Parlare con i bambini con difficili storie familiari - Centro Ausiliario per i problemi Minorili - Centro Ausiliario per i ...

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Centro Ausiliario per i problemi Minorili

                                            marco.chistolini@gmail.com
Parlare con i bambini
  con difficili storie
       familiari
          MILANO 7/8 MARZO 2018

             MARCO CHISTOLINI
Parlare con i bambini con difficili storie familiari - Centro Ausiliario per i problemi Minorili - Centro Ausiliario per i ...
 Perché è importante parlare con i
  bambini.
 Perché è difficile parlare con i bambini.
 Come ci sentiamo.
 Chi può parlare.
 Cosa dire.
 Come dirlo.

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 Nel dialogo ascolto e comunicazione
 sono    complementari: ascoltare          ci
 permette     di    comprendere       l’altro
 orientandoci nel suo mondo; parlare ci
 permette     di     farci    comprendere
 orientando l’altro nel (nostro, suo, altrui)
 mondo.

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   Carlo è un bambino di 6 anni. figlio unico, cresce sereno nella sua famiglia. I suoi genitori
    Andrea e Laura, si vogliono bene e hanno un bel rapporto.
   Una sera, però, le cose cambiano improvvisamente: sente i suoi genitori discutere
    animatamente, la mamma piange e grida, accusando il papà di essere uno str…., bast…,
    mentre lui le dice di non gridare che le spiegherà tutto…. Poi il papà se ne va sbattendo
    la porta. Carlo è spaventato, si avvicina alla mamma che piange seduta sul divano ed ha
    una faccia sconvolta, non osa chiedere cosa sia successo, si limita a domandare dove sia
    andato il papà e la mamma risponde che aveva un impegno…. Poi lo guarda seria e gli
    dice di non preoccuparsi, che lei e papà hanno litigato come può accadere a tutti, come a
    lui capita di fare con i suoi amici, ma che non è successo niente di grave, che tutto si
    aggiusterà, ma il suo viso è pieno di dolore e non sembra per niente serena.
   Il papà non torna quella sera a dormire, nemmeno quella dopo e quella dopo ancora….
    Lo va a prendere a scuola e passa un po’ di tempo con lui, ma è teso e triste. Anche la
    mamma è tesa e triste, ma nessuno dice nulla e Carlo preferisce non fare domande….
   Forse voi avrete capito che Laura ha scoperto che Andrea ha avuto una relazione con una
    sua collega. È molto ferita, non avrebbe mai immaginato che suo marito potesse fare una
    cosa del genere, le è crollato il mondo addosso e non sa se potrà tornare a stare con
    lui…. Andrea è andato a stare dai suoi genitori, loro e i suoi fratelli (ha una sorella ed un
    fratello) lo esortano a chiedere scusa e a ricucire con Laura. Anche nella famiglia di lei, i
    genitori e le 2 sorelle, sono molto preoccupati suo padre e sua madre la incitano a
    perdonare,, mentre le sorelle le dicono che non deve più fidarsi.
   Ma secondo voi al piccolo Carlo bisogna dire qualcosa e cosa gli andrebbe detto?

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È   prassi comune che quando accadono
  dei fatti particolarmente dolorosi e difficili,
  si preferisce non raccontarli ai bambini,
  omettendoli, se possibile, o fornendo
  informazioni vaghe e lacunose o dicendo
  delle bugie.
 In genere, si pensa che vi siano realtà
  troppo dure e dolorose per un bambino e
  che sia giusto evitargli di venirne in
  contatto
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Federico, 5 anni.
Michele, 4 anni.
Simona, 7 anni.

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È   opinione condivisa all’interno di diversi
  approcci teorici che la storia personale e
  le esperienze in essa contenute,
  influenzino significativamente lo sviluppo
  psicologico e cognitivo della persona.
 Minore    attenzione ed importanza è
  riposta sulla conoscenza della propria
  storia personale.

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Perché si deve parlare
con i bambini?
 1.   La regolazione delle emozioni.
 2.   La          mentalizzazione:
      conoscere e capire se stessi e
      gli altri.
 3.   La fiducia negli altri e nel
      proprio valore (componente
      “etica”).
 La   regolazione degli affetti
L’organizzazione del cervello

Struttura     “verticale:
 Cervello   rettiliano.
 Cervello   emotivo.
 Cervello   razionale.
Struttura     orizzontale:
 Emisfero   sinistro.
 Emisfero   destro.
Le organizzazioni
  del cervello
Nati per connettersi

 Gli    esseri      umani       sono
  ”programmati” per connettersi
  con gli altri esseri umani, anche
  attraverso queste connessioni si
  sviluppa e si organizza il cervello.
Emozioni e razionalità (Hill, 2015)

                               Attenzione

        Riflessività                                        Percezione

                             Regolazione
                             degli affetti

                   Memoria                   Rappresentazione
Due tipi di affetti

    Affetto   primario:      rappresentazione
     somatica dello stato dell’organismo
     (sensomotorio, fisiologico…).
    Due dimensioni: livello di arousal e livello
     di piacevolezza.
    Affetti “categoriali”: rabbia, disgusto
     paura, tristezza, gioia, sorpresa (Ekman,
     1975).
REGOLAZIONE AFFETTIVA
               IPER-ATTIVAZIONE

          FINESTRA DI TOLLERANZA

               IPO-ATTIVAZIONE
La regolazione affettiva
Il sistema limbico
    Il sistema limbico non processa            parole,    il
     “limbichese” è non verbale.
    Integra informazioni ascendenti dal corpo con
     informazioni discendenti dall’attività mentale e
     informazioni di carattere socio-emozionale ricevuta
     dall’interazione con altri.
    La corteccia orbito-frontale è la struttura centrale
     di organizzazione dell’organismo. Integra la mente
     con il corpo e il nostro mente corpo-mente con il
     corpo-mente dell’altro. È responsabile della
     valutazione degli stati affettivi nostri e dell’altro e
     della regolazione del nostro affetto…. (Hill, 2015)
Attivazione del sistema limbico:
          un esempio
I due emisferi cerebrali
    Il     cervello       destro     processa
     l’informazione affettiva. Prima di aver
     pensato e sentito qualcosa in maniera
     cosciente, abbiamo già sentito e
     “pensato” questo qualcosa e ce ne
     siamo fatti un’opinione implicita. Il
     compito di razionalizzarlo           e di
     attribuirgli un significato o di ripensare
     la prima reazione è attribuito
     all’attività mentale esplicita del
     cervello sinistro (Hill, 2015).
La doppia via della regolazione emotiva (Hill, 2015)

                          Input

    EMISFERO SX                        EMISFERO DX
   LINGUAGGIO                           IMMAGINI

                     SISTEMA LIMBICO

                   TRONCO CEREBRALE
Controllo primario
    Relazioni tra bambino e care-givers
     che attraverso la sintonizzazione
     emotiva e la comunicazione
     instaurano nel bambino circuiti
     neurali di attivazione bilanciata del
     simpatico e del parasimpatico del
     SNA (Hill, 2015).
    Video.
Connessioni tra informazioni
”razionali” e informazioni emotive.
    Gli    stimoli  (percettivi,  informativi)
     suscitano reazioni somatiche ed emotive.
    Le informazioni “razionali” permettono di
     dare     senso      a      tali  reazioni,
     denominandole e significandole.
    Se le informazioni razionali mancano o
     sono distorte la comprensione dei propri
     stati emotivi interni è ostacolata, parti di
     sé non potranno essere efficacemente
     integrate.
Un esempio…

    Immaginate che una persona cara
     si comporti male con voi…
 La mentalizzazione: conoscere
 e capire se stessi e gli altri,
 orientandosi     efficacemente
 nel mondo.
Mentalizzazione      (Fonagy & Target, 2006)

  Lacapacità di leggere i propri
  ed altrui stati mentali.
  Capacità  di rappresentare
  verbalmente stati intenzionali.
  Funzione   gestita dall’emisfero
  sinistro.
Mentalizzare…
    L’essere umano è un animale sociale, per
     vivere bene ha bisogno di sapere entrare
     in relazione, mediante:
    Sintonizzazione con l’altro.
    Decodifica dello stato mentale dell’altro.
    Comunicazione/condivisione dei propri
     stati interni.
    Reciproco orientamento nel proprio e
     nell’altrui mondo, condivisione di
     significati ed emozioni (video).
Conoscenza di Sé…

    Metaforicamente                  possiamo
     paragonare l’essere umano ad un
     libro, l’identità di un libro è definita da
     ciò che è scritto nelle sue pagine,
     dalla storia che racconta, allo stesso
     modo l’identità di una persona è il
     frutto di ciò che ha vissuto.
    Quindi, possiamo dire che la nostra
     storia è la nostra identità.
Il senso di vuoto
    Jamie, 24 anni: “mi sento come una
     scatola di cereali senza l’etichetta degli
     ingredienti, persino i mobili della mia
     cucina hanno una targhetta che dice di
     cosa sono fatti e su cui è scritto: non
     rimuovere”
 (da Brodzinsky, Being adopted, 1992).
    Lo smemorato di Codogno.
Conoscenza degli altri…

    Capacità di riconoscere e capire
     gli    stati  mentali      (intenzioni,
     emozioni, pensieri, ecc.) altrui
     attribuendogli un significato.
    Essere     empatici, accogliere,
     capire, essere compassionevoli….
     Sintonizzarsi,
Capire sé stessi per capire
gli altri
  Se     non    abbiamo      una
  sufficiente    conoscenza     e
  comprensione dei nostri stati
  mentali, difficilmente potremo
  riconoscere e capire quelli
  degli altri.
Teoria dell’attaccamento e
conoscenza della propria storia

                                             marco.chistolini@gmail.com
   Nella teoria dell’attaccamento
    particolare       rilevanza    viene
    attribuita   alla     conoscenza   e
    accessibilità della propria storia
    personale.
   La competenza           autobiografica
    (Holmes, 1994).
   La    A.A.I.   (Adult     Attachment
    Interview).
Bessel Van Der Kolk, Il corpo accusa il
colpo (2015).

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Per sapere chi siamo – per avere un’identità – dobbiamo
sapere (o almeno sentire di sapere) che cosa è e che
cosa era ”reale”. Dobbiamo osservare ciò che vediamo
intorno a noi e identificarlo correttamente; dobbiamo
anche essere in grado di avere fiducia nei nostri ricordi e
di distinguerli dalla nostra immaginazione. Perdere la
capacità di fare queste distinzioni è un segno di ciò che lo
psicoanalista William Niederland chiamò “assassinio
dell’anima”. La cancellazione della consapevolezza e la
coltivazione della negazione sono, spesso, essenziali per
la sopravvivenza, ma il prezzo è che si perda la traccia di
chi si è, di ciò che si sente e di coloro in cui si può avere
fiducia.
 Alcuni    studiosi    hanno    posto
 l’attenzione sull’importanza che, fin
 dalle prime settimane di vita,
 rivestono per il bambino le relazioni
 con l’adulto. Questi studi hanno dato
 vita al concetto di intersoggettività,
 definito come: “quel processo per cui
 si giunge a capire cosa hanno in
 mente gli altri e ci si adatta di
 conseguenza” (Bruner, 1997).

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   La competenza a stabilire una relazione di
    scambio comunicativo con un adulto disponibile ed
    empatico consente al bambino di condividere la
    propria esperienza soggettiva (affetti, intenzioni,
    attenzione sul mondo esterno) e, attraverso questo
    processo, imparare ad esplorare e comprendere la
    mente dell’altro e la propria, dando senso ai propri
    stati affettivi.
   Per dirla con Fonagy: “gli stati interni devono
    avere un significato per poter essere comunicati
    agli altri e interpretati negli altri, per orientare la
    collaborazione nel lavoro, nell’amore e nel gioco”.

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 «Ciò sembra implicare la necessità, nella prima
 infanzia, di un’operazione mentale che permetta
 di derivare lo stato del sé dalla percezione dello
 stato mentale dell’altro. L’esplorazione del
 significato delle azioni altrui è un precursore
 dell’abilità del bambino di catalogare ed
 attribuire significato alle proprie esperienze
 psicologiche. Possiamo ritenere questa funzione
 alla base delle capacità di regolazione affettiva,
 di controllo degli impulsi, automonitoraggio e
 dell’esperienza del sé come agente (Fonagy,
 Target, 2001).
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Watzlawick & Alt. Pragmatica della
 comunicazione umana (1967)

   Quando questi bambini percepivano
    la rabbia e l’ostilità di un genitore…. Il
    genitore      negava         di    essere
    arrabbiato... così il bambino si trovava
    di fronte al dilemma se credere al
    genitore o ai propri sensi. Se credeva
    ai propri sensi manteneva una salda
    presa sulla realtà, se credeva al padre
    manteneva la relazione di cui aveva
    bisogno, ma distorceva la propria
    percezione della realtà.
Esploratori di menti
    Omettendo o mistificando la realtà
     mettiamo il bambino in una
     condizione di non sapere se potersi
     fidare delle proprie percezioni o
     delle comunicazioni degli adulti. In
     questo modo invalideremo la
     possibilità che egli diventi un buon
     “decodificatore di menti altrui”,
     capace di sintonizzarsi e capire
     l’altro.
 Gli esseri umani, come altre specie, hanno
  tra i loro compiti essenziali quelli di
  sopravvivere e di riprodursi.
 Per sopravvivere è molto importante saper
  decodificare     correttamente    ciò    che
  succede intorno a noi, quali sono le
  intenzioni delle altre persone/animali che si
  circondano, dare senso adeguato alle
  informazioni che ci pervengono.
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 Cosa     succede quando abbiamo fatto
  esperienze di cui «non siamo a
  conoscenza» (che sono fuori dalla nostra
  coscienza)?
 I casi di Lara e di Michele.

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   La fiducia negli altri e in se stessi.
Sentirsi appartenenti

 Essere  informati degli eventi
 importanti che riguardano noi
 e gli altri, a noi vicini,
 costituisce    un   criterio di
 valutazione di quanto gli altri
 abbiano considerazione di noi.
Mi riguarda? Due criteri

  Influisce   attivamente sulla
   mia vita.
  Concerne persone a me
   care.
Per    conoscenza della propria storia
 intendiamo, quindi, una sufficiente
 consapevolezza di ciò che è accaduto
 associata all’attribuzione di significati
 e stati mentali (nelle persone
 coinvolte) realistici e coerenti con i
 fatti.

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 Parlare   al bambino di avvenimenti dolorosi che
  lo riguardano pone il problema di quanto gli
  operatori possano/debbano essere incisivi nel
  parlare al bambino.
 È diffusa l’opinione che sia corretto affrontare
  con il minore solo quei temi che lui si sente di
  trattare, l’idea sottostante è che interventi che
  “forzassero” le difese del soggetto avrebbero
  l’effetto di rinforzarle o di destabilizzarne
  l’equilibrio.

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 Naturalmente essere attivi non significa
  essere aggressivi.
 Quindi la comunicazione e
  l’accompagnamento verranno condotti
  con:
 Garbo
 Empatia
 Gradualità

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La ri-attivazione
         traumatica

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•   Quando i fatti di cui si intende
    parlare    hanno     avuto     una
    portata    traumatica      per    il
    bambino,       si   dovrà      fare
    particolare attenzione a trattarli
    in un contesto adeguato e
    all’interno di una relazione
    protettiva e rassicurante.
• Le esperienze vissute rimangono “scritte”
  nella memoria senso-motoria del bambino.
• I fatti sostengono le spiegazioni e le
  rinforzano.
• Non si comunica solo a parole.
• Informazioni omesse possono essere
  scoperte nel futuro.
• Attendere      può      comportare  gravi
  controindicazioni (Citazioni).
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Imodelli organizzativi e la cultura
 dell’emergenza.
I   bambini non capiscono.
A   chi compete?
 L’alleanza   con i genitori.
 Le   caratteristiche psicologiche dell’adulto.

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 LA   DIMENSIONE SOGGETTIVA

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 Ipotizziamo     che la difficoltà ad informare e
    accompagnare i bambini sia connessa anche ad
    aspetti riconducibili all’operatore come persona.
    Tra questi fattori vi sono:
   La difesa dal dolore.
   Lo stile di attaccamento.
   Le esperienze personali.
   La cultura di riferimento.

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Parlare con un    minore significa
 (anche) avventurarsi su un terreno
 non completamente prevedibile,
 dove si devono sapere gestire le
 emozioni del bambino e le proprie.
 > (Herman,
 2005, p.184)
I  vissuti dolorosi e/o traumatici dei
 bambini       possono        ripercuotersi
 sull’operatore,   che      può     attivare
 meccanismi difensivi a sua protezione
 (rimozione, distanziamento        emotivo,
 negazione, scissione, ecc.)
 Cosa   succede quando si danno informazioni e
 significati dolorosi ad un bambino?
 Si provoca in lui un vissuto di sofferenza, paura,
 rabbia, vulnerabilità, ecc., che lo porta ad
 attivare il sistema dell’attaccamento attivando
 comportamenti diversi in base al suo stile di
 attaccamento. Comportamenti che potranno
 andare dall’indifferenza (stile evitante), alla
 protesta disperata (stile ambivalente), passando
 per la tristezza e lo sconforto (stile sicuro).

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   Ai segnali del bambino l’operatore risponderà in base al
    suo stile di attaccamento.
   Se è autonomo vedrà attivarsi il suo sistema
    dell’accudimento, provando il desiderio di fornire al
    bambino rassicurazione e protezione. In questo modo si
    troverà a dover gestire un paradosso affettivo-
    comportamentale,        in      quanto          assume,
    contemporaneamente, il ruolo di colui che infligge
    sofferenza e che vuole dare sicurezza!
   Questo spiega il frequente verificarsi di comunicazioni
    ambigue, volte ad “indorare la pillola”, che danno un
    colpo al cerchio ed uno alla botte.

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 Se  l’operatore è invischiato percepirà i segnali
  del bambino come un grave rischio alla tenuta
  della loro relazione, si sentirà fortemente in
  ansia, preoccupato, e quindi in difficoltà a dare
  informazioni e significati dolorosi.
 È probabile, inoltre, che vi sia, nei soggetti
  invischiati, un forte meccanismo anticipatorio che
  faccia percepire come estremamente dolorosa e
  rischiosa la comunicazione prima ancora di
  effettuarla.

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 Se   l’operatore è distanziante affronterà il tema
  dell’informazione minimizzandone l’importanza,
  adottando un approccio pragmatico (a cosa
  serve dargli queste informazioni?) e/o ottimistico,
  distorcendo in senso positivo avvenimenti e
  significati della storia del bambino (ad esempio
  connotando positivamente i genitori).
 Inoltre, cercherà di evitare la comunicazione per
  evitarsi il disagio di trovarsi in una situazione ad
  alta intensità emotiva.

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 Esperienze  vissute dall’operatore possono
 influire nel determinare l’atteggiamento
 dell’operatore        relativamente     alla
 comunicazione con il minore.
È    sempre, possibile, infatti, che le
 situazioni di cui ci occupiamo facilitino
 proiezioni ed identificazioni.

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 Si deve considerare che:
 il significato degli avvenimenti e delle
  condizioni esistenziali;
 la «dicibilità» di un tema;
 sono fortemente influenzati dalla cultura di
  appartenenza.

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 Esercitazione
Centro Ausiliario per i problemi Minorili

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Parlare con i bambini
  con difficili storie
       familiari
          MILANO 7/8 MARZO 2018

             MARCO CHISTOLINI
IL METODO:
Alcuni principi.

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 Prima  di iniziare un percorso di comunicazione
  è importante stabilire quali obiettivi ci
  prefiggiamo. In altre parole cosa vogliamo che
  il bambino sappia e capisca.
 Ciò significa avere una progettualità che
  richiede TEMPO (ma non sempre è possibile
  avere il tempo che servirebbe…).
 Però, se lavoriamo bene, il tempo lavora per
  noi.

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 Solitamente     sono i genitori ad aiutare i
  bambini a mantenere un equilibrato senso
  di continuità interna.
 A volte i genitori non hanno, per le loro
  difficoltà personali, la capacità di svolgere
  questa funzione oppure si trovano in
  conflitto d’interessi con il bambino.

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 Quando  i genitori non sanno o non vogliono
 parlare in modo corretto ai figli il compito di
 informare ed accompagnare i bambini spetta
 agli operatori che assumono un ruolo molto
 importante.

 Tale   significatività discende da due aspetti:
  L’assenza di adulti di riferimento competenti.
  La complessità che caratterizza le storie dei minori
   in difficoltà.

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È   chiaro che in primo luogo si deve cercare di
  avere la collaborazione delle figure significative
  per il bambino.
 Si deve quindi lavorare con impegno in questa
  direzione cercando di ottenete la massima
  condivisione possibile dei messaggi da dare al
  bambino, senza però snaturarne la sostanza.
 L’atteggiamento dei familiari condiziona ciò che
  possiamo fare e come possiamo farlo.
 A volte, dovremo spiegare le diverse posizioni
  degli adulti.
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 Per parlare al bambino non è necessario
 essere psicologi o psicoterapeuti, si deve
 piuttosto avere:
  • Capacità relazionali;
  • Disponibilità emotiva;
  • Una relazione significativa con il bambino;
  • La convinzione che informare e significare è
   necessario.

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 Laddove    sia possibile il coinvolgimento di
  altre figure affettivamente significative nel
  percorso di informazione e significazione è
  particolarmente importante.
 Ciò al fine di:
 Dare maggiore credibilità alle informazioni
 Rafforzare le significazioni
 Incrementare il sostegno emotivo

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                                                  73
La   dimensione informativa.

La   dimensione esplicativa.

La   dimensione esplorativa.

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                                           74
Chiarità l’importanza di conoscere
 la propria storia, si potrebbe
 chiedere se sia proprio necessario
 raccontare tutti i fatti salienti o se
 non sia preferibile omettere quelli
 più dolorosi.

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 Il criterio di attinenza o coinvolgimento.
 Il criterio di rilevanza
 Il criterio di impatto.
 Il criterio di congruenza.
 Il criterio di sostenibilità.

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In assenza di informazioni sulla
 storia del bambino o su parte di
 essa, si dovrà utilizzare lo
 strumento della: «ipotizzazione
 verosimile».

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La  conoscenza è importante, ma
 ancora di più lo è la comprensione.
Ciò di cui abbiamo bisogno è dare un
 senso a quello che ci succede.
Dopo aver conosciuto i fatti la
 domanda che ci guida è relativa al
 perché.

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 Le   inadeguatezze dei genitori devono
  essere spiegate come qualcosa di
  «negativo» dovuto a carenza o assenza di
  risorse psicologiche e relazionali prodotte
  da una storia personale non positiva.
 Quindi, non sono capaci di prendersi cura
  di te perché non hanno imparato ad essere
  bravi genitori (tanto è vero che…).
 Questa interpretazione si basa su di una
  visione compassionevole dell’altro che
  sbaglia.
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                                                80
I  genitori vengono proposti al bambino
  come persone fragili, che non erano
  sufficientemente attrezzate a crescerlo a
  causa di una storia personale difficile.
 Gli vogliono bene (forse), ma un bene non
  sufficiente a rispondere ai suoi bisogni.

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 Quando     si vivono o sono state vissute
  esperienze       importanti,    non   basta
  conoscerle e comprenderle, abbiamo
  bisogno di capire ed esprimente ciò che ci
  suscitano.
 Facilitare l’espressione di ciò che provoca
  sapere (o non sapere) o immaginare è
  molto importante.

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 Cosa   pensi di…? Come ti senti
  quando…?
 È comprensibile sentirsi in questo modo.
 Anche a me succede di pensare/sentirmi
  quando…
 Se fossi al tuo posto mi sentirei…
  penserei… avrei voglia di… anche tu?

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Criteri       e tecniche.

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1.   Chiarire contesto e ruoli.
2.   Costruire una relazione (autorevolezza di
     ruolo).
3.   Partire dall’esperienza del bambino (ciò che sa
     e ha vissuto).
4.   Collocazione delle informazioni all’interno di
     una trama narrativa complessiva.
5.   Attenzione e rispetto dei sentimenti del
     bambino (rispecchiamento, anche della fatica).
6.   Il concetto di «verità sostanziale».
7.   Usare esempi concreti e le parole «giuste».
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 Consiste  nel dire la «sostanza» di ciò che si
  conosce, utilizzando parole ed esempi chiari,
  chiamando le cose con il loro nome o con altri
  termini sostitutivi ma realistici ed omettendo
  dettagli eccessivamente crudi e non necessari.
 Prevede     successivi   approfondimenti      e
  precisazioni da calibrarsi sulla progressiva
  metabolizzazione delle informazioni date, sulla
  crescita del bambino e sul suo soggettivo
  bisogno di saperne di più.

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 Si  deve fare attenzione ad utilizzare
  termini semplici e vicini all’esperienza
  del bambino.
 Sforzandosi di spiegare cosa voglia dire
  una    certa    cosa     piuttosto   che
  preoccuparsi    di   come       chiamarla
  (esempio droga, carcere, ecc.)

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 Attenzione     alla           comunicazione   non
  verbale.
 Il riepilogo
 I disegni.
 L’album.
 Le fiabe.
 Il diario.

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 Usare personaggi del mondo animale.
 Includere i protagonisti del mondo reale.
 Includere     gli   avvenimenti     realmente
  accaduti.
 Dare significato agli avvenimenti.
 Dare voce ai sentimenti e alle intenzioni dei
  protagonisti (in particolare del bambino).

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                                                  90
   Decidere quali informazioni è opportuno trasmettere al
    bambino secondo i criteri enunciati.
   Chiedersi cosa il bambino sa o potrebbe sapere.
   Decidere in che modo trasmettere le informazioni.
   Chiedersi come il bambino potrebbe sentirsi.
   Sintonizzarsi con pensieri ed emozioni del bambino.
   Chiedersi quali risonanze emotive hanno per noi quelle
    informazioni.
   Valutare se ed in che modo è possibile coinvolgere i familiari
    (dando conto al bambino della loro posizione).
   Valutare se possibile coinvolgere altre figure affettivamente
    significative o altri colleghi.
   Garantire la processualità della comunicazione.

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   GRAZIE!
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