Luca Sacchi: mi allenerei con Nicolò Martinenghi e sfiderei Thomas Ceccon
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Luca Sacchi: mi allenerei con Nicolò Martinenghi e sfiderei Thomas Ceccon written by Silvia Scapol | 20 Gennaio 2021 Luca Sacchi è la voce per tutti coloro che il nuoto lo guardano dalla TV; insieme a Tommaso Mecarozzi, porta il nuoto nelle case degli italiani. Abbiamo avuto il piacere di fare con lui una bella chiacchierata, che il nuoto lo ha vissuto e continua a viverlo da atleta, da dirigente sportivo, da gestore e da giornalista e commentatore televisivo. Che evoluzione ha avuto il nuoto italiano rispetto a quando tu gareggiavi? Credo ci sia stata un’evoluzione davvero profonda, sia a livello stilistico che a livello prestativo, poiché la metodologia di allenamento è molto diversa. Un ruolo importante penso lo abbia avuto l’allenamento e l’utilizzo della forza, che ai miei tempi cominciava ad essere studiata e applicata nell’allenamento dell’atleta, e successivamente, dal 2000 in poi, si è sviluppata in maniera evidentissima. Sia da
un punto di vista prestativo, che da un punto di vista fisico, perché i nuotatori sono cambiati fisicamente, hanno una struttura che non è minimamente paragonabile a quella che avevamo una volta. Penso che questa comunque sia un’evoluzione comune anche agli altri sport, anche se, secondo me, nel nuoto è ancora più evidente che in altre discipline sportive. Non tanto per quanto riguarda l’altezza, già quando nuotavo io era una caratteristica da non trascurare, bensì per la struttura muscolare degli atleti, quella è davvero cambiata in maniera profondissima. Per quanto riguarda l’evoluzione stilistica mi sento di dire che è il risultato della combinazione atleta-allenatore, dalla ricerca e da diverse tipologie di nuotata che sono state adottate nel corso del tempo. La rana di adesso è molto più ritmata, molto più veloce come frequenza rispetto a una volta, pensando soprattutto ai 50 e ai 100 mt; la velocità a stile libero è diventata a braccio teso, proprio per un discorso di applicazione della forza in maniera diversa e più efficace, che una volta non si faceva; per cui sono state una serie di combinazioni probabilmente nate dalle capacità tecniche degli atleti e sviluppate successivamente da chi è venuto dopo che ha raccolto un input per farlo diventare un’evoluzione ben più marcata. Se pensiamo anche al dorso, potremmo quasi dire che oggi è un altro sport rispetto a quello che si nuotava un tempo. Vedo due fattori fondamentali che hanno determinato l’evoluzione del nuoto: quello della forza e l’introduzione dei 50 metri, che ha cambiato quelle che erano le prospettive del nuoto e ha portato gli atleti a sviluppare evoluzioni che poi hanno inciso anche nelle altre distanze. Ritieni che sia cambiato molto anche l’approccio mentale? Non voglio fare paragoni generazionali perché credo non esista un meglio o un peggio. Anche ai miei tempi c’erano dei grandi spavaldi e delle persone che avevano delle evidenti fragilità, credo che piuttosto oggi sia cambiato tutto il quadro che sta intorno al nuotatore. Il nuotatore di alto livello oggi ha una squadra che lavora con lui e per lui che ai miei tempi non esisteva. Ci potevano essere delle situazioni di qualcuno che aveva un seguito, ma a volte neanche strettamente legato alla preparazione o all’allenamento, ma era un abbozzo di tutto quello che invece vediamo oggi. Basti pensare alla figura del fisioterapista, che oggi è una presenza assolutamente importante nel percorso della preparazione e a seguire tutti gli altri professionisti. Mi permetto di dire che è corretto comunque che sia così, nell’alto livello. Ritengo invece che sia spaventoso ritenere che tutte queste figure siano indispensabili per ragazzini di
quattordici o quindici anni. La specializzazione precoce, lo spremere questi ragazzi per un risultato prestativo porta inevitabilmente a delle fragilità. Va rispettata la crescita naturale, bisogna anche permettere che i ragazzi più piccoli sbaglino, commettano dei passi falsi, perché dagli errori possono maturare esperienza e crescere. È un gettare le basi per tutto ciò che si può costruire in momento successivo. Bisogna anche dire che un tempo non c’era la pressione mediatica che vediamo oggi, anche questo ha la sua importanza. Se penso alla mia esperienza, io ho vissuto molto da vicino quella che è stata l’esposizione mediatica di Federica Pellegrini, e posso dire che è stata spaventosa come impatto e forse era anche del tutto nuova nel mondo del nuoto. Credo che quello di Federica sia stato il primo caso in assoluto di questo tipo di esposizione, oltretutto su una ragazza così giovane: mi riferisco a prima che lei facesse la medaglia ai Giochi Olimpici. Oggi la medesima esposizione arriva anche a fronte di risultati che sono altrettanto clamorosi, e che una volta francamente non c’erano. Un’altra che fa storia a sé è Benedetta Pilato, da una parte perché è autrice di prestazione che sono completamente al di là della sua età, e dall’altra perché ha un equilibrio personale, una forma mentis che non è paragonabile a nessun altro. A me personalmente aveva colpito molto di più la sua intervista quando fece per la prima volta il record italiano che la sua gara, è stato più sorprendente sentirla parlare che vederla nuotare: aveva la maturità di un adulto.
Federica Pellegrini .intervistata dai giornalisti Rai Luca Sacchi e Tommaso Mecarozzi.3^ Trofeo Citta’ di Milano .Milano 8 – 10 Marzo 2013.Giorno 01.Photo G. Barbagelata/Deepbluemedia/Insidefoto Come è stato il passaggio dall’acqua a “fuori dall’acqua”, da nuotatore a giornalista e commentatore? Alcolico! Nel senso che è stato molto divertente! È nato per caso, grazie alla stima e alla simpatia che Sandro Fioravanti aveva nei miei confronti quando ancora nuotavo, mi chiamava e mi chiedeva di accompagnarlo alcune volte nelle telecronache e poi da lì la cosa è stata praticamente naturale. Alcolico comunque anche perché quando uno smette di nuotare ha qualche mese in cui le idee sono parecchio confuse su quella che è la vita fuori dall’acqua. Però ho dei bellissimi ricordi: la prima collaborazione giornalistica che ho fatto, dopo aver smesso di nuotare, è stata per i campionati europei a Siviglia, nel 1997, con l’Unità. Venivo pagato 30.000 lire ad articolo, cioè quindici euro attuali, per cui non ci stavo assolutamente dentro con le spese, però lo volevo assolutamente fare e che mi ha regalato grandissime soddisfazioni personali, e ci tengo molto a sottolinearlo, perché mi ha fatto crescere. Quando esci dall’ambiente del nuoto di alto
livello, dove sei coccolato e riverito, è fondamentale capire che il mondo non ti deve più niente. E che se vuoi fare qualcosa ti devi tirare su le maniche e cominciare a farlo. Questo è stato anche il motivo per cui ho smesso di nuotare: avevo paura che questa sorta di ambiente protetto andasse avanti un po’ troppo negli anni e non mi permettesse di affrontare la vita vera in maniera più serena. Oggi fortunatamente gli atleti sono tesserati per i gruppi sportivi militari e possono stare tranquilli, ma questa potrebbe essere anche qualcosa che gli si ritorce contro. È una cosa che per certi aspetti mi spaventa molto nei nuotatori di oggi: un tempo si smetteva di nuotare a diciotto anni, poi a vent’anni, poi a venticinque e adesso si smette tranquillamente oltre i trent’anni ed è un’ età in cui hai comunque una percezione del mondo esterno che è matura, non è quella del ventenne, e hai minore voglia di metterti in gioco, di rischiare. Senti che non sei più un ragazzino, che certi errori non ti vengono perdonati perchè sei un uomo di fatto. Essere protetti economicamente da un gruppo sportivo militare non ti permette di essere libero quando smetti. Ti aiuta sicuramente quando sei più giovane, perché ti permette di esprimerti come atleta a livello professionistico, ma il rischio che le persone poi scelgano la comodità piuttosto che ciò che desiderano veramente è alto. Parliamo della coppia Sacchi-Mecarozzi, binomio imprescindibile del nuoto in RAI. Siamo una coppia fantastica! Scherzi a parte, lavoriamo veramente bene insieme e non è assolutamente una cosa scontata e questo rende le cose sicuramente più semplici. Stimo Tommaso Mecarozzi tantissimo come telecronista, mi piace molto il suo stile, come si comporta in onda, è molto rispettoso e c’è un equilibrio tra di noi che ci fa lavorare davvero molto bene. Lavoriamo insieme dal dicembre del 2009, dagli europei in corta. Abbiamo impiegato forse un annetto per sintonizzarci, perchè lui comunque veniva da altri sport e io da altri telecronisti. La cosa che mi ha sorpreso non è stata tanto la difficoltà a trovarmi con lui, bensì il mio inserimento a lavorare in una dinamica di racconto diverso. Invece piano a piano ci siamo trovati e siamo partiti: lui in un anno, per gli europei in lunga, aveva fatto davvero un gran lavoro ed era perfetto. Sandro Fioravanti era diventato vicedirettore ed è stato lui che poco alla volta ci ha portati a lavorare insieme. Lui aveva provato ad affiancarmi anche altre persone nel corso degli anni precedenti, magari in piccole manifestazioni o occasioni circoscritte. Ma quando è stato il momento di scegliere ha preso Tommaso, aveva fiducia in lui.
Abbiamo imparato a conoscerci sul campo, ma Sandro sicuramente aveva capito che insieme potevamo lavorare davvero bene. Tommaso Mecarozzi, Luca Sacchi Rai Riccione 04/04/2019 Stadio del Nuoto di Riccione Campionato Italiano Assoluto Primaverile di Nuoto Nuoto Swimming Photo © Andrea Staccioli/Deepbluemedia/Insidefoto Un pregio e un difetto del nuoto di oggi. Un grande pregio è sicuramente la spettacolarità, le gare di nuoto oggi sono diventate veramente belle da vedere, non solo per gli appassionati, ma anche per i meno esperti, per chi le segue da fuori. Il momento più bello del nuoto dal punto di vista della spettacolarità penso sia stato il Campionato del Mondo di Budapest, è stata la miglior presentazione di sé per il nuoto, veramente notevole. Storicamente c’è una grande rivalità tra nuoto e pallanuoto, e all’epoca un grande pallanuotista del passato mi disse “Ma il nuoto è diventato una cosa pazzesca”. Ed è vero! Ha fatto un salto di qualità pazzesco: l’arena, la presentazione, il pubblico,
le gare in sé sono veramente un gran spettacolo. E infatti viene seguito molto di più che in passato. Se invece devo pensare ad un difetto direi che talvolta manca la spontaneità negli atleti giovani che si presentano. Manca un po’ di personaggi, di grandi campioni che si possano raccontare anche al di là delle gesta natatorie. Un grande campione porta con sé il volano di potersi raccontare in maniera completa, e molto spesso non lo fa. A volte perché non è in grado, a volte perché semplicemente non lo fa. Se fossi un atleta oggi, con quale nuotatore ti piacerebbe ritrovarti in vasca a nuotare? Come compagno di allenamento, o magari avversario. Mi piacerebbe trovare in vasca Nicolò Martinenghi, per la sua simpatia; mi piacerebbe sfidarmi con Thomas Ceccon, perché lo reputo un nuotatore favoloso… ma la verità è che tutti vorrebbero nuotare i 100 stile libero! Se invece dovessi pescare all’estero, sicuramente Caleb Dressel, perché mi ha davvero dato l’idea di essere un personaggio bello, come atleta e come persona, un campione carico di significato, ha molte caratteristiche che purtroppo Phelps non aveva. Da persona che vive il nuoto a 360°, essendo anche gestore, che segni sta lasciando questa pandemia sul nostro sport? Faccio fatica a distaccarmi dal ruolo del gestore e quindi non parlarne da questo punto di vista, perché le società sono veramente alla canna del gas. C’è uno slittamento olimpico che sicuramente è epocale e profondo come avvenimento nel mondo dello sport. Non era mai successo, se non che per la guerra. Credo che non abbia influito particolarmente nell’alto livello, e questo mi ha sorpreso, perché i risultati che sono emersi da quest’estate in poi sono stati notevoli e significativi. L’aspetto positivo credo lo si sia visto alla ISL: poter vivere per un mese, un mese e mezzo tutti insieme, atleti e allenatori, ritrovare la socialità che in questi mesi è andata perduta è stata una cosa bellissima. Credo che questa pandemia abbia messo in profonda crisi il sistema professionale, le persone che lavorano in questo ambito: un conto è sapere che l’incertezza c’è, un conto è toccarla con mano. Un conto è non avere la previdenza sociale, un conto è non avere più lo stipendio. Credo che non perderemo gli atleti, quelli riusciremo a trovarli, bensì le figure professionali, quella sarà una grande perdita e non facilmente risanabile.
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