La nuova scala di prestigio italiana: analisi delle differenze individuali (genere e )
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WWW.SOCPOL.UNIMI.IT Dipartimento di Studi Sociali e Politici Università degli Studi di Milano Working Paper 05/09 La nuova scala di prestigio italiana: analisi delle differenze individuali (genere e…) Deborah De Luca WWW.SOCPOL.UNIMI.IT Dipartimento di Studi Sociali e Politici Facoltà di Scienze Politiche, via Conservatorio 7 - 20122 Milano - Italy Tel.: 02 503 21201 02 503 21220 Fax: 02 503 21240 E-mail: dssp@unimi.it
La nuova scala di prestigio italiana: analisi delle differenze individuali (genere e…) [work in progress] Deborah De Luca (deborah.deluca@unimi.it) 1.Introduzione In questo paper ci proponiamo di presentare brevemente la nuova scala di prestigio italiana (SIDES05) e, soprattutto, di approfondire il tema del dissenso nella costruzione delle scale di stratificazione occupazionale, con particolare riferimento al ruolo delle differenze di genere, poiché questo è un aspetto che continua ad essere di fondamentale importanza nello studio delle disuguaglianze, e al ruolo delle differenze di età. Innanzitutto, è importante sottolineare che la costruzione di scale di stratificazione occupazionale si basa sull’ipotesi che vi sia un ampio consenso collettivo riguardo alla posizione sociale da assegnare ai vari mestieri (Inkeles e Rossi, 1956; Goldthorpe e Hope, 1974; de Lillo e Schizzerotto, 1985; Wegener, 1992). Il consenso nella valutazione da parte di membri di gruppi sociali diversi è spiegabile, secondo de Lillo e Schizzerotto (1985) presupponendo che essi non si rifacciano a ideali di giustizia sociale, ma valutino il grado di svantaggi e vantaggi, tanto sul piano materiale quanto su quello simbolico, che l’esercizio di una occupazione comporta. La distinzione tra ordinamento fattuale e normativo è supportata, nel lavoro di questi due autori (de Lillo e Schizzerotto, 1985), dall’attenzione rivolta ad un’ipotetica società migliore dell’attuale, dove non solo cambia la struttura della stratificazione sociale (più compatta rispetto a quella della società attuale), ma emergono rilevanti distinzioni in base all’appartenenza sociale dei rispondenti. Inoltre, altri autori hanno sottolineato l’importanza del riconoscimento sociale e dei valori e delle credenze condivise, indispensabili veicoli dell’attribuzione di status alle diverse occupazioni (Zhou, 2005). Invece, l’invariabilità spazio-temporale è stata empiricamente dimostrata da Treiman (1977). Proprio quest’ultima ricerca ha rappresentato per lungo tempo un freno alla riedizione di scale nazionali già esistenti. Tuttavia, nel caso italiano, già un’analisi che utilizza i dati della scala del 1985 (Schadee e Schizzerotto, 1987), mette in luce le differenze presenti a livello territoriale, tipicamente estremamente differenziato al suo interno, diversamente da quanto accade in altri Paesi. Le differenze territoriali, insieme alla presenza di nuove professioni e ai cambiamenti intervenuti nel mondo del lavoro negli ultimi 20 anni, hanno quindi giustificato la riedizione della scala di prestigio italiana. Per ciò che concerne, poi, nello specifico, il consenso e il ruolo delle differenze individuali nella valutazione, diversi autori mettono in luce che alcune caratteristiche individuali favoriscono il dissenso nelle valutazioni: lo status sociale (Guppy e Goyder, 1984; Wegener, 1992); il gruppo etnico (Xu e Leffler, 1992); l’età (Sawinski e Domanski, 1991). Altri aspetti degni di nota riguardano la posizione dei titoli occupazionali all’interno della scala: il dissenso è superiore tra le categorie che occupano una posizione centrale nella scala. In particolare, questo si verifica soprattutto per le occupazioni poco familiari (‘nuove’ occupazioni o professioni molto specializzate) (Davies, 1952). Inoltre, anche l’esperienza personale influisce sulla valutazione dei titoli occupazionali, poiché i rispondenti valutano più positivamente occupazioni con cui interagiscono personalmente (Stehr, 1974) e utilizzano stereotipi per valutare le occupazioni di cui non hanno conoscenza diretta (Thielbar and Feldman, 1969). Come si nota, alcuni autori hanno provato a intaccare la convinzione predominante che le scale di stratificazione occupazionale siano caratterizzate da un diffuso consenso da parte dei diversi gruppi sociali. In questo ambito, una particolare attenzione è stata dedicata al ruolo del genere, probabilmente anche in considerazione dei numerosi studi relativi alle differenze nel reddito e alla 1
segregazione occupazionale1. Tuttavia, nonostante la ben documentata presenza di queste forme di disuguaglianza, la distribuzione del prestigio occupazionale sembra essere sostanzialmente simile tra uomini e donne (Bose, 1973, England, 1979, Gomez Bueno, 1996). Questo risultato è spiegato da England (1979) sottolineando l’assenza o la scarsa presenza delle donne sia nelle posizioni più elevate, sia in quelle ai più bassi livelli di prestigio, mentre nelle restanti posizioni si collocano occupazioni con un grado di prestigio simile, ma fortemente segregate per genere. Infatti, secondo Jacobs (1993) il concetto di segregazione occupazionale riguarda una dimensione trasversale a quella del prestigio e del reddito, poiché concerne occupazioni collocate allo stesso livello, benché le occupazioni prevalentemente femminili abbiano meno autorità, autonomia e reddito rispetto a quelle maschili con un simile livello di prestigio. In effetti, le professioni tradizionalmente a prevalente presenza femminile tendevano, fino a qualche decennio fa, ad essere valutate meno positivamente rispetto a quelle prevalentemente maschili (Bose, 1973, Acker, 1980). Tuttavia, ricerche più recenti hanno confermato solo parzialmente tali risultati (Magnusson, 2005; Arosio e De Luca, 2008). Il più completo studio della relazione tra prestigio occupazionale e genere è quello svolto da Bose e Rossi (1983), in cui ai rispondenti (un campione di studenti e uno di famiglie) è stato chiesto di valutare 110 titoli occupazionali che potevano essere alternativamente neutri, declinati al maschile o al femminile. I principali risultati della ricerca mostrano che mentre i maschi tendono a valutare meno positivamente le occupazioni esplicitamente declinate al maschile rispetto a quelle neutre, le donne al contrario attribuiscono maggiore prestigio a quelle declinate al femminile. Tuttavia, gli autori ammettono che l’occupazione e l’educazione dei rispondenti spiegano la maggior parte della varianza e hanno un impatto maggiore rispetto al genere. Riguardo, invece, alle professioni ad elevata connotazione di genere, i dati evidenziano che il prestigio medio dei lavori ‘femminili’ è 12 punti più basso rispetto a quelli maschili; inoltre, il prestigio massimo raggiungibile nel contesto delle tradizionali occupazioni femminili è inferiore di 21 punti rispetto al prestigio massimo raggiungibile nell’ambito dei lavori prevalentemente maschili. Infine, un altro risultato di rilievo riguarda le occupazioni neutre, che il campione di studenti, usato in quella indagine, valuta sistematicamente meglio rispetto a quelle con connotazione di genere. Per spiegare questo risultato, gli autori ipotizzano che ciò sia dovuto alla ‘personificazione’ di un ruolo generico che, attribuendogli una nota di realtà, porta ad un degradamento del ruolo. Questa spiegazione contraddice però, almeno in parte, gli studi di Stehr (1974) sul ruolo dell’esperienza diretta precedentemente discussi. Senza dubbio, la ‘personificazione’ del ruolo induce l’intervistato a riflettere su lavoratori in carne ed ossa, facilitando il ricorso a conoscenze reali maturate nel corso della propria esperienza quotidiana (Gambardella, 2007). Tuttavia, è difficile ipotizzare a priori in quale modo la personificazione influenzi le valutazioni degli intervistati, poiché ciò dipende dal tipo di esperienze specifiche a cui fanno riferimento. Un altro importante lavoro che ha come obiettivo l’approfondimento delle differenze di genere è quello svolto da Powell e Jacobs (1984), in cui vengono sottoposti a valutazione 56 titoli occupazionali che, oltre a somigliare il più possibile alla distribuzione del prestigio occupazionale del NORC (1947)2, includono alcune occupazioni tipicamente femminili. Ciascuno di questi titoli occupazionali è stato sottoposto a valutazione in forma neutra, declinato al maschile e/o declinato al femminile3. In realtà, i principali risultati emersi confermano che l’educazione ed il reddito spiegano una quota molto rilevante della varianza, mentre il genere non conta che marginalmente. L’unica eccezione riguarda i casi in cui la declinazione di genere è atipica rispetto alla presenza dominante in uno specifico titolo occupazionale (tra gli esempi proposti, il pompiere donna e lo 1 Per una rassegna bibliografica di questi studi si vedano England (1979), Charles (1992) e Jacobs (1993). 2 Questa ricerca è stata la prima ad aver utilizzato un numero consistente di titoli occupazionali (90) e a permettere l’attribuzione di un punteggio di prestigio anche ad altre occupazioni simili a quelle testate. 3 Circa un terzo degli intervistati ha valutato le occupazioni neutre e maschili, un terzo quelle neutre e femminili e un altro terzo quelle maschili e femminili. 2
stenografo uomo). In questi casi, il genere contribuisce a spiegare una quota non trascurabile di varianza. Infatti, il prestigio attributo ad una professione è superiore quando il titolo occupazionale è declinato secondo il genere dominante (quindi, pompiere uomo e stenografa donna). Secondo gli autori, questa situazione può contribuire ad influenzare le scelte occupazionali, inibendo quelle rivolte verso occupazioni dove prevale il genere opposto4. Infine, gli autori suggeriscono l’utilizzo di due scale di prestigio separate per uomini e donne, in modo da tenere conto di questi effetti. Un contributo più recente sull’argomento è quello di Magnusson (2005) che si propone di testare la teoria della svalutazione (England, 1992), in cui si sostiene che i compiti tradizionalmente femminili sono sottovalutati proprio perché svolti generalmente da donne. A tal scopo, l’autrice utilizza i dati di un’indagine svedese condotta a livello nazionale nel 2000, analizzando le differenze esistenti nella valutazione sociale delle occupazioni in base al loro grado di ‘femminilizzazione’(calcolato sulla base della percentuale di donne presenti nelle occupazioni, utilizzata sia come variabile continua sia come variabile categoriale divisa in quattro gruppi5), e controllando per altri possibili fattori esplicativi (livello di istruzione e posizione lavorativa). Un’attenzione specifica è riservata alle professioni di cura e a quelle che implicano rapporti interpersonali6, in cui la componente femminile è prevalente. I risultati mostrano che, utilizzando il tasso di femminilizzazione come variabile continua, emerge una relazione indiretta con la desiderabilità sociale delle occupazioni. Tuttavia, sostituendo alla variabile continua quella categoriale, appare evidente che le occupazioni più desiderabili sono quelle miste, mentre sia quelle prevalentemente femminili che quelle tipicamente maschili sono valutate piuttosto negativamente, più di quelle tipicamente femminili. Inoltre, le professioni di cura non sono valutate più negativamente, mentre lo sono le altre professioni che implicano rapporti interpersonali. Quindi, sostiene Magnusson, la teoria della svalutazione è supportata dai dati empirici solo parzialmente. Infine, ancora più recente è la ricerca coordinata da Gambardella (2007) che ha analizzato le differenze di genere nel contesto napoletano. A tal fine, sono state selezionate 140 occupazioni che i ricercatori hanno ritenuto essere sensibili alla dimensione di genere. Tali professioni sono successivamente state declinate al femminile e al maschile e sottoposte alla valutazione di 420 intervistati. Metà di questi hanno ordinato 20 occupazioni declinate al maschile, l’altra metà, invece, 20 occupazioni declinate al femminile. Ogni occupazione ha ricevuto lo stesso numero di valutazioni. Utilizzando test sia parametrici sia non parametrici, sono state individuate 30 occupazioni sensibili al genere, pari al 21% del totale. Pur ammettendo che “il numero delle differenze di valutazione registrate nelle occupazioni non è eccessivo” (Gambardella, 2007, pag.21), rimane la convinzione che il genere dovrebbe comunque essere incluso nella costruzione delle scale di stratificazione occupazionale. Osservando più nel dettaglio l’analisi svolta, notiamo che anche in questa ricerca le professioni tipicamente femminili o maschili rivestono un’importanza non trascurabile. Infatti, le donne sono valutate meglio se svolgono professioni legate a immagini di bellezza (la profumiera, l’interprete, il critico televisivo donna) o ad attività di cura degli altri (l’assistente sociale, la fisioterapista, la psicologa) o ad abilità relazionali e comunicative (l’addetta stampa). Inoltre, gli uomini sono valutati meglio quando svolgono occupazioni tipicamente maschili (il vigile del fuoco, il giornalista sportivo, l’istruttore di scuola guida) o in posizioni dirigenziali (il direttore di filiale commerciale, il presidente di associazione imprenditoriale, il gestore di agenzia viaggi). Tuttavia, anche in questa ricerca, non mancano le eccezioni. Ad esempio, nella politica le donne risultano preferite agli uomini, benché la loro presenza in questo ambito sia minoritaria. Nella stessa direzione vanno le valutazioni relative all’operaia siderurgica, alla barista e alla 4 Analisi più recenti del mercato del lavoro italiano indicano che le scelte occupazionali delle giovani donne si orientano sempre più spesso anche verso settori a prevalente presenza maschile (Reyneri, 2002). 5 I quattro gruppi sono: da 0 a 29% di donne in una data occupazione= tipicamente maschile; da 30 a 49=mista; da 50 a 84= prevalentemente femminile; da 85 a 100= tipicamente femminile. 6 Questa categoria di professioni include gli insegnanti, gli avvocati, gli artisti, i poliziotti, i lavoratori nei servizi alla persona e nella ristorazione, gli addetti alle pulizie e alla nettezza urbana. 3
conducente di taxi. Questi risultati, secondo gli autori (Aragona, Caputo, 2007) rispecchiano l’intenzione degli intervistati di premiare le donne che sono riuscite ad affermarsi in settori tradizionalmente maschili. Infine, vi sono anche casi in cui gli uomini che svolgono occupazioni tipicamente femminili sono stati valutati più positivamente rispetto alle donne (il segretario d’azienda e l’operaio tessile). Relativamente alle occupazioni miste, invece, di particolare rilevanza appaiono quelle in ambito commerciale (fruttivendolo, parrucchiere, cassiere di negozio) che vengono valutate meglio dagli intervistati quando sono svolte da un uomo. Anche in questo caso, dunque, non emergono indicazioni chiare e univoche, anche se le interpretazioni fornite dagli autori per spiegare i diversi risultati appaiono, nella maggior parte dei casi, convincenti. Infine, è importante sottolineare che non sono emerse differenze significative attribuibili al genere degli intervistati. Questa ricerca appare di interesse specifico per il nostro lavoro non solo perché ne condivide nel complesso l’impianto teorico, ma anche perché, nello specifico, diverse professioni declinate per genere sono state utilizzate anche nella ricerca nazionale di cui questo lavoro è parte integrante7. Nel complesso, dalle ricerche sopra citate emerge l’esistenza di effetti legati alle differenze di genere, ma questi sono prevalentemente circoscritti all’ambito della segregazione occupazionale e non mancano aspetti contraddittori. Inoltre, è interessante notare che nello studio di tali differenze non è stata ancora raggiunta una metodologia comune. In alcuni casi, si fa riferimento alla percentuale di donne presenti nelle diverse occupazioni. In altri, invece, gli intervistati sono chiamati a valutare titoli occupazionali declinati al maschile o al femminile, da soli oppure accostati a titoli occupazionali ‘neutri’ o, ancora, confrontati tra loro. Inoltre, l’attenzione è rivolta, alternativamente o congiuntamente, sia al genere degli intervistati che a quello in cui vengono declinati titoli occupazionali sottoposti a valutazione. Insomma, a fronte di questa elevata variabilità nei metodi di ricerca utilizzati, sembra quasi che ci si debba sorprendere del fatto che emergano tendenze comuni nei risultati. Nel prossimo paragrafo verrà brevemente presentata la ricerca che ha condotto alla costruzione della nuova scala di desiderabilità sociale, mentre i paragrafi successivi saranno dedicati all’approfondimento delle differenze di genere. 2. La scala SIDES058 La ricerca “La valutazione sociale delle occupazioni in Italia e nei contesti territoriali locali” (Cofin 2003/2005), a cui fa riferimento il presente articolo, è stata condotta con l’intento di aggiornare la precedente scala di stratificazione utilizzata in Italia (de Lillo, Schizzerotto, 1985) con l’intento di testare l’ipotesi dell’invarianza dell’ordinamento delle occupazioni sia rispetto alle caratteristiche degli intervistati, sia rispetto al tempo. La ricerca ha seguito il più possibile i passi della rilevazione del 1985, in modo da assicurare piena comparabilità tra i due strumenti. Rispetto alla ricerca del 1985 è cambiata la numerosità del campione di intervistati e quella del campione di occupazioni valutate. Nel 1985 gli intervistati erano 792, mentre le occupazioni valutate erano 590, distribuite in 88 categorie; ogni intervistato giudicava 20 occupazioni, in modo che ogni categoria ricevesse 180 valutazioni. Nella presente ricerca i soggetti intervistati sono 2000, le occupazioni valutate 676 e ciascuna di esse è stata valutata 60 volte. Inoltre, tutti gli intervistati hanno valutato 10 occupazioni yardstick, scelte tra le occupazioni più conosciute e diffuse, e individuate in modo tale che fossero distribuite lungo tutta la gerarchia occupazionale, dai livelli più elevati fino a quello valutati meno. Le occupazioni yardstick hanno fornito all’intervistato uno stabile gruppo di occupazioni di riferimento e, al ricercatore, la 7 L’équipe dell’Università di Napoli Federico II che ha condotto questo studio faceva parte dello stesso progetto PRIN presentato in queste pagine. 8 Il presente paragrafo è liberamente tratto dall’articolo di Meraviglia e Accornero (2007). 4
possibilità di controllare se l’ordinamento degli intervistati fosse più o meno influenzato da idiosincrasie individuali, piuttosto che dalla desiderabilità sociale, come esplicitamente richiesto nel questionario. Quest’ultimo è composto da due parti: la prima è relativa alla rilevazione dei giudizi di desiderabilità, la seconda è relativa alle variabili socio-anagrafiche di base, con particolare attenzione alla rilevazione dell’intervistata/o e dei familiari più stretti. Intento dell’équipe di ricerca è stato infatti di predisporre una vera e propria rilevazione di mobilità sociale. Le ragione di questa scelta sono due: la prima consiste nella necessità di disporre di informazioni relative al grado di conoscenza, da parte dell’intervistato, del mondo del lavoro; la seconda, nella volontà di mettere a disposizione degli studiosi italiani e stranieri una nuova indagine di mobilità. La nuova scala SIDES05 è presentata estesamente nell’appendice A. 3. Le differenze di genere nel campione e nello yardstick Prima di trattare i principali risultati relativi alle differenze di genere, ci sembra opportuno inquadrare meglio il nostro campione. In primo luogo, le donne rappresentano il 39% del campione, la loro età è mediamente inferiore a quella degli uomini (circa 42 anni contro i 44 dei maschi) ed il loro livello di istruzione più elevato, poiché le laureate, le diplomate e coloro che hanno un diploma di qualifica professionale rappresentano il 66% della componente femminile mentre, tra gli uomini, la percentuale scende al 56%9. Considerando che il nostro campione è composto quasi esclusivamente da occupati (l’89% del campione), è possibile affermare che queste differenze riflettono le caratteristiche della partecipazione femminile al mercato del lavoro10, ovvero un tasso di partecipazione più elevato tra le donne più giovani e, soprattutto, più istruite. Infatti, le donne che hanno investito maggiormente nella loro formazione sono quelle che mostrano un maggiore attaccamento al lavoro e che, più frequentemente, continuano a lavorare anche dopo la nascita dei figli. Non emergono, invece, rilevanti differenze in base alla ripartizione geografica, nonostante il tasso di attività femminile al nord sia più elevato rispetto al sud. Per quando riguarda, invece, la carriera professionale degli intervistati, pur non essendo ancora disponibili informazioni dettagliate riguardo al lavoro svolto11, è possibile affermare che gli uomini possono contare più frequentemente (59% dei casi contro 51% delle donne) su un contratto a tempo indeterminato, mentre le donne, oltre a lavorare più spesso a tempo determinato, sono più numerose anche tra coloro che lavorano senza contratto. Inoltre, tra gli uomini sono più numerosi gli imprenditori, gli artigiani, i liberi professionisti. Nel complesso, appartengono a queste categorie circa il 20% degli uomini contro il 13% delle donne e, in particolare, gli imprenditori uomini sono il doppio delle donne (4,5% contro 2%). Riguardo ai settori di impiego, le donne lavorano più frequentemente degli uomini nell’industria tessile e dell’abbigliamento, nel commercio al dettaglio, nell’istruzione, nei servizi socio-sanitari, nei servizi domestici e in altri servizi al consumatore finale12, mentre gli uomini nell’industria 9 Va ricordato che il campione è stato costruito in modo da essere rappresentativo della popolazione italiana che al momento dell’intervista risultava occupata o aveva smesso di lavorare da non più di 5 anni.. 10 La crescente partecipazione femminile al mercato del lavoro è confermata sia dalle periodiche indagini dell’ISTAT sia dai dati di confronto con gli altri paesi europei forniti dall’OECD. 11 Questi dati sono ancora in fase di elaborazione. 12 Questa categoria (codice ATECO 93) include servizi di lavanderia, parrucchieri e trattamenti di bellezza, centri benessere, pompe funebri ed altri servizi alle famiglie. 5
metalmeccanica e nelle costruzioni, nei trasporti, nell’intermediazione finanziaria e nell’informatica. Infine, è importante sottolineare che il 35% delle donne lavora nel settore pubblico, mentre tra gli uomini la percentuale scende al 26% ma, soprattutto che le donne che lavorano part-time sono il 26% contro il 6% degli uomini. Quest’ultimo dato appare quello più rilevante, che conferma quanto il tempo parziale sia collegato, seppure in diversi ambiti e per varie ragioni, alle specificità che contraddistinguono la partecipazione femminile al mercato del lavoro (Reyneri, 2002). Il quadro generale appena delineato fornisce un’utile base di partenza per interpretare i risultati della ricerca. Infatti, come già anticipato, è importante tener presente che le valutazioni dei rispondenti sono influenzate dalla loro esperienza diretta (Stehr, 1974), che li può portare a valutare di più le professioni che conoscono meglio o che svolgono in prima persona. Inoltre, i dati relativi agli intervistati riflettono nel complesso abbastanza fedelmente le differenze esistenti in Italia non solo nelle modalità lavorative, ma anche nella presenza di una specializzazione di genere dei diversi settori occupazionali. Anche questo aspetto non è in contrasto, bensì complementare con l’effetto dell’esperienza diretta, poiché la forte segregazione occupazionale favorisce l’esperienza diretta proprio delle professioni dove più elevata è la presenza di persone del proprio sesso. La specializzazione, dunque, potrebbe rivelarsi di notevole importanza nell’ambito del presente lavoro dal momento che, conoscendo direttamente le occupazioni ad elevata presenza femminile, le donne potrebbero valutarle meglio rispetto agli uomini e, viceversa, nel caso delle professioni a larga maggioranza maschili. Questa ipotesi appare plausibile sin dalle prime valutazioni relative allo yardstick (tabella 1). Lo yardstick rappresenta un utile punto di partenza per costruire una scala di stratificazione occupazionale. E’ importante che i rispondenti valutino le occupazioni incluse nello yardstick più o meno allo stesso modo e che l’ordinamento sia nel complesso abbastanza simile per tutti gli intervistati, senza essere sistematicamente influenzato da caratteristiche socio-individuali. In questo caso, ci interessa naturalmente testare l’eventuale presenza di differenze di genere nelle valutazioni attribuite alle occupazioni che compongono lo yardstick13. Tabella 1 – Valutazione delle professioni dello yardstick in base al genere (Punteggio medio su una scala da 0 a 100, deviazione standard e livello di significatività del test F) Maschi Femmine Totale Sig. Magistrato 92,1 (17,5) 94,2 (15,1) 92,9 p
La professione in cui le differenze di genere nelle valutazioni sono più evidenti è quella dell’imprenditore. Nonostante siano state proposte numerose iniziative volte a favorire la crescita dell’imprenditorialità femminile in ambito regionale, nazionale ed europeo, le donne che iniziano un’attività in proprio sono circa un quarto del totale, mentre i due terzi delle nuove imprese hanno un titolare di sesso maschile14. Considerando peraltro che talvolta, benché il titolare (o uno dei titolari) sia di sesso femminile, di fatto l’impresa è gestita da altri soggetti (partner o figli) generalmente maschi (Formaper, 2003; Camera di Commercio di Ascoli Piceno, 2005; Picca, 2007), si intuisce come la figura dell’imprenditore sia prevalentemente maschile (e, si suppone, ancor di più in caso di imprese con 30 e più dipendenti). Questa prevalenza, dunque, potrebbe spiegare la più elevata valutazione attribuita dai rispondenti maschi a questa professione. Lo stesso tipo di spiegazione potrebbe contribuire a spiegare pure le differenze riscontrate nella valutazione dell’elettrauto. Infine, la prevalenza di una tipizzazione al maschile vale anche nel caso del metalmeccanico, pur essendo un’occupazione alle dipendenze. Un altro caso di rilievo riguarda l’insegnante che, viceversa, è valutata meglio dalle donne. Questo è l’unico caso in cui c’è un’inversione nell’ordinamento dello yardstick, poiché mentre le donne antepongono l’insegnante al direttore di supermercato, per gli uomini accade il contrario. L’inversione nell’ordinamento di questi titoli occupazionali è favorita anche dal fatto che, nel complesso, le due professioni ottengono valutazioni molto simili. Anche riguardo all’insegnante, la segregazione occupazionale sembra svolgere un ruolo importante visto che la maggior parte degli insegnanti sono donne. Peraltro, mentre ai livelli più bassi di insegnamento la componente femminile è prevalente sin dagli anni Cinquanta, nelle scuole superiori le donne diventano prevalenti nel corpo docente in anni più recenti, come emerge dal censimento del 1981 (Chiesi, 1997). Infine, le donne valutano meglio il magistrato, occupazione in passato fortemente segregata al maschile in cui, però, negli ultimi anni la quota di donne sta ormai raggiungendo quella degli uomini15. Queste prime analisi forniscono già alcune indicazioni importanti: la diffusione del consenso e, di conseguenza, la presenza relativamente marginale di dissenso dovuto alle differenze di genere; la parziale e non costante rilevanza della segregazione occupazionale nelle valutazioni dei rispondenti, già peraltro emersa nelle principali ricerche su questo tema citate in precedenza. Tali risultati verranno ulteriormente testati nel resto dell’articolo. In primo luogo, vedremo se l’ampio consenso è limitato allo yardstick in ragione della sua elevata stabilità o se, invece, permane anche nella scala occupazionale completa. In secondo luogo, approfondiremo l’effettiva rilevanza della segregazione e della tipicità (o atipicità) di genere nella valutazione della desiderabilità sociale delle occupazioni. 4.Le differenze di genere nella scala Nel passaggio dallo yardstick alla scala occupazionale completa, è importante considerare che l’unità di analisi non sono più 10 occupazioni relativamente comuni e conosciute da tutti gli intervistati, bensì 110 categorie, ciascuna composta da un numero variabile di occupazioni (da 2 a 11) che talvolta i rispondenti conoscono poco e di cui possono anche non avere esperienza diretta. Questa premessa è indispensabile per affrontare adeguatamente l’analisi delle differenze di genere, condotta combinando due punti di vista: quello dell’analisi della varianza delle singole categorie e quello del confronto tra due scale occupazionali, maschile e femminile, ottenute ordinando il punteggio medio che i rispondenti, divisi per genere, hanno attribuito alle diverse categorie. Il 14 Fonte: dati Unioncamere 2004 – Osservatorio sull’imprenditoria femminile: “Imprese femminili alla conquista di nuovi spazi” http://www.unioncamere.it/Unioncamere_gestione/allegati/com_imp_fem_2004.pdf 15 Fonte: Associazione Magistratura Indipendente, si veda anche Di Federico e Negrini (1989) 7
secondo metodo mira non a sostituire ma ad integrare il primo che, altrimenti, rischierebbe di fornire informazioni parziali e poco coerenti. Osservando le prime indicazioni fornite dal confronto tra l’ordinamento dei maschi e quello delle femmine rispetto alla scala di stratificazione complessiva (figura 1), si notano delle divergenze che, tuttavia, in pochi casi appaiono realmente rilevanti, soprattutto per ciò che concerne l’ordinamento maschile. Relativamente a quest’ultimo, infatti, nel 31% dei casi viene attribuita alle categorie occupazionali la stessa posizione della scala complessiva, il 63% delle categorie si discostano al massimo di 4 posizioni e solo nel 6% dei casi la differenza è maggiore. Invece, osservando l’ordinamento ottenuto dalle valutazioni delle donne intervistate, si notano scostamenti più ampi. Infatti, benché il 27% delle categorie continuino a conservare la stessa posizione, quelle che si collocano ad oltre 4 posizioni di distanza sono il 19%, ovvero una su cinque. La maggior parte delle categorie della scala sono dunque oggetto di ampio consenso da parte dei soggetti chiamati a valutare i titoli occupazionali. Nel complesso, pertanto, il genere non sembra rappresentare un fattore discriminante tale da richiedere la costruzione di due scale separate per maschi e femmine, almeno per ciò che concerne le categorie qui utilizzate, che contengono titoli occupazionali neutri e non declinati per genere. Figura 1 – Differenze nell’ordinamento delle categorie della scala rispetto a quello complessivo in base al genere degli intervistati 120 100 80 60 40 20 0 1 6 11 16 21 26 31 36 41 46 51 56 61 66 71 76 81 86 91 96 101 106 Femmine Maschi Tuttavia, è importante sottolineare che, mentre le posizioni estreme mostrano un’elevata stabilità, le differenze maggiori si concentrano nelle posizioni centrali dell’ordinamento. In effetti, vi è una maggiore probabilità che gli intervistati si trovino d’accordo nel valutare i vantaggi e gli svantaggi connessi alle occupazioni delle categorie superiori e inferiori e che il riconoscimento sociale di tali posizioni sia più frequentemente legittimato e socialmente condiviso. Al contrario, le occupazioni collocate nella parte centrale della scala sono contraddistinte da combinazioni differenti di risorse 8
economiche, credenziali educative, autorità, autonomia, potere, stabilità lavorativa e sono quindi più suscettibili ad un’elevata variabilità di giudizio. Ciò risulta ancor più comprensibile se si tiene conto che, nell’ordinamento dei diversi titoli occupazionali, le donne hanno dato maggiore importanza a criteri come le credenziali educative e la stabilità del posto di lavoro, mentre gli uomini hanno attribuito un peso più rilevante al rischio imprenditoriale16. I primi due criteri influiscono sulla valutazione delle occupazioni impiegatizie sia nel settore pubblico che in quello privato, mentre il rischio imprenditoriale conta soprattutto per i lavoratori autonomi e i piccoli imprenditori. Come vedremo tra poco nel dettaglio, quelle appena citate sono tra le categorie occupazionali in cui si osservano le maggiori differenze di genere nelle valutazioni. Peraltro, le professioni che occupano la parte centrale della scala appartengono per lo più alla classe media impiegatizia e alla piccola borghesia urbana17 che, oltre ai lavoratori manuali, costituiscono le classi con la quota più elevata di occupati (Schizzerotto, 2002). Quindi, se anche numericamente non sono molte le categorie in cui emergono significative differenze in base al genere degli intervistati, è importante ricordare che tali categorie possono in realtà riguardare una percentuale non trascurabile di lavoratori. Alla luce di quanto appena affermato, vale la pena approfondire le differenze emerse. Focalizzando quindi l’attenzione sulle categorie che presentano nell’ordinamento differenze pari o superiori a 5 posizioni, si nota appunto che queste riguardano esclusivamente categorie collocate nella parte centrale della scala. Inoltre, le categorie con gli scostamenti più ampi sono, nella maggior parte dei casi, costituite da professioni a forte segregazione occupazionale (tab.2). In primo luogo, le professioni di cura e di servizi alle persone vengono generalmente valutate meglio dalle donne piuttosto che dagli uomini e questo tipo di professioni sono, insieme a quelle svolte nell’ambito dell’istruzione, le occupazioni dove tradizionalmente le donne hanno trovato più frequentemente impiego. In secondo luogo, le donne sembrano valutare meglio professioni nel settore pubblico a cui si accede tramite concorsi a cui le donne sono sempre più spesso in grado, non solo di prendere parte, ma anche di vincere perché più preparate e diligenti dei colleghi maschi (Reyneri, 2002). Inoltre, altri ambiti che le donne ritengono socialmente più desiderabili rispetto agli uomini sono le scienze umane e le professioni mediche, settori in cui la presenza femminile, quando non già numericamente rilevante da alcuni decenni, risulta comunque in crescita (Chiesi, 1997). Per ciò che concerne, invece, le professioni valutate meglio dagli uomini rispetto alle donne, prevalgono senza dubbio gli imprenditori ed i lavoratori autonomi con dipendenti, operanti in diversi settori ma, in particolare, in settori tipicamente maschili come quello dei trasporti e della logistica ed il termo-idraulico. Anche i politici sembrano essere valutati meglio dagli uomini, che sono dominanti pure in questa categoria, benché le differenze non risultino mai statisticamente significative, forse anche a causa dell’elevata variabilità riscontrabile nelle valutazioni espresse, probabilmente in parte influenzate dal diverso atteggiamento dei rispondenti nei confronti della politica e degli uomini politici. Per quanto l’analisi delle differenze di genere nella scala di stratificazione occupazionale abbia fornito interessanti indicazioni, in particolare portando alcune conferme a supporto della centralità esplicativa che la segregazione occupazionale sembra avere in questo ambito, il quadro emerso non è affatto univoco. Alcune categorie presentano rilevanti differenze nel posizionamento o nella varianza delle valutazioni medie, mentre altre, contenenti professioni dello stesso tipo, non sono caratterizzate da una situazione simile (è il caso, ad esempio, degli insegnanti, ma anche dei piccoli imprenditori). Oppure, in altri casi, non è chiaro se le differenze siano imputabili al settore di attività o alla posizione occupazionale: è il caso delle attività logistiche, che presentano differenze 16 Per l’analisi dei criteri, si veda l’articolo di Arosio e De Luca in questo numero. 17 Secondo lo schema proposto da Goldthorpe e Erikson (1992) 9
tra i lavoratori autonomi e, in parte, tra gli imprenditori con 15-49 dipendenti, ma pure tra i dirigenti e, invece, non vengono rilevate significative distinzioni tra gli imprenditori con 4-14 dipendenti. Tabella 2 – Valutazioni medie di maschi e femmine relative alle categorie occupazionali con uno scarto nell’ordinamento pari o superiore a 5 posizioni18 Scarto tra Categoria occupazionale Maschi Femmine posizioni19 Lav. autonomi (senza dip.) dei servizi spec. di cura alle persone* 53,0 63,6 -24 Impiegati intermedi del settore pubblico: ambito tecnico-scientifico* 56,9 63,3 -15 Professionisti alle dipendenze del pubblico: amm. ordinaria e N.A.C. 62,9 65,5 -11 Lav. autonomi (senza dip.) dei servizi alle persone* 32,9 39,7 -11 Insegnanti di sostegno* 49,7 55,9 -10 Liberi professionisti in scienze umane* 70,4 77,8 -10 Militari: ufficiali inferiori 56,3 59,8 -9 Professionisti alle dipendenze del privato: ambito tecnico-scientifico 65,8 66,3 -8 Insegnanti delle scuole secondarie inferiori 59,5 62,3 -8 Impiegati di routine del settore privato senza qualifica 25,8 29,3 -8 Militari e assimilati: sottufficiali 53,8 58,1 -8 Lav. non manuali della P.A. e della sanità, senza qualifica 28,1 29,8 -7 Professionisti alle dipendenze del pubblico: ambito medico e ingegneristico e ricercatori* 71,6 75, 6 -6 Personale subordinato militare 37,7 41,0 -6 Liberi professionisti arti e spettacolo con funzioni di direzione 64,9 64,7 -6 Liberi professionisti in attività economiche e amministrative 66,9 67,7 -5 Lav. autonomi (1-3 dip.) dei servizi di cura alle persone 59,3 60,9 -5 Impiegati intermedi del privato: caporeparti primario e secondario 58,1 56,4 5 Piccoli imprenditori (4-14 dip.) del commercio, turismo e servizi n.a.c. 60,5 58,8 6 Lav.autonomi (senza dip.) dei trasporti e logistica* 29,5 24,9 6 Lav. autonomi (1-3 dip.) del tecnologico, termoidraulico e affini 56,8 55,3 6 Dirigenti del settore privato dei trasporti 77,6 74,6 7 Piccoli imprenditori (4-14 dip.) industriale e manifatturiero* 69,1 64,5 8 Politici (regionali e provinciali) e sindaci di comuni piccoli e medi 75,7 72,8 9 Medi imprenditori (15-49 dip.) dei trasporti e della logistica 66, 5 61,3 9 Lavoratori autonomi (senza dip.) termo-idraulici e affini 52,1 46,0 9 Politici di piccoli comuni (esclusi i sindaci) 65,8 59,9 10 Sacerdoti e ministri del culto 42,6 36,7 10 Lavoratori autonomi (1-3 dip.) del settore primario* 35,2 26,9 12 Lavoratori autonomi (1-3 dip.) del turismo 63,5 57,6 13 Dirigenti del settore privato della logistica* 66,7 58, 2 18 Piccoli imprenditori (4-14 dip.) in lavorazioni a carattere artigianale* 60,5 52,4 21 18 Le categorie contrassegnate da asterisco presentano una differenza tra medie in base al genere degli intervistati statisticamente significativa utilizzando il test F (p
Le incoerenze appena evidenziate potrebbero risolversi aggregando le categorie occupazionali e procedendo ad un livello ulteriore di analisi20 (tab.3). Tab. 3 – Controllo delle ipotesi relative al genere degli intervistati rispetto al modello base con solo le categorie occupazionali (R² .509, R² corretto .507) Media Ipotesi F Sig. quadrati Genere * lavori di cura21 4595.430 11.473 .001 Genere *lavori di cura22 7049.923 17.605 .000 23 Genere *insegnanti 1420.685 3.546 .060 Genere *militari 917.927 2.291 .130 Genere *autonomi termoidraulici24 1100.309 2.746 .098 25 Genere *imprenditori trasporti logistica 2020.134 5.042 .025 Genere *politici 89.887 .224 .636 Genere *politici locali 2056.881 5.134 .023 26 Genere *autonomi primario 2476.718 6.182 .013 Come si può notare, rimangono forti e significative le differenze nell’ambito dei lavori di cura e in alcune professioni autonome tipicamente maschili. Nel complesso, però, continuiamo a domandarci quanto è significativo il ruolo della segregazione occupazionale. Grazie all’ausilio dei dati ISTAT, abbiamo cercato di fornire alcune indicazioni per rispondere a questa domanda. Tab. 4 – Modello di regressione lineare per indagare l’influenza del tasso di femminilizzazione sul prestigio occupazionale Modello Parametri β St. Error β st. Sig. Genere -3,30 0,35 -0,01 0,334 Età 0,00 0,02 0,00 0.911 Area geografica (nord/centro, sud e isole) -0.53 0,37 -0,01 0.152 Titolo di studio (obbligo/Oltre obbligo) 1,47 0,36 0,03 0.000 Tasso di femminilizzazione -0.21 0,01 -0.15 0,000 Classe: CMI -0,16 0,67 -0,00 0.816 Classe: PBU 0,04 0,66 0,00 0.950 Classe: PBA -0.58 0,67 0,01 0.387 Classe: COU -0.26 0,50 -0,01 0.602 Classe: COA 0.04 0,93 0,00 0.970 Anche se il dato deve essere considerato con cautela a causa di alcune carenze nei dati ISTAT e della non perfetta corrispondenza tra le categorie ISTAT e le nostre, emerge comunque una discreta influenza del tasso di femminilizzazione sulle valutazioni del prestigio occupazionale. Più che il 20 E’ stata utilizzata la tecnica di analisi Unianova, e successivamente effettuato un ulteriore controllo con l’analisi multilivello. 21 Categorie 602, 605 e 702 (autonomi servizi di cura alla persone e servizi alla persona, 0-3 dipendenti) 22 Categorie 602 e 605, senza dipendenti 23 Categorie da 1101 a 1104 (escluso quindi insegnanti di pratiche sportive e tecnico-manuali) 24 Categorie 616 e 703 (0-3 dipendenti) 25 Categorie 203, 303, 610, 704 (da 0 a 49 dipendenti) 26 Categorie 609 e 711 (da 0 a 3 dipendenti). 11
genere in sé, dunque, è la segregazione occupazionale che influisce sul prestigio delle occupazioni, confermando così le indicazioni emerse nelle analisi precedentemente svolte. Nel prossimo paragrafo vedremo se questa tendenza si manifesterà anche nelle valutazioni relative ai titoli occupazionali declinati per genere. 5. I titoli occupazionali declinati per genere Al fine di approfondire ulteriormente le differenze di genere nella valutazione della desiderabilità sociale delle occupazioni, alcuni titoli occupazionali sono stati declinati per genere e inclusi, in modo casuale, tra i venti titoli occupazionali che gli intervistati hanno ordinato dopo lo yardstick. Figura 2 – Punteggio medio di titoli occupazionali declinati al maschile e al femminile 100 80 60 40 20 0 Ass.sociale coordinatore/rice Portinaio/a abitazione Direttore/rice grande industria Impiegato segreteria Segretario studio med. Direttore/rice giornale Infermiere/a caposala Insegnante di sostegno Addetto/a stampa Giudice di pace Assessore comunale Tecnico informatico Assistente sociale Psicologo/a Presentatore/rice Avv.penalista Tit. profumeria Fioraio/a Ing. Civile Fotografo/a Baby sitter Notaio Regista Maestro/a Barista Chef Al maschile Al femminile Per la precisione, sono 26 le professioni declinate per genere, per un totale di 52 titoli occupazionali. Il 14% degli intervistati ha ordinato un titolo occupazionale declinato al maschile o al femminile, mentre solo l’1% dei rispondenti ne ha ordinati due, ma non relativi alla stessa attività lavorativa27. In generale, le valutazioni medie di queste professioni non presentano rilevanti scostamenti in base alla differente declinazione di genere (figura 2). In particolare, la maggior parte delle professioni 27 Il metodo utilizzato è dunque differente sia da quello riportato in Bose e Rossi (1983) sia da quello proposto da Powell e Jacobs (1984) sia da quello utilizzato da Gambardella (2006). 12
collocate ai livelli estremi della scala occupazionale ottengono delle valutazioni molto simili in entrambi i generi, mentre nelle posizioni centrali si osservano di nuovo maggiori scostamenti che, però, non sono in nessun caso statisticamente significativi. Tuttavia, la somiglianza dei titoli occupazionali selezionati nella nostra ricerca con quelli utilizzati in Gambardella (2007), ci permette di effettuare un breve confronto dei risultati ottenuti. In primo luogo, l’unica professione legata alla politica qui considerata è solo lievemente preferita dagli intervistati quando è svolta da una donna, mentre non viene confermata nemmeno l’ipotesi che le professioni di cura siano valutate meglio se al femminile. Infatti, benché ciò si dimostri vero per la psicologa (di fatto l’unica professione che viene valutata molto meglio quando è declinata al femminile), non lo è altrettanto per l’assistente sociale, l’assistente sociale coordinatrice e l’infermiera caposala. Infine, anche le abilità relazionali non sembrano portare a valutazioni migliori delle professioni al femminile (è il caso dell’addetta stampa). Una parziale conferma (seppur con una differenza minima) è invece quella della barista, valutata meglio del suo collega maschio anche nella nostra ricerca. Per quanto riguarda, invece, le preferenze espresse nei confronti delle professioni declinate al maschile, anche i nostri dati confermano le differenze relative ai ruoli dirigenziali (direttore di stabilimento industriale di grandi dimensioni, direttore di giornale) e quelle delle occupazioni inerenti ad esercizi commerciali (nel nostro caso, titolare di profumeria e fioraio). Anche se nella realtà queste attività non sono sempre definibili come prevalentemente maschili, è possibile pensare che possano essere percepite ancora come tali dagli intervistati, benché le donne che gestiscono esercizi commerciali al dettaglio rappresentino ormai circa il 40% del totale28. E’ inoltre interessante notare che, come già segnalato da Bose e Rossi (1983), le poche occupazioni neutre presenti corrispondenti a quelle declinate per genere ottengono sempre una valutazione più elevata rispetto a queste ultime. Considerando che gli item sono stati valutati da persone diverse, è possibile avvalorare l’ipotesi proposta dai due autori, ovvero che la specificazione del genere, contribuendo a ‘personificare’ il titolo occupazionale, lo avvicini maggiormente alla realtà, esponendolo pertanto ad idiosincrasie individuali e provocando così il degradamento di queste figure professionali. Tab.5 – Valutazione delle professioni dello yardstick in base al genere (Punteggio medio, deviazione standard e livello di significatività del test F) Maschi Femmine Totale Sig. Assessore comunale uomo 75,0 (17,4) 61,0 (13,2) 69,4 p
Per ciò che concerne, invece, le differenze nelle valutazioni in base al genere29 degli intervistati, sono pochi i casi in cui emergono delle differenze rilevanti (tabella 5). Delle 26 coppie di titoli occupazionali declinati per genere, solo sette presentano differenze degne di nota in base al genere degli intervistati che, tuttavia, rivelano sorprese non prive di interesse. In primo luogo, la professione legata alla politica è preferita dagli intervistati quando è declinata in accordo con il proprio genere di appartenenza; lo stesso vale per il notaio30. Entrambe queste professioni sono tradizionalmente maschili e di status elevato ed è per questo motivo, probabilmente, che le donne tendono a premiare quelle, tra loro, che sono riuscite ad accedervi. Il contrario accade, invece, per l’avvocato penalista che, comunque, pur collocandosi parimenti nella parte superiore della scala, è forse percepito come di più facile accesso rispetto alle due professioni sopra discusse. Controversa appare anche la desiderabilità di due professioni tipicamente femminili: la maestra e l’assistente sociale donna. La prima è valutata meglio dalle intervistate, la seconda è valutata peggio. Questo risultato può forse essere spiegato proprio tenendo conto della maggiore conoscenza che le donne hanno di queste professioni e delle loro condizioni lavorative: benché entrambi offrano la sicurezza del posto e un reddito adeguato, l’assistente sociale si trova più frequentemente ad affrontare situazioni di disagio e di stress lavorativo31. Infine, relativamente alle due professioni nel commercio e nei pubblici esercizi, le femmine ritengono il titolare di profumeria uomo molto più desiderabile rispetto ai maschi e ciò può essere dovuto sia all’esistenza di stereotipi tendenti a connotare questa professione come tipicamente femminile e a cui i maschi potrebbero essere più sensibili. Invece, nel caso della barista, le donne sembrano ancora una volta premiare quelle di loro che hanno deciso di intraprendere una professione tradizionalmente maschile. L’ultimo aspetto che vale la pena sottolineare è che sono quasi sempre le intervistate a distinguere e a reagire diversamente di fronte ai titoli occupazionali declinati per genere, segno forse di una maggiore consapevolezza delle difficoltà che le donne devono affrontare nel contesto lavorativo per ottenere gli stessi vantaggi e le stesse condizioni accordate ai colleghi uomini. Il fatto che le donne incontrino maggiori difficoltà nel mercato del lavoro rispetto ai colleghi maschi, viene suggerito anche dall’analisi di nove coppie di titoli occupazionali che, oltre ad essere state declinate per genere, sono anche state declinate per tipo di contratto (a tempo indeterminato o atipico). In particolare, quattro coppie declinate per genere e successivamente declinate per tipo di contratto (per un totale di 16 titoli occupazionali), mostrano un andamento interessante (figura 4). Vediamo che le valutazioni sono abbastanza simili in tre dei quattro titoli occupazionali che rappresentano ciascuna professione. Lo chef donna, la portinaia e la barista ottengono un punteggio molto più basso degli altri quando sono assunte con un contratto atipico e ciò può essere dovuto alla maggiore difficoltà che le donne possono incontrare nell’affrontare non solo un lavoro faticoso e poco qualificato (come nel caso della portinaia e della barista) o un ambiente dominato prevalentemente dagli uomini (nel caso del capocuoco che coordina gli altri), ma anche un contratto precario che non fornisce nessuna garanzia di stabilità. 29 Riguardo, invece, a possibili variazioni legate all’età degli intervistati, alla loro provenienza geografica o al titolo di studio posseduto, non sono state rilevate differenze univoche e costanti per tutte le occupazioni considerate, né tanto meno queste variazioni appaiono statisticamente significative. 30 La valutazione media attribuita dalle femmine al notaio donna è peraltro contraddistinta da una deviazione standard estremamente bassa. 31 La sindrome del burnout colpisce prevalentemente le professioni di cura. Per un approfondimento, si veda Obholzer e Zagier Roberts (1994). 14
Figura 4 – Punteggio medio di alcuni titoli occupazionali declinati sia per genere sia per tipo di contratto 60 50 40 30 20 10 0 Barista atipico Ins. sostegno Portinaio/a Portinaio/a Barista indet Ins. sostegno Chef indet Chef atipico atipico indet atipico indet Al Maschile Al Femminile Concludiamo la nostra analisi tornando nuovamente a focalizzare la nostra attenzione sulla segregazione occupazionale. Tra le 26 professioni selezionate, sono state individuate 8 attività lavorative prevalentemente femminili32 e 6 in cui gli occupati sono soprattutto uomini33. Innanzitutto, pur consapevoli dell’inevitabile arbitrarietà e parzialità nella scelta delle 26 occupazioni iniziali, che comunque si proponeva di includere quanto più possibile i diversi livelli della scala, vale la pena sottolineare che la media delle occupazioni tipicamente femminili è di circa 26 punti inferiore a quella delle professioni maschili, differenza ancora maggiore rispetto a quella, già rilevante, emersa nel precedente paragrafo. Come già in precedenza, è possibile osservare la tendenza da parte degli uomini a valutare meglio le occupazioni tipicamente maschili e delle donne a valutare meglio le occupazioni tipicamente femminili. Tuttavia, anche in questo caso, tali differenze non sono sempre coerenti e, peraltro, raramente risultano statisticamente significative. Non sembrano invece rilevabili chiare tendenze dall’analisi delle professioni atipiche, ovvero di quei titoli occupazionali declinati per genere in cui i maschi svolgono occupazioni tradizionalmente femminili e viceversa. Dai nostri dati non compaiono dunque evidenze empiriche tali da supportare quanto dichiarato da Powell e Jacobs (1984), ovvero la tendenza da parte delle donne a privilegiare le femmine occupate in professioni tradizionalmente maschili e da parte degli uomini a degradare i maschi occupati in professioni tradizionalmente femminili. Osservazioni conclusive sulle differenze di genere La maggior parte degli autori che si sono occupati della stratificazione occupazionale e delle scale di valutazione sociale delle occupazioni, hanno spesso sottolineato l’ampio consenso che 32 Le occupazioni prevalentemente femminili sono: infermiera caposala, baby sitter, maestra, insegnante di sostegno, assistente sociale, assistente sociale coordinatrice, titolare di profumeria, segretaria di studio medico. 33 Le occupazioni prevalentemente maschili sono: assessore comunale in comune con oltre 100.000 abitanti, notaio, ingegnere civile, direttore di stabilimento industriale di grandi dimensioni, tecnico informatico, barista 15
caratterizza tali valutazioni, attribuendolo alla capacità di percepire i vantaggi e gli svantaggi connessi alle diverse attività lavorative. Altri autori hanno ipotizzato che le differenze di genere esistenti nei livelli di partecipazione al mercato del lavoro, nel reddito percepito ed in altri aspetti della condizione lavorativa possano riflettersi anche nella valutazione sociale delle occupazioni. In effetti, alcune ricerche che si sono concentrate sulla segregazione occupazionale e che hanno sottoposto a valutazione titoli occupazionali declinati per genere hanno osservato rilevanti differenze e, anche se hanno ammesso che il genere resta un fattore secondario nella spiegazione della desiderabilità sociale delle occupazioni, hanno comunque suggerito l’opportunità di creare scale di stratificazione occupazionale separate per maschi e femmine. Anche dai nostri dati emergono alcune differenze in base al genere dei rispondenti quando vengono valutate professioni tradizionalmente a prevalente presenza maschile o femminile. Mentre le donne tendono a valutare meglio le professioni tipicamente femminili, gli uomini fanno altrettanto con quelle tipicamente maschili, probabilmente a causa della maggiore familiarità ed esperienza diretta che ciascuno può vantare con queste professioni, riuscendone a valutare meglio ricompense e privilegi. Tuttavia, non mancano casi in cui le donne considerano più desiderabili le professioni tipicamente maschili o declinate al maschile. Nel complesso le intervistate sembrano mostrare, rispetto agli intervistati maschi, una maggiore consapevolezza riguardo alle difficoltà che le donne devono affrontare nel mondo del lavoro per vedersi riconosciuti gli stessi vantaggi e per gestire gli stessi svantaggi dei loro colleghi uomini. Non stupisce, peraltro, che le maggiori differenze di valutazione si riscontrino nelle occupazioni posizionate nella parte centrale della scala, mentre gli estremi presentano una maggiore stabilità, seppure con qualche eccezione. Si tratta infatti delle categorie occupazionali dove l’attribuzione di vantaggi e svantaggi appare meno netta, meno condivisa. Infine, i nostri dati indicano chiaramente l’influenza del tasso di femminilizzazione sulle valutazioni del prestigio occupazionale. Le occupazioni con una forte presenza femminile sono valutate meno rispetto a quelle in cui domina la componente maschile. Benché dai risultati emersi non sembri ipotizzabile la necessità di costruire due scale specifiche per maschi e femmine, è importante non sottovalutare né gli effetti della segregazione occupazionale, poiché la loro forza e costanza nel tempo è innegabile, né la lucidità con cui le donne valutano la propria posizione nella stratificazione occupazionale, consapevoli sia dei traguardi raggiunti sia di quanto sia spesso ancora difficile ottenere gli stessi riconoscimenti (materiali e simbolici) dei propri colleghi uomini. Future ipotesi di lavoro Dopo aver concluso, salvo alcune possibili modifiche di secondaria importanza, il lavoro sulle differenze di genere (già in parte pubblicato sui Quaderni di Sociologia), l’utilizzo dei dati della ricerca in vista delle prossime pubblicazioni prevede l’analisi delle differenze di età tramite un percorso parallelo a quello seguito per il genere: analisi dello yardstick, costruzione scala generazionale (meno di 45 anni/oltre 45 anni), analisi delle ipotesi con tecniche Anova (si veda Appendice B per i risultati conseguiti fino ad ora). Parallelamente a questo lavoro, un ambizioso obiettivo è quello di costruire una scala relazionale utilizzando i dati occupazionali ISTAT relativi a mogli e mariti (dati 2006). Il modello di riferimento è quello della scala CAMSIS, già sperimentato in diversi Paesi. Obiettivo di questo lavoro, ancora in fase preliminare di costruzione della scala, è quello di comparare le due scale, quella relazionale e quella reputazionale, al fine di discuterne somiglianze e differenze. 16
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