La redazione della tesi di laurea

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Giuseppe Di Chiara
La redazione della tesi di laurea
Un appunto

I. Qualche nota iniziale

1. Spunti per una premessa

Nelle prime pagine di un notissimo scritto in tema di tesi di laurea (la cui lettura,
istruttiva e divertente, si palesa davvero assai proficua per una molteplicità di
aspetti), Umberto Eco compendia in poche essenziali battute il significato
dell’incombenza, imposta al laureando, di redigere quel peculiare elaborato
scritto – su un tema concordato con uno o più docenti del proprio Corso di studio
– in cui si sostanzia la tesi per il conseguimento del titolo accademico.

       Fare una tesi significa: (1) individuare un argomento preciso; (2) raccogliere
       documenti su quest’argomento; (3) mettere in ordine questi documenti; (4)
       riesaminare di prima mano l’argomento alla luce dei documenti raccolti; (5) dare
       una forma organica a tutte le riflessioni precedenti; (6) fare in modo che chi
       legge capisca cosa si voleva dire e sia in grado, all’occorrenza, di risalire agli
       stessi documenti per riprendere l’argomento per conto suo.
       Fare una tesi significa quindi imparare a mettere ordine nelle proprie idee e
       ordinare dei dati; è una esperienza di lavoro metodico; vuol dire costruire un
       “oggetto” che in linea di principio serva anche agli altri.
       (U. Eco, Come si fa una tesi di laurea, Bompiani, Milano, 1985, 16)

Si tratta di un primo lucido nucleo essenziale di “istruzioni per l’uso”, che
converrà tener presenti allorché, dalla fase della scelta del tema (che è
auspicabile non discenda “dall’alto”, imposto per grazia dal Relatore, ma venga
discusso con lo studente, tenendo conto dei suoi interessi e delle sue aspettative),
si passi alla ricerca e all’acquisizione del materiale, allo studio dello stesso,
all’elaborazione (personale) dei risultati della ricerca e, quindi, alla stesura
dell’elaborato.
Pur non essendo certo, questa, la sede opportuna per (magari anacronistiche)
sottolineature – per dir così – parenetiche di ampio respiro, potrà rendersi utile,
tuttavia, sottolineare come il lavoro di tesi costituisca, per lo studente, una sfida
intellettuale stimolante e, in ultima analisi, un’occasione da non perdere: dedicare
mesi o anni di studio – pur se intervallati da altro tipo di attività formativa – a un
argomento, costruendo per gradi, da un’idea iniziale, un discorso ordinato con
(legittime) aspirazioni di originalità, è impresa che, se svolta con serietà, forgia o
irrobustisce un personale metodo di lavoro e produce un’esperienza preziosa per
il futuro professionale del laureando; metodologie oblique (quando non illegali)
di produzione dell’elaborato scritto, pur non sconosciute nella prassi,
costituiscono, al contrario, se non altro uno spreco deprecabile in termini di
coerente sviluppo della dimensione culturale e professionale del candidato.
G. Di Chiara • La redazione della tesi di laurea

2. Il reperimento della documentazione

Chi intenda scrivere su un qualsiasi argomento deve, anzitutto, documentarsi
circa lo “stato dell’arte” sul tema di ricerca: è, cioè, necessario che si acquisisca
una chiara consapevolezza delle elaborazioni esistenti sul tema prescelto, che
costituiranno il punto di avvio dell’opera di riflessione e di sistemazione che ci si
prefigge di compiere.
E’ esperienza comune che, nel reperimento del materiale di base, si muova da un
primo nucleo (per individuare il quale potranno essere decisivi i consigli del
Relatore) e ci si estenda, poi, via via, “a raggiera”, tesaurizzando spunti rinvenuti
durante la ricerca.
Primi spunti potranno essere reperiti attraverso la consultazione delle voci
enciclopediche che concernono l’argomento di ricerca (o vi gravitano intorno),
corredate, peraltro, di solito, di una scheda bibliografica essenziale. Ulteriori
importanti spunti potranno trarsi dalla consultazione dei Codici commentati con
dottrina e giurisprudenza, di solito organizzati in modo da fornire una
mappatura concettuale di base sui problemi affrontati, in dottrina e in
giurisprudenza, con riguardo alla singola norma esaminata; anche i Codici
commentati contengono, di solito, in apertura o in calce al commento per
articolo, schede bibliografiche essenziali.
E’ superfluo sottolineare come, essendo la materia giuridica definitoriamente
esposta a variazioni nel tempo, nella consultazione di qualsiasi fonte – normativa,
dottrinale, giurisprudenziale – occorrerà tener conto dell’epoca in cui la fonte
consultata è stata prodotta. Ciò – si badi – non importa affatto che l’accesso ai
contributi più risalenti sia, per questo, sconsigliabile: accade non di rado che
taluni contributi, pur dopo il sopravvenire di nuovi impianti di regole,
mantengano una perdurante vitalità con riguardo all’approccio teorico-generale e
debbano, anzi, considerarsi fondamentali (gli esempi sono, in proposito,
innumerevoli: si pensi alla sapiente teoria delle invalidità processuali tracciata da
G. Conso, Il concetto e le specie d’invalidità, Giuffrè, Milano, 1955, che
costituisce ancor oggi una pietra miliare in argomento, e che pur tiene conto, sul
piano positivo, del vecchio e ormai abrogato codice di rito penale del 1930, o a P.
Ferrua, voce Difesa (diritto di), in Dig. disc. pen., vol. III, Utet, Torino, 1989,
466 ss., in cui, pur se i riferimenti normativi riguardano ancora il codice del
1930, l’architrave teorico rimane nitido e attualissimo).

II. La stesura dell’elaborato: le note a piè pagina

1. Premessa

Dopo il reperimento dei dati, lo studio degli stessi, la messa a fuoco dei primi
spunti di riflessione, la formulazione di un primo provvisorio schema di lavoro
(che è consigliabile sottoporre alla valutazione del Relatore), segue la fase
centrale dell’elaborazione delle informazioni e, quindi, della stesura

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dell’elaborato scritto che si fa carico di rendere fruibili le conclusioni cui il
candidato è giunto, documentando i risultati della ricerca effettuata.
L’elaborato scritto – conformemente a prassi consolidate nell’ambito delle
metodologie della ricerca giuridica e delle abitudini dello “scrivere di diritto” – è
bene sia dotato di un apparato critico di riferimenti, contenuti nelle note a piè
pagina: si tratta, anzitutto, di rinvii al materiale consultato, idonei a porre il
lettore nella condizione non solo di verificare l’esattezza di quanto discusso, ma
– e soprattutto – di acquisire a sua volta cognizione del materiale stesso, in vista
di un’ulteriore utilizzazione del medesimo (un po’ – s’è appena visto – come lo
stesso candidato avrà fatto, a suo tempo, estendendo “a raggiera” le proprie
conoscenze proprio a partire dalla consultazione delle prime opere visionate).
Esistono regole ben precise, stratificatesi nel tempo, che disciplinano le tecniche
di citazione della letteratura e della giurisprudenza: esse possono facilmente
estrapolarsi proprio dallo studio attento dei contributi che, (anche) del lavoro di
tesi, costituiscono la base cognitiva ineliminabile. Qui di seguito si indicano,
comunque, alcune essenziali regole, che riflettono le prassi della letteratura
giuridica nel quadrante processualpenalistico, di cui è bene tener conto in sede di
stesura dell’elaborato.

2. Tecniche di citazione

2.1. I contributi dottrinali

A) Il lavoro monografico si cita indicando l’autore, il titolo (in corsivo), la casa
   editrice (pur se talora questo dato viene omesso), il luogo e l’anno di
   edizione. Ad esempio:
   -   L. Kalb, La «ricostruzione orale» del fatto tra «efficienza» ed «efficacia» del
       processo penale, Giappichelli, Torino, 2005.
   Modalità analoghe di citazione si seguono per le opere manualistiche:
   -   M. Chiavario, Diritto processuale penale. Profilo istituzionale, Utet, Torino,
       2005.
   Se si tratta di edizione dell’opera successiva alla prima, se ne dà conto
   anteriormente all’indicazione dei dati editoriali:
   -   G. Lozzi, Lezioni di procedura penale, 6a ed., Giappichelli, Torino, 2004.

B) Il contributo su rivista si cita indicando l’autore, il titolo (in corsivo),
   l’abbreviazione della rivista che ospita il contributo (in corsivo), l’anno, la
   parte o sezione della rivista (se questa è suddivisa in parti o sezioni aventi
   ciascuna una propria numerazione di pagine), la pagina (o la colonna) di
   riferimento. Ad esempio:
   -   E. Amodio, Giusto processo, diritto al silenzio e obblighi di verità dell’imputato
       sul fatto altrui, in Cass. pen., 2001, 3587 ss.
   -   G. Silvestri, La massimazione delle decisioni penali della Corte di cassazione: i
       nuovi criteri, in Foro it., 2004, V, 17 ss.

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C) Il contributo su opera collettanea si cita indicando l’autore, il titolo (in
   corsivo), il titolo del volume che ospita il contributo (in corsivo), l’eventuale
   curatore del volume, i dati editoriali del volume stesso (casa editrice, luogo e
   anno di edizione), la pagina (o le pagine) di riferimento. Ad esempio:
   -   G. Spangher, I nuovi profili della riparazione per l’ingiusta detenzione, in
       AA.VV., Il processo penale dopo la riforma del giudice unico, a cura di F.
       Peroni, Cedam, Padova, 2000, 239 ss.
   -   N. Galantini, Limiti e deroghe al contraddittorio nella formazione della prova,
       in Il contraddittorio tra Costituzione e legge ordinaria, Atti del Convegno di
       Ferrara (13-15 ottobre 2000), Giuffrè, Milano, 2002, 81 ss.

D) Criteri non dissimili si utilizzano per la citazione del contributo su
   commentario ovvero su codice commentato: non essendovi, tuttavia, di
   regola, in questi casi un autonomo titolo del contributo occorre fare
   riferimento all’articolo oggetto di commento. Ad esempio:
   -   O. Dominioni, Commento agli artt. 64-65, in Commentario del nuovo codice di
       procedura penale, a cura di E. Amodio e O. Dominioni, vol. I, Giuffrè, Milano,
       1989, 401 ss.
   -   D. Negri, Commento all’art. 438, in Commentario breve al codice di procedura
       penale, a cura di G. Conso e V. Grevi, Cedam, Padova, 2005, 1561 ss.

E) Nella citazione della voce enciclopedica occorre specificare l’autore, la
   denominazione della voce (in corsivo, preceduta in tondo dall’indicazione
   «voce»), l’opera enciclopedica che ospita la voce, il numero ordinale del
   volume, i dati editoriali dello stesso volume (casa editrice, luogo e data di
   edizione), la pagina (o le pagine) di riferimento. Ad esempio:
   -   E. Dolcini, voce Potere discrezionale del giudice (dir. proc. pen.), in Enc. dir.,
       vol. XXXIV, Giuffrè, Milano, 1985, 744 ss.
   -   P. Ferrua, voce Difesa (diritto di), in Dig. disc. pen., vol. III, Utet, Torino, 1989,
       466 ss.

2.2. La giurisprudenza

2.2.1. Occorre premettere che, nella maggior parte dei casi, le decisioni giudiziali
recano due date diverse: quella di deliberazione della pronuncia (a seguito di rito
in camera di consiglio o in udienza pubblica) e quella (successiva) di deposito
della stessa in cancelleria. La più consolidata tradizione (che pur ammette
deroghe) tende a citare la giurisprudenza costituzionale e la giurisprudenza della
Corte europea dei diritti dell’uomo con la data di deposito, la giurisprudenza di
legittimità e di merito con la data di deliberazione della pronuncia.
Ciò posto si indicano, di seguito, con maggiore dettaglio i criteri di citazione
delle diverse pronunce.

A) Per la giurisprudenza costituzionale si indica l’autorità emanante (la cui
   abbreviazione canonica è «Corte cost.»), la tipologia di decisione (ordinanza
   o sentenza), la data di deposito, il numero di decisione. Ad esempio:

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   -   Corte cost., sent. 26 febbraio 2002, n. 32
   -   Corte cost., ord. 27 aprile 2001, n. 112

B) Per la giurisprudenza di legittimità si indica l’autorità emanante (la cui
   abbreviazione canonica è «Cass.»), la sezione che ha emesso la decisione (il
   dato è talora omesso, ma è opportuno sempre indicarlo ove la pronuncia sia
   emessa a sezioni unite), la data di deliberazione, il nome del ricorrente
   ovvero (facendo seguito alla recente disciplina in materia di privacy) l’iniziale
   dello stesso. Ad esempio:
   -   Cass., sez. un., 11 aprile 2006, M.
   -   Cass., sez. un., 9 maggio 2001, p.m. in c. Donatelli
   -   Cass., II, 5 marzo 2004, Lo Giudice

C) Per la giurisprudenza di merito si indica l’autorità emanante (le principali
   abbreviazioni sono: «Ass. app.» per Corte di assise di appello, «App.» per
   Corte di appello, «Ass.» per Corte di assise, «Trib.» per Tribunale, «Giud.
   pace» per Giudice di pace, «Trib. min.» per Tribunale per i minorenni), la
   sede geografica in cui siede il giudice, la data di decisione, il nome
   dell’imputato ovvero (ancora facendo seguito alla recente disciplina in
   materia di privacy) l’iniziale dello stesso. Ad esempio:
   -   Trib. Cassino, 21 maggio 2001, Iannone
   -   Ass. Milano, 15 dicembre 2003, Toma e a.
   -   Trib. Bassano del Grappa, 26 marzo 2004, Pellanda
   -   Ass. Torino, 21 aprile 2004, P.D.

2.2.2. Sono comuni i criteri di indicazione della sede di pubblicazione della
pronuncia citata. Per le pronunce pubblicate su rivista si indica l’abbreviazione
della rivista, l’anno, la parte (se la rivista è ripartita in più parti o sezioni aventi
autonoma numerazione), la pagina (o colonna) di riferimento. Ad esempio:
   -   Corte cost., sent. 22 gennaio 1992, n. 4, in Giur. cost., 2004, 20
   -   Cass., VI, 21 dicembre 2000, Veloccia, in Cass. pen., 2001, 3484, m. 1623.
   -   Cass., III, 4 febbraio 2004, Consoletti e a., in Foro it., 2004, II, 543
   -   Trib. Cassino, 21 maggio 2001, Iannone, in Arch. n. proc. pen., 2001, 635

2.2.3. E’ ormai diffusa la metodologia di citazione delle massime ufficiali di
legittimità mediante il codice numerico (a sei cifre) attribuito alla massima dal
Centro elettronico di documentazione (C.E.D.) della Corte di Cassazione. Ad
esempio:
   -   Cass., III, 14 gennaio 2003, Gervasio, in C.E.D. Cass., n. 224169
   -   Cass., III, 3 giugno 2004, C., in C.E.D. Cass., n. 229600

2.2.4. Pur se è consigliabile, in proposito, una certa parsimonia, sono ammesse le
citazioni da siti internet, specie se istituzionali:
   -   Corte cost., sent. 5 maggio 2006, n. 184, in www.cortecostituzionale.it
   -   Corte eur. dir. uomo, 7 ottobre 1988, Salabiaku c. Francia, in www.echr.coe.int.

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2.3. Tecniche di abbreviazione

2.3.1. La prima citazione di ogni opera va effettuata in forma completa. Ad
esempio:
-   E. Amodio, Giusto processo, diritto al silenzio e obblighi di verità dell’imputato sul
    fatto altrui, in Cass. pen., 2001, 3587 ss.
-   E. Dolcini, voce Potere discrezionale del giudice (dir. proc. pen.), in Enc. dir., vol.
    XXXIV, Giuffrè, Milano, 1985, 744 ss.
Le citazioni successive alla prima, all’interno della stessa serie di note, vanno,
invece, rese in forma abbreviata. Ad esempio:
-   E. Amodio, Giusto processo, diritto al silenzio e obblighi di verità dell’imputato sul
    fatto altrui, cit., 3588;
-   E. Dolcini, voce Potere discrezionale del giudice, cit., 748.

2.3.2. La forma abbreviata presuppone che le citazioni successive alla prima si
collochino all’interno della stessa serie numerica di note (ad esempio
all’interno di uno stesso capitolo). All’apertura di una nuova serie di note a piè
pagina (ad esempio dopo l’inizio del capitolo successivo, allorché occorre
ripartire da nota 1) v’è l’obbligo di citare l’opera, per la prima volta, in forma
completa, e ciò pur se la stessa opera ricorra in una precedente (ma ormai chiusa)
serie di note.

2.3.3. Quando, nell’ambito della stessa nota, dopo la citazione di un’opera (o di
una pronuncia), si cita, di seguito, un’ulteriore opera (o un’ulteriore pronuncia)
tratta dalla medesima fonte (ad esempio, dalla medesima rivista), l’indicazione
di questa va abbreviata con «ivi». Ad esempio:
-   E. Amodio, Giusto processo, diritto al silenzio e obblighi di verità dell’imputato sul
    fatto altrui, in Cass. pen., 2001, 3587 ss.; D. Carcano, Quale insindacabilità dei
    parlamentari?, ivi, 2004, 2690 ss.
-   Cass., III, 10 gennaio 1979, Bossoli, in C.E.D. Cass., n. 140755; Cass., VI, 10
    dicembre 1980, Cingolani, ivi, n. 147020

2.3.4. Quando, nell’ambito della stessa nota, dopo la citazione di un’opera (o di
una pronuncia), si cita, di seguito, un ulteriore dato tratta dalla stessa fonte nella
identica pagina, l’indicazione della fonte va abbreviata con «ibidem». Ad
esempio:
- Cass., I, 27 gennaio 2003, Orsogna, in Cass. pen., 2004, 2963; Cass., VI, 4 aprile
    2003, Vitale, ibidem

2.3.5. Quando, nell’ambito della stessa nota, dopo la citazione di un’opera, si
cita, di seguito, un’ulteriore opera dello stesso autore, il nome di questi va
abbreviato con «Id.». Ad esempio:
-   A. Saccucci, Riparazione per irragionevole durata dei processi tra diritto interno e
    Convenzione europea, in Dir. pen. proc., 2001, 893 ss.; Id., La “legge Pinto” al
    vaglio della Corte europea, ivi, 1301 ss.

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2.3.6. La citazione delle riviste giuridiche segue – anche qui – criteri di
abbreviazione frutto di abitudini stratificatesi nel tempo. Pur se talora tali criteri
sono esposti a modifiche (ad esempio, la rivista Questione giustizia si abbrevia,
di solito, Quest. giust., ma è accreditata, di recente, anche la più compatta
QuestG; la rivista Cassazione penale si abbrevia, di solito, Cass. pen., ma di
recente ricorre anche CP), si elencano, di seguito, le modalità classiche di
abbreviazione delle più importanti riviste generali e di quelle del comparto
penale e processuale:

       Corriere giuridico: Corr. giur.
       Critica del diritto: Crit. dir.
       Democrazia e diritto: Dem. e dir.
       Diritto e giustizia: Dir. e giust.
       Documenti giustizia: Doc. giust.
       Foro italiano: Foro it.
       Giurisprudenza costituzionale: Giur. cost.
       Giurisprudenza di merito: Giur. merito
       Giurisprudenza italiana: Giur. it.
       Guida al diritto: Guida dir.
       Minori giustizia: Minori giust.
       Politica del diritto: Pol. dir.
       Questione giustizia: Quest. giust.
       Rassegna forense: Rass. forense

       Archivio della nuova procedura penale: Arch. n. proc. pen.
       Archivio penale: Arch. pen.
       Cassazione penale: Cass. pen.
       Difesa penale: Dif. pen.
       Diritto penale e processo: Dir. pen. proc.
       Indice penale: Ind. pen.
       Legislazione penale: Legisl. pen.
       Rivista di diritto processuale: Riv. dir. proc.
       Rivista italiana di diritto e procedura penale: Riv. it. dir. proc. pen.
       Rivista penale: Riv. pen.
       Rivista trimestrale di diritto e procedura civile: Riv. trim. dir. proc. civ.

2.3.7. Allorché ci si riferisca a un capitolo di libro, e l’intero libro sia ascrivibile
a unico autore o a più autori contemporaneamente, il titolo del capitolo non va
indicato:
-   G. Lozzi, Lezioni di procedura penale, 6a ed., Giappichelli, Torino, 2004, 467 ss. (e
    non G. Lozzi, L’applicazione della pena su richiesta delle parti, in Lezioni di
    procedura penale, 6a ed., Giappichelli, Torino, 2004, 467 ss.)
-   G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale, Parte generale, 2a ed., Zanichelli, Bologna,
    1989, 480 (e non G. Fiandaca-E. Musco, La responsabilità oggettiva, in Diritto
    penale, Parte generale, 2a ed., Zanichelli, Bologna, 1989, 480).

2.3.8. Si userà, invece, ovviamente l’indicazione del titolo del saggio quando si
tratti di contributi su opera collettanea:

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-   C. Fiorio, Inasprimenti al divieto di concedere benefici penitenziari, in AA.VV.,
    Nuove norme su prescrizione del reato e recidiva, a cura di A. Scalfati, Cedam,
    Padova, 2006, 225 ss.
Allo stesso modo, si indicherà il titolo del saggio (che neppure in questo caso è
propriamente configurabile come capitolo) se si citi una raccolta di saggi dello
stesso autore:
-   D. Siracusano, La decisione allo stato degli atti: un pesante limite del giudizio
    abbreviato, in Id., Introduzione allo studio del nuovo processo penale, Giuffrè,
    Milano, 1989, 215 ss.

2.3.9. E’ abitudine scorretta – almeno secondo gli stili di solito adoperati
nell’ambito della ricerca giuridica – indicare tra virgolette i titoli delle opere
citate. Si indicherà, dunque:
-   G. Lozzi, Lezioni di procedura penale, 6a ed., Giappichelli, Torino, 2004, 467 ss. (e
    non G. Lozzi, “Lezioni di procedura penale”, 6a ed., Giappichelli, Torino, 2004,
    467 ss.)
E’ superfluo, invece, precisare che le virgolette vanno utilizzate nei limiti in cui
esse compaiano nel titolo originale:
-   M. Pisani, «Italian style». Figure e forme del nuovo processo penale, Cedam,
    Padova, 1998, 13.

III. Indicazioni generali

1. Le tecniche citatorie tra scelte discrezionali ed esigenze di omogeneità

Quali che siano le scelte stilistiche anche individuali, è assolutamente
indispensabile seguire criteri di citazione omogenei. Occorre, così, scegliere
una volta per tutte, applicando poi la scelta uniformemente all’intero lavoro:
   - se porre il cognome dell’autore sempre in maiuscolo (M. PISANI, G.
       LOZZI, G. FIANDACA), in maiuscoletto (M. PISANI, G. LOZZI, G.
       FIANDACA) o in caratteri ordinari (M. Pisani, G. Lozzi, G. Fiandaca);
   - se indicare anche l’iniziale del nome dell’autore citato (G. Lozzi, Lezioni
       di procedura penale; G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale) o citare con il
       solo cognome dell’autore (Lozzi, Lezioni di procedura penale; Fiandaca-
       Musco, Diritto penale); è preferibile escludere, comunque, la citazione per
       esteso del nome dell’autore (solo nel caso – raro – di coesistenza di due
       autori con lo stesso cognome e con la stessa iniziale del nome è
       giustificata un’abbreviazione di quest’ultimo che scongiuri possibili
       confusioni: Gius. Sabatini, Trattato dei procedimenti incidentali nel
       processo penale, Utet, Torino, 1953);
   - se il numero di pagina o di colonna va fatto precedere
       dall’abbreviazione «p.» e, rispettivamente, «c.» (p. 459, c. 567 ss.) o meno
       (459, 567 ss.);

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   -   se citare anche la casa editrice (G. Lozzi, Lezioni di procedura penale, 6a
       ed., Giappichelli, Torino, 2004, 467 ss.) o solo il luogo di edizione (G.
       Lozzi, Lezioni di procedura penale, 6a ed., Torino, 2004, 467 ss.);
   -   se – nell’ambito delle citazioni di giurisprudenza – indicare la sezione del
       giudice di legittimità che ha emesso la pronuncia (Cass., III, 10 febbraio
       2004, Mache e a.; o anche Cass., sez. III, 10 febbraio 2004, Mache e a.;
       ovvero Cass., Sez. III, 10 febbraio 2004, Mache e a.) o sottintenderla
       (Cass. 10 febbraio 2004, Mache e a.); s’è già osservato, tuttavia, che, ove
       si tratti di pronuncia delle sezioni unite, è buona norma indicarlo
       comunque (Cass., sez. un., 25 giugno 2005, Fragomeli); per prassi la
       sezione non va, invece, indicata nelle citazioni della giurisprudenza di
       merito.

2. La bibliografia generale

La bibliografia generale va collocata alla fine del testo dell’elaborato. I contributi
indicati in bibliografia (i soli contributi dottrinali: la giurisprudenza non va
riportata, a meno che – ma di solito non è consigliabile – non si voglia
predisporre un autonomo indice della giurisprudenza citata) andranno elencati in
ordine alfabetico per cognome di autore.
I criteri di citazione sono analoghi a quelli propri delle note a piè pagina (e
devono essere a questi omogenei); per i contributi su rivista, su raccolta di saggi
o su volume con pluralità di autori (collettaneo, atti di convegno, enciclopedia,
ecc.) occorrerà indicare la pagina iniziale del contributo (seguita da «s.» o «ss.»,
a seconda che alla pagina iniziale segua una sola pagina ulteriore o più pagine),
mentre i libri si censiranno privi di indicazione di pagina (presumendosi che il
candidato li abbia integralmente consultati).

3. L’indice

L’indice del lavoro (con riprodotti i titoli dei capitoli e dei paragrafi e i relativi
riferimenti di pagina iniziale) è documento indispensabile e di particolare rilievo:
permette, già a un primo sguardo, al lettore che pur disponga di poco tempo, di
farsi un’idea sull’albero logico del lavoro e, dunque, sulla sua articolazione
essenziale.
L’indice può essere collocato all’inizio del lavoro (“all’inglese”: è ormai la
metodologia più diffusa, anche per la sua spiccata funzionalità) o alla fine dello
stesso, dopo la bibliografia (secondo la tradizione continentale).

4. L’uniformità generale dell’elaborato grafico

Prima del licenziamento definitivo del lavoro, sarà importante ricontrollare con
cura l’uniformità generale dell’elaborato grafico e, dunque, l’omogeneità e

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G. Di Chiara • La redazione della tesi di laurea

l’equilibrio della sua veste formale (costanza di corpo titolo, corpo testo, corpo
note, spazi dopo i segni di interpunzione, interlinee, capoversi rientrati – se vi
sono – a inizio paragrafo, uso dei tondi e dei corsivi, righe libere dopo i titoli,
continuità di numerazione di paragrafi ed eventualmente sottoparagrafi,
omogeneità nella struttura grafica delle note a piè pagina, ecc.): al di là di quanto
possa ritenersi a prima vista, la correttezza grafica – accanto, naturalmente, alla
correttezza, completezza, ragionevolezza, congruità, puntualità dei contenuti –
costituisce un indice importante per la valutazione di qualsiasi elaborato scritto.

           Dipartimento di Discipline processualpenalistiche
           Università degli Studi di Palermo
           2006

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