Numeri e Qualità del Lavoro sotto la Lente - CISL

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Numeri e Qualità del Lavoro sotto la Lente - CISL
Dipartimento Lavoro Formazione Contrattazione

                      Ufficio Studi

Numeri e Qualità
del Lavoro sotto
la Lente

OSSERVATORIO
MERCATO DEL LAVORO

In questo numero - Approfondimento:
La formazione per gli adulti in Italia, ovvero
Cenerentola aspetta ancora il principe azzurro

CISL
1° Maggio 2015 - n. 1
Numeri e Qualità del Lavoro sotto la Lente - CISL
Chiuso il 24 aprile 2015

Coordinamento del rapporto: Paolo Carraro, Gabriele Olini

A cura di: Gabriele Olini. Anna Rosa Munno e Uliano
Stendardi hanno redatto il riquadro relativo alla
contrattazione della formazione secondo l’Osservatorio OCSEL.

I dati, se non specificato diversamente, sono di fonte ISTAT.
Numeri e Qualità del Lavoro sotto la Lente - CISL
1° Maggio 2015

IN BREVE
   Nel 2014, pure in presenza di un ulteriore calo del PIL, gli occupati
    hanno avuto una piccola crescita, essenzialmente per effetto della
    crescita del lavoro a termine e del part time di necessità, involontario.
    Andamenti poco soddisfacenti sia dal punto di vista quantitativo, che
    soprattutto della qualità del lavoro.

   Il Bonus occupazionale e lo sgravio IRAP sui rapporti a tempo
    indeterminato, percepiti come favorevoli a miglioramenti quantitativi
    e qualitativi del mercato del lavoro, hanno rafforzato le attese delle
    famiglie sull’occupazione, come emerge dai dati dell’ISTAT del clima
    di fiducia.

   Le nuove convenienze per i rapporti a tempo indeterminato
    dovrebbero nei prossimi mesi rafforzare la stabilità dei rapporti. Vi
    sono al momento alcune evidenze in tal senso provenienti da fonti
    amministrative, che necessitano, però, di una verifica. Un’idea più
    chiara si potrà avere a giugno, quando l’ISTAT pubblicherà i dati di
    consuntivo del primo trimestre 2015.

   Una serie di fattori pone le condizioni per una ripresa, ma fino a
    quando la crescita del PIL sarà bassa, come nelle attese dello stesso
    Governo, poco si potrà sperare sull’aumento dell’occupazione. Per
    ulteriori risultati la politica europea deve diventare più favorevole alla
    crescita e l’Italia deve utilizzare tutti gli spazi di flessibilità.

   Il Bonus per i nuovi assunti deve essere previsto anche oltre il 2015.
    Le obiezioni, che sono state fatte allo strumento, che porterebbe le
    imprese a licenziare per poi riassumere, non appaiono consistenti in
    presenza di un’indennità di licenziamento adeguata. Soprattutto se vi
    è un buon investimento in formazione per il nuovo assunto, che
    rafforza il rapporto tra dipendente e impresa. Questo numero
    dell’Osservatorio sviluppa un ragionamento al riguardo.

   La crescita delle competenze degli addetti, la loro esperienza e la
    formazione specifica nell’impresa costituiscono il miglior salvagente
    contro il licenziamento, una garanzia per non retrocedere nella propria
    condizione di lavoro, uno strumento per la realizzazione personale.
    Purtroppo l’Italia era molto indietro per la formazione per gli adulti e
    in questi anni le distanze con l’Europa si sono allargate, non si sono
    ridotte. Cenerentola non sembra aver trovato il suo Principe Azzurro.
    Siamo con un tasso di partecipazione alle attività di istruzione e di

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Numeri e Qualità del Lavoro sotto la Lente - CISL
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    formazione per la popolazione tra 25 e 64 anni nelle ultime 4
    settimane prima dell’indagine del 7,6% nel 2014 (6,2% nel 2007)
    lontanissimi dall’obiettivo fissato per il 2010, che era del 12,5% . Gli
    altri paesi, che già erano davanti a noi, hanno ulteriormente
    accelerato. Se ci abbiamo messo sette anni per arrivare al 7,6%,
    rischiamo di raggiungere il 15% dell’Europa 2020 solo intorno al 2050.
    Una prospettiva intollerabile per la competitività delle nostre imprese
    e del sistema.

   Per di più i dati italiani mostrano una distribuzione delle opportunità
    formative molto sperequata a danno degli addetti che hanno un basso
    titolo di studio, delle persone non più giovani, di coloro che lavorano
    nelle piccole imprese, di chi è disoccupato. Si accentua, così, il
    dualismo del mercato del lavoro e la diseguaglianza nella società.

   Bassi tassi di partecipazione alle attività di istruzione e formazione
    riguardano certo il Sud ( generalmente tra il 4 e il 5% nel 2014), ma
    anche realtà economiche ben più forti come il Veneto (5,6%), il
    Piemonte (6%), le stesse Lombardia ed Emilia (6,6%).

   L’Osservatorio OCSEL – CISL della contrattazione di 2° livello mostra
    un pesante ripiegamento della trattazione della formazione negli
    accordi decentrati (analizzata in uno specifico riquadro); l’incidenza di
    questo tema sul totale degli accordi è passata dal 19% del 2009 al 5%
    nel 2014. I contenuti delle attività formative restano tarati sulle
    competenze di base piuttosto che posizionati su quelle strategiche. Il
    sindacato appare anche poco coinvolto nella definizione delle
    caratteristiche dei partecipanti ai corsi formativi.

   Bisogna rilanciare fortemente il ruolo della negoziazione della
    formazione per farne crescere la quantità e la qualità. E’ necessario
    rafforzare le opportunità formative per i soggetti più deboli, anche
    fortificando la cultura dell’apprendimento nel luogo di lavoro. Sapendo
    che la capacità di fare formazione è legata alla capacità di immaginare
    il futuro, prossimo e lontano, dell’impresa. Per fare questo dialogo
    sociale e contrattazione non sono un impedimento, ma anzi un motore
    in più. Le analisi della Fondazione di Dublino mostrano che le imprese
    più attive sulla formazione e con un approccio inclusivo, che offre
    maggiori opportunità in termini di permessi e corsi alla maggior parte
    degli addetti, hanno le migliori performance economiche ed hanno
    dipendenti che dichiarano un maggiore benessere sul lavoro.

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                            INDICE

1. L’ANDAMENTO DELL’OCCUPAZIONE                                pag. 5

2. LE ATTESE OCCUPAZIONALI NEL 2015                             pag. 13

    Riquadro:   Gli   Incentivi  All’assunzione                 pag. 17
    Favoriscono I Licenziamenti Alla Fine Del
    Periodo?

3. LE PERSONE IN CERCA DI OCCUPAZIONE E LA                      pag. 19
   CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI

APPROFONDIMENTO                                                 pag. 23

La Formazione per gli Adulti in Italia

    Riquadro: I Dati Dell’osservatorio Della Contrattazione     pag. 42
    Decentrata Ocsel-Cisl Del 2013/2014: La Formazione

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1. L’ANDAMENTO DELL’OCCUPAZIONE
   1.1. A fine 2014 l’occupazione cresce leggermente soprattutto per
        effetto del part time e del lavoro a tempo determinato

Dall’aprile 2008 l’Italia ha perso secondo l’ISTAT più di 900 mila
occupati; la grande crisi iniziata più di sette anni fa ha cancellato il lavoro
di un numero enorme di persone, investendo territori, città, settori,
tipologie diverse. Il nostro tasso di occupazione, ovvero il rapporto tra il
numero degli occupati e la popolazione tra 15 e 64 anni, già molto basso a
livello europeo, è
calato     dal     59%
all’inizio del 2008 al
55,7% registrato a
febbraio 2015. E’ la
conseguenza       della
caduta del Prodotto
Interno Lordo, cioè
della nostra attività
economica, che ha
cumulato dall’inizio
della crisi un calo
dell’8,9%      ed     è
tornato ai livelli
precedenti al 2000.

E’ da queste premesse, dunque, che va giudicata la notizia pure positiva
                                             di       una        ripresa
                                             dell’occupazione, avutasi
                                             negli ultimi mesi: 93 mila
                                             occupati rispetto a dodici
                                             mesi prima. L’andamento
                                             del PIL in termini reali
                                             anche nel 2014 non è
                                             stato brillante; anzi si è
                                             ridotto ancora dello 0,4%
                                             rispetto      al      2013.
                                             L’occupazione, dopo due
                                             anni di calo, nella media
                                             del 2014 è cresciuta dello
                                             0,4%, (pari a 88.000 unità

                                                                                4
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in confronto all’anno precedente). Come si spiega, dunque,
quest’apparente divaricazione? Innanzitutto bisogna considerare che
questi dati, derivanti dalle indagini delle forze di lavoro dell’ISTAT, sono
in termini di “teste” occupate; in questo caso si contano, dunque, quante
persone sono, non quale mole di lavoro producono. L’aumento
dell’incidenza del part time, perciò, rende “compatibili” una riduzione
dell’attività economica con un aumento dell’occupazione. E in effetti nel
2014 i part timer hanno continuato ad aumentare a ritmo sostenuto con
128 mila occupati in più ed una crescita del 3,1% rispetto all’anno prima;
si tratta, peraltro, molto spesso di part time involontario; di persone, cioè,
che avrebbero optato per un orario più lungo, se ne avessero avuto
l’opportunità. A fronte dell’aumento del lavoro a tempo parziale, c’è stata,
invece, sempre nella media dell’anno una nuova discesa dell’occupazione
a tempo pieno con un calo di 35 mila unità, pari a -0,2%.

Nel IV trimestre 2014, però, la situazione è un po’ migliorata, perché,
oltre alla crescita del part time, gli occupati a tempo pieno hanno segnato
un primo, modesto aumento tendenziale (+0,2%, pari a 28 mila occupati
rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente); ed, in effetti, tale
andamento è coerente con il fatto che il PIL negli ultimi tre mesi
dell’anno ha smesso di ridursi. Ma è vero, però, che in una fase di “attesa”
di un miglioramento effettivo dell’attività economica, le imprese hanno
privilegiato il ricorso a modalità di rapporto di lavoro meno stabili e
“impegnative”; è proseguita, dunque, per il terzo trimestre consecutivo la
crescita dell’occupazione a termine con 145 mila addetti in più rispetto ad
un anno prima con un aumento del 6,6%. Anche i collaboratori, dopo la
forte riduzione precedente innescata dalla Riforma Fornero, sono
aumentati nel trimestre di circa 30 mila persone rispetto a 12 mesi prima.
L’aumento dell’occupazione nel IV trimestre è fatta, dunque, da numeri
ridotti e una qualità dei rapporti di lavoro non “da urlo”.

   1.2. L’occupazione femminile tiene, ma solo per la crescita del part
        time; l’orario ridotto si diffonde anche tra gli uomini
Nel corso del 2014 la crescita dell’occupazione ha riguardato sia gli
uomini (+0,2%, pari a 31 mila unità) che le donne (+0,6%, con 57 mila
persone in più). La migliore dinamica nel IV trimestre 2014 riguarda
ancora soprattutto le donne (con una crescita tendenziale dell’1%).
Dall’inizio della crisi l’occupazione degli uomini si è ridotta del 6,3%, a
fronte di una modesta crescita di quella femminile dello 0,7%. Se però si
valuta l’occupazione a tempo pieno, i valori sono pesantemente negativi

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  anche per le donne; il calo percentuale nei sei anni è del 5,5% a fronte del
  9,4% degli uomini.

  La tabella evidenzia ancora la forte diffusione del lavoro a tempo parziale
                                                              cresciuto del 16,7% tra le
                                                              donne ed addirittura del
Occupati per genere e regime di orario
                                                              48,7% tra gli uomini.
Variazioni in migliaia tra 2008 e 2014 e tra 2013 e 2014      Dunque, se i rapporti a
Sesso Regime orario                 2008       2014 Var. %
                                                              tempo ridotto restano
                                                              decisamente più diffusi
         Tempo pieno             13090,3 11862,3         -9,4 tra le donne, essi hanno
Uomini Tempo parziale              730,1     1083,0     48,3  costituito sempre di più
                                                              nella crisi uno sbocco
         Totale                  13820,3 12945,3         -6,3
                                                              anche per gli uomini. La
         Tempo pieno              6693,3     6325,6      -5,5 quota di donne occupate
                                                              resta con il 46,8% nel
Donne Tempo parziale              2576,7     3008,0     16,7
                                                              2014 molto bassa con
         Totale                   9270,0     9333,7       0,7 circa dodici punti di
         Tempo pieno             19783,6 18187,9         -8,1
                                                              differenza rispetto al
                                                              dato medio dell’Unione
Totale Tempo parziale             3306,8     4091,0     23,7  Europea;               nel
         Totale                  23090,3 22278,9         -3,5 Mezzogiorno, poi, il tasso
                                                              di occupazione femminile
                                                              precipita al 30,4% .

      1.3. Forte calo degli occupati dal 2008 nella manifattura e nelle
           costruzioni; il terziario peggiora nel 2014
  Il grafico e la tabella mostrano la variazione del numero degli occupati in
  migliaia tra il 2008 ed il 2014 e tra il 2013 ed il 2014. Le cadute più
  rilevanti in ragione della crisi hanno riguardato l’industria in senso
  stretto e le costruzioni con un calo rispettivamente nei sei anni pari a 420
  mila e 470 mila addetti. Nel settore edile, tuttavia, l’occupazione, sempre
  in termini di “teste” si è ridotta ancora nel 2014 per circa 70 mila addetti,
  mentre nel manifatturiero c’è stato un recupero nell’ultimo anno di 60
  mila persone. L’andamento è stato molto negativo anche nel commercio,
  ridottosi nei sei anni di 230 mila addetti di cui 60 mila nel 2014, e
  nell’insieme del settore dei trasporti, credito, assicurazioni, informazione
  e comunicazione con un calo di 50 mila persone dal 2008. Nel medio
  periodo il numero degli occupati è calato per circa 70 mila addetti anche
  nell’amministrazione pubblica, ricomprendendo anche i settori
  dell’istruzione e della sanità. Sono decisamente pochi i settori con un

                                                                                        6
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saldo occupazionale positivo. Tra questi gli alberghi e la ristorazione, che
hanno avuto una crescita di 110 mila addetti, di cui 42 mila nel 2014 ed i
servizi alle imprese con un aumento di 40 mila persone. Più forte, invece,
la crescita per i servizi alle famiglie, dove l’incremento dal 2008 è stato di
310 mila unità.

                    Occupati per settore di attività economica
                    Variazioni in migliaia tra 2008 e 2014 e tra 2013 e 2014

                                                                                      2008-           2013-
                                                                                       2014            2014
                    Agricoltura                                                         -42              13
                    Industria in senso stretto                                         -419              61
                    Costruzioni                                                        -468             -69
                    Commercio                                                          -226             -61
                    Alberghi e ristorazione                                             110              42
                    Trasporti, credito, assicurazioni,
                    informazione e comunicazione                                        -51                -7
                    Servizi alle imprese                                                 38                34
                    Amministrazione pubblica, istruz.
                    e sanità                                                            -65                37
                    Servizi famiglie e altri serv. collett.                             313                40

                                         Occupati per settore di attività economica
                                        Variazioni in migliaia tra 2008 e 2014 e tra 2013 e 2014

                                                                 Agricoltura

                                                 Industria in senso stretto

                                                                Costruzioni

                                                                Commercio

                                                                                                                                  2013-2014
                                                     Alberghi e ristorazione
                                                                                                                                  2008-2014

                                         Trasporti, credito, assicurazioni,
                                         informazione e comunicazione

                                                       Servizi alle imprese

                                      Amministrazione pubblica, istruz e
                                                   sanità

                                      Servizi famiglie e altri serv. collett.

  -600,0   -500,0   -400,0   -300,0         -200,0          -100,0              0,0   100,0        200,0        300,0     400,0

                                                                                                                                      7
1° Maggio 2015

    1.4. Il titolo di studio conta, ma ai giovani non assicura un accesso
         facile all’occupazione
Nel corso della crisi la riduzione del tasso di occupazione ha riguardato
qualunque livello di istruzione, anche se la flessione è stata minore per i
                                                               laureati.       La
Tasso di occupazione
                                                               tabella    mostra
                                                               come,          con
Occupati su popolazione di riferimento                         riferimento alla
                                                               popolazione    tra
                                                               15 e 64 anni, la
                              15 -64 anni      25 -34 anni
                                                               percentuale     di
                              2008       2014  2008      2014 occupati     si   è
                                                               ridotta dal 78,5%
Licenza elementare,
nessun titolo di studio        29,9       28,0  44,3      40,7 nel 2008 al 75,5%
                                                               nel 2014 per i
Licenza media                  51,2       44,7  65,5      51,4
                                                               laureati; il calo
Diploma                        67,9       62,6  73,7      63,1 per i diplomati è
                                                               stato, invece, di
Laurea e post-laurea           78,5       75,5  72,0      61,9
                                                               cinque punti e di
Totale                         58,6       55,7  70,1      59,4 6,5 per coloro che
                                                               hanno solo la
                                                               licenza media. Un
titolo di studio elevato migliora generalmente l’occupabilità; i tassi di
occupazione per i meno istruiti sono particolarmente bassi. Chi ha al
massimo la licenza elementare ha circa un terzo della probabilità di avere
un lavoro rispetto ad una persona con un’istruzione terziaria.

Per i più giovani, però, il titolo di studio elevato non garantisce un
ingresso agevole nel mercato del lavoro. La stessa tabella mostra per la
fascia tra 25 e 34 anni che i tassi di occupazione sono molto meno
diversificati rispetto all’insieme della popolazione in età lavorativa. Il
tasso di occupazione dei laureati è inferiore, anche se di poco, rispetto a
quello dei diplomati ed il calo rispetto al 2008 è del tutto allineato agli
stessi. C’è, dunque, una specifica difficoltà dei più giovani a far valere le
competenze acquisite. La difficoltà comunque è maggiore e
temporalmente crescente per coloro che hanno solo la licenza media.

                                                                                 8
1° Maggio 2015

    1.5. Precipita l’occupazione giovanile, mentre cresce per effetto delle
         riforme pensionistiche la permanenza nell’attività dei
         lavoratori più anziani
Il combinato disposto della crisi e l’allungamento della vita lavorativa
determinata dalle riforme previdenziali hanno portato ad un forte calo
dell’occupazione giovanile e a un aumento degli occupati più avanti con
l’età.

A partire dal 2008 il tasso di Occupati per classe di età
occupazione per le persone con Variazioni in migliaia tra 2008 e 2014 e tra 2013 e 2014
meno di 35 anni è calato di circa                                   2008-2014 2013-2014
11 punti, passando dal 50,3% 15 -24 anni                                   -514       -46
dell’inizio del periodo al 39,1% del   25 -34 anni                       -1413       -102
                                       35 -44 anni                         -711      -161
2014; l’impatto più forte si è avuto 45 -54 anni                            696        77
per i giovani uomini con un calo di 55 -64 anni                           1053        286
14 punti, ma ha superato gli otto 65 anni e più                              78        34

punti anche per le donne. Le coorti
più giovani si sono trovate immerse in una situazione drammatica; da un
lato la difficoltà ad entrare nel lavoro per coloro che ultimavano il ciclo
educativo; dall’altro la maggiore esposizione a rapporti di lavoro precario
ha portato più frequentemente i giovani occupati a perdere il lavoro.

   Tasso di Occupazione - Classe 15 - 34 anni

                               Uomini          Donne            Totale
                            2008   2014     2008   2014     2008      2014

   Nord                       68,7   53,5    55,6    43,9     62,3        48,7
   Nord-ovest                 68,1   52,4    55,5    44,2     61,9        48,3
   Nord -est                  69,6   55,0    55,7    43,5     62,7        49,3
   Centro                     60,5   47,3    47,8    38,8     54,2        43,1
   Mezzogiorno                45,3   32,2    26,1    20,8     35,8        26,6
                  TOTALE      58,0   44,0    42,5    34,0     50,3        39,1

Molto spesso tutto ciò si è tradotto in una perdita di fiducia che ha
alimentato il fenomeno dei NEET, ovvero delle persone giovani che non
lavorano e non frequentano nessun corso di istruzione o formazione. Più
fisiologicamente a ridurre il tasso di occupazione hanno contribuito anche
l’aumento della scolarizzazione e l’allungamento dei percorsi formativi.
Sui numeri assoluti dell’occupazione giovanile hanno inciso anche i fattori
demografici con la netta diminuzione della popolazione tra i 15 ed i 34

                                                                                 9
1° Maggio 2015

 anni, calata per quasi un milione rispetto al 2008. Così dall’inizio della
 crisi ci sono quasi due milioni di occupati in meno nella fascia fino a 34
 anni.

 Le difficoltà dei giovani si sono registrate in tutte le ripartizioni
 geografiche, ma con maggiore difficoltà nel Mezzogiorno; qui il tasso di
 occupazione, già molto basso all’inizio del periodo, si è ridotto dal 35,8%
 del 2008 al 26,6% nel 2014.

 Le quote di occupati per classe di età si sono molto modificate nel mercato
 del lavoro, con un’evidente riduzione del peso del lavoro giovanile. Dal
 2008 al 2014 gli occupati secondo le indagini delle forze di lavoro sono
 calati di 1 milione e 920 mila unità tra i 15 ed i 34 anni di età. C’è poi
 un’ulteriore caduta tra 35 e 44 anni con altre 700 mila persone.

Tasso di Occupazione - Classe 55 - 64 anni

                                        Uomini          Donne             Totale

                                     2008    2014    2008    2014      2008     2014

Titolo di studio

Licenza elementare o nessun titolo    33,6    34,9    10,8      12,1     19,8      21,0

Licenza media                         39,8    49,4    23,1      29,3     32,1      39,6

Diploma                               52,8    64,3    37,8      49,8     46,0      57,1

Laurea e post-laurea                  74,8    81,6    55,5      69,5     65,6      75,6

                            TOTALE    45,3    56,5    23,9      36,6     34,3      46,2

 Al contrario vi è stata la crescita dell’occupazione dei lavoratori più
 anziani. I cambiamenti demografici determinano un ampliamento della
 popolazione più anziana, nata nel periodo del baby boom. Ma soprattutto
 pesano i cambiamenti sedimentatisi delle regole previdenziali, che, a
 partire dal 1992, sono diventate ancora più stringenti fino alla recente
 Riforma Fornero, e hanno ritardato le uscite. Nonostante la crisi gli
 occupati tra i 45 ed i 54 anni sono cresciuti di 700 mila unità, mentre tra
 55 e 64 anni di un altro milione. Dal 2010 la riduzione delle uscite verso
 la pensione ha riguardato soprattutto le età comprese tra i 57 ed i 60
 anni. Un fattore importante di differenziazione è dato dal titolo di studio;
 la tavola sopra mostra come gli incrementi più elevati del tasso di
 occupazione tra i lavoratori anziani si è avuto per i diplomati (per uomini

                                                                                    10
1° Maggio 2015

e donne) e per i laureati (soprattutto donne). Si tratta, cioè, di coloro che
già avevano un tasso di occupazione più elevato. I soggetti più deboli,
coloro che hanno un titolo di studio non superiore alla licenza elementare
e le donne con licenzia media hanno aumentato la permanenza, ma in
misura più limitata; questo sta ad indicare la maggiore difficoltà a
mantenere una presenza attiva sul mercato del lavoro con un titolo di
studio basso.

   1.6. Il Mezzogiorno ha continuato a perdere occupazione
Secondo l’ultimo Rapporto SVIMEZ negli anni di crisi 2007-2013 il Pil del
Mezzogiorno ha perso il 13,3% contro il 7% del Centro-Nord. Ciò ha reso il
                                                Paese      ancora     più
                                                spaccato e diseguale.
Occupati per territorio
                                                  Naturalmente
Variazioni in migliaia tra 2008 e 2014 e tra 2013 e 2014
                                                                        questi
                                                  divari si sono riflessi
                                                  sulle             tendenze
                            2008-                 dell’occupazione.       Dal
                            2014       2013-2014  2008 al 2014 il Sud ha
                                                  perso un numero doppio
 Nord                             -284         47
                                                  di     occupati     rispetto
 Nord-ovest                       -163         15 all’Italia Settentrionale,
 Nord-est                         -121         32 pur avendo un numero di
                                                  addetti che è all’incirca la
 Centro                             48         86
                                                  metà. L’allargamento del
 Mezzogiorno                      -576        -45 divario è stato dovuto alla
                                                  maggiore dipendenza del
                     Totale       -811         88
                                                  Mezzogiorno            dalla
                                                  domanda interna, alla
minore reattività delle esportazioni ed alla marcata contrazione delle
costruzioni e delle industrie manifatturiere meridionali. Cosa ancora più
grave è che già nella seconda metà del 2013 l’occupazione nelle regioni del
Centro/Nord ha iniziato ad assestarsi, mentre nelle regioni del
Mezzogiorno ci sono state ulteriori riduzioni.

Nel corso del 2014 il numero degli occupati è migliorato in tutte le
circoscrizioni, ma non al Sud, che nella media dell’anno ha registrato una
perdita di circa 50 mila persone. Soltanto nel IV trimestre 2014 è stata
registrata una piccola crescita (+0,3% pari a 16 mila unità) nel
Mezzogiorno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Occorre
rilevare che peraltro il miglioramento nello stesso arco temporale è stato
decisamente maggiore al Centro e al Nord.

                                                                              11
1° Maggio 2015

2. LE ATTESE OCCUPAZIONALI NEL 2015
    2.1. Più che la crescita degli occupati ci si aspetta uno spostamento
         importante da lavoro precario a stabile
Ma ci si può ora attendere una situazione migliore dal punto di vista dei
numeri e soprattutto della composizione dell’occupazione? Le premesse
per una ripresa del PIL sono decisamente più concrete. Alcuni fattori
“esterni”, come la riduzione dei prezzi del petrolio e la svalutazione
dell’euro, ed il contesto di politica economica pongono le condizioni per
una moderata ripresa, destinata ad interrompere un prolungato ciclo
negativo. Al momento le previsioni non sono esaltanti, anche se indicano
andamenti del PIL finalmente positivi. L’Istat stima, sulla base degli
andamenti già parzialmente noti della produzione industriale e dei
servizi, il ritorno a una crescita nel primo trimestre del 2015 dello +0,1%
rispetto agli ultimi tre mesi del 2014. Per la media dell’anno le previsioni
restano prudenti; tutti mantengono una certa cautela a fronte delle
delusioni che abbiamo conosciuto per riprese annunciate e non
concretizzatesi. Le ultime previsioni disponibili si collocano intorno all’1%
di aumento del PIL nel 2015 ed all’1,5% nel 2016.

                                             Tutto questo non pare
                                             destinato a portare a
                                             miglioramenti significativi
                                             dell’occupazione. I dati
                                             attesi    del    PIL    non
                                             sembrano      destinati    a
                                             trascinare    una    grossa
                                             crescita della domanda di
                                             lavoro; innanzitutto perché
                                             nel mercato del lavoro i
                                             movimenti positivi di solito
                                             seguono e non anticipano
                                             quelli della produzione. E
                                             poi perché la crescita è
ancora troppo bassa per portare ad un aumento dell’occupazione. Per una
crescita occupazionale significativa ci sarebbe bisogno, invece, di una
forte ripresa.

                                                                             12
1° Maggio 2015

Ci si può aspettare, piuttosto, un cambiamento nella composizione della
nuova occupazione. Per ridurre la precarietà del lavoro, la legge di
Stabilità ha previsto per i nuovi assunti a tempo indeterminato nel 2015
sgravi sui contributi a carico del datore di lavoro, per un periodo massimo
di tre anni, che porta ad un alleggerimento complessivo per le imprese di
circa 12 miliardi nel triennio di riferimento. Questo cambia in maniera
sostanziale le convenienze per i datori di lavoro a stipulare un rapporto di
lavoro a tempo indeterminato piuttosto che un contratto precario. Con i
bonus per i neo assunti, per una retribuzione pari a 26 mila euro, lo
sgravio sul costo del lavoro è intorno al 23%; i rapporti di lavoro stabile
arrivano a costare all’impresa 5 mila euro per anno meno di un
corrispondente contratto parasubordinato; cifra che diventa di 8 mila euro
per i rapporti a tempo determinato. Ci si può aspettare, dunque, una
maggiore tendenza a convertire i rapporti precari in contratti stabili.
Questi benefici, come indicato dall’INPS, sono cumulabili con altri di
natura economica volti ad agevolare il reinserimento o l’inserimento di
alcune categorie di lavoratori e che potenzialmente accrescono la dote; si
tratta, ad esempio dei lavoratori beneficiari dell’ASpI, degli iscritti alla
Garanzia Giovani o alle liste di mobilità.

Dal punto di vista dell’impresa la ridefinizione della flessibilità in uscita
con i contratti a tutela crescente e la riduzione dei costi potenziali del

                                      COSTO AL LORDO DEGLI ONERI SOCIALI PER NUOVI ASSUNTI
                                                   Reddito lavoratore = 26.000 €
                                                                                                       Con Bonus assunzione

             Lav Termine Industria Operai oltre 50 dip.

    Lav Termine Industria fino a 15 dipendenti - Operai

       Lav Termine Commercio Op e Imp. Oltre 50 dip.

 Lav Termine Commercio Op e Imp fino a 50 dipendenti

                                          Commercianti

                                                Artigiani

                     Parasub Altri iscritti via esclusiva

                          Parasub Liberi professionisti

                Parasub Iscritti altre forme previdenz.

                  T Indet. Industria Operai oltre 50 dip.

                 T Indet. Industria Operai fino a 15 dip.

           T Indet. Commercio Op e Imp. Oltre 50 dip.

           T Indet. Commercio Op e Imp. fino a 50 dip.

                                                            0   5.000   10.000   15.000   20.000   25.000   30.000    35.000   40.000

                                                                                                                 13
1° Maggio 2015

contenzioso giudiziario per i licenziamenti cancellano una possibile
remora delle imprese ad assumere, naturalmente più forte in una
situazione congiunturale ancora debole.

Per rafforzare la stabilità del lavoro sempre nella legge di bilancio per il
2015 è stata introdotta la deducibilità integrale della componente lavoro
per i dipendenti a tempo indeterminato dalla base imponibile dell'IRAP.
Mentre il bonus assunzioni è limitato ai nuovi rapporti di lavoro, questa
misura riguarda tutti i dipendenti, purché non a termine.                Essa
determina una diminuzione complessiva dell'imposta di circa 14 miliardi
negli anni 2015-2017 (circa 11 miliardi nel triennio al netto degli effetti
riflessi sulle imposte sul reddito delle imprese); si tratta di una riduzione
aggiuntiva rispetto a quella definita con il decreto legge 66 2014, che era
valutata in circa 6 miliardi nel triennio 2014 - 2016. Questo porta
vantaggi importanti per i datori di lavoro (e non solo per le grandi
imprese) con benefici, per il solo intervento della legge di Stabilità, tra l’1
ed il 2,5% del costo del lavoro per le retribuzioni tra 30 mila e 40 mila
euro. Ma serve anche ad ampliare la forbice dei costi tra lavoro a tempo
determinato ed indeterminato, che era già stata creata con il contributo
addizionale ASpI dell’1,40%, previsto dalla Riforma Fornero. Si può
calcolare che il lavoro a termine, anche e soprattutto per effetto della non
deducibilità integrale ai fini IRAP, viene a costare circa il 4% in più del
lavoro stabile al Centro – Nord ed il 4,5% in più nel Mezzogiorno, dove si
applicano aliquote IRAP più elevate. Un buon risultato che, alleggerendo
complessivamente le imprese, rende più costoso il lavoro precario e più
conveniente il lavoro stabile. 1

   2.2. I dati sulle nuove assunzioni e l’impatto del Bonus
In attesa delle verifiche dei dati con le Rilevazioni dell’ISTAT per il I
trimestre 2015, vi sono prime informazioni derivanti da alcune fonti
amministrative. Ha iniziato l’INPS, rendendo noto che nei primi venti
giorni di febbraio 2015 76 mila imprese hanno chiesto di accedere alla
decontribuzione per le assunzioni a tempo indeterminato; il numero di
assunti, è stato precisato, può essere anche più elevato, perché la
richiesta può essere relativa a più di un addetto.

1
  Per un’analisi più approfondita sull’impatto sul costo del lavoro degli sgravi IRAP e dei bonus per
l’occupazione si può vedere: Gabriele Olini (2014), Il bonus occupazione, Conquiste del lavoro, 12
novembre e Il lavoro stabile costa meno, Conquiste del lavoro, 13 novembre oppure Gabriele Olini
(2014), Le Nuove Convenienze per il Lavoro Stabile nella Manovra per il 2015: una Quantificazione
in: http://www.ildiariodellavoro.it/ e http://www.nuovi-lavori.it/

                                                                                                  14
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Il Ministro del Lavoro Poletti ha successivamente, sulla base dei dati
ricavati dalle Comunicazioni Obbligatorie, indicato che sono stati attivati
nel primo bimestre 2015 79 mila contratti a tempo indeterminato in più
rispetto ai primi due mesi del 2014. In particolare a gennaio 2015 i
contratti a tempo indeterminato sono stati 165 mila ovvero 40,5 mila
assunzioni in più dello stesso mese del 2014 (+32,5%), mentre a febbraio
2015 sono stati 138 mila, ovvero 38,4% in più. Infine a marzo l’aumento è
stato di 53 mila, (+48,8%). Dagli stessi dati emergerebbe che, mentre
nella media relativa al 2014 i contratti a tempo indeterminato hanno
rappresentato il 16 % del totale delle assunzioni, a gennaio 2015
l’incidenza è salita al 20% e a febbraio al 24%; a marzo si è arrivati al
25%. Le altre tipologie contrattuali (dal tempo determinato
all’apprendistato e alle collaborazioni) sono tutte in calo. Per la fascia 15 e
29 anni i dati sarebbero, sempre secondo le Comunicazioni Obbligatorie,
più favorevoli con una crescita delle assunzioni a tempo indeterminato del
43,1% e del 41,4% rispettivamente a gennaio e febbraio 2015.

I dati amministrativi, a cominciare da quelli delle Comunicazioni
obbligatorie, sono certamente non definitivi e suscettibili di una
successiva revisione. Restano, dunque, una nota di cautela ed un rinvio ai
dati definitivi della Rilevazione dell’indagine delle Forze di lavoro per il
primo trimestre 2015 a giugno. Ma le informazioni che abbiamo fanno
apparire, comunque, una discontinuità importante e positiva se non
sull’aumento dell’occupazione complessiva, certamente sull’incidenza
delle diverse tipologie.

                                                                               15
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   GLI  INCENTIVI   ALL’ASSUNZIONE   FAVORISCONO                                   I
   LICENZIAMENTI ALLA FINE DEL PERIODO?

Il bonus assunzioni attualmente è previsto solo per gli assunti nel 2015.
C’è chi obietta che, nel caso la misura diventi permanente per i contratti di
nuova stipula, l’abolizione della reintegra possa portare le aziende ad
utilizzare i benefici ad assumere per poi, dopo il triennio, licenziare gli
stessi addetti e ricominciare il giro. Ragionando in questo modo non si
tiene conto di quelli che sono per l’impresa i costi del turnover; infatti, c’è
da un lato per i nuovi contratti l’indennità di licenziamento crescente (due
mensilità per ogni anno di lavoro, con un minimo di quattro mensilità e un
massimo di 24); dall’altro i costi per l’impresa di assunzione e formazione.

Infatti l'imprenditore, quando assume dei lavoratori, sostiene dei costi che
sono:

      costi di ricerca e selezione dei lavoratori, necessari a contattare i
       possibili candidati e valutare tra questi le figure considerate più
       adatte. Per le piccole imprese e in caso di poche figure da assumere
       questi costi possono essere non troppo elevati. Ma di solito, sopra
       una certa soglia dimensionale, il processo, con il ricorso ad agenzie e
       soggetti esterni, può essere molto elaborato, e, quindi, costoso, oltre
       che non immediato;
      costi di assunzione, legati soprattutto ai costi amministrativi
       inerenti le pratiche per il nuovo assunto. Possono esservi procedure
       più o meno semplici e standardizzate, ma solo la continuità di un
       rapporto di lavoro tende ad azzerarle;
      costi di formazione. Si tratta probabilmente della voce più
       importante. Rappresentano i costi di addestramento che l’impresa
       deve sostenere per rendere la produttività dei neo-assunti pari a
       quella dei lavoratori con maggiore anzianità lavorativa, attraverso
       la formazione specifica. Anche qui le situazioni sono naturalmente
       molto articolate.

Dunque, la sostituzione di un occupato che ha già avuto un addestramento
mirato alla realtà dell’impresa con un nuovo lavoratore è costosa per
l’impresa perché richiede che essa sostenga sia i costi per il licenziamento
del primo dipendente, sia quelli per l’assunzione del nuovo (cosiddetti costi
di turnover).

                                                                             16
1° Maggio 2015

L’impresa, recedendo dal contratto già agevolato e dopo aver beneficiato
di uno sgravio contributivo nel triennio pari a circa 12 mensilità di
2.000€, infatti:

      pagherebbe le sei mensilità previste per l’indennità di
       licenziamento;
      dovrebbe erogare tre mensilità di TFR;
      perderebbe gli investimenti fatti in addestramento e si
       sobbarcherebbe i costi di una nuova selezione del personale e della
       prima formazione del nuovo addetto, con esiti incerti rispetto ai
       risultati.

La probabilità di un comportamento puramente opportunistico da parte
delle imprese non sembra sulla base di queste considerazioni elevata;
certo può essere maggiore per basse professionalità e per funzioni
generiche che non richiedono un particolare addestramento. Si delinea
così che la crescita delle competenze dell’addetto sul lavoro e della sua
esperienza dentro l’organizzazione d’impresa, nonché la sua formazione
specifica nell’impresa costituiscono il migliore salvagente contro il
licenziamento. L’obiettivo deve essere far crescere il capitale umano degli
addetti e, quindi, la loro produttività.

Si può obiettare, che se questo è il meccanismo non si capisce perché ci
sia stata e ci sia tanta instabilità e precarietà del lavoro. Il fatto è che il
sistema rendeva più conveniente i rapporti di lavoro più flessibili e le
imprese beneficiavano di rapporti, che potevano anche durare a lungo,
con i vantaggi connessi ad un’esperienza che comunque cresceva, ma che
erano anche smobilitabili rapidamente in caso di necessità. Questo
voleva dire che i giovani erano messi su un binario che portava in gran
parte a rimanere intrappolati nella trappola della precarietà, che
rinviava indefinitamente l’approdo a un rapporto a tempo indeterminato.

                                                                             17
1° Maggio 2015

3. LE PERSONE IN CERCA DI OCCUPAZIONE E LA
   CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI
   3.1. Dopo la forte crescita del 2014, il tasso di disoccupazione ha
        smesso di aumentare
Dal 2008 il numero delle persone in cerca di occupazione è più che
raddoppiato e cresciuto di circa 1,6 milioni; il Sud ha contribuito per 650
mila persone.

       Persone in cerca di occupazione per territorio

       Livelli 2014 e variazioni in migliaia tra 2008 e 2014 e tra 2013 e 2014

                                                            Variazioni
                                         2014
                                                          2008-2014      2013-2014

       Nord                            1094,0                    616              37

       Nord-ovest                        682,0                   380              35

       Nord-est                          411,9                   235               2

       Centro                            616,2                   307              52

       Mezzogiorno                     1525,9                    649              79

                         Totale        3236,0                   1572             167

Nella media del 2014 il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 12,7%
delle forze di lavoro rispetto al 12,1% del 2013. A partire dal secondo
trimestre il tasso è stato più elevato rispetto a quello registrato nello
stesso periodo dell’anno precedente. Nel quarto trimestre 2014 la quota
dei disoccupati è stata pari al 13,3%, in crescita di 0,6 punti percentuali
rispetto al periodo tra ottobre e dicembre del 2013. I dati mensili
dell’ISTAT hanno segnalato un miglioramento a dicembre e a gennaio
2015, ma non a febbraio, quando ha raggiunto il 12,7%, un livello di 0,2
punti percentuali più elevato rispetto al febbraio 2014.

Nella media del 2014 i disoccupati sono stati 3 milioni e 240 mila persone
con una crescita di 167 mila unità rispetto all’anno precedente (+5,5%).
L’aumento ha riguardato sia gli uomini (+68 mila con un +4,0%), che le
donne (100 mila e + 7,2%). Tutte le ripartizioni territoriali hanno avuto
un peggioramento, ma la metà dell’incremento va attribuito al

                                                                                            18
1° Maggio 2015

Mezzogiorno, dove il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 20,7%
(rispetto al 19,7% del 2013).

                                                                 L’incremento
                                                           delle persone in
                                                           cerca            di
                                                           occupazione     nel
                                                           2014      è   stato
                                                           determinato      in
                                                           quasi sette casi su
                                                           dieci a quanti
                                                           sono alla ricerca
                                                           del          primo
                                                           impiego. L’ISTAT
                                                           segnala         che
rispetto al totale di 3 milioni e 236 disoccupati, circa 1 milione e 693 mila
sono ex occupati, ovvero persone che avevano un lavoro e l’hanno perso;
922 mila sono alla ricerca di un primo impiego, mentre 621 mila erano in
precedenza inattivi ed hanno deciso di cercare lavoro.

           Persone in cerca di occupazione per classe di età

           Livelli e variazioni in migliaia tra 2008 e 2014 e tra 2013 e 2014

                                                        Variazioni
                                     2014
           Classe di età                         2008-2014           2013-2014

           15 anni e più           3236,0              1572               167

           15-24 anni               692,1               304                 40

           15-34 anni              1627,5               703                 70

           25-34 anni               935,4               400                 30

           35-44 anni               784,3               366                 48

           45-54 anni               614,6               379                 43

           55-64 anni               203,3               125                     7

                                                                                               19
1° Maggio 2015

L’aumento della disoccupazione ha coinvolto tutte le fasce di età.
L’impatto in assoluto più rilevante in assoluto è quello della fascia più
giovane con un aumento di 700 mila persone tra i 15 e i 34 anni, di cui
300 mila fino a 24 anni e 400 mila tra 25 e 34 anni. Ma la crescita è stata
forte anche nelle classi di età più anziana; dal 2008 al 2014 ci sono
intorno a 370 mila disoccupati in più sia nella fascia 35 / 44 anni, sia in
quella successiva. Nel 2014 l’aumento in valore assoluto più elevato è
stato quello della classe tra i 45 e i 54 anni (+43 mila), seguono le
persone fino a 24 anni (+40 mila) e quelle tra 25 e 34 anni (+30 mila).
L’affannosa ricerca del lavoro non riguarda solo coloro che sono in coda
per entrare nel mercato del lavoro, ma si diffonde largamente tra coloro
che l’occupazione l’hanno persa ed hanno difficoltà a rientrare.

Nel tempo la forte carenza di nuove opportunità di impiego ha comportato
una forte crescita della disoccupazione di lunga durata. Dal 2008 al 2014
il numero di persone che cercano lavoro da almeno 12 mesi è aumentato
di una volta e mezza e, con 1 milione e 966 mila persone, l’incidenza sul
totale dei disoccupati è arrivato al 60,7% ( era pari al 45,1% nel 2008 e al
56,4% nel 2013). L’incremento è diffuso in tutte le ripartizioni; nel Nord-
Est il numero nei sei anni è triplicato; al Mezzogiorno rimane l’incidenza
più elevata di disoccupati che cercano lavoro da un anno e più (66,4% per
cento) e l’aumento più elevato nel 2014. La situazione peggiora per chi è
alla ricerca della prima occupazione: in questo caso l’incidenza di chi
cerca lavoro da un anno e più arriva al 74,4 per cento.

Il grafico presenta la crescita della Cassa Integrazione Guadagni
determinata dalla crisi economica. I dati dell’INPS mostrano sul totale
delle ore autorizzate un aumento dalle 228 milioni di ore del 2008 alle
1.112 milioni del 2014, anno in cui si è avuto un dato poco più basso
rispetto al biennio precedente (-6,0% rispetto al 2013). La caduta
dell’attività economica nel 2009 ha portato prima ad una crescita della
CIG Ordinaria; successivamente sono lievitate la Straordinaria e la CIG
in deroga. Quest’ultima, finanziata dalla fiscalità generale, ha avuto il
suo utilizzo più elevato nel 2010 e nel 2012; in seguito il ricorso a questo
strumento si è via via ridotto.

La tendenza al calo del totale delle ore autorizzate di CIG si è accentuata,
come si vede nella tavola, nel primo trimestre 2015; da gennaio a marzo si
è avuta una riduzione del 42,3% rispetto allo stesso periodo del 2015.
Secondo nostre stime le 170 milioni di ore autorizzate di CIG nel primo
trimestre 2015, sulla base del rapporto stimato dall’INPS nel 2014 tra ore
effettivamente integrate e autorizzate (cosidetto “tiraggio”) ed ipotizzando

                                                                            20
1° Maggio 2015

per tutti il ricorso alla CIG a zero ore, corrispondono a circa 180 mila
addetti a zero ore; erano circa 260 mila nello stesso periodo del 2014.

                                                     CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI
                                                         Ore Autorizzate - Milioni

           1.400,0
                        Fonte: INPS

           1.200,0

           1.000,0

            800,0

                                                                                                                     Deroga
            600,0                                                                                                    Straordinaria
                                                                                                                     Ordinaria

            400,0

            200,0

                  0,0
                           2007       2008       2009       2010       2011       2012    2013       2014
      Deroga               25,4       28,2       122,7     373,2       328,1      377,3   299,0      240,5
      Straordinaria        88,1       86,7       216,1     485,4       419,5      401,6   527,1      624,3
      Ordinaria            70,7       113,1      576,7     341,8       229,8      340,2   356,2      247,0

CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI
Milioni di ore autorizzate
                                                         Intero Anno                               Gennaio - m arzo
                                              2013             2014            Var. %      2014          2015       Var. %
Titolo di studio
C IG ordinaria                                   356,2              247,0         -30,7            74,9       53,4        -28,7
C IG Straordinaria                               527,1              624,3          18,4           153,3      104,9        -31,6
C IG Deroga                                      299,0              240,5         -19,6            66,7       12,0        -82,0
T OT ALE                                        1182,4             1111,8          -6,0           294,9      170,3        -42,3

La riduzione della Cassa Integrazione da un lato riflette il miglioramento
dell’attività economica. Lo si vede soprattutto dal calo della CIG
Ordinaria (-28,7%) e della CIG Straordinaria (-31,6%). La travolgente
caduta della CIG in deroga (-82%), per di più in approfondimento a
marzo, è, invece, soprattutto determinata dai fermi amministrativi
nell’autorizzazione e dalla carenza dei finanziamenti; incidono, da un lato
i criteri restrittivi sui beneficiari e sulle durate, dall’altro i ritardi da
parte del Ministero del Lavoro nell’assegnazione delle risorse disponibili.

                                                                                                                                 21
1° Maggio 2015

APPROFONDIMENTO

LA FORMAZIONE PER GLI ADULTI IN ITALIA
OVVERO CENERENTOLA ASPETTA ANCORA IL PRINCIPE
AZZURRO

 Le distanze per la formazione degli adulti rispetto all’Europa
crescono

C’era una volta una società in cui la formazione della persona avveniva
nella fase iniziale della vita; in cui l’attività lavorativa si valeva
essenzialmente di quelle competenze e di poche altre acquisite
nell’apprendimento pratico, che l’esperienza forniva in modo più o meno
spontaneo. Oggi la possibilità di aggiornare e rafforzare continuamente le
proprie competenze e di acquisirne di nuove rappresenta o dovrebbe
rappresentare un fattore essenziale per gli individui per non retrocedere

                                                                                             Figura 1
  Popolazione 25-64enne che ha partecipato a iniziative di istruzione e formazione nelle 4
  settimane precedenti l'intervista, per paese (%) – Fonte: Eurostat

                                                                                       22
1° Maggio 2015

nella propria condizione di lavoro; per non subire quell’appannamento del
proprio capitale umano, che rischia di compromettere l’occupabilità della
persona e, comunque, incidere sulla sua carriera e sul benessere
lavorativo. Si riconosce, infatti, che la formazione permanente
contribuisce anche a obiettivi non strettamente economici, come la
realizzazione personale, la salute, le relazioni tra gli individui, la
partecipazione sociale. Tanto più la formazione è diventata strategica per
le imprese o le amministrazioni che vogliono essere innovative e
competitive in una situazione di continua trasformazione produttiva. E se
è strategica non può essere lasciata ad una spinta più o meno
estemporanea, all’improvvisazione o ad un’azione scoordinata.

Proprio per questo la Strategia di Lisbona aveva posto tra i cinque
obiettivi da raggiungere entro il 2010 nel campo dell’istruzione e della
formazione quello di una quota degli adulti impegnati in attività
formative pari al 12,5%. Europa 2020 ha portato l’obiettivo al 15% delle
persone tra 25 e 64 anni. Questo significa in valori assoluti portare in
Italia gli attuali 2,4 milioni di persone adulte che fanno formazione
continua e permanente a 5 milioni. Ma nonostante target e
consapevolezza più o meno diffusa, la società continua a funzionare
riconoscendo un ruolo complessivamente marginale all’apprendimento
permanente. Né Cenerentola sembra aver trovato il suo Principe azzurro.
Gli strumenti che sono stati costruiti non hanno finora sottratto l’Italia
da una posizione di retroguardia. Questo, certamente, è un fattore
negativo per la competitività del sistema, per le nuove opportunità di
prodotto/servizio, per l’innovazione e la produttività.

L’Italia partiva già molto indietro e per di più in questi anni le distanze
non solo non si sono ridotte, ma si sono approfondite, pesando
ulteriormente sullo sviluppo potenziale. A tutt’oggi siamo lontanissimi
dall’obiettivo già fissato per il 2010 e i miglioramenti sono
insopportabilmente limitati. Nel 2007, infatti, la quota di adulti
impegnati in attività formative era in Italia pari al 6,2% nelle 4 settimane
precedenti l’intervista, con ritardi molto grandi rispetto agli altri paesi.
La figura 1 mostra le percentuali più elevate, intorno al 20%, dei paesi
scandinavi ed in particolare di Danimarca e Finlandia; incidenze elevate
si avevano anche in Olanda, nel Regno Unito e in Austria; la media
dell’area Euro era allora all’8,1% con uno scarto, quindi, di due punti
percentuali. 2 La figura 2 è riferita al 2011 (non sono disponibili

2
  La figura 1 sull’apprendimento permanente è tratta dalle Indagini delle Forze di lavoro di Eurostat.
Si riferisce alla percentuale di persone tra 25 e 64 anni, che dichiarano di aver seguito corsi di
istruzione o formazione nelle quattro settimane precedenti all’indagine, collegati o meno all’ attività
professionale, attuale o futura. Al denominatore, dunque, vi è il totale della popolazione nella stessa

                                                                                                    23
1° Maggio 2015

rilevazioni più recenti) e deriva da un’indagine pluriennale sempre di
                                                                                                                                                               Figura 2

                          Popolazione 25-64enne che ha partecipato a iniziative di istruzione e formazione nei 12 mesi
                                                      precedenti l'intervista - 2011 (%)

 80,0

 70,0

                                                                                        Fonte: Eurostat - Adult Education Survey, 2013
 60,0

 50,0

 40,0

 30,0

 20,0

 10,0

  0,0
          ia

                                                                                                 llo

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                                                                                                  8)
                                                    a

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                                     ca

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                                    di
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                                                                                               (1

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                                                                                              ga

                                                                                                                                   Ita
                                  ar

                                                                                                                    ag
                                                                      st

                                                                                                                                              an
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                or

                                             Fr
                              nl
                              O

                                                                                                                         no
                                                                                          pe
                                                        er
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                                                                              ar
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                                                                                       ro
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                                                                                 U

Eurostat, ma ha a riferimento la percentuale di popolazione negli ultimi
12 mesi. 3

 La graduatoria tra i paesi non è molto diversa, con la notevole eccezione
della Germania. Nella figura 1 si vede, infatti, un tasso di partecipazione
tedesco inferiore alla media europea, mentre il grafico 2 mostra livelli
abbastanza elevati, anche se inferiori a quelli dei paesi scandinavi; la
differenza tra le due fonti, oltre che la diversità del periodo di riferimento
dell’attività di apprendimento permanente, rispettivamente 4 settimane e
12 mesi, è data dalla considerazione nella seconda anche del training on-
the-job, cioè della formazione non formale che il lavoratore riceve sul
posto di lavoro tramite un istruttore che lo affianca trasmettendogli
conoscenze e abilità pratiche/operative. Questo tipo di apprendimento
organizzato e continuativo sul lavoro fa in alcuni casi la differenza e
riporta la Germania sui livelli più elevati di partecipazione
all’apprendimento. 4

fascia di età. I dati derivano dall’Indagine delle Forze di Lavoro, una delle più importanti e
armonizzate a livello europeo fonti di informazione sulla situazione del mercato del lavoro.
3
   Indagine EUROSTAT Adult Education Survey sulla Partecipazione degli adulti alle attività
formative (AES).
4
  Si veda European Commission, Eurostat (2011), Methodological notes – Data from labour force
survey and adult education survey, https://circabc.europa.eu

                                                                                                                                                                       24
1° Maggio 2015

Tornando ai dati ricavati dall’Indagine delle Forze di lavoro e riferiti alle
ultime 4 settimane (figure 1 e 3) si vede che negli anni successivi al 2007
e fino al 2013 l’Italia non ha mostrato alcun miglioramento, con valori che
hanno oscillato intorno al 6,0% con un minimo del 5,7% nel 2011. Dopo il
6,2% nel 2013 la quota di adulti impegnati nelle attività formative ha
avuto un parziale miglioramento nel 2014, arrivando al 7,6%. Ma nel
frattempo molti altri paesi hanno fatto meglio di noi, sia i paesi, come
quelli scandinavi, che erano avanti a noi, sia quelli che erano prossimi o
dietro. Il caso più significativo probabilmente è quello del Portogallo che
nel 2007 aveva una percentuale del 4,4% ed è progressivamente cresciuto
arrivando all’11,5% nel 2011 per poi tornare al 9,7%. Anche la Spagna,
che pure non ha avuto miglioramenti, si colloca con il 10,1% nel 2014 su
livelli assai più elevati dei nostri. Dunque, la distanza dell’Italia rispetto
alla non brillante media dell’area Euro è cresciuta dai circa due punti del
2007 ai 3,3% del 2014. E se ci abbiamo messo sette anni per arrivare al
7,6%, rischiamo di raggiungere il 15% dell’Europa 2020 solo intorno al
2050. Una prospettiva intollerabile.

                                                                                                                  Figura 3

                 Quota di popolazione in età 25-64 anni che partecipa all'apprendimento permanente
                          Valori percentuali - nelle ultime quattro settimane rispetto all'Indagine
   20,0

                                                                            Area Euro (19 paesi)
   18,0                                                                     Italia
                                                                            Strategia di Lisbona
                                                                            Europa 2020
   16,0

   14,0

   12,0

   10,0

    8,0

    6,0

    4,0

    2,0

    0,0
          2007       2008          2009          2010          2011          2012              2013        2014

                                                                                                      25
1° Maggio 2015

Poche opportunità per le persone non più giovani e con basso
titolo di studio

Le donne partecipano più degli uomini alle attività formative in quasi
tutti i paesi dell’Unione Europea, compresa l’Italia. La tabella mostra che
al 2014 nella media dell’area Euro la quota tra le donne era dell’11,5%
contro il 10% degli uomini. In Italia la distanza è un po’ ridotta, ma
presente in tutto il periodo. La maggiore partecipazione femminile alle
attività formative è di solito spiegata con la maggiore difficoltà a entrare
nel mercato del lavoro, che spinge le donne a rafforzare la formazione e
l’istruzione. Non si può escludere però, soprattutto tra le generazioni più
giovani, una maggiore propensione all’attività formativa collegata ai titoli
di studi più elevati in possesso delle donne rispetto agli uomini. E,
comunque, ad una maggiore disponibilità e propensione a formarsi, anche
in età adulta, delle donne.

Tabella 1 Tasso di partecipazione alla formazione per genere

Quota di popolazione in età 25-64 anni che partecipa all'apprendimento permanente
Valori percentuali - nelle ultime quattro settimane rispetto all'Indagine

                              2007        2008        2009        2010      2011     2012        2013    2014
           Totale              8,1          8,1         8,0         7,9       8,2      8,4        10,5    10,7
Area Euro
           Uomini              7,6          7,7         7,6         7,5       7,8      8,0         9,7    10,0
(19 paesi)
           Donne                8,5         8,5         8,4         8,3       8,6      8,8        11,2    11,5
           Totale              6,2          6,3         6,0         6,2       5,7      6,6         6,2     7 ,6
   Italia  Uomini              5,9          6,1         5,6         5,9       5,3      6,1         5,8     7 ,3
           Donne                6,6         6,6         6,4         6,5       6,0      7,0         6,5     7,9

Fonte: Eurostat

In tutti i paesi la partecipazione alla formazione decresce rapidamente
con l’età. Nel 2014 nell’Area Euro la percentuale era più elevata nella
fascia 25 – 34 anni con il 18,2% rispetto a un valore complessivo per tutte
le età tra 25 e 64 anni del 10,7%. Anche in Italia la quota è sensibilmente
più elevata tra i più giovani con il 14,5% rispetto al 7,6% complessivo.
Naturalmente occorre considerare che tra i 25 e i 34 anni vi sono coloro
che stanno a quell’età completando l’istruzione terziaria e gli studi
successivi. In questa fascia vi è la presenza di rilevanti quote di studenti
universitari, in ritardo rispetto al normale svolgimento del proprio
percorso di studi, fenomeno più diffuso in Italia. Secondo i dati
Almalaurea, infatti, l’età media della laurea era in Italia nel 2013 di 26,6

                                                                                               26
1° Maggio 2015

anni, in calo tra 2,9 e 1,3 anni rispetto all’introduzione della riforma
universitaria. Inoltre, la stessa fonte ci dice che circa il 45% dei laureati
di secondo livello intendeva proseguire gli studi secondo una delle
modalità previste (scuola di specializzazione, master, tirocini, dottorati,
ecc.).

La fascia di persone tra 35 – 44 anni ha nell’Area Euro una
partecipazione formativa (con il 10,9% nel 2014) prossima alla media
complessiva, mentre in Italia è più bassa (con il 6,9% rispetto al 7,6% per
tutte le fasce di età considerate). Lo scivolamento prosegue e
particolarmente forte in Italia a partire dai 40 anni. Solo il 5,8% delle
persone tra 45 e 54 anni aveva partecipato nel 2014 nelle quattro
settimane precedenti l’indagine ad un’attività di istruzione o formazione;
la percentuale diventa del 4,1% nella fascia 55 e 64 anni, poco più della
metà rispetto al dato medio. Per quanto la partecipazione dei più anziani
risulti largamente insufficiente rispetto alle necessità, negli ultimi anni,
però, si vede un certo miglioramento. Nel 2007, infatti, come si vede dalla
tabella, la quota di partecipazione era appena del 2,1%, ovvero circa un
terzo del già basso tasso medio.

I lavoratori più anziani, dunque, tendono ad essere esclusi dalle
opportunità formative. E questo è tanto più grave se si considera che si
tratta di addetti con titoli di studio generalmente più bassi rispetto al
resto degli addetti. Con una vita lavorativa che tende ad allungarsi,
anche in ragione delle riforme previdenziali, bisogna assolutamente
rafforzare le opportunità formative anche per i lavoratori anziani. Le
migliori pratiche indicano che bisogna rafforzare la cultura
dell’apprendimento nel luogo di lavoro. Ma vanno anche ripensati i
metodi formativi per adattarli ad un’utenza, spesso più in difficoltà con
l’insegnamento di aula più tradizionale. Il trasferimento di competenze
può avvenire rafforzando il lavoro di squadra, con addetti con diverse
esperienze ed anche con diverse età. Ma soprattutto bisogna capire che la
capacità di fare formazione è legata alla capacità di immaginare il futuro,
vicino e lontano, dell’impresa; è richiesta, infatti, una previsione sui
bisogni di professionalità che si vanno a determinare sulla base delle
tendenze dell’impresa e degli addetti. E per questo sono strumenti
essenziali il dialogo sociale e la contrattazione.

                                                                             27
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