Liceo Classico Lorenzo Costa, La Spezia Maggio 2017 - Sfogliami
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La nostra redazione Caporedattori Asia Rolla Marco Ferrante Supervisione Impaginazione Prof.ssa Paola Palmieri Martina Bruschi Don Giordano Biso Redattori Sofia Capone Chiara Sanguineti Diego Sebastiani Serena Raja Marco Ferrante Francesca Stefanini Francesco Ferrari Virginia Bendinelli Margherita Gioan Martina Bruschi Matilde Ferrari Federico Spina Marta Milone Michele Maggiani Nicola Vairani Andrea Giorgilli Asia Rolla Anna Nella Brunetti Giulia Genova Federica De Comite Copertina Marta Milone Cercateci su facebook! Agorà; liceo classico L. Costa 2
Indice Attualità Ricominciamo da qui… Ancora una volta l’Europa è salva! Se l’Australia è un continente, perché Plutone non è un pianeta? PRO-MEMORIA Il disegno del mese Riflessioni Non omnis moriar La scuola La maledizione dell’acceleratore Volontà di vivere; l’adolescenza e il dolore silente Il disegno del mese Un altro anno se ne va… Cinque lettere, cinque anni 5 anni e… Intervista ai quartini Playlist del mese 3
Attualità Ricominciamo da qui… Padova, 13 maggio 2017: Prato della Valle era gremito di entusiasmo, di colori, di voci, gremito di noi, 40.000 giovani del SERMIG (Servizio Missionario Giovani) provenienti da tutta Italia ma anche dal Brasile, dalla Giordania, dall’Albania, tutti insieme riuniti in occasione del quinto ‘Appuntamento mondiale dei Giovani per la pace’. Portavamo (e continuiamo a portare, sempre) un messaggio importante: l’odio non ci fermerà, basta egoismo, individualismo, abbracciamo la solidarietà, l’amore, il rispetto. Costruiamo tutti, insieme, la pace. Intanto, prima dell’inizio ufficiale, ospiti e testimoni sfilavano sul palco: Max Laudadio, la famiglia Calò, una famiglia di 12 figli di cui 10 adottati. E poi sindaci, amministratori, vescovi, lo stesso Patriarca Francesco Moraglia. E poi, tutto ha inizio…
importante di sé. Con i suoi genitori, Sammy ha poi fondato l’AIPROSAB, l’Associazione Italiana Progeria Sammy Basso che raccoglie fondi destinati alla ricerca a cui tutti possono contribuire e che ha già ottenuto risultati notevoli: inizialmente infatti, si pensava di scoprire il gene responsabile della malattia nel 2020 e invece è stato scoperto nel 2003, mentre nel 2007 già c’erano le prime sperimentazioni cliniche. Tutto ciò dimostra che quando siamo in tanti e crediamo in ciò che facciamo, quando ci impegniamo davvero, tutto è possibile. Poi, Rosaria Schifani, moglie di uno degli agenti della scorta del giudice Falcone.
Ancora una volta l'Europa è salva! Le elezioni presidenziali francesi, tenutesi il personali dei due politici: lui uomo tranquillo 23 aprile 2017(primo turno) e il 7 maggio e diplomatico, come ha subito dimostrato nel (secondo turno), hanno visto concorrere per gestire il piccolo “scandalo” suscitato l'Eliseo due figure politicamente opposte tra dall’età della moglie di molti anni più grande loro: Marine Le Pen, per il Front National ed del marito; la signora Macron, per il resto, è Emmanuel Macron per En Marche!. La una figura che, per ora, non dovrebbe vittoria finale di Macron è stata una vittoria, suscitare dubbi sulla sua onestà e non solo per chi crede ancora che l'Europa rettitudine. Marine Le Pen, invece, è stata possa essere un “Buon partito” per contestata molte volte per la sua politica, a l'economia del proprio paese, ma per mio avviso, folle, basata sul razzismo, sul l'Europa stessa. Gli europeisti infatti hanno nazionalismo e su un anti-europeismo già visto come è stato difficile sopportare la incosciente. Macron, tuttavia, pur avendo Brexit; un’eventuale fuoriuscita della Francia ottenuto il 68% delle preferenze al secondo dall' unione, come proponeva Marine Le Pen, turno, non piace a quella gioventù che ha avrebbe posto, non dico fine, ma quasi, al preferito votare a sinistra e che ovviamente progetto di un'Europa unita, visto che la non voleva neanche votare la Le Pen. La Francia è uno stato influente nella politica vittoria di Macron sembra pur sempre a molti europea. Infatti durante la campagna la vittoria del liberalismo economico, dettata elettorale si notava una certa anche da un incitamento, da parte delle forze preoccupazione anche da parte degli politiche che erano fuori gioco al secondo europeisti italiani, che speravano in una turno, a votare per Macron; da qui una certa vittoria del candidato liberale. Nonostante la scontentezza da parte dei giovani, che fin soddisfazione per la sconfitta della Le Pen, la dall'inizio avevano espresso la loro cui campagna elettorale ha destato preferenza per la sinistra. Esemplare è una preoccupazioni sia da parte della sinistra sia frase riportata da una ragazza manifestante dalla parte della destra moderata, a cui fa ad un telegiornale: “Noi non vogliamo né il riferimento Macron, (la Le Pen ha fatto leva, liberalismo né il fascismo...”; questa frase, come si suole fare nei periodi di massima pronunciata magari un po' di fretta e ‘ a delicatezza per uno stato, sulla forte caldo’, nel pieno della bolgia e dei rumori preoccupazione per il terrorismo, che ha della manifestazione, sta pero’a colpito parecchie volte la Francia). Le due simboleggiare, secondo me, che ancora una campagne elettorali, per quanto di destra volta i giovani perdono, qualsiasi sia il entrambe, avevano parecchi punti vincitore delle elezioni. contrapposti, in primo luogo i caratteri Nicola Vairani, III E 6
Se l'Australia è un continente, perché Plutone non è un pianeta? E' trascorso più di un decennio da quando l'International Astronomical Union (IAU) ha deliberato ufficialmente di riclassificare Plutone come "pianeta nano", ma scienziati e persone comuni stanno ancora discutendo animatamente sulla decisione. Alcuni fedeli sostenitori della natura planetaria di Plutone sono tornati a chiedere alla IAU di annullare la retrocessione di Plutone. I loro avversari insistono che essa debba rimanere. Altri - forse la maggioranza silenziosa - osservano con sentimenti contrastanti (se non con aperto fastidio) i loro colleghi più appassionati che litigano furiosamente e pubblicamente su un problema di nomenclatura. Tutte e tre le fazioni erano presenti la scorsa settimana alla 48° Lunar and Planetary Science Conference (LPSC), uno dei più prestigiosi raduni di scienziati spaziali del globo. Comunque lo si voglia definire, non c'è dubbio che il primo sguardo ravvicinato a Plutone - ottenuto nel 2015 grazie al flyby della sonda New Horizons della NASA - ha rinfocolato il dibattito su questo famoso oggetto del nostro sistema solare. Con le sue cinque lune, le catene montuose ghiacciate, le gelide stagioni e l'atmosfera criogenica, la frigida bellezza e complessità di Plutone rivaleggia con quelle di qualsiasi altro mondo in orbita intorno al Sole. Se queste stupefacenti caratteristiche permetteranno a Plutone di riconquistare il titolo di pianeta resta tuttavia da vedere. Verso una fioritura di pianeti? Plutone non è stato declassato per mancanza di bellezza, ma perché non corrisponde alla nuova definizione di pianeta della IAU. In base a una decisione presa dall'organizzazione nel 2006, i pianeti, per essere definiti tali, devono: orbitare intorno al Sole; essere abbastanza grandi perché la loro gravità faccia assumere loro una forma sferoidale; spazzare i detriti più ingombranti dalle loro orbite. Plutone soddisfa i primi due criteri - e questo basta per definirlo pianeta nano - ma non il terzo (anche se non tutti sono d'accordo): ha infatti come vicini di orbita altri grandi oggetti ghiacciati. Senza il terzo criterio, andrebbero classificati come pianeti anche molti di quegli oggetti, ampliando notevolmente il numero dei pianeti del sistema solare. Tra le centinaia di poster appuntati sui tabelloni nell'atrio della LPSC, uno sfidava la concezione di pianeta della IAU proponendo una nuova definizione basata più sulla geofisica che sulla meccanica orbitale. Il suo autore è Kirby Runyon, specializzando in geologia planetaria alla John Hopkins University, che fa parte del gruppo di ricerca di geologia della missione New Horizons. L'idea di Runyon è che si possa chiamare "pianeta" qualsiasi corpo celeste di massa inferiore a quella di una stella che abbia una gravità sufficiente a fargli assumere una forma sferoidale, indipendentemente dalla sua orbita. Come si legge nella sua presentazione alla conferenza LPSC: "Gli astronomi interessati allo studio della dinamica possono considerare utile la definizione IAU. Ma molti planetologi sono più attenti alle scienze geologiche. Di conseguenza, la nostra definizione geofisica è più utile ai planetologi geofisici, agli insegnanti e agli studenti". E potrebbe anche aumentare la generale alfabetizzazione scientifica del pubblico, osserva Runyon. Oltre che a Plutone, la definizione di Runyon concederebbe l'appellativo di pianeta ad altri pianeti nani riconosciuti, come l'asteroide 7
gigante Cerere, e anche a "pianeti-satelliti", tra cui la luna di Plutone, Caronte, le lune più grandi di Giove e Saturno, e anche la nostra Luna. Così, con questa nuova definizione si aggiungerebbero almeno 110 pianeti conosciuti al nostro sistema solare. E il numero aumenterà, osserva Runyon, via via che gli astronomi troveranno altri oggetti nella fascia di Kuiper, la regione dello spazio che si estende oltre l'orbita di Nettuno e Plutone, arrivando magari a centinaia di migliaia di altri mondi ghiacciati. Vecchie regole per nuove frontiere La ridefinizione proposta da Runyon è stata oggetto di commenti contrastanti. "La mia opinione è semplice", dice James Green, direttore della divisione di scienze planetarie della NASA. "La NASA non si preoccupa della nomenclatura. Tutto quello che posso dire dopo aver visto Plutone grazie al flyby di New Horizons è che è ancora più affascinante di quanto avrei potuto immaginare!" Le sorprendenti immagini ravvicinate catturate dalla sonda mentre sfrecciava vicino a Plutone non sono che il preludio a ciò che verrà, dice Carle Pieters, docente di scienze planetarie alla Brown University. Si prevede che nel 2019 la sonda spaziale incontrerà un secondo oggetto della fascia di Kuiper, molto più piccolo. E intanto, sulla Terra gli astronomi sono costantemente impegnati ad aggiungere nuovi oggetti ai loro cataloghi. Le nuove scoperte fatte nello sforzo di sollevare il velo su una regione in gran parte inesplorata del nostro sistema solare - dice Pieters - potrebbero costringere a rivedere definizioni vecchie e obsolete. Già ora, prosegue Pieters, rivelazioni su oggetti più vicini a noi gettano benzina sull'infuocato dibattito sulla definizione della IAU. La sonda Dawn della NASA, osserva, ha inviato immagini di Cerere, un pezzo di roccia e ghiaccio sferoidale delle dimensioni del Texas che è il più grande oggetto nella fascia degli asteroidi tra Marte e Giove. "E' un altro pianeta nano, un corpo planetario su cui avvengono processi planetari. E per Plutone è lo stesso”. "Allora, un corpo che è abbastanza grande da subire processi planetari come la formazione di un nucleo fuso, un vulcanismo persistente o addirittura la creazione di un'atmosfera, come dobbiamo etichettarlo?” "Chiamare 'pianeti nani' questi corpi planetari più piccoli è probabilmente un buon compromesso", sostiene Pieters. "Scienze" planetarie Se chiedete ad Andrew Cheng del declassamento di Plutone, vi proporrà una prospettiva diversa. Cheng è responsabile scientifico del dipartimento spaziale del John Hopkins University Applied Physics Laboratory, ed è palesemente furibondo per la retrocessione di Plutone. "Penso che sia stata una decisione sbagliata”, spiega Cheng. “La definizione di pianeta non è una questione scientifica…, ma una questione di convenzioni sociali…; chiedere se Plutone è un pianeta è come mettere in discussione cos'è un continente della Terra. Ci sono sette continenti... L'Australia lo è, ma la Groenlandia no. C'è una buona ragione scientifica? No, è solo una convenzione. E per un pianeta la situazione è del tutto simile", dice Cheng, che fino allo scorso anno è stato il responsabile della fotocamera Long Range Reconnaissance Imager (LORRI) a bordo di New Horizons. 8
“Se nel 2006 la IAU avesse saputo su Plutone quanto ne sappiamo oggi, sostiene Cheng, probabilmente questo dibattito non ci sarebbe neppure mai stato. Ci sono molti scienziati che semplicemente si rifiutano di accettare che Plutone non sia considerato un pianeta", proprio come molti geografi si rifiuterebbero di declassare l'Australia da continente. "Quindi continueremo a chiamarlo pianeta, e sarà sempre così." Una lacrima per Plutone Per Runyon, il geologo planetario che spinge per una riconsiderazione dello stato di Plutone, il suo nuovo significato di "pianeta" non ha bisogno di una "definizione ufficiale" della IAU. Inoltre, poiché la competenza della IAU è l'astronomia e non la geologia, in realtà essa non avrebbe l'autorità per dettare definizioni e uso dei termini ai geologi. La IAU pero’ non concorda. A febbraio ha annunciato che - come autorità riconosciuta a livello internazionale per la denominazione dei corpi celesti e delle loro caratteristiche geologiche di superficie - aveva approvato le proposte della NASA per la denominazione dei siti su Plutone e le sue lune. Così non si fa capire la scienza al pubblico", dice Runyon. Il suo tentativo di riaprire il caso di Plutone è legato alla convinzione che la parola "pianeta" abbia in sé un "peso psicologico". Gli scienziati, dice, dovrebbero essere interessati al fatto che la perdita - con un atto di forza - dello stato di pianeta di Plutone è qualcosa che "fa piangere." Anna Nella Brunetti, I B Trovaparole 9
PRO-MEMORIA Dal 4 all’8 Maggio 2017 noi ed altri ragazzi del nostro Liceo, con altre scuole della provincia, abbiamo preso parte al Pellegrinaggio ai Campi di Sterminio in Germania e in Austria, organizzato da ANED La Spezia. Il viaggio è iniziato con la visita al Museo del Deportato a Carpi (MO), istituito nel 1973. L’intenzione dichiarata dei suoi creatori è quella di lasciare nel visitatore forti emozioni, più che di raccogliere centinaia di reperti. Tratto distintivo di quasi tutte le sale è la presenza di frasi, tratte dalle prigioni e dai campi, incise sulle pareti. Alcune sale presentano murales di deportati, rappresentati in chiave di moderni “zombies”, per dire come, all’interno dei campi, venisse tolto qualunque carattere alla persona, persino il proprio essere. L’ultima sala, probabilmente la più emozionante, totalmente spoglia da ogni arredo o reperto, presenta incisi in ogni angolo dei muri e del soffitto alcuni dei nomi dei prigionieri che transitarono dal vicino Campo di Fossoli, dove siamo andati al termine della visita. Edificata nel 1942, la struttura serviva da punto di transito dei deportati e da diramazione delle linee ferroviarie per i grandi campi di sterminio dell’Europa centro-orientale. Dopo la guerra, gli edifici sono stati utilizzati prima come orfanotrofio, e poi come villaggio degli sfollati provenienti dalla Venezia Giulia e dall’Istria, sino alla definitiva chiusura nel 1970. Risultato di questi cambi d’uso è però la perdita di quell’atmosfera cupa che un campo generalmente possiede, anche perché la maggior parte delle baracche è oggi inagibile o coperta dalla vegetazione e dall’incuria. Il giorno seguente, dopo aver passato la notte a Monaco di Baviera, abbiamo visitato il Campo di Concentramento di Dachau, il primo ad essere stato aperto nel 1933 e quindi modello di tutti gli altri. I primi ad essere internati qui furono degli oppositori politici tedeschi. All’ingresso sta la terribile scritta Arbeit macht frei. L’impressione che il campo lascia è di disorientamento, di fronte alle fila di baracche in cui hanno “alloggiato” 67'000 prigionieri. Tra questi, 45'000 sono morti, quasi tutti non in camere a gas, ma come conseguenza delle terribili condizioni di vita nel campo. Terminata la visita, siamo partiti alla volta di Linz, dove abbiamo trascorso tre giorni. Il primo giorno abbiamo visitato le Gallerie del Bergkristall, un insieme di lunghi e alti cunicoli sotterranei scavati dai prigionieri dei campi vicini, in cui erano state trasferite le industrie tedesche a rischio bombardamento. In seguito abbiamo visitato il Campo di Lavoro di Mauthausen. Abbiamo percorso gli stessi passi dei prigionieri appena arrivati al campo: riconoscimento nella piazza dell’appello, spogliazione, docce e rivestimento –ovviamente con le luride divise fornite dagli aguzzini- sino all’ingresso nella baracca. Poi abbiamo visitato il museo dedicato alle vittime e, nei suoi sotterranei, la sala dei nomi –una grande stanza buia illuminata solo dai nomi delle vittime scritti in bianco su sfondo nero- e la camera a gas. Si stima che in questa struttura siano stati uccisi tra i 122'000 e i 360'000 deportati, per la maggior parte oppositori politici ma anche prigionieri di guerra, ebrei, omosessuali e zingari. L’ingresso e l’uscita dal campo avvenivano tramite la Scala della Morte: 186 scalini sconnessi e irregolari, che i prigionieri dovevano percorrere più e più volte al giorno dalla miniera di granito al campo, sopportando i crudeli divertimenti delle SS che spesso, una volta che i deportati avevano quasi raggiunto la sommità, li spingevano giù a mo’ di “effetto domino”. Poco prima dell’ingresso al 10
campo ci sono tutti i monumenti nazionali che ogni stato ha voluto dedicare ai suoi morti e davanti ai quali si sono svolte le commemorazioni cui abbiamo preso parte il giorno dopo, facendo prima onore al monumento italiano e poi sfilando all’interno del campo con lo striscione della scuola insieme alle altre delegazioni italiane e austriache. Nel primo di questi due pomeriggi abbiamo visitato Melk, uno dei sottocampi della zona, di cui l’unica struttura rimasta è il forno crematorio, che oggi è un museo. Il pomeriggio seguente siamo andati a Gusen a vedere il poco che resta di una delle più grandi strutture tra quelle che gravitavano attorno a Mauthausen, in cui morirono circa 40'000 prigionieri. Oggi purtroppo non resta più niente se non il forno crematorio, un piccolo museo ed un itinerario percorribile con audioguida attraverso le villette a schiera che sorgono al posto di quei luoghi di morte. Abbiamo anche fatto una deviazione in direzione del Castello di Hartheim, dove fu attuato Eutanasia. Questo progetto nazista prevedeva lo sterminio di tutte quelle persone che non rientravano nei parametri della razza ariana farneticata dal nazismo e che quindi costituivano solo un peso per la società. Persone con disabilità fisiche o mentali, alle cui famiglie veniva detto che sarebbero stati ricoverati in strutture attrezzate, venivano in realtà portati subito alle camere a gas, oppure venivano usati come cavie dalle case farmaceutiche, tra cui la Bayer. Durante il ritorno in Italia abbiamo visitato il muro di cinta del Campo di Transito di Bolzano/Gries, attivo a seguito della risalita del fronte a partire dal 1944. E’ impossibile non rimanere scossi dopo un viaggio di questo genere, costantemente a contatto con le atrocità compiute dai nazifascisti nei campi di sterminio. L’aspetto che tocca di più e lascia sbalorditi è la volontà di insabbiare tutto, come a cancellare una delle pagine più buie della storia. Lo si è avvertito specialmente durante la visita a quello che fu il Campo di Gusen. Al posto di camere a gas e baracche è stato costruito un caratteristico villaggio austriaco, fatto di belle vilette, piccole piscine e giardini ben curati. Gli abitanti della zona vedono di malocchio i gruppi di familiari, ex deportati e ragazzi che “disturbano la loro quiete” nelle loro visite audioguidate. Far finta che non sia successo niente non lava via il sangue sparso in questo luogo, ma anzi impedisce la memoria ed il monito ai posteri. Pensiamo di parlare a nome di tutti nel dire che consigliamo vivamente di visitare questi luoghi, per onorare i caduti a causa di opinioni politiche, abitudini di vita, credo religioso, e per mantenere la memoria: “Chi non conosce il passato è condannato a ripeterlo”. Virginia Bendinelli, III E Andrea Giorgilli, III E 11
Il disegno del mese di Marta Milone, IV B "Tu regalagli un trucco che con me non portavi e loro si stupiranno che tu non mi bastavi" -de André 12
Riflessioni Non omnis moriar “L’immortalità esiste: esiste nei libri, nei quadri, nelle sculture e nei figli”, esordisce Mara Lenzi in uno dei tanti racconti presenti nel libro Pensieri, riflessioni e scritti di Mara Lenzi. L’opera, a cura della figlia Tiziana Calabrese, è stata pubblicata recentemente in seguito alla morte dell’autrice. Un’ex alunna del liceo classico L. Costa, una mente brillante e una donna consumata da un tumore neuroendocrino al colon all’età di 60 anni. In un certo senso Mara Lenzi è ancora viva: le parole impresse su carta con l’inchiostro indelebile racchiudono sentimenti e stati d’animo che trascendono la morte. Il libro si divide in 3 sezioni: Osservazioni e riflessioni sulla vita, la morale e la società- Poesie e descrizioni di vicende della vita quotidiana- Storia di un viaggio in un pianeta sconosciuto. Niente di simile al mondo, ma su Mareo II. In ciascuna parte vi sono riportati racconti legati alla giovinezza e all’età adulta: ciò rende possibile al lettore sfogliare e ripercorrere gli eventi più salienti della vita di Mara, l’evolversi delle capacità espressive e conoscere le sue riflessioni più profonde riguardo la vita, l’amore, l’amicizia, il tempo, … . Sebbene possa sembrare una storia simile a tante altre, in realtà c’è molto di più. Nella prefazione la figlia stessa scrive: “[..] il suo amore per la vita semplice e casalinga non era però affatto in contrasto con la sua passione per le sfide, per le avventure e per il desiderio di “conquistare il mondo” come mi ripeteva sempre. Era convinta che nella vita bisognasse puntare ad avere alti obiettivi e che un’esistenza passata senza porsi degli scopi anche molto ambiziosi non fosse degna di essere vissuta [..]”. Mara Lenzi non è semplicemente una persona che tutti i pomeriggi si dedicava, dalle due fino alle cinque, alla composizione di testi e poesie: era una donna innamorata della vita. Un vero esempio per le generazioni future. *Il costo del libro è di 15 euro. Il ricavato sarà in parte devoluto all’associazione AIRC*. Federica De Comite, III A 13
La Scuola La scuola ti prepara alla vita, non bisogna Durante i compiti in classe, sappiamo che mai dimenticarlo. Noi ragazzi dovremmo dobbiamo fare tutto da soli, senza sfruttare i pensare un po’ più spesso alla scuola come compagni; infatti il compito in classe serve al preparazione alla vita. Troppo facilmente professore per conoscere la nostra facciamo della scuola un luogo noioso dove preparazione e per aiutarci. E così è necessario passare parecchie ore ad l’educazione alla vita si compie prima ancora ascoltare un noiosissimo professore che che con lo studio, con il continuo contatto fra spiega cose inutili che non servono a nulla. compagni e professori. Quando si riesce ad amare la scuola, Forse ci si educa maggiormente quando tutti desiderandola e aspettandola, quando si assieme si gioca, quando aspettiamo davanti amano i compagni, i professori e le al portone della scuola la campanella che ci professoresse, e tutte le cose che fanno chiama a lezione e, scherzando fra di noi, ci parte della vita scolastica, allora quasi senza mostriamo per quelli che siamo veramente. accorgersene, ci si prepara alla vita. Quest’anno di liceo mi ha dato la possibilità Molte volte la scuola ci procura delle fatiche, di incontrare persone indimenticabili con cui molte volte i nostri compagni ci sono spero di poter creare un rapporto duraturo antipatici: è proprio allora che tutto, nella anche nel mio futuro e, allo stesso tempo, ho scuola, ci prepara ad essere migliori, ad avuto l’occasione di approfondire argomenti essere amici verso gli altri ed a superare le e materie che mi hanno sempre affascinato difficoltà con forza e coraggio. E’ bene come, ad esempio, la letteratura latina, greca sapere che si viene a scuola non solo per e italiana. imparare cose nuove, per studiare con fatica Mi auguro con tutto il cuore di poter ed impegno e per essere un domani in continuare il rapporto di amicizia che mi lega possesso di un diploma. Ma anche per ad alcuni miei compagni, sperando di poter abituarsi a stare con altri ragazzi che, come frequentare alcuni di loro anche se noi, si preparano alla vita e, come noi, affronteremo strade diverse. dovranno essere capaci di superare tutte le Questi anni, qualunque cosa accadrà, so che difficoltà. mi rimarranno nel cuore come i migliori anni E saprete essere veramente educati alla vita della mia vita. se ora imparate ad amare i vostri compagni, Giulia Genova, IC anche i più antipatici, se imparate a fare il vostro dovere, anche se vi costa fatica. La maledizione dell'acceleratore. Ci piace andare veloci e superare i nostri limiti... Ma quand'è il momento di frenare? Sono stati cinque giorni lunghi, di lotta contro la morte. Ma purtroppo molto raramente l’uomo vince. Anche se ti chiami Nicky Hayden. Il pilota statunitense se n’è andato. Non per un malore o per una malattia grave. O forse sì, era malato: amava troppo le due ruote, e loro sono state la sua rovina. Lui che fin da piccolissimo non aveva occhi che per le moto. Lui che addirittura aveva 14
battuto quello che molti considerano il dio delle moto, Valentino Rossi. Lui che, per allenarsi, amava fare giri in bici ascoltando il suo gruppo preferito. E preso forse troppo da un pezzo che gli piaceva particolarmente si è distratto e non si è fermato allo stop. Neanche l’automobilista si è fermato. L’impatto non è stato fatale. Hayden ha provato a resistere, ma non è mai uscito dal coma. Che la colpa sia di Nicky o no, ha poca importanza. Quello che importa veramente è che il mondo del motociclismo e non solo piange un'altra vittima. Un altro ciclista. Il ventidue aprile era toccato a Michele Scarponi. Altro amante delle due ruote, altro sportivo che si allena, altro incrocio. Lui è stato ancora più sfortunato: aveva la precedenza. Ma il camion non si è fermato. Hayden e Scarponi, due che di pericoli e di incroci ne avevano visti tanti, due esperti piloti. Ma la strada non gli ha perdonati. E’ bastato un attimo. E c’è anche chi, per amore della velocità, cambia completamente ambiente. Sì perché, anche se hai vinto sette titoli mondiali in Formula 1, non puoi accontentarti se ti chiami Michael Schumacher. La velocità ce l’hai nel sangue, e ti bastano un paio di sci per scatenarti. Ma anche la neve non perdona, e Shumi è rimasto in coma sei mesi. E oggi, dopo quasi quattro anni dalla caduta, la sua riabilitazione non è ancora terminata. Ma almeno è vivo. Quando vivi i primi trent’anni della tua vita a trecento all’ora, e ne esci sano e salvo, l’adrenalina non ti abbandona più. Trattenersi è difficile, quasi impossibile. C’è allora chi si fa furbo, come Rossi, e a trentott’anni ancora corre a livello professionistico, e staziona nei piani alti della classifica. Ma c’è anche chi non si accontenta di cavalcare un bolide da mille di cilindrata, ma vuole addirittura volare. Nel vero senso della parola. E’ il caso di Emanuele Uli, altoatesino, campione di volo con la tuta alare, strano “accessorio” per far assomigliare l’uomo all’uccello. Ma non siamo nati per volare, e a Emanuele è sbagliato un piccolo errore per schiantarsi. Proprio lui che studiava un “salto” anche due anni prima di buttarsi. So che non è bello fare questi tristi necrologi, ma poiché l'italiano medio ha la memoria corta, ci tenevo a rinfrescarvela un po', o almeno provarci. Perché per vivere una vita al massimo, una "vita spericolata" come cantava Vasco Rossi, bisogna essere in grado di tirare il freno. Capire quando no, non si può (più) fare. Non tirare il freno per fermarsi, attenzione, questo mai! Ma per rallentare, impostare meglio la curva e ripartire più veloce di prima. Come per esempio Alex Zanardi, che, stroncato da un incidente, ha perso le gambe ma non la voglia di lottare. Poteva continuare a fare il pilota? Certo che no. Ha tirato il freno, si è allenato duramente e adesso può vantare sei medaglie olimpiche (di cui quattro d'oro) conquistate con la sua hand-bike. Certo, la passione per le corse automobilistiche non lo abbandona, ma Alex sa che non tornerà mai in Formula 1. O forse sì... Sono tutte storie molto diverse, ciascuna dovrebbe essere analizzata singolarmente. Il loro punto di incontro però, è piuttosto evidente: anche se passi la vita rischiando di perderla da un momento all'altro, non puoi permetterti distrazioni di nessun genere, non puoi stare tranquillo "solo" perché hai esperienza. Se riusciamo a sfuggire alla morte sfrecciando a velocità pazzesche, dobbiamo essere capaci, tagliato il traguardo, di rallentare. Ma non per questo abbassare la guardia. Michele Maggiani II C 15
Volontà di vivere; l’adolescenza e il dolore silente Adolescenza: la più delicata delle transizioni. (Victor Hugo) L'adolescenza è un passo necessario verso la maturità; età di scoperte e soprattutto di cambiamenti, essa è un periodo di ricco di nuove situazioni e di crescita. Eppure ogni volta che viviamo queste esperienze non sempre abbiamo la forza per affrontarle con reattività e ci spaventano, con il rischio di rimanerne sommersi senza neanche capirne come. Quando eravamo piccoli desideravamo ardentemente di essere più grandi. L'atteggiamento degli adulti e quel loro senso di responsabilità, ma anche la libertà dei adolescenti e quel senso di maggior capacità ci facevano esprimere la volontà di crescere più in fretta, di essere come loro. Invece, crescendo, ci siamo resi conto di quanto complicato sia essere un'adolescente, poiché i rapporti con altre persone diventano così tesi e ricchi di variabili che molti di noi per questo provano odio verso tutto ciò che ci circonda, specie e, se non si avesse ancora la forza per alzare la testa, non è possibile accettarsi e si decide d’isolarsi, arrivando a respingere anche chi ci vuole bene. Inoltre l’adolescenza, essendo un periodo di transizione, comporta ancora quel meccanismi di aspettative da parte di genitori, parenti, amici e non, che ci osservano per vedere cosa vorremmo diventare; ciò comporta nei ragazzi una ricerca di approvazione, ponendosi aspettative e pesi che nessuno in realtà vorrebbe affibiarli, oltre che tensione anche per le minime cose. Non è affatto facile reggere questa pressione, vera o presunta che sia, e se ci sono molti che dimostrano forza e controllo, altri si sentono magari incerti dei propri progressi e delusi dai propri risultati, portando l’animo ad essere soffocato da tutto e tutti, ad essere infelice di sé, a crollare di fronte alla vita. E tanti, TROPPI ragazzi crollano. Il 20% degli studenti soffre di depressione. I casi di autolesionismo sono in continuo aumento. Quasi 500 ragazzi ogni anno, in Italia, si tolgono la vita. Ciò che più fa male sapere è che le cause non vengono dalla nostra testa, ma dalle azioni che coetanei (e non in certi casi, il che è ancora più grave) mettono in atto con lo scopo di far danni, e ciò non può essere non chiamato con il temine bullismo. Ed a scanso di equivoci bullismo significa una forma di comportamento sociale di tipo violento e intenzionale, di natura fisica e psicologica, oppressivo e vessatorio, ripetuto nel corso del tempo e attuato verso soggetti deboli o incapaci di difendersi. Quasi il 20% dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni è stata/è vittima assidua di azioni di bullismo. E no, non esistono motivazioni che lo giustificano, almeno non nel 2017, in una società che dovrebbe ormai essere passata oltre al sistema “educazionale” e “d’iniziazione” basato su coercizione e minacce a chi non ha la forza per rispondere. Nonostante oggi ci sia grande sensibilizzazione al problema, con Serie TV come “Tredici” (13 Reasons Why)” o con campagne sia in aree di lavoro che di scuola, questo cancro chiamato bullismo resta ancora ad alleggiare nella nostra società; è davvero sicuro che lo stiamo debellando tutti, o qualcuno ancora lo ritiene giusto? L’insicurezza ed il senso d’inadeguatezza ci porta a non guardare la strada che stiamo percorrendo, e non ci rendiamo conto di quanto la nostra mente possa essere influenzata dall’esterno; la mancanza di attenzione porta seguire percorsi bui, gente discutibile che nella migliore delle ipotesi vuole solo prenderci in giro, ma nella peggiore possiamo essere vittime di giochi psicologici dove l’individuo designato subisce, e più fragile è quest’ultimo e più le 16
conseguenze sono nefaste. In questo periodo, abbiamo sentito spesso parlare del “Blue Whale”; l’agghiacciante “gioco” destinato ai ragazzini che ha fatto il giro del mondo. Le vittime, contattate sui social dai “creatori”, per mezzo di ricatti, vengono obbligate a seguire folli e pericolose prove - tagliarsi i polsi, visitare luoghi pericolosi, uccidere animali e, dopo molti altri passaggi, recarsi in cima a un palazzo, per gettarsi - che, in primis, incidono sull’aspetto psicologico, creando oppressione sul soggetto e culminano con il suicidio disperato di quest’ultimo. Le prime notizie a riguardo risalgono al 2016, in cui un sito giornalistico russo riportò varie notizie riguardo suicidi di adolescenti; unico collegamento un gruppo chat sul social VK. Eppure negl’ultimi mesi queste notizie hanno preso una dimensione virali (condensandole sotto il nome “Blue Whale”), lasciando libero sfogo alla disinformazione più totale. Nonostante i vari servizi a riguardo, non esistono prove concrete a riguardo, tranne l’esistenza di quel suddetto gruppo (tuttavia chiuso successivamente a queste notizie e quindi inutilizzabile per capire la veridicità della fonte), e l’arresto del “creatore” del gioco, tale Phillip Budeikin. Dagli interrogatori Budeikin non solo non ha mostrato rimorso, ma professa anche di aver fatto un bene alla società: «Ci sono le persone e gli scarti biologici. Io selezionavo gli scarti biologici, quelli più facilmente manipolabili, che avrebbero fatto solo danni a loro stessi e alla società. Li ho spinti al suicidio per purificare la nostra società» «Ho fatto morire quelle adolescenti, ma erano felici di farlo. Per la prima volta avevo dato loro tutto quello che non avevano avuto nelle loro vite: calore, comprensione, importanza». È chiaro che quest’uomo sia uno psicotico, manipolatore e con il complesso del Salvatore, ma ciò che più lascia di stucco è che dalla prigione di San Pietroburgo riceva lettere da ammiratori e ammiratrici, adolescenti in particolar modo, che addirittura lo ringrazino per ciò che ha fatto: si possono comprendere tutte le variabili del caso, e che ogni ragazzo potrà anche avere il proprio inferno personale, ma a fronte di questo c’è da chiedersi di chi sia responsabile di tutto questo: di Budeikin forse? Oppure dei ragazzi che si sono e si lasciano manipolare da gente del genere? O magari di chi non è stato in grado di mostrare loro cosa sia il rispetto per se stessi? O ancora il vero responsabile è la società in cui viviamo, che inquina una fonte preziosa e di inestimabile valore come Internet con le stesse amenità che dividono le persone ad amarsi per ciò che si è? Sono questioni che non sono competenza magari del singolo, ma se tutti pensassimo da noi, e non tramite ciò che gli altri dicono, forse riusciremo ad aver la forza di poter vivere in un mondo migliore. E se riuscissimo in questo potremmo davvero guardare il passato, a tutti coloro che sono morti in tempi non ancora maturi per un mondo nuovo, e ringraziarli della loro esistenza, onorandoli tramite il ricordo delle loro vite. Solo con l’accettazione del dolore, possiamo capire cosa sia rispettare, amare e vivere. Il passato insegna che abbiamo fatto errori, ma è nel nostro DNA imparare da essi: siamo umani, dopotutto, e “condividiamo la stessa biologia, a dispetto dell’ideologia”. Serena Raja I C Marco Ferrante V A 17
Il disegno del mese di Simona Esposito 18
Un altro anno se ne va…. Cinque anni, cinque lettere Lo so cosa state pensando: ecco il classico articolo del maturando che ogni anno ci racconta cosa gli mancherà, cosa non gli mancherà, perché ha scelto di scrivere sul giornalino scolastico che tanto non lo legge nessuno, eccetera eccetera. Beh sì, è vero, sono una maturanda e ho deciso di scrivere l’articolo per la fine dei miei cinque anni. Banale? Forse. Ma se pensassimo a quante cose banali facciamo nella nostra vita, non faremmo più niente. E poi, e’ veramente banale questa cosa di scrivere una riflessione sui propri cinque anni di scuola? I miei cinque anni di liceo “Costa” possono essere descritti con cinque lettere: A come Aiuto...!. I primi mesi del primo anno, e tutto l’ultimo anno, questa parola l’avrò pensata... non so... milioni di volte. Aiuto non ce la faccio più, aiuto non capisco niente di greco, aiuto perché ho scelto il classico, aiuto perché ho scelto il classico matematico. Aiuto vi prego aiutatemi. Che italiano fantastico vero? Però è così, questa frase in particolare l’ho detta molte volte e sapete cosa ho imparato? Che se chiedi aiuto qualcuno che ti dà una mano lo trovi sempre. Anche solo per aiutarti a rimetterti in piedi dopo che sei inciampata per le scale (lo dico per esperienza personale...). A come Ancora. Rifarei questa scuola ancora altre mille volte... beh, mille forse no, non esageriamo, però la rifarei. La rifarei perché nonostante tutti i difetti, le imperfezioni e le insensatezze, ti lascia qualcosa. Ti lascia la fiducia in te stessa, la consapevolezza che devi metterti in gioco e provare a fare tutto. Provare i concorsi di greco anche se ti sembrano la cosa più strana del mondo, provare attività come il giornalino scolastico. Ecco, far parte della redazione dell’Agorà è una di quelle cose che sì, sceglierei altre mille volte. Qui ho incontrato persone straordinarie con cui mi sono confrontata e grazie alle quali sono cresciuta. B come Basta. Basta la scuola, basta questo dizionario che pesa 500 kg, basta tutte queste scale, basta le macchinette che non funzionano, basta i bagni intasati, basta il tremore dei banchi ogni volta che passa un autobus in Piazza Verdi. Per noi maturandi questi “basta” da settembre non ci saranno più, molto probabilmente. Però alla fine ti rendi conto, con un po’ di nostalgia, che ti mancheranno anche il tremore costante, le macchinette rotte e i bagni intasati. Beh no, forse i bagni no. E forse nemmeno le macchinette. In compenso però mancherà la sensazione di dire “sono in VC, anno scolastico 2016 – 2017”. Mancherà dire “andiamo in gita in Grecia”, mancherà dire “quest’anno il tema della foto di classe è...”. Mancheranno un sacco di cose, e avremo altri “basta” a cui pensare. C come Crescere. In cinque anni cresci, c’è poco da fare. Cresci e ti accorgi che non sei più quella che è entrata qui dentro a settembre del 2012. Cresci e ti accorgi che alcune delle cose in cui credevi sono cambiate, altre sono rimaste. Cresci nel momento in cui ti trovi davanti a delle scelte. Cresci nel momento in cui ti assumi delle responsabilità, nel momento in cui ti trovi a dover integrare il tuo modo di essere con quello di altre persone. E questo eccome se è difficile. E come Espirare. Ho imparato una cosa importante in questi cinque anni: espirare. E non è importante solo perché sono asmatica, dico davvero. È importante perché se ti prendi cinque minuti in cui, in perfetto silenzio, chiudi gli occhi e respiri profondamente, ti senti meglio. In particolare il momento dell’espirazione credo che sia il più bello perché è come se prendessi 19
tutto lo stress e tutte le preoccupazioni, e le gettassi fuori. E come Evadere. Ho imparato un’altra cosa importante: cinque minuti di evasione non ve li toglie nessuno. Trovate un modo per evadere, anche solo un istante, dal delirio dello studio. Scoprirete che nel portare fuori il cane, nel sedervi in terrazzo per cinque minuti, nel mangiarvi un gelato, il cervello si sentirà meglio. E quando ricomincerete a studiare ossessivamente la grammatica greca e latina, i pensieri di cinquecento filosofi diversi, l’opera di qualche autore inglese dal nome impronunciabile, i logaritmi più assurdi di sempre... starete meglio. Sarete più leggeri e non vi peserà più di tanto dover studiare. F come Fine. Asia Rolla, VC 5 anni e… 21 maggio 2017, mancano precisamente 13 giorni effettivi di scuola e vedo già molti di voi proiettarsi con la mente alle vacanze estive, al mare, al sole e alle giornate indimenticabili con gli amici, ma non per tutti questi giorni che ci separano dall'estate rappresentano un sollievo. Già, quest'anno sarà il mio ultimo anno e l’unico bagno in mare che per ora mi si prospetta è segnato a metà luglio. Che dire, questo è stato un anno che molte volte ho immaginato sia negli aspetti positivi sia in quelli negativi: il viaggio in Grecia, girare per le classi a fare la questua, le magliette per la giornata dello sport ma anche le simulazioni, l'esame e la scelta universitaria. Ricordo quando, il primo anno, entrai in questa scuola: mi sembrava tutto così “adulto” e “diverso”… e i cinque anni che mi separavano dalla fine sembravano interminabili… invece eccoci qui, e devo ammettere che sono veramente volati, come mi dicevano, ora il pensiero di allontanarmi da un realtà così quotidiana mi entusiasma, ma al tempo stesso mi spaventa. Sono stati cinque anni che ho veramente sudato: dalle giornate rinchiusa in casa ad imparare la grammatica greca fino alle settimane intere passate sui libri per preparare un’ interrogazione in cui ero rimasta indietro di parecchie pagine, ma “scuola” ha anche significato le uscite in mezzo all’ora per andare nei corridoi sperando di trovare qualche altro disperato come me, i gruppi di studio in giardino (che poi “di studio” ci rimaneva ben poco…), le sclerate coi compagni per un compito impossibile e le giornate in cui si usciva sapendo benissimo che in casa ti aspettava il libro aperto. Forse tre mesi fa avrei fatto qualsiasi cosa per uscire finalmente da questa routine ma adesso, ripensandoci, mi mancherà tutto questo, mi mancherà proprio la certezza data dalla stessa routine: quello che si prospetta di fronte a me è un vero e proprio cambiamento, all’università non si troverà più quella complicità che si ha all’interno di una classe, si è molto di più indipendenti, se non sei pronto per un esame ti ripresenti all’appello successivo, evitando quel santo esame di coscienza, ogni volta che prendevi un’insufficienza, sul perché e dove avevi sbagliato e per i prof. sei soltanto un alunno qualunque che segue la sua lezione e non più il casinista in fondo alla classe o l’attento al primo banco. E’ un cambiamento che fa paura e come tale deve essere accolto, sfidato e vinto: dopotutto, se si riesce a sopravvivere cinque anni di scuola superiore con finale esame di maturità, si può fare tutto! E a te del primo anno non verrò a dire che è stato semplice, perché non è stato così, anzi, probabilmente ripenserai molte volte se hai scelto bene la scuola o se potevi fare dell’altro (è successo anche a me), ma devi comunque andare avanti, arrivare in quinta e dire “ce l’ho fatta!” perché non c’è soddisfazione più grande. Ma ricordati di divertirti: questi saranno gli anni più duri ma anche i più liberi, i più pazzi e quando arriverai alla fine, senza rendertene conto, un pochino ti mancheranno, te lo assicuro… Chiara Sanguineti, VC 20
INTERVISTA AI QUARTINI Un membro del giornale scolastico ha deciso di intervistare i quartini per vedere com’era stato il loro primo anno al classico. Per ogni classe un ragazzo e una ragazza avrebbero risposto a turni a ciascuna delle seguenti domande: 1) Come ti sei trovato/a al classico? 2) Perché hai scelto di venire in questa scuola? 3) Che cosa ti è piaciuto? E cosa no? 4) Perché hai deciso di venire in questa sezione? (facoltativa) 5) Qual è la tua materia “preferita”? I°A (agli studenti, Matteo Lagomarsini e Giorgia Marchetti) 1) Matteo Lagomarsini: Mi sono trovato molto bene nell’ambiente scolastico sia con i professori sia con i compagni di classe. 2) Giorgia Marchetti: Ho deciso di venire in questa scuola poiché la ritengo la scelta migliore per me per il fatto che ho una passione per le materie umanistiche. 3) Matteo Lagomarsini: Mi sono piaciuti i professori per la loro competenza e disponibilità e i compagni di classe grazie ai quali sono riuscito ad ambientarmi perfettamente. 4) / 5 Matteo Lagomarsini e Giorgia Marchetti: Storia e latino. I°B (agli studenti, Iori Eloisa e Massimiliano Fiondella) 1) Massimiliano Fiondella: Mi sono trovato bene con i professori e il loro insegnamento più che buono, altrettanto bene mi sono trovato con i compagni. 2) Iori Eloisa: Ho scelto di venire in questa scuola perché ho cercato una scuola con alto livello di istruzione. 3) Massimiliano Fiondella: Mi è piaciuto l’alto livello di insegnamento dei professori, la struttura scolastica però sarebbe da migliorare. 4) Iori Eloisa: Ho scelto l’internazionale poiché ho sempre apprezzato le lingue e le culture estere. 5) Massimiliano Fiondella e Iori Eloisa: Inglese e Italiano. I°C (agli studenti, Giorgio Eminente e Serena Raja) 1) Giorgio Eminente: Mi sono trovato bene con i professori e con i compagni all’interno di quello che è secondo me un buon ambiente di classe. 2) Serena Raja: Ho deciso di studiare al classico per via della mia passione per la letteratura e per la lingua italiana, inoltre ho scelto di studiare qui per la vasta gamma di possibilità di studio finita questa scuola. 3) Giorgio Eminente: Mi sono piaciute le materie studiate e il livello di istruzione, l’unico aspetto negativo è la scuola non all’avanguardia. 21
4) Serena Raja: Perché era stata rappresentata come la sezione con un alta difficoltà di studio e con però un buon livello di istruzione. 5) Serena Raja e Giorgio Eminente: Greco e Inglese. 1°E (agli studenti Milian de Angelis e Manuela Mori) 1) Milian de Angelis: Mi sono trovato bene poiché sono riuscito ad ambientarmi con i miei compagni e con i professori. 2) Manuela Mori: Ho deciso di studiare qui perché è la scuola in cui le materie umanistiche vengono, secondo me, approfondite di più. 3) Milian de Angelis: Mi è piaciuto il piano di studi offerto dalla mia curvatura, il solo problema è la struttura scolastica che non è molto adatta. 4) Manuela Mori: Poiché ho una passione per le arti, la musica e il disegno. 5) Milian de Angelis e Manuela Mori: Inglese e italiano. Federico Spina, II E Playlist del mese Sympathy for the devil - Rolling Stones Believer- Imagine Dragons Le sirene - Murubutu ft Clever Gold Savatage - Labyrinths/Follow Me/Exit Music Queensrÿche - Bridge Sting - Russians Janis Joplin - Maybe Perturbator-humans are such easy prey Creûza de ma - De André 22
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