La nuova scala di prestigio italiana: analisi delle differenze individuali (genere e )

Pagina creata da Nicola Neri
 
CONTINUA A LEGGERE
WWW.SOCPOL.UNIMI.IT

                                   Dipartimento di Studi Sociali e Politici
                                   Università degli Studi di Milano

                                                            Working Paper 05/09

                                           La nuova scala di prestigio italiana:
                                             analisi delle differenze individuali
                                                                   (genere e…)

                                                                Deborah De Luca

WWW.SOCPOL.UNIMI.IT

Dipartimento di Studi Sociali e Politici
Facoltà di Scienze Politiche,
via Conservatorio 7 - 20122
Milano - Italy
Tel.: 02 503 21201
     02 503 21220
Fax: 02 503 21240
E-mail: dssp@unimi.it
La nuova scala di prestigio italiana:
   analisi delle differenze individuali (genere e…) [work in progress]
                            Deborah De Luca (deborah.deluca@unimi.it)

1.Introduzione
In questo paper ci proponiamo di presentare brevemente la nuova scala di prestigio italiana
(SIDES05) e, soprattutto, di approfondire il tema del dissenso nella costruzione delle scale di
stratificazione occupazionale, con particolare riferimento al ruolo delle differenze di genere, poiché
questo è un aspetto che continua ad essere di fondamentale importanza nello studio delle
disuguaglianze, e al ruolo delle differenze di età.
Innanzitutto, è importante sottolineare che la costruzione di scale di stratificazione occupazionale si
basa sull’ipotesi che vi sia un ampio consenso collettivo riguardo alla posizione sociale da
assegnare ai vari mestieri (Inkeles e Rossi, 1956; Goldthorpe e Hope, 1974; de Lillo e Schizzerotto,
1985; Wegener, 1992). Il consenso nella valutazione da parte di membri di gruppi sociali diversi è
spiegabile, secondo de Lillo e Schizzerotto (1985) presupponendo che essi non si rifacciano a ideali
di giustizia sociale, ma valutino il grado di svantaggi e vantaggi, tanto sul piano materiale quanto su
quello simbolico, che l’esercizio di una occupazione comporta. La distinzione tra ordinamento
fattuale e normativo è supportata, nel lavoro di questi due autori (de Lillo e Schizzerotto, 1985),
dall’attenzione rivolta ad un’ipotetica società migliore dell’attuale, dove non solo cambia la
struttura della stratificazione sociale (più compatta rispetto a quella della società attuale), ma
emergono rilevanti distinzioni in base all’appartenenza sociale dei rispondenti. Inoltre, altri autori
hanno sottolineato l’importanza del riconoscimento sociale e dei valori e delle credenze condivise,
indispensabili veicoli dell’attribuzione di status alle diverse occupazioni (Zhou, 2005). Invece,
l’invariabilità spazio-temporale è stata empiricamente dimostrata da Treiman (1977).
Proprio quest’ultima ricerca ha rappresentato per lungo tempo un freno alla riedizione di scale
nazionali già esistenti. Tuttavia, nel caso italiano, già un’analisi che utilizza i dati della scala del
1985 (Schadee e Schizzerotto, 1987), mette in luce le differenze presenti a livello territoriale,
tipicamente estremamente differenziato al suo interno, diversamente da quanto accade in altri Paesi.
Le differenze territoriali, insieme alla presenza di nuove professioni e ai cambiamenti intervenuti
nel mondo del lavoro negli ultimi 20 anni, hanno quindi giustificato la riedizione della scala di
prestigio italiana.
Per ciò che concerne, poi, nello specifico, il consenso e il ruolo delle differenze individuali nella
valutazione, diversi autori mettono in luce che alcune caratteristiche individuali favoriscono il
dissenso nelle valutazioni: lo status sociale (Guppy e Goyder, 1984; Wegener, 1992); il gruppo
etnico (Xu e Leffler, 1992); l’età (Sawinski e Domanski, 1991). Altri aspetti degni di nota
riguardano la posizione dei titoli occupazionali all’interno della scala: il dissenso è superiore tra le
categorie che occupano una posizione centrale nella scala. In particolare, questo si verifica
soprattutto per le occupazioni poco familiari (‘nuove’ occupazioni o professioni molto
specializzate) (Davies, 1952). Inoltre, anche l’esperienza personale influisce sulla valutazione dei
titoli occupazionali, poiché i rispondenti valutano più positivamente occupazioni con cui
interagiscono personalmente (Stehr, 1974) e utilizzano stereotipi per valutare le occupazioni di cui
non hanno conoscenza diretta (Thielbar and Feldman, 1969).
Come si nota, alcuni autori hanno provato a intaccare la convinzione predominante che le scale di
stratificazione occupazionale siano caratterizzate da un diffuso consenso da parte dei diversi gruppi
sociali. In questo ambito, una particolare attenzione è stata dedicata al ruolo del genere,
probabilmente anche in considerazione dei numerosi studi relativi alle differenze nel reddito e alla

                                                                                                      1
segregazione occupazionale1. Tuttavia, nonostante la ben documentata presenza di queste forme di
disuguaglianza, la distribuzione del prestigio occupazionale sembra essere sostanzialmente simile
tra uomini e donne (Bose, 1973, England, 1979, Gomez Bueno, 1996). Questo risultato è spiegato
da England (1979) sottolineando l’assenza o la scarsa presenza delle donne sia nelle posizioni più
elevate, sia in quelle ai più bassi livelli di prestigio, mentre nelle restanti posizioni si collocano
occupazioni con un grado di prestigio simile, ma fortemente segregate per genere. Infatti, secondo
Jacobs (1993) il concetto di segregazione occupazionale riguarda una dimensione trasversale a
quella del prestigio e del reddito, poiché concerne occupazioni collocate allo stesso livello, benché
le occupazioni prevalentemente femminili abbiano meno autorità, autonomia e reddito rispetto a
quelle maschili con un simile livello di prestigio. In effetti, le professioni tradizionalmente a
prevalente presenza femminile tendevano, fino a qualche decennio fa, ad essere valutate meno
positivamente rispetto a quelle prevalentemente maschili (Bose, 1973, Acker, 1980). Tuttavia,
ricerche più recenti hanno confermato solo parzialmente tali risultati (Magnusson, 2005; Arosio e
De Luca, 2008).
Il più completo studio della relazione tra prestigio occupazionale e genere è quello svolto da Bose e
Rossi (1983), in cui ai rispondenti (un campione di studenti e uno di famiglie) è stato chiesto di
valutare 110 titoli occupazionali che potevano essere alternativamente neutri, declinati al maschile o
al femminile. I principali risultati della ricerca mostrano che mentre i maschi tendono a valutare
meno positivamente le occupazioni esplicitamente declinate al maschile rispetto a quelle neutre, le
donne al contrario attribuiscono maggiore prestigio a quelle declinate al femminile. Tuttavia, gli
autori ammettono che l’occupazione e l’educazione dei rispondenti spiegano la maggior parte della
varianza e hanno un impatto maggiore rispetto al genere. Riguardo, invece, alle professioni ad
elevata connotazione di genere, i dati evidenziano che il prestigio medio dei lavori ‘femminili’ è 12
punti più basso rispetto a quelli maschili; inoltre, il prestigio massimo raggiungibile nel contesto
delle tradizionali occupazioni femminili è inferiore di 21 punti rispetto al prestigio massimo
raggiungibile nell’ambito dei lavori prevalentemente maschili. Infine, un altro risultato di rilievo
riguarda le occupazioni neutre, che il campione di studenti, usato in quella indagine, valuta
sistematicamente meglio rispetto a quelle con connotazione di genere. Per spiegare questo risultato,
gli autori ipotizzano che ciò sia dovuto alla ‘personificazione’ di un ruolo generico che,
attribuendogli una nota di realtà, porta ad un degradamento del ruolo. Questa spiegazione
contraddice però, almeno in parte, gli studi di Stehr (1974) sul ruolo dell’esperienza diretta
precedentemente discussi. Senza dubbio, la ‘personificazione’ del ruolo induce l’intervistato a
riflettere su lavoratori in carne ed ossa, facilitando il ricorso a conoscenze reali maturate nel corso
della propria esperienza quotidiana (Gambardella, 2007). Tuttavia, è difficile ipotizzare a priori in
quale modo la personificazione influenzi le valutazioni degli intervistati, poiché ciò dipende dal tipo
di esperienze specifiche a cui fanno riferimento.
Un altro importante lavoro che ha come obiettivo l’approfondimento delle differenze di genere è
quello svolto da Powell e Jacobs (1984), in cui vengono sottoposti a valutazione 56 titoli
occupazionali che, oltre a somigliare il più possibile alla distribuzione del prestigio occupazionale
del NORC (1947)2, includono alcune occupazioni tipicamente femminili. Ciascuno di questi titoli
occupazionali è stato sottoposto a valutazione in forma neutra, declinato al maschile e/o declinato al
femminile3. In realtà, i principali risultati emersi confermano che l’educazione ed il reddito
spiegano una quota molto rilevante della varianza, mentre il genere non conta che marginalmente.
L’unica eccezione riguarda i casi in cui la declinazione di genere è atipica rispetto alla presenza
dominante in uno specifico titolo occupazionale (tra gli esempi proposti, il pompiere donna e lo

1
  Per una rassegna bibliografica di questi studi si vedano England (1979), Charles (1992) e Jacobs (1993).
2
  Questa ricerca è stata la prima ad aver utilizzato un numero consistente di titoli occupazionali (90) e a permettere
l’attribuzione di un punteggio di prestigio anche ad altre occupazioni simili a quelle testate.
3
  Circa un terzo degli intervistati ha valutato le occupazioni neutre e maschili, un terzo quelle neutre e femminili e un
altro terzo quelle maschili e femminili.

                                                                                                                       2
stenografo uomo). In questi casi, il genere contribuisce a spiegare una quota non trascurabile di
varianza. Infatti, il prestigio attributo ad una professione è superiore quando il titolo occupazionale
è declinato secondo il genere dominante (quindi, pompiere uomo e stenografa donna). Secondo gli
autori, questa situazione può contribuire ad influenzare le scelte occupazionali, inibendo quelle
rivolte verso occupazioni dove prevale il genere opposto4. Infine, gli autori suggeriscono l’utilizzo
di due scale di prestigio separate per uomini e donne, in modo da tenere conto di questi effetti.
Un contributo più recente sull’argomento è quello di Magnusson (2005) che si propone di testare la
teoria della svalutazione (England, 1992), in cui si sostiene che i compiti tradizionalmente
femminili sono sottovalutati proprio perché svolti generalmente da donne. A tal scopo, l’autrice
utilizza i dati di un’indagine svedese condotta a livello nazionale nel 2000, analizzando le
differenze esistenti nella valutazione sociale delle occupazioni in base al loro grado di
‘femminilizzazione’(calcolato sulla base della percentuale di donne presenti nelle occupazioni,
utilizzata sia come variabile continua sia come variabile categoriale divisa in quattro gruppi5), e
controllando per altri possibili fattori esplicativi (livello di istruzione e posizione lavorativa).
Un’attenzione specifica è riservata alle professioni di cura e a quelle che implicano rapporti
interpersonali6, in cui la componente femminile è prevalente. I risultati mostrano che, utilizzando il
tasso di femminilizzazione come variabile continua, emerge una relazione indiretta con la
desiderabilità sociale delle occupazioni. Tuttavia, sostituendo alla variabile continua quella
categoriale, appare evidente che le occupazioni più desiderabili sono quelle miste, mentre sia quelle
prevalentemente femminili che quelle tipicamente maschili sono valutate piuttosto negativamente,
più di quelle tipicamente femminili. Inoltre, le professioni di cura non sono valutate più
negativamente, mentre lo sono le altre professioni che implicano rapporti interpersonali. Quindi,
sostiene Magnusson, la teoria della svalutazione è supportata dai dati empirici solo parzialmente.
Infine, ancora più recente è la ricerca coordinata da Gambardella (2007) che ha analizzato le
differenze di genere nel contesto napoletano. A tal fine, sono state selezionate 140 occupazioni che i
ricercatori hanno ritenuto essere sensibili alla dimensione di genere. Tali professioni sono
successivamente state declinate al femminile e al maschile e sottoposte alla valutazione di 420
intervistati. Metà di questi hanno ordinato 20 occupazioni declinate al maschile, l’altra metà,
invece, 20 occupazioni declinate al femminile. Ogni occupazione ha ricevuto lo stesso numero di
valutazioni. Utilizzando test sia parametrici sia non parametrici, sono state individuate 30
occupazioni sensibili al genere, pari al 21% del totale. Pur ammettendo che “il numero delle
differenze di valutazione registrate nelle occupazioni non è eccessivo” (Gambardella, 2007,
pag.21), rimane la convinzione che il genere dovrebbe comunque essere incluso nella costruzione
delle scale di stratificazione occupazionale. Osservando più nel dettaglio l’analisi svolta, notiamo
che anche in questa ricerca le professioni tipicamente femminili o maschili rivestono un’importanza
non trascurabile. Infatti, le donne sono valutate meglio se svolgono professioni legate a immagini di
bellezza (la profumiera, l’interprete, il critico televisivo donna) o ad attività di cura degli altri
(l’assistente sociale, la fisioterapista, la psicologa) o ad abilità relazionali e comunicative (l’addetta
stampa). Inoltre, gli uomini sono valutati meglio quando svolgono occupazioni tipicamente maschili
(il vigile del fuoco, il giornalista sportivo, l’istruttore di scuola guida) o in posizioni dirigenziali (il
direttore di filiale commerciale, il presidente di associazione imprenditoriale, il gestore di agenzia
viaggi). Tuttavia, anche in questa ricerca, non mancano le eccezioni. Ad esempio, nella politica le
donne risultano preferite agli uomini, benché la loro presenza in questo ambito sia minoritaria.
Nella stessa direzione vanno le valutazioni relative all’operaia siderurgica, alla barista e alla

4
  Analisi più recenti del mercato del lavoro italiano indicano che le scelte occupazionali delle giovani donne si orientano
sempre più spesso anche verso settori a prevalente presenza maschile (Reyneri, 2002).
5
  I quattro gruppi sono: da 0 a 29% di donne in una data occupazione= tipicamente maschile; da 30 a 49=mista; da 50 a
84= prevalentemente femminile; da 85 a 100= tipicamente femminile.
6
  Questa categoria di professioni include gli insegnanti, gli avvocati, gli artisti, i poliziotti, i lavoratori nei servizi alla
persona e nella ristorazione, gli addetti alle pulizie e alla nettezza urbana.

                                                                                                                              3
conducente di taxi. Questi risultati, secondo gli autori (Aragona, Caputo, 2007) rispecchiano
l’intenzione degli intervistati di premiare le donne che sono riuscite ad affermarsi in settori
tradizionalmente maschili. Infine, vi sono anche casi in cui gli uomini che svolgono occupazioni
tipicamente femminili sono stati valutati più positivamente rispetto alle donne (il segretario
d’azienda e l’operaio tessile). Relativamente alle occupazioni miste, invece, di particolare rilevanza
appaiono quelle in ambito commerciale (fruttivendolo, parrucchiere, cassiere di negozio) che
vengono valutate meglio dagli intervistati quando sono svolte da un uomo. Anche in questo caso,
dunque, non emergono indicazioni chiare e univoche, anche se le interpretazioni fornite dagli autori
per spiegare i diversi risultati appaiono, nella maggior parte dei casi, convincenti. Infine, è
importante sottolineare che non sono emerse differenze significative attribuibili al genere degli
intervistati. Questa ricerca appare di interesse specifico per il nostro lavoro non solo perché ne
condivide nel complesso l’impianto teorico, ma anche perché, nello specifico, diverse professioni
declinate per genere sono state utilizzate anche nella ricerca nazionale di cui questo lavoro è parte
integrante7.
Nel complesso, dalle ricerche sopra citate emerge l’esistenza di effetti legati alle differenze di
genere, ma questi sono prevalentemente circoscritti all’ambito della segregazione occupazionale e
non mancano aspetti contraddittori. Inoltre, è interessante notare che nello studio di tali differenze
non è stata ancora raggiunta una metodologia comune. In alcuni casi, si fa riferimento alla
percentuale di donne presenti nelle diverse occupazioni. In altri, invece, gli intervistati sono
chiamati a valutare titoli occupazionali declinati al maschile o al femminile, da soli oppure accostati
a titoli occupazionali ‘neutri’ o, ancora, confrontati tra loro. Inoltre, l’attenzione è rivolta,
alternativamente o congiuntamente, sia al genere degli intervistati che a quello in cui vengono
declinati titoli occupazionali sottoposti a valutazione. Insomma, a fronte di questa elevata variabilità
nei metodi di ricerca utilizzati, sembra quasi che ci si debba sorprendere del fatto che emergano
tendenze comuni nei risultati.
Nel prossimo paragrafo verrà brevemente presentata la ricerca che ha condotto alla costruzione
della nuova scala di desiderabilità sociale, mentre i paragrafi successivi saranno dedicati
all’approfondimento delle differenze di genere.

2. La scala SIDES058
La ricerca “La valutazione sociale delle occupazioni in Italia e nei contesti territoriali locali” (Cofin
2003/2005), a cui fa riferimento il presente articolo, è stata condotta con l’intento di aggiornare la
precedente scala di stratificazione utilizzata in Italia (de Lillo, Schizzerotto, 1985) con l’intento di
testare l’ipotesi dell’invarianza dell’ordinamento delle occupazioni sia rispetto alle caratteristiche
degli intervistati, sia rispetto al tempo.
La ricerca ha seguito il più possibile i passi della rilevazione del 1985, in modo da assicurare piena
comparabilità tra i due strumenti. Rispetto alla ricerca del 1985 è cambiata la numerosità del
campione di intervistati e quella del campione di occupazioni valutate. Nel 1985 gli intervistati
erano 792, mentre le occupazioni valutate erano 590, distribuite in 88 categorie; ogni intervistato
giudicava 20 occupazioni, in modo che ogni categoria ricevesse 180 valutazioni. Nella presente
ricerca i soggetti intervistati sono 2000, le occupazioni valutate 676 e ciascuna di esse è stata
valutata 60 volte. Inoltre, tutti gli intervistati hanno valutato 10 occupazioni yardstick, scelte tra le
occupazioni più conosciute e diffuse, e individuate in modo tale che fossero distribuite lungo tutta la
gerarchia occupazionale, dai livelli più elevati fino a quello valutati meno. Le occupazioni yardstick
hanno fornito all’intervistato uno stabile gruppo di occupazioni di riferimento e, al ricercatore, la

7
  L’équipe dell’Università di Napoli Federico II che ha condotto questo studio faceva parte dello stesso progetto PRIN
presentato in queste pagine.
8
  Il presente paragrafo è liberamente tratto dall’articolo di Meraviglia e Accornero (2007).

                                                                                                                         4
possibilità di controllare se l’ordinamento degli intervistati fosse più o meno influenzato da
idiosincrasie individuali, piuttosto che dalla desiderabilità sociale, come esplicitamente richiesto nel
questionario.
Quest’ultimo è composto da due parti: la prima è relativa alla rilevazione dei giudizi di
desiderabilità, la seconda è relativa alle variabili socio-anagrafiche di base, con particolare
attenzione alla rilevazione dell’intervistata/o e dei familiari più stretti. Intento dell’équipe di ricerca
è stato infatti di predisporre una vera e propria rilevazione di mobilità sociale. Le ragione di questa
scelta sono due: la prima consiste nella necessità di disporre di informazioni relative al grado di
conoscenza, da parte dell’intervistato, del mondo del lavoro; la seconda, nella volontà di mettere a
disposizione degli studiosi italiani e stranieri una nuova indagine di mobilità.
La nuova scala SIDES05 è presentata estesamente nell’appendice A.

3. Le differenze di genere nel campione e nello yardstick
Prima di trattare i principali risultati relativi alle differenze di genere, ci sembra opportuno
inquadrare meglio il nostro campione.
In primo luogo, le donne rappresentano il 39% del campione, la loro età è mediamente inferiore a
quella degli uomini (circa 42 anni contro i 44 dei maschi) ed il loro livello di istruzione più elevato,
poiché le laureate, le diplomate e coloro che hanno un diploma di qualifica professionale
rappresentano il 66% della componente femminile mentre, tra gli uomini, la percentuale scende al
56%9.
Considerando che il nostro campione è composto quasi esclusivamente da occupati (l’89% del
campione), è possibile affermare che queste differenze riflettono le caratteristiche della
partecipazione femminile al mercato del lavoro10, ovvero un tasso di partecipazione più elevato tra
le donne più giovani e, soprattutto, più istruite. Infatti, le donne che hanno investito maggiormente
nella loro formazione sono quelle che mostrano un maggiore attaccamento al lavoro e che, più
frequentemente, continuano a lavorare anche dopo la nascita dei figli. Non emergono, invece,
rilevanti differenze in base alla ripartizione geografica, nonostante il tasso di attività femminile al
nord sia più elevato rispetto al sud.
Per quando riguarda, invece, la carriera professionale degli intervistati, pur non essendo ancora
disponibili informazioni dettagliate riguardo al lavoro svolto11, è possibile affermare che gli uomini
possono contare più frequentemente (59% dei casi contro 51% delle donne) su un contratto a tempo
indeterminato, mentre le donne, oltre a lavorare più spesso a tempo determinato, sono più numerose
anche tra coloro che lavorano senza contratto. Inoltre, tra gli uomini sono più numerosi gli
imprenditori, gli artigiani, i liberi professionisti. Nel complesso, appartengono a queste categorie
circa il 20% degli uomini contro il 13% delle donne e, in particolare, gli imprenditori uomini sono il
doppio delle donne (4,5% contro 2%).
Riguardo ai settori di impiego, le donne lavorano più frequentemente degli uomini nell’industria
tessile e dell’abbigliamento, nel commercio al dettaglio, nell’istruzione, nei servizi socio-sanitari,
nei servizi domestici e in altri servizi al consumatore finale12, mentre gli uomini nell’industria

9
  Va ricordato che il campione è stato costruito in modo da essere rappresentativo della popolazione italiana che al
momento dell’intervista risultava occupata o aveva smesso di lavorare da non più di 5 anni..
10
   La crescente partecipazione femminile al mercato del lavoro è confermata sia dalle periodiche indagini dell’ISTAT
sia dai dati di confronto con gli altri paesi europei forniti dall’OECD.
11
   Questi dati sono ancora in fase di elaborazione.
12
   Questa categoria (codice ATECO 93) include servizi di lavanderia, parrucchieri e trattamenti di bellezza, centri
benessere, pompe funebri ed altri servizi alle famiglie.

                                                                                                                       5
metalmeccanica e           nelle     costruzioni,     nei    trasporti,     nell’intermediazione        finanziaria      e
nell’informatica.
Infine, è importante sottolineare che il 35% delle donne lavora nel settore pubblico, mentre tra gli
uomini la percentuale scende al 26% ma, soprattutto che le donne che lavorano part-time sono il
26% contro il 6% degli uomini. Quest’ultimo dato appare quello più rilevante, che conferma quanto
il tempo parziale sia collegato, seppure in diversi ambiti e per varie ragioni, alle specificità che
contraddistinguono la partecipazione femminile al mercato del lavoro (Reyneri, 2002).
Il quadro generale appena delineato fornisce un’utile base di partenza per interpretare i risultati
della ricerca. Infatti, come già anticipato, è importante tener presente che le valutazioni dei
rispondenti sono influenzate dalla loro esperienza diretta (Stehr, 1974), che li può portare a valutare
di più le professioni che conoscono meglio o che svolgono in prima persona. Inoltre, i dati relativi
agli intervistati riflettono nel complesso abbastanza fedelmente le differenze esistenti in Italia non
solo nelle modalità lavorative, ma anche nella presenza di una specializzazione di genere dei diversi
settori occupazionali. Anche questo aspetto non è in contrasto, bensì complementare con l’effetto
dell’esperienza diretta, poiché la forte segregazione occupazionale favorisce l’esperienza diretta
proprio delle professioni dove più elevata è la presenza di persone del proprio sesso. La
specializzazione, dunque, potrebbe rivelarsi di notevole importanza nell’ambito del presente lavoro
dal momento che, conoscendo direttamente le occupazioni ad elevata presenza femminile, le donne
potrebbero valutarle meglio rispetto agli uomini e, viceversa, nel caso delle professioni a larga
maggioranza maschili. Questa ipotesi appare plausibile sin dalle prime valutazioni relative allo
yardstick (tabella 1).
Lo yardstick rappresenta un utile punto di partenza per costruire una scala di stratificazione
occupazionale. E’ importante che i rispondenti valutino le occupazioni incluse nello yardstick più o
meno allo stesso modo e che l’ordinamento sia nel complesso abbastanza simile per tutti gli
intervistati, senza essere sistematicamente influenzato da caratteristiche socio-individuali. In questo
caso, ci interessa naturalmente testare l’eventuale presenza di differenze di genere nelle valutazioni
attribuite alle occupazioni che compongono lo yardstick13.

         Tabella 1 – Valutazione delle professioni dello yardstick in base al genere (Punteggio
         medio su una scala da 0 a 100, deviazione standard e livello di significatività del test F)

                                                      Maschi         Femmine           Totale          Sig.
           Magistrato                               92,1 (17,5)       94,2 (15,1)           92,9      p
La professione in cui le differenze di genere nelle valutazioni sono più evidenti è quella
dell’imprenditore. Nonostante siano state proposte numerose iniziative volte a favorire la crescita
dell’imprenditorialità femminile in ambito regionale, nazionale ed europeo, le donne che iniziano
un’attività in proprio sono circa un quarto del totale, mentre i due terzi delle nuove imprese hanno
un titolare di sesso maschile14. Considerando peraltro che talvolta, benché il titolare (o uno dei
titolari) sia di sesso femminile, di fatto l’impresa è gestita da altri soggetti (partner o figli)
generalmente maschi (Formaper, 2003; Camera di Commercio di Ascoli Piceno, 2005; Picca,
2007), si intuisce come la figura dell’imprenditore sia prevalentemente maschile (e, si suppone,
ancor di più in caso di imprese con 30 e più dipendenti). Questa prevalenza, dunque, potrebbe
spiegare la più elevata valutazione attribuita dai rispondenti maschi a questa professione. Lo stesso
tipo di spiegazione potrebbe contribuire a spiegare pure le differenze riscontrate nella valutazione
dell’elettrauto. Infine, la prevalenza di una tipizzazione al maschile vale anche nel caso del
metalmeccanico, pur essendo un’occupazione alle dipendenze.
Un altro caso di rilievo riguarda l’insegnante che, viceversa, è valutata meglio dalle donne. Questo è
l’unico caso in cui c’è un’inversione nell’ordinamento dello yardstick, poiché mentre le donne
antepongono l’insegnante al direttore di supermercato, per gli uomini accade il contrario.
L’inversione nell’ordinamento di questi titoli occupazionali è favorita anche dal fatto che, nel
complesso, le due professioni ottengono valutazioni molto simili. Anche riguardo all’insegnante, la
segregazione occupazionale sembra svolgere un ruolo importante visto che la maggior parte degli
insegnanti sono donne. Peraltro, mentre ai livelli più bassi di insegnamento la componente
femminile è prevalente sin dagli anni Cinquanta, nelle scuole superiori le donne diventano
prevalenti nel corpo docente in anni più recenti, come emerge dal censimento del 1981 (Chiesi,
1997). Infine, le donne valutano meglio il magistrato, occupazione in passato fortemente segregata
al maschile in cui, però, negli ultimi anni la quota di donne sta ormai raggiungendo quella degli
uomini15.
Queste prime analisi forniscono già alcune indicazioni importanti: la diffusione del consenso e, di
conseguenza, la presenza relativamente marginale di dissenso dovuto alle differenze di genere; la
parziale e non costante rilevanza della segregazione occupazionale nelle valutazioni dei rispondenti,
già peraltro emersa nelle principali ricerche su questo tema citate in precedenza. Tali risultati
verranno ulteriormente testati nel resto dell’articolo. In primo luogo, vedremo se l’ampio consenso
è limitato allo yardstick in ragione della sua elevata stabilità o se, invece, permane anche nella scala
occupazionale completa. In secondo luogo, approfondiremo l’effettiva rilevanza della segregazione
e della tipicità (o atipicità) di genere nella valutazione della desiderabilità sociale delle
occupazioni.

4.Le differenze di genere nella scala
Nel passaggio dallo yardstick alla scala occupazionale completa, è importante considerare che
l’unità di analisi non sono più 10 occupazioni relativamente comuni e conosciute da tutti gli
intervistati, bensì 110 categorie, ciascuna composta da un numero variabile di occupazioni (da 2 a
11) che talvolta i rispondenti conoscono poco e di cui possono anche non avere esperienza diretta.
Questa premessa è indispensabile per affrontare adeguatamente l’analisi delle differenze di genere,
condotta combinando due punti di vista: quello dell’analisi della varianza delle singole categorie e
quello del confronto tra due scale occupazionali, maschile e femminile, ottenute ordinando il
punteggio medio che i rispondenti, divisi per genere, hanno attribuito alle diverse categorie. Il

14
   Fonte: dati Unioncamere 2004 – Osservatorio sull’imprenditoria femminile: “Imprese femminili alla conquista di
nuovi spazi” http://www.unioncamere.it/Unioncamere_gestione/allegati/com_imp_fem_2004.pdf
15
   Fonte: Associazione Magistratura Indipendente, si veda anche Di Federico e Negrini (1989)

                                                                                                                    7
secondo metodo mira non a sostituire ma ad integrare il primo che, altrimenti, rischierebbe di
fornire informazioni parziali e poco coerenti.
Osservando le prime indicazioni fornite dal confronto tra l’ordinamento dei maschi e quello delle
femmine rispetto alla scala di stratificazione complessiva (figura 1), si notano delle divergenze che,
tuttavia, in pochi casi appaiono realmente rilevanti, soprattutto per ciò che concerne l’ordinamento
maschile. Relativamente a quest’ultimo, infatti, nel 31% dei casi viene attribuita alle categorie
occupazionali la stessa posizione della scala complessiva, il 63% delle categorie si discostano al
massimo di 4 posizioni e solo nel 6% dei casi la differenza è maggiore. Invece, osservando
l’ordinamento ottenuto dalle valutazioni delle donne intervistate, si notano scostamenti più ampi.
Infatti, benché il 27% delle categorie continuino a conservare la stessa posizione, quelle che si
collocano ad oltre 4 posizioni di distanza sono il 19%, ovvero una su cinque.
La maggior parte delle categorie della scala sono dunque oggetto di ampio consenso da parte dei
soggetti chiamati a valutare i titoli occupazionali. Nel complesso, pertanto, il genere non sembra
rappresentare un fattore discriminante tale da richiedere la costruzione di due scale separate per
maschi e femmine, almeno per ciò che concerne le categorie qui utilizzate, che contengono titoli
occupazionali neutri e non declinati per genere.

Figura 1 – Differenze nell’ordinamento delle categorie della scala rispetto a quello complessivo in
base al genere degli intervistati

  120

  100

   80

   60

   40

   20

    0
        1   6   11 16 21 26 31 36 41 46 51 56 61 66 71 76 81 86 91 96 101 106

                                           Femmine        Maschi

Tuttavia, è importante sottolineare che, mentre le posizioni estreme mostrano un’elevata stabilità, le
differenze maggiori si concentrano nelle posizioni centrali dell’ordinamento. In effetti, vi è una
maggiore probabilità che gli intervistati si trovino d’accordo nel valutare i vantaggi e gli svantaggi
connessi alle occupazioni delle categorie superiori e inferiori e che il riconoscimento sociale di tali
posizioni sia più frequentemente legittimato e socialmente condiviso. Al contrario, le occupazioni
collocate nella parte centrale della scala sono contraddistinte da combinazioni differenti di risorse

                                                                                                     8
economiche, credenziali educative, autorità, autonomia, potere, stabilità lavorativa e sono quindi più
suscettibili ad un’elevata variabilità di giudizio. Ciò risulta ancor più comprensibile se si tiene conto
che, nell’ordinamento dei diversi titoli occupazionali, le donne hanno dato maggiore importanza a
criteri come le credenziali educative e la stabilità del posto di lavoro, mentre gli uomini hanno
attribuito un peso più rilevante al rischio imprenditoriale16. I primi due criteri influiscono sulla
valutazione delle occupazioni impiegatizie sia nel settore pubblico che in quello privato, mentre il
rischio imprenditoriale conta soprattutto per i lavoratori autonomi e i piccoli imprenditori. Come
vedremo tra poco nel dettaglio, quelle appena citate sono tra le categorie occupazionali in cui si
osservano le maggiori differenze di genere nelle valutazioni. Peraltro, le professioni che occupano
la parte centrale della scala appartengono per lo più alla classe media impiegatizia e alla piccola
borghesia urbana17 che, oltre ai lavoratori manuali, costituiscono le classi con la quota più elevata di
occupati (Schizzerotto, 2002). Quindi, se anche numericamente non sono molte le categorie in cui
emergono significative differenze in base al genere degli intervistati, è importante ricordare che tali
categorie possono in realtà riguardare una percentuale non trascurabile di lavoratori.
Alla luce di quanto appena affermato, vale la pena approfondire le differenze emerse. Focalizzando
quindi l’attenzione sulle categorie che presentano nell’ordinamento differenze pari o superiori a 5
posizioni, si nota appunto che queste riguardano esclusivamente categorie collocate nella parte
centrale della scala. Inoltre, le categorie con gli scostamenti più ampi sono, nella maggior parte dei
casi, costituite da professioni a forte segregazione occupazionale (tab.2).
In primo luogo, le professioni di cura e di servizi alle persone vengono generalmente valutate
meglio dalle donne piuttosto che dagli uomini e questo tipo di professioni sono, insieme a quelle
svolte nell’ambito dell’istruzione, le occupazioni dove tradizionalmente le donne hanno trovato più
frequentemente impiego.
In secondo luogo, le donne sembrano valutare meglio professioni nel settore pubblico a cui si
accede tramite concorsi a cui le donne sono sempre più spesso in grado, non solo di prendere parte,
ma anche di vincere perché più preparate e diligenti dei colleghi maschi (Reyneri, 2002). Inoltre,
altri ambiti che le donne ritengono socialmente più desiderabili rispetto agli uomini sono le scienze
umane e le professioni mediche, settori in cui la presenza femminile, quando non già
numericamente rilevante da alcuni decenni, risulta comunque in crescita (Chiesi, 1997).
Per ciò che concerne, invece, le professioni valutate meglio dagli uomini rispetto alle donne,
prevalgono senza dubbio gli imprenditori ed i lavoratori autonomi con dipendenti, operanti in
diversi settori ma, in particolare, in settori tipicamente maschili come quello dei trasporti e della
logistica ed il termo-idraulico.
Anche i politici sembrano essere valutati meglio dagli uomini, che sono dominanti pure in questa
categoria, benché le differenze non risultino mai statisticamente significative, forse anche a causa
dell’elevata variabilità riscontrabile nelle valutazioni espresse, probabilmente in parte influenzate
dal diverso atteggiamento dei rispondenti nei confronti della politica e degli uomini politici.
Per quanto l’analisi delle differenze di genere nella scala di stratificazione occupazionale abbia
fornito interessanti indicazioni, in particolare portando alcune conferme a supporto della centralità
esplicativa che la segregazione occupazionale sembra avere in questo ambito, il quadro emerso non
è affatto univoco. Alcune categorie presentano rilevanti differenze nel posizionamento o nella
varianza delle valutazioni medie, mentre altre, contenenti professioni dello stesso tipo, non sono
caratterizzate da una situazione simile (è il caso, ad esempio, degli insegnanti, ma anche dei piccoli
imprenditori). Oppure, in altri casi, non è chiaro se le differenze siano imputabili al settore di
attività o alla posizione occupazionale: è il caso delle attività logistiche, che presentano differenze

16
     Per l’analisi dei criteri, si veda l’articolo di Arosio e De Luca in questo numero.
17
     Secondo lo schema proposto da Goldthorpe e Erikson (1992)

                                                                                                       9
tra i lavoratori autonomi e, in parte, tra gli imprenditori con 15-49 dipendenti, ma pure tra i dirigenti
 e, invece, non vengono rilevate significative distinzioni tra gli imprenditori con 4-14 dipendenti.

 Tabella 2 – Valutazioni medie di maschi e femmine relative alle categorie occupazionali
 con uno scarto nell’ordinamento pari o superiore a 5 posizioni18

                                                                                                   Scarto tra
Categoria occupazionale                                                            Maschi Femmine posizioni19
 Lav. autonomi (senza dip.) dei servizi spec. di cura alle persone*                  53,0     63,6         -24
 Impiegati intermedi del settore pubblico: ambito tecnico-scientifico*               56,9     63,3         -15
 Professionisti alle dipendenze del pubblico: amm. ordinaria e N.A.C.                62,9     65,5         -11
 Lav. autonomi (senza dip.) dei servizi alle persone*                                32,9     39,7         -11
 Insegnanti di sostegno*                                                             49,7     55,9         -10
 Liberi professionisti in scienze umane*                                             70,4     77,8         -10
 Militari: ufficiali inferiori                                                       56,3     59,8          -9
 Professionisti alle dipendenze del privato: ambito tecnico-scientifico              65,8     66,3          -8
 Insegnanti delle scuole secondarie inferiori                                        59,5     62,3          -8
 Impiegati di routine del settore privato senza qualifica                            25,8     29,3          -8
 Militari e assimilati: sottufficiali                                                53,8     58,1          -8
 Lav. non manuali della P.A. e della sanità, senza qualifica                         28,1     29,8          -7
 Professionisti alle dipendenze del pubblico: ambito medico e
ingegneristico e ricercatori*                                                          71,6         75, 6            -6
 Personale subordinato militare                                                        37,7          41,0            -6
 Liberi professionisti arti e spettacolo con funzioni di direzione                      64,9         64,7            -6
 Liberi professionisti in attività economiche e amministrative                          66,9         67,7            -5
 Lav. autonomi (1-3 dip.) dei servizi di cura alle persone                              59,3         60,9            -5
 Impiegati intermedi del privato: caporeparti primario e secondario                     58,1         56,4             5
 Piccoli imprenditori (4-14 dip.) del commercio, turismo e servizi n.a.c.               60,5         58,8             6
 Lav.autonomi (senza dip.) dei trasporti e logistica*                                   29,5         24,9             6
 Lav. autonomi (1-3 dip.) del tecnologico, termoidraulico e affini                      56,8         55,3             6
 Dirigenti del settore privato dei trasporti                                            77,6         74,6             7
 Piccoli imprenditori (4-14 dip.) industriale e manifatturiero*                         69,1         64,5             8
 Politici (regionali e provinciali) e sindaci di comuni piccoli e medi                  75,7         72,8             9
 Medi imprenditori (15-49 dip.) dei trasporti e della logistica                        66, 5         61,3             9
 Lavoratori autonomi (senza dip.) termo-idraulici e affini                              52,1         46,0             9
 Politici di piccoli comuni (esclusi i sindaci)                                         65,8         59,9            10
 Sacerdoti e ministri del culto                                                         42,6         36,7            10
 Lavoratori autonomi (1-3 dip.) del settore primario*                                   35,2         26,9            12
 Lavoratori autonomi (1-3 dip.) del turismo                                             63,5         57,6            13
 Dirigenti del settore privato della logistica*                                         66,7        58, 2            18
 Piccoli imprenditori (4-14 dip.) in lavorazioni a carattere artigianale*               60,5         52,4            21

 18
    Le categorie contrassegnate da asterisco presentano una differenza tra medie in base al genere degli intervistati
 statisticamente significativa utilizzando il test F (p
Le incoerenze appena evidenziate potrebbero risolversi aggregando le categorie occupazionali e
procedendo ad un livello ulteriore di analisi20 (tab.3).

                  Tab. 3 – Controllo delle ipotesi relative al genere degli intervistati rispetto al
                  modello base con solo le categorie occupazionali (R² .509, R² corretto .507)
                                                                   Media
                                    Ipotesi                                        F         Sig.
                                                                 quadrati
                  Genere * lavori di cura21                      4595.430 11.473             .001
                  Genere *lavori di cura22                       7049.923 17.605             .000
                                      23
                  Genere *insegnanti                             1420.685       3.546        .060
                  Genere *militari                                917.927       2.291        .130
                  Genere *autonomi termoidraulici24              1100.309       2.746        .098
                                                           25
                  Genere *imprenditori trasporti logistica       2020.134       5.042        .025
                  Genere *politici                                 89.887        .224        .636
                  Genere *politici locali                        2056.881       5.134        .023
                                              26
                  Genere *autonomi primario                      2476.718       6.182        .013

Come si può notare, rimangono forti e significative le differenze nell’ambito dei lavori di cura e in
alcune professioni autonome tipicamente maschili. Nel complesso, però, continuiamo a domandarci
quanto è significativo il ruolo della segregazione occupazionale. Grazie all’ausilio dei dati ISTAT,
abbiamo cercato di fornire alcune indicazioni per rispondere a questa domanda.

           Tab. 4 – Modello di regressione lineare per indagare l’influenza del tasso di
           femminilizzazione sul prestigio occupazionale

            Modello                                                        Parametri
                                                                      β    St. Error        β st.          Sig.
            Genere                                                -3,30         0,35       -0,01         0,334
            Età                                                    0,00         0,02        0,00         0.911
            Area geografica (nord/centro, sud e isole)            -0.53         0,37       -0,01         0.152
            Titolo di studio (obbligo/Oltre obbligo)               1,47         0,36        0,03         0.000
            Tasso di femminilizzazione                            -0.21         0,01       -0.15         0,000
            Classe: CMI                                           -0,16         0,67       -0,00         0.816
            Classe: PBU                                            0,04         0,66        0,00         0.950
            Classe: PBA                                           -0.58         0,67        0,01         0.387
            Classe: COU                                           -0.26         0,50       -0,01         0.602
            Classe: COA                                            0.04         0,93        0,00         0.970

Anche se il dato deve essere considerato con cautela a causa di alcune carenze nei dati ISTAT e
della non perfetta corrispondenza tra le categorie ISTAT e le nostre, emerge comunque una discreta
influenza del tasso di femminilizzazione sulle valutazioni del prestigio occupazionale. Più che il

20
   E’ stata utilizzata la tecnica di analisi Unianova, e successivamente effettuato un ulteriore controllo con l’analisi
multilivello.
21
   Categorie 602, 605 e 702 (autonomi servizi di cura alla persone e servizi alla persona, 0-3 dipendenti)
22
   Categorie 602 e 605, senza dipendenti
23
   Categorie da 1101 a 1104 (escluso quindi insegnanti di pratiche sportive e tecnico-manuali)
24
   Categorie 616 e 703 (0-3 dipendenti)
25
   Categorie 203, 303, 610, 704 (da 0 a 49 dipendenti)
26
   Categorie 609 e 711 (da 0 a 3 dipendenti).

                                                                                                                           11
genere in sé, dunque, è la segregazione occupazionale che influisce sul prestigio delle occupazioni,
confermando così le indicazioni emerse nelle analisi precedentemente svolte. Nel prossimo
paragrafo vedremo se questa tendenza si manifesterà anche nelle valutazioni relative ai titoli
occupazionali declinati per genere.

5. I titoli occupazionali declinati per genere
Al fine di approfondire ulteriormente le differenze di genere nella valutazione della desiderabilità
sociale delle occupazioni, alcuni titoli occupazionali sono stati declinati per genere e inclusi, in
modo casuale, tra i venti titoli occupazionali che gli intervistati hanno ordinato dopo lo yardstick.

Figura 2 – Punteggio medio di titoli occupazionali declinati al maschile e al femminile

     100

     80

     60

     40

     20

      0
                                                                                                                                                                                                                                                                   Ass.sociale coordinatore/rice

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       Portinaio/a abitazione
                                    Direttore/rice grande industria

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   Impiegato segreteria

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          Segretario studio med.
                                                                                                      Direttore/rice giornale

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             Infermiere/a caposala
                                                                                                                                                                                                                                          Insegnante di sostegno
                                                                                                                                                                                                                       Addetto/a stampa
                                                                                    Giudice di pace

                                                                                                                                              Assessore comunale

                                                                                                                                                                                                 Tecnico informatico

                                                                                                                                                                                                                                                                                                   Assistente sociale
                                                                                                                                Psicologo/a

                                                                                                                                                                             Presentatore/rice
                    Avv.penalista

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    Tit. profumeria

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   Fioraio/a
                                                                      Ing. Civile

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     Fotografo/a

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         Baby sitter
           Notaio

                                                                                                                                                                   Regista

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        Maestro/a

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               Barista
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      Chef

                                                                                                                                                                                                    Al maschile                                                                                    Al femminile

Per la precisione, sono 26 le professioni declinate per genere, per un totale di 52 titoli
occupazionali. Il 14% degli intervistati ha ordinato un titolo occupazionale declinato al maschile o
al femminile, mentre solo l’1% dei rispondenti ne ha ordinati due, ma non relativi alla stessa attività
lavorativa27.
In generale, le valutazioni medie di queste professioni non presentano rilevanti scostamenti in base
alla differente declinazione di genere (figura 2). In particolare, la maggior parte delle professioni

27
  Il metodo utilizzato è dunque differente sia da quello riportato in Bose e Rossi (1983) sia da quello proposto da
Powell e Jacobs (1984) sia da quello utilizzato da Gambardella (2006).

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       12
collocate ai livelli estremi della scala occupazionale ottengono delle valutazioni molto simili in
entrambi i generi, mentre nelle posizioni centrali si osservano di nuovo maggiori scostamenti che,
però, non sono in nessun caso statisticamente significativi. Tuttavia, la somiglianza dei titoli
occupazionali selezionati nella nostra ricerca con quelli utilizzati in Gambardella (2007), ci
permette di effettuare un breve confronto dei risultati ottenuti. In primo luogo, l’unica professione
legata alla politica qui considerata è solo lievemente preferita dagli intervistati quando è svolta da
una donna, mentre non viene confermata nemmeno l’ipotesi che le professioni di cura siano valutate
meglio se al femminile. Infatti, benché ciò si dimostri vero per la psicologa (di fatto l’unica
professione che viene valutata molto meglio quando è declinata al femminile), non lo è altrettanto
per l’assistente sociale, l’assistente sociale coordinatrice e l’infermiera caposala. Infine, anche le
abilità relazionali non sembrano portare a valutazioni migliori delle professioni al femminile (è il
caso dell’addetta stampa). Una parziale conferma (seppur con una differenza minima) è invece
quella della barista, valutata meglio del suo collega maschio anche nella nostra ricerca.
Per quanto riguarda, invece, le preferenze espresse nei confronti delle professioni declinate al
maschile, anche i nostri dati confermano le differenze relative ai ruoli dirigenziali (direttore di
stabilimento industriale di grandi dimensioni, direttore di giornale) e quelle delle occupazioni
inerenti ad esercizi commerciali (nel nostro caso, titolare di profumeria e fioraio). Anche se nella
realtà queste attività non sono sempre definibili come prevalentemente maschili, è possibile pensare
che possano essere percepite ancora come tali dagli intervistati, benché le donne che gestiscono
esercizi commerciali al dettaglio rappresentino ormai circa il 40% del totale28.
E’ inoltre interessante notare che, come già segnalato da Bose e Rossi (1983), le poche occupazioni
neutre presenti corrispondenti a quelle declinate per genere ottengono sempre una valutazione più
elevata rispetto a queste ultime. Considerando che gli item sono stati valutati da persone diverse, è
possibile avvalorare l’ipotesi proposta dai due autori, ovvero che la specificazione del genere,
contribuendo a ‘personificare’ il titolo occupazionale, lo avvicini maggiormente alla realtà,
esponendolo pertanto ad idiosincrasie individuali e provocando così il degradamento di queste
figure professionali.

           Tab.5 – Valutazione delle professioni dello yardstick in base al genere (Punteggio
           medio, deviazione standard e livello di significatività del test F)

                                               Maschi        Femmine       Totale      Sig.
             Assessore comunale uomo          75,0 (17,4)   61,0 (13,2)      69,4     p
Per ciò che concerne, invece, le differenze nelle valutazioni in base al genere29 degli intervistati,
sono pochi i casi in cui emergono delle differenze rilevanti (tabella 5).
Delle 26 coppie di titoli occupazionali declinati per genere, solo sette presentano differenze degne
di nota in base al genere degli intervistati che, tuttavia, rivelano sorprese non prive di interesse. In
primo luogo, la professione legata alla politica è preferita dagli intervistati quando è declinata in
accordo con il proprio genere di appartenenza; lo stesso vale per il notaio30. Entrambe queste
professioni sono tradizionalmente maschili e di status elevato ed è per questo motivo,
probabilmente, che le donne tendono a premiare quelle, tra loro, che sono riuscite ad accedervi. Il
contrario accade, invece, per l’avvocato penalista che, comunque, pur collocandosi parimenti nella
parte superiore della scala, è forse percepito come di più facile accesso rispetto alle due professioni
sopra discusse. Controversa appare anche la desiderabilità di due professioni tipicamente femminili:
la maestra e l’assistente sociale donna. La prima è valutata meglio dalle intervistate, la seconda è
valutata peggio. Questo risultato può forse essere spiegato proprio tenendo conto della maggiore
conoscenza che le donne hanno di queste professioni e delle loro condizioni lavorative: benché
entrambi offrano la sicurezza del posto e un reddito adeguato, l’assistente sociale si trova più
frequentemente ad affrontare situazioni di disagio e di stress lavorativo31. Infine, relativamente alle
due professioni nel commercio e nei pubblici esercizi, le femmine ritengono il titolare di
profumeria uomo molto più desiderabile rispetto ai maschi e ciò può essere dovuto sia all’esistenza
di stereotipi tendenti a connotare questa professione come tipicamente femminile e a cui i maschi
potrebbero essere più sensibili. Invece, nel caso della barista, le donne sembrano ancora una volta
premiare quelle di loro che hanno deciso di intraprendere una professione tradizionalmente
maschile. L’ultimo aspetto che vale la pena sottolineare è che sono quasi sempre le intervistate a
distinguere e a reagire diversamente di fronte ai titoli occupazionali declinati per genere, segno
forse di una maggiore consapevolezza delle difficoltà che le donne devono affrontare nel contesto
lavorativo per ottenere gli stessi vantaggi e le stesse condizioni accordate ai colleghi uomini.
Il fatto che le donne incontrino maggiori difficoltà nel mercato del lavoro rispetto ai colleghi
maschi, viene suggerito anche dall’analisi di nove coppie di titoli occupazionali che, oltre ad essere
state declinate per genere, sono anche state declinate per tipo di contratto (a tempo indeterminato o
atipico). In particolare, quattro coppie declinate per genere e successivamente declinate per tipo di
contratto (per un totale di 16 titoli occupazionali), mostrano un andamento interessante (figura 4).
Vediamo che le valutazioni sono abbastanza simili in tre dei quattro titoli occupazionali che
rappresentano ciascuna professione. Lo chef donna, la portinaia e la barista ottengono un punteggio
molto più basso degli altri quando sono assunte con un contratto atipico e ciò può essere dovuto alla
maggiore difficoltà che le donne possono incontrare nell’affrontare non solo un lavoro faticoso e
poco qualificato (come nel caso della portinaia e della barista) o un ambiente dominato
prevalentemente dagli uomini (nel caso del capocuoco che coordina gli altri), ma anche un contratto
precario che non fornisce nessuna garanzia di stabilità.

29
   Riguardo, invece, a possibili variazioni legate all’età degli intervistati, alla loro provenienza geografica o al titolo di
studio posseduto, non sono state rilevate differenze univoche e costanti per tutte le occupazioni considerate, né tanto
meno queste variazioni appaiono statisticamente significative.
30
   La valutazione media attribuita dalle femmine al notaio donna è peraltro contraddistinta da una deviazione standard
estremamente bassa.
31
   La sindrome del burnout colpisce prevalentemente le professioni di cura. Per un approfondimento, si veda Obholzer e
Zagier Roberts (1994).

                                                                                                                           14
Figura 4 – Punteggio medio di alcuni titoli occupazionali declinati sia per genere sia per tipo di
contratto

            60

            50

            40

            30

            20

            10

             0

                                                                                                                                 Barista atipico
                                                                 Ins. sostegno

                                                                                     Portinaio/a

                                                                                                   Portinaio/a

                                                                                                                 Barista indet
                                                Ins. sostegno
                    Chef indet

                                 Chef atipico

                                                                                                     atipico
                                                                                       indet
                                                                     atipico
                                                     indet

                                                                Al Maschile      Al Femminile

Concludiamo la nostra analisi tornando nuovamente a focalizzare la nostra attenzione sulla
segregazione occupazionale. Tra le 26 professioni selezionate, sono state individuate 8 attività
lavorative prevalentemente femminili32 e 6 in cui gli occupati sono soprattutto uomini33.
Innanzitutto, pur consapevoli dell’inevitabile arbitrarietà e parzialità nella scelta delle 26
occupazioni iniziali, che comunque si proponeva di includere quanto più possibile i diversi livelli
della scala, vale la pena sottolineare che la media delle occupazioni tipicamente femminili è di circa
26 punti inferiore a quella delle professioni maschili, differenza ancora maggiore rispetto a quella,
già rilevante, emersa nel precedente paragrafo. Come già in precedenza, è possibile osservare la
tendenza da parte degli uomini a valutare meglio le occupazioni tipicamente maschili e delle donne
a valutare meglio le occupazioni tipicamente femminili. Tuttavia, anche in questo caso, tali
differenze non sono sempre coerenti e, peraltro, raramente risultano statisticamente significative.
Non sembrano invece rilevabili chiare tendenze dall’analisi delle professioni atipiche, ovvero di
quei titoli occupazionali declinati per genere in cui i maschi svolgono occupazioni tradizionalmente
femminili e viceversa. Dai nostri dati non compaiono dunque evidenze empiriche tali da supportare
quanto dichiarato da Powell e Jacobs (1984), ovvero la tendenza da parte delle donne a privilegiare
le femmine occupate in professioni tradizionalmente maschili e da parte degli uomini a degradare i
maschi occupati in professioni tradizionalmente femminili.

Osservazioni conclusive sulle differenze di genere
La maggior parte degli autori che si sono occupati della stratificazione occupazionale e delle scale
di valutazione sociale delle occupazioni, hanno spesso sottolineato l’ampio consenso che
32
   Le occupazioni prevalentemente femminili sono: infermiera caposala, baby sitter, maestra, insegnante di sostegno,
assistente sociale, assistente sociale coordinatrice, titolare di profumeria, segretaria di studio medico.
33
   Le occupazioni prevalentemente maschili sono: assessore comunale in comune con oltre 100.000 abitanti, notaio,
ingegnere civile, direttore di stabilimento industriale di grandi dimensioni, tecnico informatico, barista

                                                                                                                                                   15
caratterizza tali valutazioni, attribuendolo alla capacità di percepire i vantaggi e gli svantaggi
connessi alle diverse attività lavorative.
Altri autori hanno ipotizzato che le differenze di genere esistenti nei livelli di partecipazione al
mercato del lavoro, nel reddito percepito ed in altri aspetti della condizione lavorativa possano
riflettersi anche nella valutazione sociale delle occupazioni. In effetti, alcune ricerche che si sono
concentrate sulla segregazione occupazionale e che hanno sottoposto a valutazione titoli
occupazionali declinati per genere hanno osservato rilevanti differenze e, anche se hanno ammesso
che il genere resta un fattore secondario nella spiegazione della desiderabilità sociale delle
occupazioni, hanno comunque suggerito l’opportunità di creare scale di stratificazione
occupazionale separate per maschi e femmine.
Anche dai nostri dati emergono alcune differenze in base al genere dei rispondenti quando vengono
valutate professioni tradizionalmente a prevalente presenza maschile o femminile. Mentre le donne
tendono a valutare meglio le professioni tipicamente femminili, gli uomini fanno altrettanto con
quelle tipicamente maschili, probabilmente a causa della maggiore familiarità ed esperienza diretta
che ciascuno può vantare con queste professioni, riuscendone a valutare meglio ricompense e
privilegi. Tuttavia, non mancano casi in cui le donne considerano più desiderabili le professioni
tipicamente maschili o declinate al maschile. Nel complesso le intervistate sembrano mostrare,
rispetto agli intervistati maschi, una maggiore consapevolezza riguardo alle difficoltà che le donne
devono affrontare nel mondo del lavoro per vedersi riconosciuti gli stessi vantaggi e per gestire gli
stessi svantaggi dei loro colleghi uomini. Non stupisce, peraltro, che le maggiori differenze di
valutazione si riscontrino nelle occupazioni posizionate nella parte centrale della scala, mentre gli
estremi presentano una maggiore stabilità, seppure con qualche eccezione. Si tratta infatti delle
categorie occupazionali dove l’attribuzione di vantaggi e svantaggi appare meno netta, meno
condivisa.
Infine, i nostri dati indicano chiaramente l’influenza del tasso di femminilizzazione sulle valutazioni
del prestigio occupazionale. Le occupazioni con una forte presenza femminile sono valutate meno
rispetto a quelle in cui domina la componente maschile.
Benché dai risultati emersi non sembri ipotizzabile la necessità di costruire due scale specifiche per
maschi e femmine, è importante non sottovalutare né gli effetti della segregazione occupazionale,
poiché la loro forza e costanza nel tempo è innegabile, né la lucidità con cui le donne valutano la
propria posizione nella stratificazione occupazionale, consapevoli sia dei traguardi raggiunti sia di
quanto sia spesso ancora difficile ottenere gli stessi riconoscimenti (materiali e simbolici) dei propri
colleghi uomini.

Future ipotesi di lavoro
Dopo aver concluso, salvo alcune possibili modifiche di secondaria importanza, il lavoro sulle
differenze di genere (già in parte pubblicato sui Quaderni di Sociologia), l’utilizzo dei dati della
ricerca in vista delle prossime pubblicazioni prevede l’analisi delle differenze di età tramite un
percorso parallelo a quello seguito per il genere: analisi dello yardstick, costruzione scala
generazionale (meno di 45 anni/oltre 45 anni), analisi delle ipotesi con tecniche Anova (si veda
Appendice B per i risultati conseguiti fino ad ora).
Parallelamente a questo lavoro, un ambizioso obiettivo è quello di costruire una scala relazionale
utilizzando i dati occupazionali ISTAT relativi a mogli e mariti (dati 2006). Il modello di
riferimento è quello della scala CAMSIS, già sperimentato in diversi Paesi. Obiettivo di questo
lavoro, ancora in fase preliminare di costruzione della scala, è quello di comparare le due scale,
quella relazionale e quella reputazionale, al fine di discuterne somiglianze e differenze.

                                                                                                     16
Puoi anche leggere