La sindrome del Burnout nei servizi alla persona, con particolare riguardo agli operatori della sanità

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La sindrome del Burnout nei servizi
alla persona, con particolare riguardo
agli operatori della sanità
Alessia Deidda

Premessa

      Talune attività lavorative, soprattutto se si tratta di lavori usuranti che richiedono nella quotidianità
un certo impegno psichico, producono nei soggetti che le praticano - specie negli operatori impiegati nei
cd. Servizi alla persona e nelle cd. Professioni di aiuto - stati di stress, a volte anche di elevato livello. Tra
questi stati di stress vengono catalogate come fenomeni negativi del lavoro alcune forme di disagio che
stanno emergendo in modo allarmante nell'ultimo decennio, proprio nel settore della sanità.
      Ci riferiamo qui al fenomeno del mobbing e alla sindrome di burnout; e se il primo può essere
considerato una forma di violenza morale sul lavoro, attuata da colleghi e/o da superiori, la seconda
consiste in una vera e propria patologia psichiatrica, anche se ancora non è stata ufficializzata come tale
dal DSM - IV (classificazione internazionale delle patologie psichiatriche).
      Questi ultimi stati di stress vengono comunemente definiti con il termine "burnout" termine inglese
che, tradotto letteralmente, acquista il significato di "bruciato (burn) fuori (out)" che indica un processo
mediante il quale eccessive e/o pesanti richieste lavorative possono determinare nel soggetto interessato
un esaurimento emotivo, seguito dalla perdita di sensibilità verso gli altri con i quali lavora e dei quali ha
la responsabilità e, successivamente, da sentimenti di inefficacia, frustrazione e impotenza 1.
      Ove intendessimo ripercorrere a ritroso l'excursus della sindrome del burnout, potremmo
agevolmente notare come nel corso degli anni il termine sia stato utilizzato in contesti diversi: infatti, agli
inizi degli anni '80, alcuni Autori (Farber, 1983, e Mc Dermott, 1984) sottolineavano come il termine in
questione indicasse originariamente la condizione di coloro che abusavano di stupefacenti.
      Sempre in quel periodo, un altro Autore (Paine, 1982) - riprendendo il lessico sportivo utilizzato nel
lontano 1930 - riconduceva il termine in quell'ambito, laddove indicava l'atleta che, dopo alcuni successi,
non era più in grado di fornire prestazioni agonistiche migliorative o, quanto meno, di mantenere i
risultati acquisiti.
      Un'altra metafora utilizzata, sempre negli anni '80, per tradurre il termine deve addebitarsi a
Contessa 2, il quale parla di burnout con riferimento al cortocircuito e, quindi, applicando tale traduzione
al soggetto interessato parla di "cortocircuitato"; questa impostazione è stata ripresa, alcuni anni più tardi
(1990) da altro Autore italiano 3.
      Ma al di là delle traduzioni e delle forse non sempre idonee attribuzioni da parte di alcuni Autori a
situazioni, anche complesse, ma non rispondenti allo standard della sindrome di burnout, rimane il fatto
che gli studiosi hanno cominciato a parlare di tale fenomeno alla metà degli anni '70 dello scorso secolo.
La sindrome del burnout: evoluzione della definizione

      Il primo contributo scientifico allo studio del problema, infatti, ci è stato fornito da Freudenberger
nel 1974, Autore che ha indicato come burnout un determinato quadro sintomatologico individuato in
operatori di servizi comunitari particolarmente esposti agli stress di un rapporto diretto e continuativo con
una utenza particolare e fortemente disagiata.
      Il Freudenberger puntualizza come il termine burnout venga ad identificarsi come to fall (fallire,
venire a mancare), o come wear out (logorarsi, stancarsi, esaurirsi), o ancora come become exhausted
(scarico, esaurito, svuotato) per eccessiva richiesta di energy (energia), strenght (forza solidità, rigidezza)
o resources (risorse, mezzi, rimedi) 4.
      Secondo gli approfondimenti del problema attivati da Perlman e Hartmann nel 1982, la sintesi delle
definizioni surriportate conduce ad intendere il burnout come una risposta ad uno stress emotivo cronico,
nel quale si evidenziano tre componenti:
      A) esaurimento emotivo e fisico;
      B) diminuita produttività nel lavoro;
      C) spersonalizzazione.
      L'anno precedente, peraltro, Pines, Aronson e Kafry avevano già sostenuto come il burnout fosse
caratterizzato da esaurimento fisico, sentimenti di impotenza e disperazione, svuotamento emotivo,
nonché dallo svilupparsi di un concetto di sé negativo e di atteggiamenti egualmente negativi nei
confronti del lavoro, della vita e degli altri. Per cui, a loro avviso, il burnout consisteva in un senso di
scontentezza e di fallimento nella ricerca di un ideale.
      Qualche anno più tardi (1986) la Maslach 5 definiva la sindrome del burnout come la risultante della
combinazione di tre elementi: 1) affaticamento fisico ed emotivo; 2) atteggiamento distaccato e apatico
nei confronti di colleghi e nei rapporti interpersonali; 3) sentimento di frustrazione dovuto alla mancata
realizzazione delle proprie aspettative; di conseguenza, la sindrome di che trattasi "è caratterizzata da
esaurimento emozionale, depersonalizzazione e riduzione delle capacità personali".
      Ma già in precedenza, come abbiamo accennato, Freudenberer e Richelson erano pervenuti
sostanzialmente alle medesime conclusioni, in quanto avevano descritto il burnout come uno stato di
fatica o frustrazione, nato dalla devozione ad una causa, dallo stile di vita o da una relazione che è venuta
meno alle aspettative, mancando così di produrre la ricompensa attesa.
      Sulla stessa lunghezza d'onda si erano posti - sempre nello stesso periodo, siamo nel 1980 -
Edelwich e Brodsky, i quali hanno definito la sindrome del burnout come una progressiva perdita di
idealismo, energia, motivazione e interesse come risultato delle condizioni di lavoro 6.
La sindrome del burnout: la sintomatologia

      I sintomi che si riscontrano nel burnout possono essere suddivisi in:
      a) sintomi somatici;
      b) sintomi psicologici.
      Mentre i primi, i segni fisici, sono facilmente evidenziabili, i secondi sono più difficili da
interpretare. I sintomi somatici, infatti, appaiono in tutta la loro chiarezza: come riferisce Freudenberger,
dapprima si evidenzia un senso di esaurimento e di fatica, seguito dall'incapacità di scuotersi da un freddo
torpore con frequenti mal di testa e disturbi gastroenterici, insonnia e respiro corto. Sempre quell'Autore
conclude che, in breve, si resta coinvolti anche dal punto di vista somatico nelle proprie funzioni
corporee.
      La Maslach e Jackson aggiungono agli elencati sintomi somatici la presenza di una maggiore
vulnerabilità alle malattie e ai sintomi psicosomatici, quali ulcera e bassa pressione. La Maslach in
particolare riferisce che "l'individuo burnout dice di sentirsi impazzire, che è divenuto freddo e insensibile
e cerca aiuti specialistici per quello che considera, un proprio personale fallimento" e, ancora, che
"l'individuo che si sente burnout tende ad incrementare l'uso (e l'abuso) di alcool e stupefacenti". 7
      Alcuni anni più tardi - siamo nel 1980 – Cherniss 8 individua, tra i sintomi psicologici, il senso di
colpa, il negativismo, l'isolamento, il ritiro, la rigidità di pensiero, il sospetto e la paranoia, anche se
ritiene che, forse, il sintomo di fondo sia costituito da una alterazione del tono dell'umore. Con Cherniss si
sposta l'attenzione sul piano psicologico, sia pure non tralasciando di conferire la dovuta considerazione
ai sintomi somatici.
      Infine, recentemente, Farber differenzia il burnout in tre subtipologie in relazione alla
sintomatologia ed ai comportamenti degli individui aggrediti da tale sindrome:
      A) burnout classico (o frenetico), quando il soggetto, di fronte allo stress, aumenta la sua attività
lavorativa sino all'esaurimento psicofisico;
      B) burnout da sottostimolazione (underchallanged), quando il soggetto è demotivato,
insoddisfatto a causa della monotonia e ripetitività del: lavoro, che non viene più ritenuto dall'individuo
all'altezza di offrire stimoli e motivazioni sufficienti;
      C) burnout da scarsa stimolazione (wornout), quando il soggetto ritiene il proprio lavoro troppo
stressante rispetto al riconoscimento che lo stesso comporta; rispetto al burnout classico, il soggetto attiva
comportamenti diametralmente opposti, in quanto tenta di prevenire l'esaurimento riducendo il proprio
ritmo lavorativo.
La sindrome del burnout: le cause

      Come abbiamo già accennato in precedenza, il burnout costituisce un fenomeno in espansione tra le
Categorie professionali adibite ai Servizi alla persona e tra le cd. Professioni di aiuto; e proprio questa
espansione tra le categorie di lavoratori citate riconduce il problema alla Pubblica Amministrazione ai cui
poteri di intervento in regime di monopolio o di quasi monopolio si riconducono le attività lavorative in
parola: sanità, scuola, assistenza sociale, ecc.
      Infatti, le Categorie professionali maggiormente a rischio burnout - come si evince da una analisi
della documentazione relativa agli accertamenti sanitari per l'inabilità al lavoro presentata dall'INPDAP e
riferita al decennio 1992/2001 - sono risultate gli insegnanti, gli impiegati, il personale sanitario e altri
operatori. Tra queste categorie lavorative il picco è rappresentato dal personale sanitario.
      Anche se la sindrome di burnout - dai monitoraggi effettuati in modo non sempre sistematico e
periodico - non è stata approfondita quale fenomeno generalizzato nel mondo del lavoro, per cui presenta
lati ed aspetti ancora oscuri e tutti da scoprire, è possibile sostenere, allo stato, che si sta verificando un
ampliamento del ventaglio di categorie di lavoratori investite dal burnout.
      Infatti, se agli operatori dell'assistenza sociosanitaria - a causa degli stress dovuti alla loro tipologia
lavorativa sempre a stretto contatto con il dolore e la morte e degli stress conseguenti al dover lavorare in
condizioni inadeguate a causa della esiguità degli organici 9 rispetto al sovraffollamento degli ospedali - o
agli insegnanti, soggetti da sempre a situazioni di stress nel confronto quotidiano con i discenti, è
facilmente attribuibile la qualità di soggetti a rischio di burnout, appare strano che anche la categoria
impiegatizia venga allo stato considerata come tale.
      L'unica motivazione possibile è che si tratti di personale di front line della Pubblica
Amministrazione, ossia di personale che giornalmente riceve l'impatto con la collettività servita senza
potere, nella maggioranza dei casi, risolvere le situazioni che gli vengono prospettate, se non aiutando
l'utente a redigere il reclamo da produrre alla P.A. per un servizio che gli doveva essere garantito ma che,
nei fatti, non è gli stato erogato. Di qui uno stato di diffusa inutilità della sua attività, nonostante ogni
personale tentativo di buona volontà.
      Premesso quanto sopra, le cause del rischio della sindrome di burnout che possono riferirsi al
personale sociosanitario del S. S. N. sono riconducibili a due categorie fondamentali:
      1) l'eccessiva mole di lavoro alla quale sono sottoposti gli operatori sanitari, senza al contempo
godere di una remunerazione adeguata, proporzionata al sovraccarico lavorativo;
      2) la consapevolezza - soprattutto nei reparti ospedalieri ove si ricoverano i malati terminali - della
inutilità della propria attività lavorativa a prescindere dalla intensità con la quale viene erogata.
      Entrambe le cause producono di per sé situazioni di stress, alle quali ciascun individuo risponde in
modo differente, in relazione al suo modo di pensare, alla sua personalità, alla sua cultura, alla autonomia
decisionale attribuitagli nel posto di lavoro, al ruolo lavorativo rivestito, alla sua formazione
professionale, alla sua motivazione personale.

Il danno derivante dalla sindrome di burnout

      Le conseguenze che possono derivare da una espansione quantitativa del fenomeno cominciano a
preoccupare i diversi livelli di governo della sanità e le stesse Organizzazioni sindacali, atteso che
entrambi hanno il compito di tutelare la salute dei lavoratori.
      Ma il danno reale che può provocare la sindrome del burnout non è limitato alla salute dei
lavoratori, in quanto investe, sia pure in modo diversificato, una platea di soggetti molto più vasta.
In primis, ovviamente, il burnout investe l'operatore sanitario che ne ottiene un danno rilevante
mediante gravi somatizzazioni, mediante una eccessiva dispersione di risorse e, infine, mediante la
frustrazione e la sottoutilizzazione del potenziale 10.
      Subito dopo ne ricava un danno da non sottovalutare l'utenza, in quanto i comportamenti degli
operatori sanitari afflitti dal burnout comportano per l'utente/paziente un rapporto - che dovrebbe essere
fiduciario - ma che, invece, si presenta frustrante, inefficace e, al limite, dannoso.
      Il terzo danneggiato si individua nella Società e, per essa, il sistema sanitario, rappresentato dal
Servizio sanitario nazionale e dalle sue strutture e dalle organizzazioni che erogano a qualsivoglia titolo
prestazioni di servizio nel settore. Ovviamente il danno che la collettività ne ricava non è diretto ma si
propone attraverso i danni che ricevono gli operatori in burnout e l'utenza.

La sindrome del burnout: la prevenzione

      La prevenzione della sindrome del burnout può essere praticata nelle AA.SS.LL. e nelle Aziende
ospedaliere, nonché nelle altre strutture sanitarie di ricovero, solo dopo aver monitorato attentamente lo
svilupparsi del fenomeno in ambito aziendale, averne analizzato le possibili cause ed avere, di
conseguenza, individuato i reparti a rischio.
      Una volta esaurita l'analisi della situazione di fatto, dalla quale il management sanitario dovrebbe
ricavare i dati necessari a predisporre piani e strategie utili per l'eliminazione del rischio del burnout o
quanto meno per minimizzarle si dovrebbe affrontare dapprima il problema più facile: quello di evitare
sovraccarichi di lavoro che possano tradursi in stati di stress per i lavoratori esposti al rischio del burnout.
Strumenti utili in questa situazione possono consistere in un adeguamento della pianta organica, nella
riduzione degli orari di lavoro, nell'assunzione di altre unità di personale, ecc.
      Questi interventi, peraltro dovrebbero essere preceduti o seguiti da una intensa attività di
informazione/formazione dei lavoratori sulla sindrome del burnout e sulle possibili cause e conseguenze
per la loro salute.
Al tempo stesso, il management aziendale dovrebbe istituzionalizzare periodiche e sistematiche
attività di controllo del burnout, mediante il medico competente, coadiuvato da uno staff di specialisti
(psichiatri, psicologi, ecc.), alle quali sottoporre a rotazione tutto il personale sanitario a rischio.
       Ma a prescindere da queste misure di carattere generale che necessariamente investiranno tutto il
personale sanitario aziendale, si dovrà porre attenzione alla parte operativa della strategia di prevenzione,
in quanto questa dovrà essere focalizzata sui reparti a rischio; in questa sede, infatti, dovranno essere
adottate le prime misure operative, quali la distribuzione tra i diversi professionisti sanitari dei compiti
più difficili e meno gratificanti, la rotazione tra i componenti dell'équipe dei reparti a rischio nei turni
meno pesanti, la rotazione del personale sanitario nei reparti a rischio e non a rischio burnout, strutturare
le turnazioni in modo tale da consentire periodi di riposo a tutti, ecc..
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   1
      CHMlEL N.: Tecnologia e lavoro. Un approccio psicologico, ed. Il Mulino, Bologna, 2000.
   2
       CONTESSA G.: L'operatore sociale in cortocircuito: la burning out sindrome in Italia, in Animazione sociale, 1982, n.
4243; CONTESSA G.: La prevenzione del bournout, in Il vaso di Pandora, 1995, vol. 3, n. 3.
    3
       DEL RIO G.: Stress e lavoro nei servizi. Sintomi, cause e rimedi del burnout, ed. La Nuova Italia Scientifica, Roma,
1990.
    4
      Da DEL RIO G.: Stress e lavoro nei servizi, cit.
    5
      MASLACH C.: La sindrome del burnout. Il prezzo dell'aiuto agli altri, Cittadella editrice, Assisi, 1992.
    6
      In DEL RIO G.: Stress e lavoro nei servizi, cit.
    7
      In DEL RIQ G.: Stress e lavoro… cit.
    8
      CHERNISS C.: La sindrome del burnout, ed. Centro Scientifico, Torino, 1983.
    9
       E’ proprio di questi giorni una campagna di stampa (v. per tutti Il Messaggero di Roma del 18 dicembre 2004) -
conseguente ad un triste fatto di cronaca - che lamenta una carenza complessiva di ben 40.000 infermieri nelle strutture
sanitarie del Paese carenza attribuita in parte al blocco delle assunzioni e in parte ad una non idonea quantificazione delle
esigenze di operatori sanitari in relazione agli accessi alle Lauree triennali universitarie per tale categoria di professionisti.
    10
       In questo senso, cfr. LAMANNA F.: Burn-out in sanità: sindrome o malattia professionale?, in Diritto sanitario moderno
2003, 2, 93.

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Bibliografia
   AVALLO NE F.: Psicologia del lavoro. Storia, modelli, applicazioni, ed. Carocci, Firenze, 1998
   BELLOTTO M.: Valori e lavoro. Dimensioni psicosociali dello sviluppo personale, ed. Franco
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   CHERNISS C.: La sindrome del burnout, ed. Centro Scientifico, Torino, 1983
   CHMIEL N.: Tecnologia e lavoro. Un approccio psicologico, ed. Il Mulino, Bologna, 2000
   CONTESSA G.: La prevenzione del burnout, in Il Vaso di Pandora, 1995, vol. 3, n. 3
   DEL RIO G.: Stress e lavoro nei servizi. Sintomi, cause e rimedi del burnout, ed. La Nuova Italia
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   FAVRETTO G.: Lo stress nelle organizzazioni, ed. Il Mulino, Bologna, 1994
   LAMANNA F.: Burnout in sanità: sindrome da stress o malattia professionale?, in Diritto sanitario
moderno, 2003, 2, 93
   MASLACH C.: La sindrome del burnout: Il prezzo dell'aiuto agli altri, ed. Cittadella, Assisi, 1992
   MASLOW A. H.: Motivazione e personalità, ed. Armando, Roma, 1973
   PELLEGRINO F.: La sindrome del burnout, ed. Centro Scientifico, Torino, 2000
   ROMAGNOLI G., SARCHIELLI G.: Immagini del lavoro, ed. De Donato, Bari, 1983
   SANTINELLO M.: La sindrome del burnout, ed. Erip, Pordenone, 1990
SPALTRO E.: Soggettività. Psicologia del lavoro, ed. Patron, Bologna, 1993
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