lasciar trapelare nulla. Se Viganò non avesse agito così avrebbe dato scandalo e tradito la fiducia del papa. Direte: ma perché McCarrick non rispettava gli ordini di Benedetto XVI e se ne andava in giro indisturbato? Giusta domanda. La stessa che si fece Viganò e che lo portò a concludere che McCarrick era protetto da qualcuno molto in alto, così da potersi fare beffe dello stesso papa Benedetto. Ma veniamo ora a un secondo video che sta circolando e che, secondo alcuni commenti, mostrerebbe di nuovo che Viganò è un mentitore. Si tratta del video relativo al primo, breve
incontro tra lo stesso Viganò e Francesco, al termine della riunione dei nunzi nel 2013. Viganò nel memoriale ricorda che il papa, senza preamboli, lo investì con tono di rimprovero dicendogli che «i vescovi negli Stati Uniti non devono essere ideologizzati! Devono essere dei pastori!». Ora, dicono coloro che contestano la versione di Viganò dandogli di nuovo del mentitore, il video mostrerebbe invece un papa inizialmente sorridente, per niente aggressivo, il quale, saputo di aver di fronte il nunzio negli Usa, incomincerebbe poi un discorso. Ebbene, di quel discorso non sappiamo nulla, perché il video, come succede in questi casi, è stato tagliato, in modo da non rivelare il contenuto privato della conversazione. Mi sembra comunque del tutto comprensibile che Viganò, nel ricordare quel momento, abbia conservato dentro di sé non tanto il sorriso iniziale del papa (il quale in queste circostanze sorride a tutti, nello stesso modo), ma il contenuto del breve colloquio successivo. Ecco perché Viganò nel memoriale dice che il papa, senza troppi preamboli, lo investì in tono di rimprovero. In effetti è probabile che sia andata proprio così. Dopo il sorriso iniziale, il papa si mette a parlare subito con Viganò, ma noi non sappiamo che cosa seguì perché il video non ce lo mostra. A questo punto vorrei sottolineare che se ribatto alle osservazioni critiche e alle accuse contro Viganò non lo faccio per salvare monsignor Viganò, ma per il rispetto della verità, e perché mi sembra ingiusto che accuse anche pesanti, come quella di essere un mentitore, abbiano libera circolazione. Infine una risposta a chi sostiene che Viganò sarebbe anche spergiuro, perché, pubblicando il memoriale, ha violato il segreto pontificio al quale era tenuto come nunzio. A questo proposito c’è da osservare che il segreto di cui stiamo parlando non è di natura sacramentale. Non è, tanto per intenderci, come il segreto al quale è tenuto il confessore. Il segreto al quale è tenuto un nunzio è funzionale alle esigenze della Chiesa e alla sua libertà di azione nel mondo. Ma se questo segreto viene usato non per il bene della Chiesa bensì contro di essa, se diventa cioè omertà per coprire una lobby, chi si accorge di questa perversione non solo può ma deve violare il segreto. È un suo dovere per il bene della Chiesa, nel nome della verità. Ripeto ancora una volta che se ho voluto rispondere ad alcune accuse contro Viganò non è per entrare in conflitto con altri osservatori e commentatori. Credo anzi che in tutta questa vicenda si debba accuratamente evitare di scendere sul terreno della guerra personale. Ciò che occorre è invece tenere fisso lo sguardo sulla questione in sé: la corruzione morale denunciata da Viganò. Una corruzione che, secondo l’ex nunzio, ha raggiunto ormai i vertici della Chiesa, tanto da rendere necessaria un’azione di forza, come la pubblicazione del suo memoriale, per consentire l’inizio di una purificazione. Aldo Maria Valli
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