Autonomia finanziaria e sussidiarietà nell'ordinamento costituzionale italiano - Vincenzo Bassi
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
Vincenzo Bassi Autonomia finanziaria e sussidiarietà nell'ordinamento costituzionale italiano ARACNE
Copyright © MMVIII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it info@aracneeditrice.it via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–2192–7 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: novembre 2008
A Carla, musa ispiratrice e paziente compagna di strada
La responsabilità attribuisce valore all’identità ed all’espe- rienza di ognuno Vincenzo Bassi Autonomia finanziaria e sussidiarietà nell’ordinamento costituzionale italiano
Indice 11 Presentazione 13 Introduzione 17 Capitolo I Autonomia finanziaria prima della Riforma del Titolo V 35 Capitolo II Autonomia finanziaria e Costituzione dopo la Riforma del Ti- tolo V 45 Capitolo III Autonomia finanziaria e sussidiarietà dopo la Riforma del Ti- tolo V 65 Capitolo IV Autonomia finanziaria e disposizioni di coordinamento dell’ordinamento tributario 81 Capitolo V Autonomia finanziaria ed entrate degli Enti Territoriali 97 Capitolo VI Autonomia finanziaria e limiti comunitari 109 Capitolo VIII Autonomia finanziaria e patto di stabilità
10 Indice 125 Conclusioni 129 Bibliografia
Presentazione Il tema dell’autonomia finanziaria rappresenta, oramai da diverso tempo, un tema cruciale da un punto di vista sociale, economico, poli- tico ed infine giuridico. Un intervento sostanziale sul sistema dell’autonomia finanziaria degli enti regionali e locali, come è noto, è rappresentato dalla Rifor- ma del Titolo V della Costituzione, che è stata introdotta con la legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, promulgata dopo la conferma ad opera del referendum del 7 ottobre 2001. È chiaro quindi che la devoluzione, ovvero l’attribuzione ai livelli di governo regionali e locali di funzioni (sia di spesa sia di reperimen- to e gestione delle entrate) prima gestite a livello di governo centrale non costituisce più un tabù ma per molti è forse l’unica soluzione per far emergere, nella gestione della cosa pubblica, il rispetto di regole fondate sul senso di responsabilità e sull’efficienza amministrativa. Per questo, l’autonomia finanziaria o, come più comunemente defi- nito, il federalismo fiscale è divenuto un’esigenza espressa più volte anche da parte della stessa Corte Costituzionale, la quale, a proposito dell’attuazione dell’art. 119 della Costituzione post Riforma, afferma- va nella sentenza n. 370/03: “appare evidente che l’attuazione dell'ar- ticolo 119 della Costituzione sia urgente al fine di concretizzare dav- vero quanto previsto nel nuovo Titolo V della Costituzione, poiché al- trimenti si verrebbe a contraddire il diverso riparto di competenze con- figurato dalle nuove disposizioni”. Da qui la constatazione che il processo federale non raggiungerà alcun risultato, se non sarà simmetrico all’incremento dell’autonomia finanziaria dei vari enti regionali e locali. Tuttavia, è importante sottolinearlo, una maggiore autonomia fi- nanziaria non significa abrogazione dell’obbligo costituzionale di so-
12 Presentazione lidarietà, sancito dall’art. 2 della Costituzione. Si tratta solo di indivi- duare il giusto equilibrio tra autonomia, efficienza e solidarietà sul fronte della perequazione. Ciò sarà possibile se e quando il legislatore regolamenterà il potere impositivo dello Stato e degli enti territoriali in generale, permettendo ai cittadini/contribuenti, come individui e come società civile, di individuare i propri bisogni essenziali, evitando così spreco di risorse per interventi non richiesti e necessari. Tutto ciò è però possibile solo se, attuando, con coraggio e senso di responsabi- lità, il principio di sussidiarietà (verticale e orizzontale), la persona e la società civile sono considerati una risorsa capace di autogestirsi. Così facendo, l’autorità pubblica si limita a svolgere un’essenziale funzione di garanzia. La speranza consiste dunque nel fatto che una maggiore ed efficace autonomia finanziaria trasformi uno Stato, sino ad adesso, prevalen- temente assistenziale e dirigista, in uno Stato “sussidiario”, in cui il cittadino e la società civile acquisiscano un ruolo nuovo anche nella gestione della cosa pubblica e delle sue risorse. Tutto questo sarà però realizzabile se l’attuazione del principio democratico si svilupperà ri- comprendendovi non solo la democrazia rappresentativa ma anche forme nuove di partecipazione diretta del cittadino/contribuente. È au- spicabile perciò un’interpretazione evolutiva del principio di capacità contributiva, che prenda finalmente atto della libertà del cittadino di concorrere, nel rispetto di criteri e regole fissate dalla legge, alle spese pubbliche attraverso forme diverse dal semplice pagamento dei tributi.
Introduzione Non vi è dubbio che il problema dell’autonomia finanziaria delle Regioni e degli Enti locali (da qui in poi anche “Enti Territoriali”) è stato da sempre un punto controverso e discusso nel quadro della rea- lizzazione di uno Stato regionale o di uno Stato con compiute articola- zioni territoriali. Come è noto, infatti, quella dell’istituzione nel 1970 delle Regioni, quali enti sub–statali dotati di autonomia legislativa, è stata una rifor- ma costituzionale mai attuata completamente. La ragione è probabilmente da attribuire all’attenzione che il legi- slatore costituzionale, prima della riforma del Titolo V, ha prestato ai profili economico/finanziari del sistema delle autonomie. In concreto la Costituzione riconosceva alle Regioni e agli Enti locali autonomia amministrativa e legislativa, ma non prevedeva una modalità di ripar- tizione delle risorse economiche e finanziarie che assicurasse l’effettività del sistema delle autonomie così come descritto dalla Co- stituzione. Infatti, la legislazione e poi la prassi, almeno fino alle più recenti riforme, hanno attuato un regionalismo retto finanziariamente principalmente da un sistema di trasferimenti dal centro alla periferia e da altre forme di attribuzione di risorse finanziarie decise nel tipo e nella quantità solo a livello statale. La mancanza di autonomia sotto il profilo finanziario ha però impedito alle Regioni e agli Enti locali un concreto potere di programmazione, riducendo spesso il loro interven- to ad iniziative attuative di politiche decise a livello statale. Questo si- stema ha perciò reso, nei fatti, le Regioni e gli Enti locali degli stru- menti di spesa, contribuendo a incrementare il debito pubblico.
14 Introduzione La riforma del Titolo V della Costituzione, introdotta con la legge 18 ottobre 2001 n. 3, ha invece rappresentato il momento di riflessione su questi temi, essendo ormai evidente che una qualsiasi svolta in sen- so federale non è separabile da una compiuta realizzazione del princi- pio di autonomia finanziaria. Ed ecco quindi, che il testo costituzionale, all’indomani della legge costituzionale 3/2001, ha visto arricchirsi di principi (che potremmo definire) “nuovi” come per esempio il principio di pari ordinazione degli Enti Territoriali (art. 114), il potere impositivo degli Enti Terri- toriali (art. 119), i quali hanno inciso in chiave evolutiva su principi (che potremmo definire) “vecchi” (ovvero già presenti prima della ri- forma). Il quadro interpretativo che ne deriva è quello di una natura cooperativa e non competitiva del sistema italiano di autonomia finan- ziaria, laddove in modo corrispondente viene anche meglio chiarito l’ambito e la portata del potere normativo degli Enti Territoriali in ma- teria tributaria. D’altra parte diversamente non potrebbe essere, se si pensa che la riforma ha voluto porre il principio di sussidiarietà come principio ba- se del nuovo ordinamento delle autonomie territoriali. Ne consegue che nella riforma ben si potrebbe leggere la consacra- zione del principio secondo cui le articolazioni periferiche dello Stato sono le più idonee ad individuare e soddisfare i propri bisogni. Lo Sta- to, in un simile contesto dovrebbe svolgere solo una funzione di con- trollo e di garanzia, intervenendo solo laddove si presentassero situa- zioni di difficoltà. In questo senso la sussidiarietà diviene perciò espressione di una maggiore partecipazione delle comunità locali alla gestione del pro- prio territorio e quindi di “partecipazione democratica”. Tuttavia uno Stato può dirsi realmente democratico solo se realizza una compiuta democrazia fiscale (da qui il principio del “no taxation without representation”), garantendo la coincidenza nella medesima persona delle figure dell’elettore, del beneficiario della spesa pubblica e del contribuente. È quindi pure la sussidiarietà, che è proprio un’espressione com- piuta di democrazia, potrà concretizzarsi solo se si esprimerà anche sotto forma di sussidiarietà fiscale.
Introduzione 15 Vale perciò la pena rileggere il principio di capacità contributiva mettendo in evidenza, da una parte, la partecipazione della società civile nello stabilire “le spese pubbliche” necessarie per il bene co- mune, e, dall’altra, la libertà dei contribuenti di decidere la modalità di contribuzione, che non deve obbligatoriamente consistere nel pa- gamento dei tributi. Una volta chiariti i principi su cui si deve basare il sistema delle au- tonomie finanziarie degli Enti Territoriali, occorre analizzare gli aspet- ti più operativi ma non per questo meno problematici sotto un profilo costituzionale. In particolare si tratta di verificare, alla luce dell’ordinamento costi- tuzionale, quali siano la natura e la portata delle norme di coordina- mento tra il sistema tributario erariale e quello regionale e locale, non- ché i limiti al potere impositivo dello Stato, le Regioni, Province e i Comuni. La Carta Costituzionale non si ferma però solo ai principi del si- stema delle autonomie finanziarie, ma ne prevede nello specifico le diverse forme di finanziamento; accanto ai tributi regionali e locali propri (tributi propri in senso stretto e in senso lato), gli Enti Territo- riali possono disporre di “compartecipazioni al gettito dei tributi era- riali riferibile al loro territorio” (art. 119 comma 2 della Cost.), nonché beneficiare di un sostegno, di natura straordinaria, attraverso un “fon- do perequativo “ dello Stato “per i territori con minore capacità fiscale per abitante” (art. 119 comma 3 della Cost.). Dopo aver ricostruito il sistema dei finanziamenti a livello regiona- le e locale, è opportuno precisare che la finanza regionale o locale so- no soggetti a precisi limiti di carattere comunitario. Ciò in quanto le azioni finalizzate a promuovere il mercato comune non possono non interessare anche la finanza locale. Infine una compiuta ricostruzione del sistema delle autonomie fi- nanziarie non può omettere questioni di carattere giuridico/finan- ziario, alcune precisate dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, come il c.d. divieto di reformatio in peius, altre dal legislatore nazio- nale, come per esempio le disposizioni normative sul patto di stabilità interno, altre dalla stessa Costituzione, come per esempio il principio del rispetto del pareggio di bilancio corrente (c.d. golden rule: art. 119). Un ulteriore argomento giuridico/finanziario su cui vale la pena
16 Introduzione soffermarsi è quello che riguarda la sostenibilità economi- co/finanziaria del federalismo, con particolare riguardo proprio alla questione relativa alla gestione del debito pubblico statale. L’opportunità di un lavoro di analisi del sistema delle autonomie finanziarie si fonda quindi sul fatto che una riforma in tal senso è ne- cessaria e doverosa, sia sotto il profilo democratico (i contribuenti so- no più vicini ai centri responsabili della gestione delle risorse finanzia- rie, e sono più liberi di decidere le modalità di destinazione delle ri- sorse stesse) sia sotto il profilo finanziario (l’attribuzione di maggiori responsabilità a carico dei soggetti che gestiscono le risorse potrebbe essere uno strumento di controllo degli equilibri economici/finanziari dello Stato e degli Enti Territoriali). È per questo che bisogna tener ben chiari, da una parte, il quadro costituzionale e, dall’altra, i limiti giuridici e finanziari al potere im- positivo dello Stato e degli altri Enti Territoriali.
Capitolo I Autonomia finanziaria prima della Riforma del Titolo V della Costituzione 1. Il sistema delle autonomie (brevi cenni) 1 a) Lo Stato federale Con il termine Stato Federale (che deriva dall’aggettivo francese fédéral anche se ha la sua radice etimologica nel vocabolo latino foe- 1 Per ragioni di interesse storico è opportuno ricordare che il movimento politico italiano dalla seconda metà del sec. XVIII si divise in due idee: l’idea unitaria e l’idea federale; la prima spinse all’unità politica italiana; la seconda, rifacendosi alla tradizione gloriosa dei Comuni, generò le idee federative. L’idea federale risorgi- mentale era poi divisa in due correnti principali: la “neoguelfa” (lega dei principi con a capo il Pontefice), alla quale fa riferimento il Gioberti, seguito poi (anche se in forma di un Federalismo più liberale e moderato) da Cesare Balbo e Massimo d’Azeglio, e “la rivoluzionaria”, che ebbe come interpreti e assertori Giuseppe Fer- rari e Carlo Cattaneo (questi affermava la necessità di una confederazione di Stati repubblicani nei quali la funzione del Pontefice fosse limitata al solo potere spiritua- le). Il periodo aureo dell’idea federalista repubblicana fu il 1846. Dopo il fallimento della prima guerra d’indipendenza, e crollato il programma neoguelfo, il Gioberti abbandona la tesi federalista del Primato morale e civile degli Italiani (1843) e, nel Rinnovamento civile d’Italia, (1851) indica una nuova via con l’egemonia del Pie- monte e l’esclusione della signoria dei preti; non indifferente ai problemi sociali, il Gioberti trova anche il modo di esaltare la plebe e di insistere sulle riforme econo- miche, allargando in questo campo, la funzione dello Stato con l’affermazione che Stato e Nazione, secondo natura, sono tutt’uno (ripresa di idee giusnaturalistiche). Le nuove idee furono aspramente criticate soprattutto dai mazziniani. Per un approfon- dimento delle vicende storiche e filosofiche si rinvia inter alia a M. SCHIATTONE, Alle origini del federalismo italiano: Giuseppe Ferarri, Bari, 1996. A. DANESE, Il federalismo, Roma, 1995.
18 Capitolo I dus i.e. patto), comunemente si vuole indicare una forma di Stato or- ganizzata sulla base dei principi dell’autogoverno, dell’autonomia e del più largo decentramento amministrativo, in contrapposizione allo Stato unitario2. Diverso dallo Stato Federale è invece il “federalismo”3, che consi- ste in una concezione collaborativa di rapporti politici fra entità di di- versa natura (stati, enti pubblici, associazioni, persone fisiche), sia nell’ordinamento internazionale che in quelli statali, che improntano i loro rapporti su una base tendenzialmente paritaria. Il federalismo è perciò un modello sociale che ispira i principi di comportamento adot- tati da una costituzione statale anche prescindendo da una caratteriz- zazione tecnicamente federale di quest’ultima. Il federalismo, infatti, non attiene al solo ambito territoriale, ma altresì a quello sociale, eco- nomico, spirituale–culturale4. Lo Stato Federale rappresenta, invece, in molti casi, la forma di Stato più idonea per individuare da un punto di vista tecnico–costituzionale le modalità di ripartizione del potere fra centro e periferia5. Esistono esempi di ordinamenti in cui la struttura federale dello Stato consiste semplicemente in una forma di decentramento dell’apparato complessivo di uno Stato unitario. In tali ordinamenti gli organi centrali sono titolari delle competenze di indirizzo e di norma- zione e della parte più consistente di quelle di attuazione a livello giu- risdizionale amministrativo. In questi casi, si tratta di ordinamenti au- tocratici in cui il potere è concentrato in un organo o in un’organizzazione statale omogenea e viene usato prescindendo dal consenso della comunità nazionale6. 2 Per una più ampia definizione di Stato federale, cfr. G. DE VERGOTTINI, alla vo- ce Stato Federale dell’Enciclopedia del Diritto, Milano 1990. 3 Cfr., ad esempio, O. KIMMINICH, Der Bundesstaat, Handbuch des Staatsrechts der Bundesrepublik Deutschland, I, Heidelberg 1987, pp. 114 e ss. 4 Cfr. H. NAWIASKY, Zum Begriff des Föderalismus, Schweizer Rundschau, nu- ova sr., 1946, XLV, p. 802. 5 Cfr. per un richiamo P. CARROZZA, Central Law and Peripheral Law, Law in the Making. A Comparative Survey a cura di A. PIZZORUSSO, Berlin–Heidelberg 1988, p. 243. 6 Sulla distinzione tra ordinamenti autocratici e democratici prescelta e sulle ca- ratteristiche identificanti i medesimi sia consentito rinviare a G. DE VERGOTTINI, Di- ritto costituzionale comparato , Padova 1987, pp. 91 e ss.
Puoi anche leggere