La privacy al tempo del Contagio da Covid-19 - La circolare tributaria n. 16-17/2020 - Studio Direco

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La circolare tributaria n. 16-17/2020

La privacy al tempo del Contagio da
Covid-19
di Andrea Onori - dottore commercialista, revisore legale e formatore

Da parecchi giorni noi tutti siamo sottoposti a sacrifici di tipo sociale ed economico.
Assistiamo quotidianamente a sempre più stringenti limitazioni dei nostri diritti fondamentali.
Non possiamo più spostarci se non per ragioni ben definite dalla norma, possiamo andare a lavorare
solo se l’attività della nostra azienda è tra quelle ritenute essenziali, altrimenti è ammesso solo lo smart
working.
Non è più garantita l’iniziativa economica, né la libertà di aggregazione, il tutto associato a un sistema
sanzionatorio di carattere penale e amministrativo.
È del 1° aprile 2020 (data dell’ultimo D.P.C.M.) la notizia con cui si prevede una proroga delle restrizioni
sociali ed economiche fino al 13 aprile.
Poi?
Se ci saranno le condizioni, verrà avviata la “fase 2” definita di “convivenza con il virus” e dopo la “fase
3” di “ritorno graduale alla normalità”.
Tutto questo in nome della tutela della salute pubblica.
Purtroppo, la situazione che stiamo vivendo non ha precedenti, almeno nell’ultimo secolo di storia
contemporanea.
La pandemia dichiarata dall’OMS ci ha catapultato in un contesto di emergenza sanitaria globale.
Per contrastare questa emergenza ciascuno Stato può deliberare d’urgenza per il contenimento del
contagio da coronavirus Covid-19.
Tra i tanti provvedimenti che si sono susseguiti dal mese di febbraio a oggi, il D.L. 18/2020, più
conosciuto con il nome di Decreto “Cura Italia” prevede la nomina di un “Gruppo di Supporto Digitale”
al fine di dare concreta attuazione alle misure adottate per il contrasto e il contenimento del contagio
da coronavirus Covid-19. Il Gruppo di esperti dovrà lavorare per dare idoneo supporto “nello studio,
sviluppo e gestione dei processi di trasformazione tecnologica” “con particolare riferimento alla introduzione
di soluzioni di innovazione tecnologica e digitalizzazione”.

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Tale previsione normativa potrebbe permettere allo Stato italiano di dotarsi di strumenti elettronici per
il c.d. “contact tracing” al fine di tracciare e delineare con precisione gli spostamenti, le aggregazioni e
le attività degli individui sottoposti a quarantena perché contagiati o perché persone ad alto rischio di
diffusione del contagio.
Si evidenzia che in data 26 marzo 2020 è scaduto il primo bando (nell’ambito di “Innova Italia”, iniziativa
dedicata a Università, centri ed aziende di ricerca) per proporre al Governo app e soluzioni per tracciare
i contagi da coronavirus e per «fornire un contributo nell’ambito dei dispositivi per la prevenzione, la
diagnostica e il monitoraggio per il contenimento e il contrasto del diffondersi del coronavirus».
Il primo bando ha interessato 2 ambiti:
1. applicazioni che migliorino l’assistenza domiciliare per le persone malate di Covid-19, senza necessità
di ricovero;
2. applicazioni per il controllo “attivo”, il c.d. “contact tracing”.

Che cosa è il “contact tracing”?
È il tracciamento degli spostamenti e dei contatti degli individui tale per cui si possa ricostruire in modo
rapido l’eventuale catena del contagio, avendo così la possibilità di interromperla sottoponendo le
persone “positive” contagiate a provvedimenti di restrizione.
L’esperienza più rilevante a riguardo la si può trarre dalla Corea del Sud che per settimane ha usato e
sta usando le reti cellulari (meglio i sistemi GPS dei telefonini), le transazioni delle carte di credito e le
telecamere di videosorveglianza per “tracciare” gli spostamenti di tutta la popolazione.
Le informazioni raccolte sono mostrate in forma “anonima” e, nel caso fosse necessario, le stesse
possono essere inviate tramite SMS a chi abbia “contattato” un infetto, invitandolo a eseguire il tampone
per verificare un possibile contagio da coronavirus Covid-19.
All’inizio le informazioni erano diffuse dal Governo con una maggior tutela per la privacy, ora, le aziende
che producono app sono venute in possesso dei dati raccolti dal Governo e mediante incroci tra gli
stessi offrono mappe e altri servizi dettagliati sulla posizione dei contagiati. L’applicazione memorizza
la posizione del possessore del cellulare e se lo stesso passa o è stato vicino a un contagiato, viene
inviata una notifica.
Lo strumento deputato a questo tipo di controllo è lo smartphone che, attraverso una app, installata
nello stesso, sarà in grado di “tracciare” gli individui interessati al controllo sistematico e continuativo
attraverso la geolocalizzazione mediante il sistema GPS.

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Ma questo può essere fatto in Italia?
Proviamo a capirlo analizzando le disposizioni presenti nel GDPR e nel Codice privacy.
Partiamo dai considerando, posti all’inizio del Regolamento Europeo 679/2016 (GDPR).
Il considerando 19 del GDPR prevede che:
   “Gli Stati membri possano mantenere o introdurre disposizioni più specifiche per adattare
   l'applicazione delle disposizioni del presente regolamento. Tali disposizioni possono determinare con
   maggiore precisione requisiti specifici per il trattamento di dati personali da parte di dette autorità
   competenti per tali altre finalità, tenuto conto della struttura costituzionale, organizzativa e
   amministrativa dei rispettivi Stati membri”.

Dall’analisi letterale emerge chiaramente la flessibilità del GDPR; flessibilità che può essere attuata
mediante l’introduzione di specifiche disposizioni da parte di ciascuno Stato.
Altro tassello sostanziale per definire al meglio l’inquadramento giuridico lo troviamo nel considerando
46 nella parte in cui si considera lecito il trattamento del dato personale quando risponde sia a:
   “rilevanti motivi di interesse pubblico sia agli interessi vitali dell'interessato, come per esempio nel
   caso in cui il trattamento è necessario a fini umanitari per tenere sotto controllo l'evoluzione di
   epidemie”.

Passando all’analisi degli articoli del GDPR, va citato l’articolo 9, paragrafo 2, lettera i) che ammette il
trattamento dei dati quando:
   “è necessario per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da
   gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero … sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati
   membri che prevede misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell’interessato …”.

Non da ultimo è necessario ricordare la Direttiva 2002/58/CE, direttiva ePrivacy, in ambito di tutela della
vita privata e riservatezza nelle comunicazioni elettroniche.
Fino a qui si è definito un inquadramento sistematico a livello europeo, ma come evidenziato serve una
norma di diritto interno che “preved[a] misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà
dell’interessato”.

Cosa si è fatto all’interno del nostro Paese?
L’inquadramento giuridico emergenziale è costituito dai seguenti provvedimenti:
1. dichiarazione stato di emergenza – la delibera del CdM del 31 gennaio 2020 ha dichiarato lo stato
di emergenza per 6 mesi, come previsto dalla L. 225/1992 sulla Protezione civile;

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2. ordinanza del Capo della Protezione civile n. 630 del 3 febbraio 2020
3. D.P.C.M. 23 febbraio 2020
4. D.L. 6/2020
5. D.P.C.M. 25 febbraio 2020
6. D.P.C.M. 1° marzo 2020
7. D.L. 9/2020
8. D.P.C.M. 4 marzo 2020
9. D.L. 11/2020
10. D.P.C.M. 8 marzo 2020
11. D.P.C.M. 9 marzo 2020
12. D.L. 14/2020
13. D.P.C.M. 11 marzo 2020
14. D.L. 18/2020
15. D.P.C.M. 22 marzo 2020
16. provvedimento EDPB adottato il 19 marzo 2020
17. D.L. 19/2020
18. D.P.C.M. 1° aprile 2020
19. D.L. 23/2020
20. D.P.C.M. 10 aprile 2020
Dall’elenco sopra riportato sono state omesse le ordinanze del Ministero della salute e i provvedimenti
del Mise e del Mef, nonché le varie ordinanze delle Regioni più colpite dal contagio come Lombardia,
Piemonte, Emilia Romagna e Veneto.

La posizione del Garante della privacy
Rimanendo concentrati sul tema privacy e possibilità di poter utilizzare il sistema del “contact tracing”,
si evidenzia come, in data 29 marzo 2020, il Garante della privacy si sia così espresso:
   “Nonostante la centralità della protezione dati nella vita individuale e collettiva, le sue limitazioni ci
   appaiono spesso meno percepibili di quelle relative ad altri diritti. Il dovere di giustificazione dei propri
   spostamenti ben può apparirci, in fondo, meno incisivo dell'obbligo di permanenza domiciliare. E assai
   meno tangibili possono sembrarci le implicazioni della geolocalizzazione dei nostri dispositivi mobili
   (una "protesi" della persona, come efficacemente li descrisse la Corte suprema americana) per realizzare
   quel contact tracing di cui tanto si parla in questi giorni.

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   Eppure, la mappatura costante dei nostri movimenti, delle persone con le quali, per le più varie ragioni,
   veniamo in contatto, non è una misura esattamente irrilevante per la nostra vita privata e per la nostra
   stessa percezione di libertà.
   Non lo è, a maggior ragione, un drone che sorveglia costantemente il cielo, benché- sarebbe bene
   precisarlo – dovrebbe limitarsi a segnalare ‘impersonali' assembramenti e non riprendere scene di vita
   quotidiana.
   E tuttavia, benché non desiderabili, anche le limitazioni del diritto alla protezione dati, se proporzionate
   e temporanee, rappresentano in questo momento il prezzo da pagare per tutelare l'incolumità di tutta
   la collettività e, in particolar modo, delle sue frange più vulnerabili. La vera difficoltà da affrontare è
   comprendere quale sia il grado di limitazione dei diritti strettamente necessario a garantire tale scopo,
   comprimendo le libertà quel tanto (e nulla più) che sia ritenuto indispensabile. Ma entro questo
   confine, nel doveroso e costante bilanciamento tra diritti contrapposti, si realizza la virtuosa sinergia
   tra le istanze personaliste e quelle solidariste che sono tra le più nobili radici della nostra Costituzione”.

Da ciò si evince chiaramente come vi sia l’esigenza di definire la limitazione dei diritti personali per lo
stretto necessario e per quanto indispensabile passando attraverso un idoneo provvedimento
normativo.
In senso conforme il Garante della privacy si è espresso in data 8 aprile 2010 durante un’audizione
informale, in videoconferenza, con la Commissione IX (Trasporti, Poste e Telecomunicazioni) della
Camera dei Deputati. Lo stesso ha evidenziato come:
   “l’articolo 9 della Direttiva e-privacy legittima il trattamento, anche in assenza del consenso
   dell’interessato, dei dati relativi all’ ubicazione, purché anonimi”.

Il garante poi ha proseguito evidenziando che i diversi utilizzi possibili di tali dati possono essere
finalizzati:
a) alla verifica della posizione del soggetto sottoposto a obbligo di permanenza domiciliare perché
positivo, utilizzando dunque la geolocalizzazione del telefono per accertare l’effettivo rispetto del
divieto di allontanamento dal domicilio; oppure
b) all’acquisizione, a ritroso, dei dati sull’interazione del soggetto poi risultato positivo con altri soggetti,
per verificarne, nel periodo in cui aveva capacità virale, gli eventuali contatti desumibili tramite varie
tecniche: celle telefoniche, gps, bluetooth.
Ha poi suggerito che la migliore via per l’adozione del “contact tracing” sarebbe quella della “volontaria
attivazione di una app funzionale alla raccolta dei dati sull’interazione dei dispositivi”, che “ben potrebbe

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rappresentare il presupposto di uno schema normativo fondato su esigenze di sanità pubblica, con adeguate
garanzie per gli interessati (articolo 9, § 2, lettera i), Regolamento (UE) 2016/679)”.
Da ultimo il garante ha la necessità di adottare "una norma di rango primario che definisca i principi di
necessità, proporzionalità e adeguatezza del trattamento".

Cosa dice l’European Data Protection Board (EDPB)?
A conferma che l’impianto normativo europeo in tema di privacy è capace di sostenere il corretto
approccio al trattamento dei dati (prevalentemente sanitari) per il contenimento del contagio vi è anche
lo Statement dell’EDPB adottato il 19 marzo 32020 che stabilisce:
   “Data protection rules (such as the GDPR) do not hinder measures taken in the fight against the
   coronavirus pandemic”.
   (Le norme sulla protezione dei dati (come il GDPR) non ostacolano le misure prese nella lotta contro
   la pandemia di coronavirus).

Lo stesso documento prosegue:
   “Emergency is a legal condition which may legitimise restrictions of freedoms provided these
   restrictions are proportionate and limited to the emergency period”.
   (L'emergenza è una condizione legale che può legittimare le restrizioni delle libertà purché tali
   restrizioni siano proporzionate e limitate al periodo di emergenza).

E inoltre:
   “The GDPR allows competent public health authorities and employers to process personal data in the
   context of an epidemic, in accordance with national law and within the conditions set therein”.
   (Il GDPR consente alle autorità competenti della sanità pubblica e ai datori di lavoro di trattare i dati
   personali nel contesto di un'epidemia, in conformità alla legislazione nazionale e alle condizioni ivi
   stabilite).

Ritornando al tema della tracciabilità e della geolocalizzazione, si deve necessariamente fare
riferimento anche alla Direttiva ePrivacy 2002/58/CE (nello specifico all’articolo 15) che prevede come
   “Gli Stati membri possono adottare disposizioni legislative volte a limitare i diritti e gli obblighi in
   tema di riservatezza, dati sul traffico, all’identificazione della linea e all’ubicazione, qualora tale
   restrizione costituisca … una misura necessaria, opportuna e proporzionata all’interno di una società
   democratica per la salvaguardia della sicurezza nazionale (dello Stato), della difesa, della sicurezza
   pubblica; e la prevenzione, ricerca, accertamento e perseguimento dei reati, ovvero dell’uso non

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   autorizzato del sistema di comunicazione elettronica. A tal fine gli Stati membri possono tra l’altro
   adottare misure legislative le quali prevedano che i dati siano conservati per un periodo di tempo
   limitato per i motivi enunciati”.

Pertanto, per la geolocalizzazione delle persone occorre una disposizione specifica alla luce del fatto
che la stessa viene definita dal GDPR come una forma di profilazione ovvero:
   “qualsiasi forma di trattamento automatizzato dei dati personali consistente nell’utilizzo di dati
   personali … in particolare per analizzare o prevedere aspetti riguardanti … l’ubicazione o gli
   spostamenti di detta persona fisica”.

Quali trattamenti dei dati personali vengono oggi effettuati per effetto dell’emergenza
da contagio Covid-19?
1. misurazione della temperatura corporea;
2. autodichiarazioni sulla provenienza da zone a rischio;
3. autodichiarazioni sulla sussistenza di sintomi;
4. autodichiarazioni in merito agli spostamenti e alle motivazioni degli stessi.
Sul tema della rilevazione della “temperatura corporea” il Garante ha precisato che i datori di lavoro
devono astenersi dal raccogliere, a priori e in modo sistematico e generalizzato informazioni sulla
presenza di eventuali sintomi influenzali.
In data 14 marzo 2020 è intervenuto il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il
contrasto e il contenimento della diffusione del Coronavirus Covid-19 negli ambienti di lavoro”.
All’interno del protocollo viene previsto che i datori di lavoro possano rilevare la temperatura corporea
prima dell’accesso al luogo di lavoro con tutte le dovute garanzie a tutela della riservatezza e dignità
dei lavoratori e che la conservazione dei dati si deve limitare al caso in cui sia necessario documentare
i motivi che hanno impedito l’accesso al luogo di lavoro.
Viene, inoltre, previsto l’obbligo di dare apposita informativa al cui interno siano indicati:
− la finalità del trattamento, da identificarsi nella prevenzione del contagio da coronavirus Covid-19;
− la base giuridica del trattamento, come adempimento di un obbligo di legge (D.P.C.M. 11 marzo 2020,
articolo 1);
− il periodo di conservazione, corrispondente al periodo di durata dell’emergenza sanitaria (a oggi, fino
al 31 luglio 2020).
Con riferimento alle “autodichiarazioni” emergono chiaramente 2 aspetti insiti nella tipologia di
documentazione:

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1. il primo di natura penale, vista la forma scelta: “dichiara sotto la propria responsabilità”;
2. il secondo in tema di privacy, viste le tipologie di dati da fornire mediante la compilazione
dell’autodichiarazione.
Le autodichiarazioni si sono evolute in funzione delle successive necessità di controllo per effetto del
diffondersi del contagio e di conseguenza per effetto dell’incremento delle azioni di contrasto e quindi
di limitazione degli spostamenti delle persone.
L’aspetto penale si concretizza nella seguente formula utilizzata: “consapevole delle conseguenze penali
previste in caso di dichiarazioni mendaci a pubblico ufficiale (articolo 495, c.p.)”, ma allora, ci si potrebbe
chiedere:
− quando dichiaro di “non essere sottoposto a quarantena”, posso avere problemi?
− no, nessun problema. In caso affermativo esiste un provvedimento e quindi ho la consapevolezza
dell’esistenza del provvedimento restrittivo nei miei confronti;
− quando devo dichiarare di “non essere risultato positivo al Covid-19”, posso avere problemi?
− forse posso averli, visto che nessuno mi ha mai fatto il tampone e che quindi non so effettivamente
se al momento della autodichiarazione io sono un portatore asintomatico. E se il giorno dopo per chissà
quale sfortunato motivo mi fanno il tampone e rilevano che sono positivo? Ho dichiarato il falso? Forse
è bene aggiungere alla dichiarazione l’inciso “per quanto di mia conoscenza”. Stiamo facendo una
affermazione i cui contenuti di veridicità non possono esserci noti;
− quando mi fanno dichiarare di “essere a conoscenza delle misure di contenimento del contagio vigenti
alla data odierna … concernenti le limitazioni alle possibilità di spostamento delle persone fisiche all’interno
di tutto il territorio nazionale”, cosa sto dichiarando?
− sto dichiarando di conoscere una serie “notevole” di provvedimenti restrittivi contenuti nell’articolo
1, D.L. 19/2020, tra cui:
   c) limitazione della circolazione delle persone, anche prevedendo limitazioni alla possibilità di
   allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora se non per spostamenti individuali limitati
   nel tempo e nello spazio o motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessità o urgenza, da
   motivi di salute o da altre specifiche ragioni;
   d) omissis;
   e) limitazioni o divieto di allontanamento e di ingressi in territori comunali, provinciali o regionali,
   nonché rispetto al territorio nazionale;
   f) omissis.

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Ma nell’articolo 2, D.L. 19/2020 è prevista una serie “notevole” di rinvii a ulteriori e precedenti, nonché
emanandi, D.L., oltre che D.P.C.M. e ordinanze dei diversi Ministeri competenti.
Sono davvero consapevole di cosa devo essere a conoscenza?
Come se non bastasse devo dichiarare anche:
− di “essere a conoscenza delle ulteriori limitazioni disposte con provvedimenti del Presidente della Regione
[di partenza e di arrivo] e che lo spostamento rientra in uno dei casi consentiti dai medesimi provvedimenti
(indicare quale)”;
− mi stanno facendo dichiarare che conosco il contenuto delle ordinanze dei Presidenti di tutte delle
Regioni? Della Lombardia? Del Veneto? Dell’Emilia Romagna? Del Friuli Venezia Giulia? Del Trentino
Alto Adige?
Pensando a me stesso, sono a conoscenza di tutte le ulteriori limitazioni disposte nella mia Regione?
Sono a conoscenza di tutte le ordinanze emanate dal Presidente della mia Regione?
Credo che forse si stia chiedendo un po’ troppo al cittadino comune.
So molto bene che la legge non ammette ignoranza, ma allora la stessa non può permettersi di generare
confusione anche solo nella ricerca delle fonti, come si dice in diritto.
Se il cittadino vuole rispettare la legge, la legge deve essere in grado di farsi comprendere fin dall’inizio
ovvero fin dal punto zero ovvero da dove il cittadino deve, facendosi parte diligente, acquisire le
informazioni (norme) che interessano la sua sfera giuridica.
Premesso tutto ciò, il cittadino “autodichiarante” deve dire “che lo spostamento è determinato da”:
a) comprovate esigenze lavorative;
b) assoluta urgenza (per trasferimenti in comune diverso …);
c) situazioni di necessità (per spostamenti all’interno dello stesso Comune o che rivestano carattere di
quotidianità o che, comunque siano effettuati abitualmente in ragione della brevità delle distanze da
percorrere);
d) motivi di salute.
Con riferimento a quanto previsto dalla lettera a), tutti (Stato e Regioni) sono in linea di massima
concordi nel dire che per lavoro ci si può spostare da un Comune all’altro e da una Regione all’altra (nel
rispetto delle reciproche ordinanze regionali), senza incorrere in sanzioni per dichiarazione mendace.
Premesso questo, dobbiamo essere consapevoli che il Ministero dell’interno è intervenuto con una serie
di circolari inerenti le disposizioni attuative dei controlli per la limitazione della diffusione del contagio
da coronavirus Covid-19.
Nel corso del mese di marzo sono state 12 le circolari emanate che hanno fornito chiarimenti.

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Tra le più significative, si ricorda la circolare del 23 marzo 2020 che è intervenuta in merito
all’introduzione, da parte del D.P.C.M. 22 marzo 2020, di ulteriori restrizioni con particolare riferimento
allo svolgimento delle attività produttive e agli spostamenti fra territori comunali diversi.
Tra le misure introdotte spicca il:
   “divieto per tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi con mezzi di trasporto pubblici o privati
   dal comune in cui attualmente si trovano”.

Viene previsto per contro che:
   “tali spostamenti rimangono consentiti solo per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza
   ovvero per motivi di salute”.

La circolare ritiene:
   “opportuno evidenziare che, proprio in ragione della ratio ad essa sottesa, la previsione introdotta dal
   nuovo D.P.C.M. appare destinata ad impedire gli spostamenti in comune diverso da quello in cui la
   persona si trova, laddove non caratterizzati dalle esigenze previste dalla norma stessa. Rimangono
   consentiti i movimenti effettuati per comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero
   per motivi di salute, che rivestano carattere di quotidianità o comunque siano effettuati abitualmente
   in ragione della brevità delle distanze da percorrere”.
   “Rientrano, ad esempio, in tale casistica gli spostamenti per esigenze lavorative in mancanza, nel luogo
   di lavoro, di una dimora alternativa a quella abituale, o gli spostamenti per l’approvvigionamento di
   generi alimentari nel caso in cui il punto vendita più vicino e/o accessibile alla propria abitazione sia
   ubicato nel territorio di altro comune”.

Pertanto, per una compilazione “consapevole” della autodichiarazione devono essere ben compresi, ai
fini dello spostamento, i concetti di “assoluta urgenza” e di “situazione di necessità”.
Per quanto concerne l’aspetto privacy delle “autodichiarazioni”, visti i dati che vengono raccolti
mediante autocertificazione, le forze dell’ordine al momento della raccolta dei dati dovrebbero fornire
apposita informativa, anche orale e soprattutto indicarci chi tratterà i dati e per quanto tempo saranno
conservati e soprattutto le finalità per cui verranno utilizzati e se alla fine del trattamento verranno
distrutti, ma su questo nulla si dice e nulla è disposto.
La normativa privacy è da sempre vista come una incombenza burocratica nella gestione della vita
quotidiana, ma forse, mai come in questo periodo, se ne può apprezzare il valore giuridico e di tutela
per l’individuo.

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Certamente in situazioni di emergenza le rigidità del sistema devono essere ammorbidite e come
abbiamo visto l’intero impianto privacy lo permette senza dubbio alcuno.

Dov’è il problema?
La mancata emanazione di apposita e circostanziata normativa che determini i limiti, le modalità e i
tempi di utilizzo di tutte le informazioni e i dati che verranno raccolti in questo periodo di prevenzione
del contagio da coronavirus Codiv-19.

                                            SCHEDA DI SINTESI

     Il considerando 19 prevede che “Gli Stati membri possano mantenere o introdurre disposizioni più
     specifiche per adattare l'applicazione delle disposizioni del presente regolamento. Tali disposizioni
     possono determinare con maggiore precisione requisiti specifici per il trattamento di dati personali
     da parte di dette autorità competenti per tali altre finalità, tenuto conto della struttura costituzionale,
     organizzativa e amministrativa dei rispettivi Stati membri”.

                                                        È
     Il considerando 46 considera lecito il trattamento del dato personale quando risponde sia a
     rilevanti motivi di interesse pubblico sia agli interessi vitali dell'interessato, come per esempio
     il caso in cui il trattamento è necessario a fini umanitari per tenere sotto controllo l'evoluzione
     di epidemie.

                                                        È
     L’articolo 9, § 2, lettera i), GDPR 679/2016, ammette il trattamento dei dati quando “è necessario
     per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi
     minacce per la salute a carattere transfrontaliero … sulla base del diritto dell’Unione, o degli Stati
     membri, che prevede misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell’interessato
     …”

                                                        È
     In data 29 marzo 2020, il Garante della privacy, sul tema del trattamento dei dati raccolti per il
     contrasto alla diffusione del contagio da coronavirus Covid-19, si è così espresso:
     “Nonostante la centralità della protezione dati nella vita individuale e collettiva, le sue limitazioni
     ci appaiono spesso meno percepibili di quelle relative ad altri diritti. Il dovere di giustificazione dei
     propri spostamenti ben può apparirci, in fondo, meno incisivo dell'obbligo di permanenza
     domiciliare. E assai meno tangibili possono sembrarci le implicazioni della geolocalizzazione dei
     nostri dispositivi mobili (una "protesi" della persona, come efficacemente li descrisse la Corte
     suprema americana) per realizzare quel contact tracing di cui tanto si parla in questi giorni.

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                               La circolare tributaria n. 16-17 del 16 aprile 2020
Privacy

Eppure, la mappatura costante dei nostri movimenti, delle persone con le quali, per le più varie
ragioni, veniamo in contatto, non è una misura esattamente irrilevante per la nostra vita privata e
per la nostra stessa percezione di libertà.
Non lo è, a maggior ragione, un drone che sorveglia costantemente il cielo, benché- sarebbe bene
precisarlo – dovrebbe limitarsi a segnalare ‘impersonali' assembramenti e non riprendere scene di
vita quotidiana.
E tuttavia, benché non desiderabili, anche le limitazioni del diritto alla protezione dati, se
proporzionate e temporanee, rappresentano in questo momento il prezzo da pagare per tutelare
l'incolumità di tutta la collettività e, in particolar modo, delle sue frange più vulnerabili. La vera
difficoltà da affrontare è comprendere quale sia il grado di limitazione dei diritti strettamente
necessario a garantire tale scopo, comprimendo le libertà quel tanto (e nulla più) che sia ritenuto
indispensabile. Ma entro questo confine, nel doveroso e costante bilanciamento tra diritti
contrapposti, si realizza la virtuosa sinergia tra le istanze personaliste e quelle solidariste che sono
tra le più nobili radici della nostra Costituzione”.

                                                  È
Anche l’European Data Protection Board (EDPB) ha adottato in data 19 marzo 2020 uno
Statement che stabilisce:
“Data protection rules (such as the GDPR) do not hinder measures taken in the fight against the
coronavirus pandemic”.
(Le norme sulla protezione dei dati (come il GDPR) non ostacolano le misure prese nella lotta
contro la pandemia di coronavirus).
“Emergency is a legal condition which may legitimise restrictions of freedoms provided these
restrictions are proportionate and limited to the emergency period”.
(L'emergenza è una condizione legale che può legittimare le restrizioni delle libertà, purché
tali restrizioni siano proporzionate e limitate al periodo di emergenza).

                                                  È
In data 14 marzo 2020 è intervenuto il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per
il contrasto e il contenimento della diffusione del Coronavirus Covid-19 negli ambienti di lavoro”.
All’interno del protocollo viene previsto che i datori di lavoro possano rilevare la temperatura
corporea prima dell’accesso al luogo di lavoro con tutte le dovute garanzie a tutela della
riservatezza (senza registrare il dato acquisito) e dignità dei lavoratori e che la conservazione
dei dati si deve limitare al caso in cui sia necessario documentare i motivi che hanno impedito
l’accesso al luogo di lavoro.

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                         La circolare tributaria n. 16-17 del 16 aprile 2020
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