LO SMART WORKING NELLA PA - Diritto & Conti

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Lo smart working nella PA
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                            LO SMART WORKING NELLA PA
                                    Posted on 31 Luglio 2020 by Paola Briguori

                             Categories: Democrazia e contabilità, Tutti i contributi
                       Tags: madia, personale, riforma, smart working, spesa del personale

IL SAGGIO E' UNA RIELABORAZIONE DAL RELATIVO CAPITOLO NELLA RELAZIONE DEL
PROCURATORE GENERALE PER L'UDIENZA DI PARIFICA DEL RENDICONTO DELLO STATO ANNO 2019

1.1. Dalla riforma Madia alla legge 22 maggio 2017, n. 81

 La riforma Madia costituisce il momento di avvio verso una progressiva apertura nel pubblico
impiego a forme alternative e flessibili di rapporto di lavoro, ispirate inizialmente dall’obiettivo di
conciliare i tempi di vita e i tempi di lavoro, ben diverso dall’obiettivo attuale dell’emergenza da
Covid-19, che ha, appunto, favorito il ricorso al lavoro agile al fine di garantire il distanziamento
sociale e, nel contempo, l’erogazione dei servizi necessari.

Ed, infatti, l’art. 14 della legge 124/2015 – recante “Promozione della conciliazione dei tempi di vita e di
lavoro nelle amministrazioni pubbliche” - aveva previsto che “le amministrazioni, …, adottano misure
organizzative volte a fissare obiettivi annuali per l'attuazione del telelavoro e per la sperimentazione,
anche al fine di tutelare le cure parentali, di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della
prestazione lavorativa che permettano, entro tre anni, ad almeno il 10 per cento dei dipendenti, ove lo
richiedano, di avvalersi di tali modalità, garantendo che i dipendenti che se ne avvalgono non subiscano
penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera”. La norma
prevedeva che         “l'adozione delle misure organizzative e il raggiungimento degli obiettivi suddetti
costituiscono oggetto di valutazione nell'ambito dei percorsi di misurazione della performance
organizzativa e individuale all'interno delle amministrazioni pubbliche”. Le amministrazioni pubbliche
dovevano adeguare altresì i propri sistemi di monitoraggio e controllo interno, individuando
specifici indicatori per la verifica dell'impatto sull'efficacia e sull'efficienza dell'azione
amministrativa, “nonché sulla qualità dei servizi erogati, delle misure organizzative adottate in tema di
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti, anche coinvolgendo i cittadini, sia
individualmente, sia nelle loro forme associative”.

Tale disposizione ha consentito a ciascuna amministrazione, nell’ambito della propria autonomia
organizzativa, di individuare le modalità innovative, alternative al telelavoro, più adeguate rispetto
alla propria organizzazione, fermo restando il rispetto delle norme e dei principi in tema di
sicurezza sul luogo di lavoro, tutela della riservatezza dei dati e verifica dell’adempimento della
prestazione lavorativa.

Proprio nel solco tracciato dalla legge 124/2015 trova spazio la legge 22 maggio 2017, n. 81, recante

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“Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione
flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”. Una compiuta disciplina di base del lavoro
agile (detto anche smartworking) è prevista al capo II della suddetta legge (artt. 18-24), che pone
l'accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l'accordo
individuale e sull'utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad
esempio: pc portatili, tablet e smartphone).

In particolare, l’articolo 18, comma 1, della legge 22 maggio 2017, n. 81 definisce il lavoro agile quale
“..modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti,
anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di
lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa. Si
prevede che la prestazione lavorativa debba essere eseguita in parte all'interno di locali aziendali e in
parte all'esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro
giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”.

Il comma 3 del medesimo articolo prevede l’estensione del lavoro agile anche al pubblico impiego,
disponendo che la disciplina dettata si applica, in quanto compatibile, “… anche nei rapporti di lavoro
alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30
marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, secondo le direttive emanate anche ai sensi dell'articolo
14 della legge 7 agosto 2015, n. 124, e fatta salva l'applicazione delle diverse disposizioni specificamente
adottate per tali rapporti”.

Ai lavoratori agili viene garantita la parità di trattamento - economico e normativo - rispetto ai loro
colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinarie.

La norma prevede che “il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la
prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei
lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un'informativa scritta nella quale sono
individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto
di lavoro. Il lavoratore è tenuto a cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal
datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all'esecuzione della prestazione all'esterno dei locali
aziendali. Il lavoratore ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali
dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all'esterno dei locali aziendali”. Inoltre, “..
ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno
dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all'esterno dei
locali aziendali, nei limiti e alle condizioni di cui al terzo comma dell'articolo 2 del testo unico delle
disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e successive modificazioni,
quando la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o
dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di
ragionevolezza”.

È, quindi, prevista la loro tutela in caso di infortuni e malattie professionali, secondo le modalità

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illustrate dall'INAIL nella Circolare n. 48/2017.

Pertanto, il punto nodale è la stipulazione di un accordo tra le parti del rapporto di lavoro.

La norma prevede, infatti, che l'accordo relativo alla modalità di lavoro agile è stipulato per iscritto
ai fini della regolarità amministrativa e della prova, e disciplina l'esecuzione della prestazione
lavorativa svolta all'esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere
direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore. L'accordo individua, altresì, i
tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare
la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro.

Inoltre, l'accordo può essere a termine o a tempo indeterminato; in tale ultimo caso, il recesso può
avvenire con un preavviso non inferiore a trenta giorni. Nel caso di lavoratori disabili ai sensi
dell'articolo 1 della legge 12 marzo 1999, n. 68, il termine di preavviso del recesso da parte del
datore di lavoro non può essere inferiore a novanta giorni, al fine di consentire un'adeguata
riorganizzazione dei percorsi di lavoro rispetto alle esigenze di vita e di cura del lavoratore.

In presenza di un giustificato motivo, ciascuno dei contraenti può recedere prima della scadenza del
termine nel caso di accordo a tempo determinato, o, senza preavviso, nel caso di accordo a tempo
indeterminato.

1.2. La legge di bilancio n.145 del 30 dicembre 2018

Lalegge 145 del 30 dicembre 2018 (legge di bilancio 2019) ha arricchito ulteriormente la disciplina
del lavoro agile. L’art. 1, comma 486 (legge di bilancio 2019), ha previsto una priorità all’accesso al
lavoro agile per i genitori di figli ancora piccoli o che assistono un figlio con grave disabilità. In
particolare, tale disposizione ha aggiunto all’articolo 18 della L. 81/2017 il comma 3-bis, in cui si
prevede che “I datori di lavoro pubblici e privati che stipulano accordi perl'esecuzione della
prestazione dilavoro in modalità agile sono tenutiin ogni casoa riconoscere priorità alle richieste di
esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile formulatedalle lavoratrici nei tre anni successivi
alla conclusione del periodo di congedo di maternità previsto dall'articolo 16 del testo unico delle
disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al
decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, ovvero dai lavoratori con figli in condizioni di disabilità ai
sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104”.

X.1.3. La direttiva 3 giugno 2017, n.3 del Dipartimento della Funzione Pubblica

In attuazione delle norme sopra citate il 3 giugno 2017 il Dipartimento della Funzione pubblica ha
adottato la direttiva n. 3/2017 – recante le linee guida sul lavoro agile nella PA – che è divenuto il
principale riferimento per la disciplina del lavoro agile nella PA prima dell’emergenza COVID-19.

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Occorre premettere che la direttiva non era finalizzata ad individuare un modello unico di
approccio all’introduzione del lavoro agile poiché, basandosi su di un accordo individuale tra le
parti, ogni amministrazione può disegnare autonomamente il modello che meglio risponde alle
proprie esigenze e alle proprie dinamiche organizzative per soddisfare gli obiettivi qualitativi e
quantitativi di cui all’art. 14 della Legge Madia.

Dopo una parte introduttiva, recante indicazioni sul contesto normativo, le misure organizzative e la
disciplina del monitoraggio, vi è una parte dedicata alle proposte metodologiche e poi quella
centrale che è relativa gli aspetti organizzativi e alla gestione del rapporto di lavoro e delle relazioni
sindacali.

“Non esistono modelli statici di smart working”, così recita la direttiva n. 3/2017, perché si limita solo a
tracciare un percorso metodologico, non vincolante, che può aiutare le amministrazioni pubbliche a
definire aspetti rilevanti della disciplina e ad individuare fasi concrete di attuazione.

Nella Direttiva si prevede che le finalità sottese sono quelle dell'introduzione, di nuove modalità di
organizzazione del lavoro basate sull'utilizzo della flessibilità lavorativa, sulla valutazione per
obiettivi e la rilevazione dei bisogni del personale dipendente, anche alla luce delle esigenze di
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. A questo riguardo assumono rilievo le politiche di
ciascuna amministrazione in merito a: valorizzazione delle risorse umane e razionalizzazione delle
risorse strumentali disponibili nell'ottica di una maggiore produttività ed efficienza;
responsabilizzazione del personale dirigente e non; riprogettazione dello spazio di lavoro;
promozione e più ampia diffusione dell'utilizzo delle tecnologie digitali; rafforzamento dei sistemi di
misurazione e valutazione della performance; agevolazione della conciliazione dei tempi di vita e di
lavoro.

L'adozione delle misure organizzative e il raggiungimento degli obiettivi descritti costituiscono
oggetto di valutazione nell'ambito dei percorsi di misurazione della performance organizzativa e
individuale all'interno delle amministrazioni pubbliche.

In estrema sintesi, la direttiva propone l’attivazione del lavoro agile con una fase di sperimentazione
attraverso l'avvio di un progetto pilota che coinvolga preliminarmente un'unità organizzativa che
per caratteristiche si presta maggiormente alla prima fase di sperimentazione. Il tutto con la
previsione di un monitoraggio dell’andamento del fenomeno per permettere la progressiva
diffusione del nuovo modulo contrattuale.

Si prevede espressamente che la prestazione dell'attività lavorativa in "lavoro agile" non varia la
natura giuridica del rapporto di lavoro subordinato, la posizione della lavoratrice o del lavoratore
all'interno dell'amministrazione e non modifica la relativa sede di lavoro di assegnazione.

La Direttiva precisa che ciascuna pubblica amministrazione, per agevolare l'adesione alle nuove
modalità di organizzazione del lavoro, è chiamata, in particolare, a:

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     adottare misure specifiche volte a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle
     amministrazioni pubbliche, attraverso un'organizzazione del lavoro non più necessariamente
     incentrata sulla presenza fisica ma su risultati obiettivamente misurabili e sulla performance,
     nei termini ed entro i limiti di cui all'articolo 14 della legge 124/2015;
     attuare la disciplina in materia di telelavoro, lavoro agile e conciliazione dei tempi di vita e di
     lavoro, attribuendo criteri di priorità per la fruizione delle relative misure, compatibilmente
     con l'organizzazione degli uffici e del lavoro, a favore di coloro che si trovano in situazioni di
     svantaggio personale, sociale e familiare e dei/delle dipendenti impegnati/e in attività di
     volontariato;
     individuare, ove necessario, tramite apposito atto di ricognizione interna, le attività che non
     sono compatibili con le innovative modalità spazio temporali di svolgimento della prestazione
     lavorativa, tenendo sempre presente l'obiettivo di garantire, al termine del triennio successivo
     alla data di entrata in vigore della legge 124/2015 e, a regime, ad almeno il 10 per cento del
     proprio personale, ove lo richieda, la possibilità di avvalersi di tali modalità;
     individuare obiettivi prestazionali specifici, misurabili, coerenti e compatibili con il contesto
     organizzativo, che permettano da un lato di responsabilizzare il personale rispetto alla mission
     istituzionale dell'amministrazione, dall'altro di valutare e valorizzare la prestazione lavorativa
     in termini di performance e di risultati effettivamente raggiunti;
     promuovere, anche attraverso la Scuola Nazionale dell’Amministrazione, percorsi di
     formazione mirati rivolti ai dipendenti pubblici e, in particolare, ai dirigenti per una maggior
     diffusione del ricorso a modalità di lavoro agile non solo per agevolare la conciliazione dei
     tempi di vita e lavoro, ma anche per incrementare la produttività e modelli organizzativi più
     competitivi;
     riprogettare lo spazio fisico e virtuale di lavoro, attraverso la riorganizzazione e la
     razionalizzazione dei luoghi di lavoro, anche mediante la creazione di spazi condivisi;
     promuovere e diffondere l'uso delle tecnologie digitali a supporto della prestazione lavorativa,
     anche al fine di colmare il c.d. digital divide, per il consolidamento di una struttura
     amministrativa basata sulle reti informatiche tecnologicamente avanzate, anche attraverso
     applicazioni gestionali e di project management accessibili da remoto.

La prestazione di lavoro subordinato si svolge, pertanto, previo accordo scritto tra le parti, con le
seguenti modalità:

   i. esecuzione della prestazione lavorativa in parte all'interno dei locali dell'amministrazione e in
      parte all'esterno (flessibilità spaziale della prestazione) ed entro i soli limiti di durata massima
      dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione
      collettiva (flessibilità dell'orario di lavoro). In merito ai luoghi possibili di lavoro non si prevede
      necessariamente una postazione fissa durante i periodi di lavoro svolti all'esterno dei locali
      dell'amministrazione. Ferma restando l'alternanza tra locali dell'ente e locali esterni e la non
      necessità di una postazione fissa, sarebbe opportuna l'individuazione dei locali esterni,
      d'intesa tra amministrazione e lavoratori. Per l'orario di lavoro si pone il tema di un possibile
      controllo del rispetto dello stesso orario, ferma restando la necessità di promuovere una
      cultura dell'organizzazione del lavoro per obiettivi e risultati con forte responsabilizzazione del
      lavoratore rispetto al suo apporto lavorativo.

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   ii. definizione del numero di giorni, di ore, di mesi, di anni di durata dello smart working con
       prevalenza della modalità di prestazione in sede; valutare la frazionabilità nella giornata
       oppure stabilire lo smart workíng per la giornata intera; ragionare in termini di giorni fissi o
       giorni variabili;
  iii. individuazione della correlazione temporale dello smart working rispetto all'orario di lavoro e
       di servizio dell'amministrazione anche mediante fasce di reperibilità;
  iv. possibilità di utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa. Qui si
       pone un tema collegato alle mansioni ed al ruolo del lavoratore rispetto allo svolgimento della
       prestazione, all'organizzazione e a quello delle strumentazioni necessarie per l'adempimento.
       In particolare, non dovrebbe sussistere l'obbligo dell'amministrazione di fornire la
       strumentazione necessaria. Tuttavia nel caso in cui la fornisce si pongono i noti temi, analoghi
       al telelavoro, sulla sicurezza e buon funzionamento della strumentazione fornita e sui relativi
       costi.

Molto delicato è il ruolo del sindacato nella gestione dello smart working.

Sul punto la direttiva osserva che, in materia di smart workíng, in assenza di specifiche disposizioni
normative e contrattuali, soccorrono le disposizioni normative di carattere generale in materia di
poteri datoriali e di riparto di competenza tra fonte legislativa e fonte contrattuale.

Si rinvia all'articolo 5, comma 2, del d.lgs. 165/2001 che a normativa vigente prevede che,
“nell'ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all'articolo 2, comma 1, le determinazioni per
l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via
esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatti
salvi la sola informazione ai sindacati per le determinazioni relative all'organizzazione degli uffici ovvero,
limitatamente alle misure riguardanti i rapporti di lavoro, l'esame congiunto, ove previsti nei contratti di
cui all'articolo 9”. Rientrano, in particolare, nell'esercizio dei poteri dirigenziali le misure inerenti alla
gestione delle risorse umane nel rispetto del principio di pari opportunità, nonché la direzione e
l'organizzazione del lavoro nell'ambito degli uffici.

Pertanto, nel ricorso al lavoro agile, per gli aspetti connessi alle determinazioni relative
all'organizzazione degli uffici è richiesta la sola informativa sindacale, mentre per i profili
concernenti i rapporti di lavoro non potrà prescindersi dalle altre forme di partecipazione sindacale
previste o dalla contrattazione laddove si rientri nelle materie di competenza della stessa.

In assenza di una disciplina contrattuale in materia, che preveda le modalità e gli istituti della
partecipazione sindacale, la direttiva osserva che, limitatamente alle misure riguardanti i rapporti di
lavoro, sia comunque opportuno un confronto preventivo con i sindacati.

Resta fermo che, anche rispetto alle determinazioni relative all'organizzazione degli uffici per cui i
contratti collettivi possono prevedere l'informativa, le singole amministrazioni possono avviare
percorsi di condivisione e confronto con le organizzazioni sindacali che, in un'ottica di

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collaborazione, possano essere utili per l'applicazione di un istituto innovativo come il lavoro agile.

Deve dirsi che progressivamente le amministrazioni hanno avviato il percorso di sperimentazione
degli accordi sullo smartworking, come nel caso del Protocollo siglato dalla Presidenza del Consiglio
nel 2017 ovvero l’accordo stipulato dal Miur.

2. Il lavoro agile (lo smartworking) e l’emergenza da COVID-19 nella pubblica amministrazione

1. Come detto, la fase sperimentale del lavoro agile nella pubblica amministrazione ha subito una
battuta d’arresto da marzo 2020 a seguito dell’emergenza da COVID-19, che, stravolgendo l’intero
sistema delle relazioni sociali con l’imposizione del distanziamento sociale e fisico, ha fatto sorgere
la necessità di apportare profonde modifiche alle modalità di svolgimento della prestazione
lavorativa, al fine di garantire la tutela della salute dei cittadini e dei lavoratori. Ciò ha comportato
che proprio il lavoro agile è divenuto la modalità necessitata e ordinaria di svolgimento della
prestazione lavorativa con una disciplina in parte diversa da quella prevista dalla legge 81/2017,
perché ispirata a principi diversi ed esclusivamente dettati dall’emergenza sanitaria, come è dato
evincersi dai decreti emergenziali adottati in pochi mesi: non più la finalità di permettere la
conciliazione dei tempi di vita e di lavoro con l’esecuzione della prestazione lavorativa in parte
all’interno dei locali dell’amministrazione, ma la finalità del distanziamento sociale con la necessità
di svolgere la prestazione direttamente presso la propria abitazione. La disciplina dell’emergenza
prescinde anche dalla stipulazione dell’accordo tra le parti.

In un primo tempo tale modalità era stata prevista per le cd. zone rosse. Ed infatti, il DPCM 25
febbraio 2020 (recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante
misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19”)
aveva previsto all’art. 2 che “la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge
22 maggio 2017, n. 81, è applicabile in via provvisoria, fino al 15 marzo 2020, per i datori di lavoro aventi
sede legale o operativa nelle Regioni Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto
e Liguria, e per i lavoratori ivi residenti o domiciliati che svolgano attività lavorativa fuori da tali territori,
a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni,
anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti”. Inoltre, è stato precisato che “gli obblighi di
informativa di cui all'art. 22 della legge 22 maggio 2017, n. 81, sono assolti in via telematica anche
ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul
lavoro”.

Tale normativa è stata poi estesa a tutto il territorio nazionale con il dl 17 marzo 2020, n. 18, il cd.
decreto Cura Italia, recante “misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno
economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”.

Lo smartworking perde le sue connotazioni originarie, poiché non è previsto su base volontaria ma
viene imposto per settori compatibili, anche prescindendo dall’accordo tra le parti.

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L’art. 87 del dl. n.18/2020 prevede che “fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da
COVID-19, ovvero fino ad una data antecedente stabilita con decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, il lavoro agile è la modalità ordinaria
di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2,
del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Conseguentemente le amministrazioni: a) limitano la
presenza del personale negli uffici per assicurare esclusivamente le attività che ritengono indifferibili e
che richiedono necessariamente la presenza sul luogo di lavoro, anche in ragione della gestione
dell'emergenza; b) prescindono dagli accordi individuali e dagli obblighi informativi previsti dagli articoli
da 18 a 23, della legge 22 maggio 2017, n. 81”.

La norma prevede che la prestazione lavorativa in lavoro agile può essere svolta anche attraverso
strumenti informatici nella disponibilità del dipendente qualora non siano forniti
dall'amministrazione.

Pertanto, il lavoro agile diventa la modalità di svolgimento della prestazione lavorativa del pubblico
impiego nell’Italia dell’emergenza sanitaria. Tant’è che, qualora non sia possibile ricorrervi, le
amministrazioni devono utilizzare gli strumenti delle ferie pregresse, del congedo, della banca ore,
della rotazione e di altri analoghi istituti, nel rispetto della contrattazione collettiva. Esperite tali
possibilità le amministrazioni possono motivatamente esentare il personale dipendente dal
servizio. Il periodo di esenzione dal servizio costituisce servizio prestato a tutti gli effetti di legge e
l'amministrazione non corrisponde l’indennità sostitutiva di mensa, ove prevista. Viene poi abolita
la norma (art.14, l.124/2015) che prevedeva una fase di sperimentazione del lavoro agile (art. 18,
decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9).

Sono tenuti ad applicare tale normativa anche gli organi costituzionali e di rilevanza costituzionale,
nonché le autorità amministrative indipendenti, ivi comprese la Commissione nazionale per le
società e la borsa e la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, che, ciascuno nell'ambito della
propria autonomia, adeguano il proprio ordinamento.

Si rammenta che, il ricorso al lavoro agile viene considerato un diritto per le fasce di lavoratori più
deboli. L’art. 39 del dl 18 cit. ha previsto che “...i lavoratori dipendenti disabili nelle condizioni di cui
all'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 o che abbiano nel proprio nucleo familiare
una persona con disabilità nelle condizioni di cui all'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n.
104, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile ai sensi dagli articoli da 18 a 23
della legge 22 maggio 2017, n. 81, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche
della prestazione”. Inoltre, la stessa norma, prevede che “ai lavoratori del settore privato affetti da
gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa è riconosciuta la priorità nell'accoglimento
delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile ai sensi degli articoli da 18 a 23
della legge 22 maggio 2017, n. 81”.

Viene ribadito che il ricorso al lavoro agile non richiede più l’accordo tra le parti e con modalità
informative semplificate. Questo trova conferma nelle norme che si susseguono. Non si può
dimenticare quanto disposto dall’art. 2, lett r) del DPCM 8 marzo 2020 ( recante “Ulteriori disposizioni

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attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e
gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19) in cui si prevede che “la modalità di lavoro agile
disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata, per la
durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020,
dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle
menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti; gli obblighi di informativa
di cui all'art. 22 della legge 22 maggio 2017, n. 81, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla
documentazione resa disponibile sul sito dell'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro”.

Con il più recente dl 19 maggio 2020, n. 34 – cd. decreto rilancio - il principio viene ribadito e vi è un
altro intervento di dettaglio sulla materia con la previsione dell’estensione di tale disciplina anche al
settore privato. All’art. 90, si prevede infatti che, “fermo restando quanto previsto dall'articolo 87 del
decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, per i
datori di lavoro pubblici, limitatamente al periodo di emergenza sanitaria e comunque non oltre il 31
dicembre 2020, la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio
2017, n. 81, può essere applicata dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel
rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi
previsti; gli obblighi di informativa di cui all'articolo 22 della medesima legge n. 81 del 2017, sono assolti
in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell'Istituto nazionale
assicurazione infortuni sul lavoro”.

La norma aggiunge una tutela rafforzata per altre categorie di lavoratori più deboli. Si prevede al
comma 1 dell’art. 90 cit. che, fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da
COVID-19, fermo restando il rispetto degli obblighi informativi previsti dagli articoli da 18 a 23 della
legge 22 maggio 2017, n. 81, e a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche
della prestazione, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in
assenza degli accordi individuali i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno
almeno un figlio minore di anni 14, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore
beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività
lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore.

2. Per dare massima attuazione a quanto disposto per il pubblico impiego nella fase di emergenza
da Covid 19 sono state adottate dal Dipartimento della Funzione Pubblica anche le direttive n.1
(recante “Prime indicazioni in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da
COVID-19 nelle pubbliche amministrazioni al di fuori delle aree di cui all'articolo 1 del decreto-legge n.6
del 2020”) e n.2 (recante “Indicazioni in materia di contenimento e gestione dell’emergenza
epidemiologica da COVID-19 nelle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165) del 2020 che hanno riguardato la cd. fase 1. Nel maggio 2020 il
Dipartimento ha adottato la direttiva n.3/2020 avente ad oggetto "Modalità di svolgimento della
prestazione lavorativa nell'evolversi della situazione epidemiologica da parte delle pubbliche
amministrazioni" con la quale è stato sostanzialmente rivisto l'istituto dello smart working nel
pubblico impiego nella fase della riapertura delle attività ( cd. fase 2 ) e alla luce del decreto rilancio.

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2.1 Nella direttiva n. 1/2020 si prendeva atto che le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1,
comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 nelle zone non soggette a misure di
contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-2019, continuavano ad
assicurare, in via ordinaria e ciascuna per la propria competenza, la normale apertura degli uffici
pubblici e il regolare svolgimento di tutte le proprie attività istituzionali. Per quanto riguarda la
“Modalità di svolgimento della prestazione lavorativa”, nella direttiva si evidenziava che, “ferme
restando le misure adottate in base al decreto-legge n.6 del 2020, al fine di contemperare l'interesse alla
salute pubblica con quello della continuità dell'azione amministrativa, le amministrazioni, nell'esercizio
dei poteri datoriali, dovevano privilegiare modalità flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa,
favorendo tra i destinatari delle misure i lavoratori portatori di patologie che li rendono maggiormente
esposti al contagio, i lavoratori che si avvalgono di servizi pubblici di trasporto per raggiungere la sede
lavorativa, i lavoratori sui quali grava la cura dei figli a seguito dell'eventuale contrazione dei servizi
dell'asilo nido e della scuola dell'infanzia”. Veniva poi rivolto un invito alle amministrazioni a
potenziare il ricorso al lavoro agile, individuando modalità semplificate e temporanee di accesso
alla misura con riferimento al personale complessivamente inteso, senza distinzione di categoria di
inquadramento e di tipologia di rapporto di lavoro.

Con la direttiva n.2 di fine marzo 2020 si fa un passo ulteriore e si prende atto della necessità di
portare a regime il lavoro agile fino al termine della fase emergenziale.

Si evidenziava che “in considerazione delle misure in materia di lavoro agile previste dai provvedimenti
adottati in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, le pubbliche
amministrazioni, anche al fine di contemperare l’interesse alla salute pubblica con quello alla continuità
dell’azione amministrativa, nell’esercizio dei poteri datoriali debbano assicurare il ricorso al lavoro agile
come modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa, fermo restando quanto previsto
dall’articolo 1, comma 1, lettera e) del DPCM 8 marzo 2020”, che conteneva la raccomandazione ai
datori di lavoro pubblici e privati di promuovere, durante il periodo di efficacia del presente
decreto, la fruizione da parte dei lavoratori dipendenti dei periodi di congedo ordinario e di ferie.

La direttiva ricordava che l’articolo 14 della legge 7 agosto 2015, n. 124 ha disposto l’obbligo per le
amministrazioni pubbliche “..di adottare, nei limiti delle risorse di bilancio disponibili a legislazione
vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, misure organizzative volte a fissare
obiettivi annuali per l’attuazione del telelavoro e, anche al fine di tutelare le cure parentali, di nuove
modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa che permettano, entro tre anni, ad
almeno il 10 per cento dei dipendenti, ove lo richiedano, di avvalersi di tali modalità, garantendo che i
dipendenti che se ne avvalgono non subiscano penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità
e della progressione di carriera”. La Direttiva evidenziava, poi, che la previsione “non prevede una
soglia massima per il ricorso alle predette modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, per cui
l’attuale situazione emergenziale è tale da giustificarne il ricorso come strumento ordinario”.

Ricordava altresì che, per effetto delle modifiche apportate al richiamato articolo 14 della legge n.
124 del 2015 dal recente decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, recante “Misure urgenti di sostegno per
famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19”, è superato il regime

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sperimentale dell’obbligo per le amministrazioni di adottare misure organizzative per il ricorso a
nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa con la conseguenza
che la misura opera a regime.

Pertanto, a fronte della situazione emergenziale, nella stessa Direttiva si evidenziava la necessità di
un ripensamento da parte delle pubbliche amministrazioni in merito alle attività che possono
essere oggetto di lavoro agile, con l’obiettivo prioritario di includere anche attività originariamente
escluse.

Così si precisava che “relativamente alle attività individuate, le amministrazioni prevedono modalità
semplificate e temporanee di accesso alla misura con riferimento al personale complessivamente inteso,
senza distinzione di categoria di inquadramento e di tipologia di rapporto di lavoro, fermo restando
quanto rappresentato nel precedente paragrafo in merito al personale con qualifica dirigenziale”.

Sul punto, come già chiarito nella citata circolare n. 1 del 2020, si ricordava la possibilità di ricorrere
alle modalità flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa anche nei casi in cui, a fronte
dell’indisponibilità o insufficienza di dotazione informatica da parte dell’amministrazione, il
dipendente si rendesse disponibile ad utilizzare propri dispositivi, garantendo in ogni caso adeguati
livelli di sicurezza e protezione della rete secondo le esigenze e le modalità definite dalle singole
pubbliche amministrazioni.

2.2 La Direttiva di maggio 2020 n.3 costituisce l’ultimo step del lento avvicinamento verso un
sistema basato sulla flessibilità nel lavoro pubblico con accorgimenti che permettano comunque un
maggior legame con la sede dell’ufficio e il conseguente movimento dei lavoratori per effetto
dell’allentamento della fase di distanziamento sociale, in linea con il decreto rilancio.

Nella Direttiva n.3/2020 si osserva che “le misure finora adottate rispetto all’intero territorio nazionale
per il contenimento della situazione epidemiologica non hanno previsto la sospensione dell’erogazione
dei servizi da parte delle pubbliche amministrazioni, pur essendo finalizzate a ridurre la presenza dei
dipendenti negli uffici e ad evitare il loro spostamento. Anche nel DPCM 26 aprile 2020 l’attività svolta
dalla amministrazione pubblica continua ad essere inserita nell’allegato 3, ossia tra le attività non
sospese, fermo restando il richiamo al predetto articolo 87 che, come detto, definisce il lavoro agile come
modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa”.

Nello scenario attuale, dunque, la disciplina normativa applicabile alle pubbliche amministrazioni
continua a rimanere quella contenuta nell’articolo 87 che, tuttavia, deve essere letta – si evidenzia
nella Direttiva richiamata - alla luce delle misure di ripresa della fase due introdotte dallo stesso
DPCM 26 aprile 2020, che ha ampliato il novero delle attività economiche (Ateco) non più soggette a
sospensione. In quest’ottica, le pubbliche amministrazioni continuano a garantire l’attività
amministrativa e a tal fine possono rivedere le attività indifferibili, ampliando il novero di quelle
individuate in prima battuta, e quelle da rendere in presenza anche per assicurare il necessario
supporto all’immediata ripresa delle attività produttive, industriali e commerciali secondo quanto
disposto dal citato DPCM 26 aprile 2020 e dalle future misure normative. Alla luce delle misure

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necessarie ad assicurare la ripresa, tra i procedimenti amministrativi da considerare urgenti ai sensi
dell’articolo 103 del decreto-legge n. 18 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile
2020, n. 27, rientrano, secondo la Direttiva, quelli connessi alla immediata ripresa delle citate
attività produttive, industriali e commerciali rispetto alle quali le pubbliche amministrazioni, per
quanto di competenza, ricevono e danno seguito alle istanze e alle segnalazioni dei privati.

Si evidenzia nella Direttiva che, “resta fermo che le attività che le amministrazioni sono chiamate a
garantire possono essere svolte sia nella sede di lavoro – anche solo per alcune giornate, nei casi in cui il
dipendente faccia parte del contingente minimo posto a presidio dell’ufficio – sia con modalità agile”.
Nella fase attuale, le amministrazioni dovranno valutare, in particolare, se le nuove o maggiori
attività possano continuare a essere svolte con le modalità organizzative finora messe in campo
ovvero se le stesse debbano essere ripensate a garanzia dei servizi pubblici da assicurare alla
collettività.

Pertanto, alle amministrazioni è lasciato maggiore spazio decisionale per individuare in quali ambiti
ancora imporre il lavoro agile.

Ove le fasi di riapertura dei settori e delle attività economiche – anche nei termini che saranno
definiti con le prossime misure – renderanno necessario un ripensamento delle modalità
organizzative e gestionali al fine di potenziare il ruolo propulsivo delle amministrazioni, sarà cura
delle stesse assicurarne la compatibilità con la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Le
pubbliche amministrazioni dovranno essere in grado di definire modalità di gestione del personale
duttili e flessibili, tali da assicurare che il supporto alla progressiva ripresa delle attività sia adeguato
e costante tale da ad assicurare comunque la ragionevole durata e la celere conclusione dei
procedimenti. Le amministrazioni pubbliche sono invitate a comunicare, con ogni mezzo idoneo, le
modalità di erogazione dei servizi al fine di garantire la massima e tempestiva informazione
dell’utenza.

2.2.1 La Direttiva si occupa anche del Monitoraggio e delle misure organizzative di incentivazione
del lavoro agile.

Dal monitoraggio avviato dal Dipartimento della funzione pubblica si evince che le pubbliche
amministrazioni hanno ampiamente utilizzato il lavoro agile, dimostrando come il settore pubblico
abbia saputo reagire con prontezza all’emergenza. Lo scenario che si è delineato con la situazione
emergenziale dovrà auspicabilmente rappresentare un’occasione utile per individuare gli aspetti
organizzativi da migliorare, con particolare riguardo alla digitalizzazione dei processi e al
potenziamento della strumentazione informatica, che non sempre si è rivelata adeguata nelle
singole realtà amministrative. Sotto tale aspetto, è necessario che, già nella fase attuale, le
amministrazioni programmino i propri approvvigionamenti ricorrendo alle misure di ausilio allo
svolgimento del lavoro agile da parte dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e degli
organismi di diritto pubblico di cui all’articolo 75 del citato decreto-legge n. 18 del 2020, convertito,
con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, con l’obiettivo di migliorare la connettività e di
acquisire le necessarie dotazioni informatiche mobili, servizi in cloud e licenze per attivare il lavoro

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agile. Contestualmente le amministrazioni sono invitate ad individuare ogni misura utile a
consentire la dematerializzazione dei procedimenti (ad es. provvedere, mediante il personale in
presenza, alla scansione e all’invio della documentazione al personale in modalità agile; provvedere
all’utilizzo di cloud, offerti gratuitamente anche in questa fase da provider privati, per l’archiviazione
di documentazione), di modo tale che tutti i dipendenti possano svolgere la propria prestazione a
pieno regime. É inoltre fondamentale il ricorso all’attività formativa come strumento di
accompagnamento del proprio personale nel processo di trasformazione digitale
dell'amministrazione e di diffusione della capacità di lavorare in modalità agile per il
raggiungimento degli obiettivi assegnati, limitando al massimo il rischio di stress correlato alle
nuove modalità di lavoro e garantendo il diritto alla disconnessione.

Nella Direttiva si pone l’accento all’ottica di accelerare l’innovazione organizzativa come
presupposto per incrementare il ricorso al lavoro agile nella fase successiva all’emergenza, per cui
ciascuna amministrazione è chiamata ad implementare azioni di analisi organizzativa, di
monitoraggio e di semplificazione delle procedure, oltre a quelle sopra indicate di investimento
nelle tecnologie informative e di sviluppo delle competenze.

In sintesi, nella direttiva si afferma che la sfida che dovranno affrontare le amministrazioni è
rappresentata dalla necessità di mettere a regime e rendere sistematiche le misure adottate nella
fase emergenziale, al fine di rendere il lavoro agile lo strumento primario nell’ottica del
potenziamento dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione amministrativa.

3. Conclusioni..

Non v’è dubbio che nel 2020, a seguito degli effetti derivanti dalla normativa emergenziale legata al
Covid 19, il dato statistico dello scorso anno è necessariamente destinato a subire un rilevante
incremento che con molta probabilità tenderà a consolidarsi anche negli anni futuri, ad emergenza
sanitaria conclusa.

Spesso, infatti, dalle situazioni emergenziali possono nascere nuove opportunità, come quella di
ripensare il modello tradizionale di svolgimento della prestazione lavorativa e far decollare il lavoro
agile al fine di realizzare in modo più concreto percorsi innovativi e forme di conciliazione lavoro/
famiglia, nonché una maggiore efficienza dei risultati perseguiti, anche in termini di risparmio di
costi per la pubblica amministrazione e per le aziende.

Come detto, nella Direttiva n.3/2020 del Dipartimento della Funzione Pubblica si afferma che la
sfida che dovranno affrontare le amministrazioni è rappresentata dalla necessità di mettere a
regime e rendere sistematiche le misure adottate nella fase emergenziale, al fine di rendere il
lavoro agile lo strumento primario nell’ottica del potenziamento dell’efficacia e dell’efficienza
dell’azione amministrativa. Questo necessariamente dovrà portare all’adozione di norme che
prevedano un adeguamento al lavoro agile della legislazione lavoristica pubblica e della normativa
contrattuale, perché, essendo state concepite per il rapporto di lavoro svolto nella sede di servizio,
appare difficile – nel silenzio della decretazione dell’emergenza sanitaria - ipotizzare una loro

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applicazione generalizzata. Restano ancora da definire criteri per la misurazione della performance,
la disciplina del lavoro straordinario e della eventuale spettanza dia altre indennità. Già è sorta una
querelle sulla spettanza del buono pasto nel silenzio della norma. Merita di essere ricordata la
recente pronuncia del Giudice del lavoro, nonostante le pressanti richieste dei dipendenti pubblici,
ha negato il diritto al buono pasto in regime di lavoro agile. Il giudice ha precisato che il lavoro agile
è incompatibile con la fruizione dei buoni pasto. Il diritto ai buoni pasto in favore dei lavoratori degli
enti locali è previsto dai contratti collettivi che ne subordinano la fruizione soltanto in presenza di
determinati requisiti di durata giornaliera della prestazione. Per la maturazione del buono pasto,
sostitutivo del servizio mensa, è necessario che l’orario di lavoro sia organizzato con specifiche
scadenze orarie e che lavoratore consumi il passo al di fuori dell’orario di servizio. Quando la
prestazione resa in modalità di lavoro agile, questi presupposti non sussistono, proprio perché il
lavoratore è libero di organizzare come meglio ritiene la prestazione sotto il profilo della
collocazione temporale. Né a diversa soluzione può indurre l’articolo 20 della legge 81/2017, in cui
si prevede che lavoratori in smart working abbiano diritto ad un trattamento economico e
normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che
svolgono le proprie mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda. La Suprema Corte, intervenuta
per definire la natura dei buoni pasto, sebbene in una diversa fattispecie di congedo parentale, ne
ha comunque escluso la natura di elemento normale della retribuzione trattandosi di una
agevolazione di carattere assistenziale collegata rapporto di lavoro da un nesso meramente
occasionale (Cass. 29/11/2019 n. 31137). Come ha spiegato la corte, il buono pasto è un beneficio
che non viene attribuito senza scopo, in quanto la sua corresponsione è finalizzata a far sì che,
nell’ambito dell’organizzazione di lavoro, si possono conciliare le esigenze di servizio con esigenze
quotidiane del lavoratore. Non si tratta quindi di un elemento della retribuzione nè di un
trattamento comunque necessariamente conseguente alla prestazione di lavoro in quanto tale, ma
piuttosto di un beneficio conseguenza le modalità concrete di organizzazione del lavoro. In
sostanza, il buono passo non è dovuta in smart working e di conseguenza la mancata
corresponsione dello stesso non deve essere oggetto di contrattazione o confronto con le sigle
sindacali. Ne è necessario l’informativa, posto che non si è in presenza di un atto gestionale e
discrezionale del datore di lavoro in materia di organizzazione degli uffici, ma dell’applicazione del
dettato normativo che impone di ritenere incompatibile la fruizione il buono pasto con il lavoro del
dipendente svolto dal proprio domicilio.

È previsto che le amministrazioni dovranno verificare l'impatto delle misure organizzative adottate
in tema di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti sull'efficacia e sull'efficienza
dell'azione amministrativa, nonché sulla qualità dei servizi erogati.

Gli indirizzi, elaborati sulla base di un percorso condiviso con alcune amministrazioni, sono forniti,
sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, al
fine di favorire una efficace applicazione delle predette misure da parte delle pubbliche
amministrazioni nell'ambito della propria autonomia organizzativa e gestionale.

Relativamente all'individuazione dei dipendenti destinatari delle predette misure, nessuna tipologia

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o categoria di lavoratore è aprioristicamente esclusa. Le amministrazioni possono definire le attività
compatibili con il lavoro agile e tenerne conto ai fini dell'accesso a tale modalità di esecuzione del
rapporto di lavoro da parte dei dipendenti che ne fanno richiesta.

Si richiama, altresì, l'attenzione delle amministrazioni sul rispetto del principio di non
discriminazione tra lavoratori subordinati a tempo indeterminato e lavoratori subordinati a tempo
determinato previsto dalla clausola 4 della Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999
relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato.

Un ruolo determinante nell'attuazione delle misure prescritte dovrà essere svolto dai Comitati unici
di garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le
discriminazioni, costituiti ai sensi dell'articolo 57 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,
nonché dagli Organismi indipendenti di valutazione, costituiti ai sensi del decreto legislativo 27
ottobre 2009, n. 150.

Nell'ambito dei loro compiti propositivi, consultivi e di verifica, i Comitati unici di garanzia, infatti,
contribuiscono attivamente all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, migliorando
l'efficienza delle prestazioni collegata alla garanzia di un ambiente di lavoro caratterizzato dal
rispetto dei principi di pari opportunità, di benessere organizzativo e dal contrasto di qualsiasi
forma di discriminazione e di violenza morale o psichica per i lavoratori.

Nella direttiva si individuano alcuni pilastri fondamentali per il raggiungimento dei risultati attesi,
pilastri che costituiranno oggetto di approfondimento nelle sezioni specifiche di cui alle presenti
linee di indirizzo:

  1. Rafforzare l'organizzazione del lavoro secondo modelli incentrati sul conseguimento dei
     risultati adeguando i propri sistemi di misurazione e valutazione della performance per
     verificare l'impatto, sull'efficacia e sull'efficienza dell'azione amministrativa, nonché sulla
     qualità dei servizi erogati, delle misure organizzative adottate in tema di conciliazione dei
     tempi di vita e di lavoro dei dipendenti, anche coinvolgendo i cittadini, sia individualmente, sia
     nelle loro forme associative.
  2. Prevedere sia nel Piano della performance, sia nel Sistema di misurazione e valutazione della
     Performance le modalità applicative del telelavoro e del lavoro agile tenendo anche conto di
     quanto previsto dal punto 1.
  3. Valutare, nell'ambito dei percorsi di misurazione della performance organizzativa e individuale
     all'interno delle amministrazioni pubbliche, le capacità innovative dei dirigenti in materia
     organizzativa.
  4. Valorizzare le competenze dei singoli e dei gruppi.
  5. Responsabilizzare i propri lavoratori e favorire relazioni fondate sulla fiducia.
  6. Realizzare gli interventi di innovazione tecnologica e di dematerializzazione dei documenti
     previsti dalla normativa vigente, predisponendo le infrastrutture tecnologiche adeguate, da
     tenere in considerazione anche ai fini dell'accordo tra datore di lavoro e lavoratrice o
     lavoratore.

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  7. Operare nei limiti delle risorse di bilancio disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o
     maggiori oneri per la finanza pubblica, eventualmente attraverso modalità di compensazione
     nell'ambito del bilancio triennale, previa verifica della praticabilità di questa possibilità.
  8. Individuare possibili risparmi conseguenti.
  9. Garantire e verificare l'adempimento della prestazione lavorativa. Svolgere il potere di
     controllo come proiezione del potere direttivo del datore di lavoro finalizzato alla verifica
     dell'esatto adempimento della prestazione lavorativa.
 10. Definire le modalità applicative alle lavoratrici o ai lavoratori agili degli istituti in materia di
     trattamento giuridico ed economico del personale e le forme di partecipazione delle OO.SS.
 11. Definire gli elementi essenziali dell'accordo individuale tra amministrazione e lavoratrice o
     lavoratore agile o dell'adesione al programma dell'amministrazione al fine di regolare le
     modalità applicative e gli adempimenti a carico delle parti.
 12. Verificare l'integrità del patrimonio dell'amministrazione e la protezione dei dati utilizzati.
 13. Adeguare le misure in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro alla prestazione
     lavorativa svolta con le modalità dello smart working.

L’ Art. 18, dl n.9/2020 prevede molto di più. Si riporta per meglio comprenderne la portata.

“1. Allo scopo di agevolare l'applicazione del lavoro agile di cui alla legge 22 maggio 2017, n. 81, quale
ulteriore misura per contrastare e contenere l'imprevedibile emergenza epidemiologica, i quantitativi
massimi delle vigenti convenzioni-quadro di Consip S.p.A. per la fornitura di personal computer portatili e
tablet possono essere incrementati sino al 50 per cento del valore iniziale delle convenzioni, fatta salva la
facolta' di recesso dell'aggiudicatario con riferimento a tale incremento, da esercitarsi entro quindici
giorni dalla comunicazione della modifica da parte della stazione appaltante. 2. Nel caso di recesso
dell'aggiudicatario ai sensi del comma 1 o nel caso in cui l'incremento dei quantitativi di cui al comma 1
non sia sufficiente al soddisfacimento del fabbisogno delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1,
comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonche' degli organismi di diritto pubblico di cui
all'articolo 3, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, Consip S.p.A., nell'ambito
del Programma di razionalizzazione degli acquisti della pubblica amministrazione, e' autorizzata sino al
30 settembre 2020, ai sensi dell'articolo 63, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 18 aprile 2016, n.
50: a) allo svolgimento di procedure negoziate senza previa pubblicazione di bandi di gara finalizzate alla
stipula di convenzioni-quadro interpellando progressivamente gli operatori economici che hanno
presentato un'offerta valida nella procedura indetta da Consip S.p.A. per la conclusione della vigente
Convenzione per la fornitura di personal computer portatili e tablet, alle stesse condizioni contrattuali
offerte dal primo miglior offerente; b) allo svolgimento di procedure negoziate senza previa pubblicazione
di bandi di gara finalizzate alla stipula di convenzioni-quadro e di accordi-quadro aventi ad oggetto beni
e servizi informatici, selezionando almeno tre operatori economici da consultare, se sussistono in tale
numero soggetti idonei, tra gli operatori economici ammessi nella pertinente categoria del sistema
dinamico di acquisizione di cui all'articolo 55, comma 14 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. 3. Ai
fini dello svolgimento delle procedure di cui al comma 2 le offerte possono essere presentate sotto forma
di catalogo elettronico di cui all'articolo 57 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, e la raccolta delle
relative informazioni puo' avvenire con modalita' completamente automatizzate. 4. Ai contratti derivanti
dalle procedure di cui al comma 2 possono ricorrere le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1,
comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 nonche' gli organismi di diritto pubblico di cui

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