LA NORMATIVA SUL DISTACCO DEI LAVORATORI E LA SUA APPLICABILITÀ AL SETTORE DELL'AUTOTRASPORTO: CRITICITÀ E RECENTI SVILUPPI NORMATIVI

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LA NORMATIVA SUL DISTACCO DEI LAVORATORI
      E LA SUA APPLICABILITÀ AL SETTORE
  DELL’AUTOTRASPORTO: CRITICITÀ E RECENTI
             SVILUPPI NORMATIVI

                               Alessio Sitran

Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il distacco dei lavoratori in abito intra-UE:
   una forma peculiare di mobilità occupazionale. - 2.1. Principi e caratteri
   generali. - 2.2. L’evoluzione del quadro normativo applicabile ai lavora-
   tori distaccati: le Direttive del 1996, 2014 e 2018. - 3. Il distacco degli
   autisti nel settore dell’autotrasporto. - 3.1. Il settore dell’autotrasporto:
   dinamiche evolutive e principali fattori di complessità e criticità. - 3.2.
   La disciplina del settore dell’autotrasporto: un comparto fortemente
   normato. - 4. Il distacco degli autisti: criticità e proposte di nuova
   regolamentazione. - 4.1. Problematiche attuali del quadro normativo
   esistente. - 4.2. Una lex specialis per la disciplina del distacco nell’au-
   totrasporto. - 5. Conclusioni. - Bibliografia.

Abstract

L’articolo discute il tema della normativa che disciplina le situazioni
di distacco lavorativo in ambito intra-europeo, fornendo una disamina
dell’evoluzione del quadro legislativo comunitario sino alle attuali
disposizioni contenute nella direttiva 2018/957/UE. In questo contesto,
l’articolo offre una sintesi di come l’evoluzione giurisprudenziale in
materia abbia tentato di regolare il bilanciamento tra i principi di libera
circolazione con i diritti sociali di chi esegue un’attività lavorativa
transnazionale all’interno dei confini dell’Unione stessa, ovvero di
soddisfare, da un lato, l’esigenza di avveramento del Mercato Unico
con, dall’altro, l’esigenza per i singoli Stati membri di tutelare le
condizioni sociali e retributive minime di chi al loro interno lavora.

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Le implicazioni di tale analisi sono poi osservate nell’ambito di un
settore, l’autotrasporto, che per le sue stesse peculiarità e caratte-
ristiche di mobilità ha, forse più di altri, vissuto e gestito gli effetti
dell’allargamento dell’Unione europea e del conseguente ampliamento
del Mercato Unico. Un settore dove il costo del lavoro rimane una
delle voci principali che determinano la struttura dei costi di esercizio
e che proprio in un’ottica di loro ottimizzazione ha guardato a solu-
zioni che spesso fanno leva su elementi di concorrenza sociale, non
da ultimo sfruttando proprio le lacune e inadeguatezze di cui risente
la normativa sul distacco. Criticità e peculiarità, queste, che hanno
indotto le Istituzioni comunitarie a proporre, nell’ambito del primo
Pacchetto Mobilità, una lex specialis che crei un quadro normativo
settoriale più coerente e appropriato.

Keywords: Distacco dei lavoratori, Autotrasporto, Dumping sociale, Pac-
chetto Mobilità

Autore: Alessio Sitran (Le opinioni espresse dall’autore all’interno
del presente articolo sono ad egli solo riconducibili e non impegnano
in alcun modo Continental Automotive Trading Italia srl o nessuna
altra Società del Gruppo Continental).

1. Introduzione

La disciplina sul distacco dei lavoratori costituisce uno di quegli
ambiti regolatori che si colloca al punto di intersezione tra sviluppo
del mercato interno e politiche di tutela sociale. La Direttiva 96/71/
CE che dal 1996, con l’evoluzione giurisprudenziale che l’ha con-
notata, regola tale ambito economico può essere interpretata come
un tentativo di conciliare il bilanciamento tra i principi di libera cir-
colazione che sono essi stessi connotati costitutivi ed indispensabili
dell’Unione europea, con i diritti sociali di chi esegue un’attività

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lavorativa transnazionale, ovvero all’interno dei confini dell’Unione
stessa. Un confronto, quello tra le libertà economiche e le regole di
tutela sociale, che essenzialmente ha visto prevalere una prospettiva
economicistica e dove tradizionalmente una maggiore enfasi è stata
posta sulle prime rispetto alle seconde.
Nell’ambito di questo confronto, la Direttiva 96/71/CE può essere
assunta a esempio semplificatore di quanto questo bilanciamento sia
difficile perché chiama in causa un dilemma preciso che può essere
riassunto nella tensione tra, da un lato, l’esigenza di avveramento del
Mercato Unico all’interno del quale gli operatori economici possono
in condizioni di concorrenza equitativa trarre i massimi benefici dal
Mercato Unico e, dall’altro, l’esigenza per i singoli Stati membri di
tutelare le condizioni sociali e retributive minime di chi al loro in-
terno lavora. Questa tensione spiega perché, pur essendo la Direttiva
96/71/CE generalmente vista come uno strumento che ponga dei
paletti a situazioni di possibile dumping sociale, la sua finalità ultima
non sempre è stata pienamente condivisa in una realtà, quale quella
Comunitaria, che ancora è caratterizzata e risente del perdurare di
importanti disomogeneità economiche e sociali.
Alla luce di queste premesse, la ricerca contenuta nel presente articolo
intende offrire una trattazione della normativa applicata al distacco
transnazionale dei lavoratori (posting of workers, nella sua più diffusa
accezione inglese), così come si è evoluta e con la finalità di porre
puntualmente in rilievo la sua applicazione e le sue criticità emerse
nell’ambito del trasporto merci internazionale su strada.
La ricerca qui presentata si struttura nel modo seguente. Successivo
a questo capitolo introduttivo, il capitolo 2 introduce il tema del di-
stacco e ne fornisce una definizione delineando gli aspetti principali
e cercando non solo di rendere disponibile una prospettiva quantita-
tiva di tale forma di mobilità occupazionale intra-UE, ma soprattutto
illustrando il quadro normativo comunitario e la sua evoluzione

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temporale. Quest’ultima offre l’opportunità di riflettere su come si sia
modificata la disciplina legislativa e delle ragioni che hanno indotto
a trovare in tale evoluzione soluzioni e misure atte a fronteggiare le
problematiche apertesi nel corso degli ultimi decenni alla luce delle
dinamiche evolutive del Mercato Unico.
Quanto osservato nel capitolo 2 sostanzia il punto di partenza per
declinare all’interno del capitolo 3 il fenomeno del distacco applicato
ad un comparto economico per sua natura mobile e transnazionale,
quale il settore dell’autotrasporto. Settore questo, che forse più di altri
ha vissuto e gestito gli effetti dell’allargamento dell’Unione europea e
del conseguente ampliamento del Mercato Unico. Un settore dove il
costo del lavoro rimane una delle voci principali che determinano la
struttura dei costi di esercizio e che proprio in un’ottica di loro otti-
mizzazione ha guardato a soluzioni che spesso fanno leva su elementi
di concorrenza sociale, non da ultimo sfruttando proprio le lacune e
inadeguatezze di cui risente la normativa sul distacco.
Il capitolo 4 si confronta con l’implementazione laboriosa della
normativa sul distacco nel settore dell’autotrasporto e ne rinnova il
richiamo alle principali peculiarità e criticità applicative. Criticità e
peculiarità che hanno indotto le Istituzioni comunitarie a proporre,
nell’ambito del primo Pacchetto Mobilità, una lex specialis che crei
un quadro normativo settoriale più coerente e appropriato.
Il capitolo 5, infine, sintetizza i contenuti della ricerca e ne discute
le implicazioni.

2. Il distacco dei lavoratori in abito intra-UE: una forma peculiare
   di mobilità occupazionale

2.1. Principi e caratteri generali

Il diritto dei lavoratori europei di muoversi liberamente all’interno
della Comunità è fissato dal disposto normativo incapsulato nell’art.

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45 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE) (1) e
si richiama a principi costitutivi presenti sin dalla nascita del Trattato
istitutivo della Comunità economica europea del 1957.
Sul piano generale, il diritto dei cittadini di poter lavorare nel territorio
di uno Stato membro diverso da quello di residenza trova il suo istituto
giuridico nel concetto di lex loci laboris. Vale la pena di ricordare
questo principio perché esso ispira i meccanismi di coordinamento
tra i sistemi sociali dei diversi Stati membri che riguardano tutte
quelle situazioni in cui un’attività lavorativa è eseguita con carattere
di transnazionalità. Secondo il principio del lex loci laboris un sog-
getto che svolge la propria attività lavorativa all’interno dell’Unione
europea può giovare della copertura sociale in un solo Stato membro
e, specificatamente, di quello in cui l’attività lavorativa ha luogo. Ne
consegue che il lavoratore estero deve disporre dello stesso schema
sociale applicato ai lavoratori residenti nello Stato membro ospitante.
Se il principio del lex loci laboris fonda il quadro normativo di riferi-
mento dello Stato membro dove l’attività lavorativa è svolta, lo stesso
non si applica alle situazioni cd. di “distacco” relative alla fornitura
di servizi all’interno del Mercato Unico, ossia a quelle situazioni di
mobilità lavorativa intra-UE dove il lavoratore estero rimane solo
temporaneamente nel territorio dello Stato membro ospitante. In
virtù sempre del principio che un unico regime di tutela sociale deve
trovare applicazione, questa per le situazioni di distacco rimane quella
dello Stato membro distaccante, anziché quella dello Stato membro
ricevente.
Con l’obiettivo precipuo di disciplinare in maniera uniforme quest’ul-
tima fattispecie si è aggiunta al principio lex loci laboris una normativa
più specifica dove la mobilità lavorativa dei lavoratori distaccati si

    (1) Il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) è con il Trattato
sull’Unione europea uno dei trattati fondamentali dell’Unione stessa e che insieme
costituiscono le basi fondamentali del diritto primario comunitario.

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basa sulla libertà per gli operatori economici di offrire servizi a carat-
tere transnazionale e/o sulla libertà di stabilirsi in uno Stato membro
diverso da quello di registrazione.
Come in più occasioni espresso dalla stessa Commissione europea
(Voss et al., 2016), permane ancora oggi una sostanziale difficoltà a
disporre di statistiche sufficientemente complete e consolidate per
dimensionare il fenomeno del distacco dei lavoratori all’interno
dell’Unione europea.
Sulla base dei dati disponibili più recenti (2017), si stima che il numero
dei lavoratori che erogano servizi inquadrati all’interno di contratti di
distacco sia pari a 2.8 milioni, ossia l’1,2% del totale degli occupati in
Europa. Tali valori suggeriscono come, sia in termini assoluti, sia in
termini relativi, il distacco di lavoratori intra-UE rimanga un fenomeno
marginale nel panorama occupazionale europeo, rappresentandone di
fatto una quota esigua (Furåker & Larsson, 2020; Cremers, 2020).
Più interessante è, invece, osservarne l’evoluzione temporale che
vede nel 2017 il numero dei lavoratori distaccati più che raddoppiare
rispetto allo stesso dato del 2010 (Cremers, 2020). Ciò suggerisce
come il distacco dei lavoratori abbia costituito la modalità di maggiore
diffusione con cui si sia espressa la mobilità occupazionale transfronta-
liera all’interno dell’Unione europea (Voss et al., 2016). Segno questo
dell’impatto esercitato dall’allargamento dell’Unione europea ai Paesi
UE-12 e al conseguente ampliamento del Mercato Unico.
Volendo entrare più nel dettaglio, e utilizzando il numero dei certifi-
cati emessi (noti come modelli A1) e attualmente disponibili (2017),
la maggior parte di essi è stata rilasciata (2) da Polonia (533.000

    (2) Il modello A1 certifica che il lavoratore “distaccato” rimanga assicurato
ai fini previdenziali nello Stato membro in cui ha sede l’impresa distaccante o in
quello di esercizio abituale dell’attività lavorativa autonoma.

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certificati) e Germania (400.000 certificati). Se raffrontiamo i dati di
questi due Paesi con i rispettivi valori del 2012, notiamo come per la
Germania l’aumento sia pari al 64%, mentre per la Polonia l’aumento
sia del 68%. La Germania, infine, è anche lo Stato membro che ac-
coglie il maggior numero di lavoratori distaccati, seguita da Francia
e Belgio (De Wispelaere & Pacolet, 2018).
Più difficile è, per contro, disporre di un quadro esaustivo sulla du-
rata dei contratti di distacco, poiché le informazioni statistiche sono
disponibili solo per una parte degli Stati membri. Usando sempre il
2017 come anno di riferimento, l’analisi dei modelli A1 suggerisce
una durata media dei contratti di distacco pari a 98 giorni, sebbene
all’interno di una forchetta che oscilla tra poco più di un mese (Francia
e Lussemburgo) sino a oltre 200 giorni (Croazia, Estonia, Finlandia,
Irlanda, Lettonia e Ungheria) (3).

2.2. L’evoluzione del quadro normativo applicabile ai lavoratori
     distaccati: le Direttive del 1996, 2014 e 2018

Il processo di gestazione che ha portato all’approvazione della Diret-
tiva 96/71/CE è durato un quinquennio ed è stato caratterizzato da un
continuo richiamo ad alcune sentenze della Corte di Giustizia europea
a cui, sin dal 1986, va riconosciuto il merito di avere sollecitato e
arricchito lo sviluppo giurisprudenziale comunitario in un ambito,
quello dei lavoratori distaccati, totalmente nuovo e privo di ogni
disciplina normativa a carattere comunitario. La dinamica continua
tra quadro normativo in nuce e giurisprudenza della Corte va intesa,
infatti, come un elemento distintivo del lavoro che ha condotto al testo

   (3) Sul punto è importante sottolineare come il numero dei lavoratori distaccati
possa essere inferiore al numero dei modelli A1 rilasciati. Questo perché il lavoratore
può essere distaccato più volte nel corso dello stesso anno e, quindi, ogni singolo
lavoratore può essere titolare di più certificati.

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finale della Direttiva 96/71/CE (4). Proprio la Corte è stata più volte
chiamata al difficile (e non sempre coerente) compito di fornire una
linea guida che raggiungesse un equilibrio tra la libera circolazione
dei servizi come una degli architravi su cui poggiava la Comunità
e la protezione di diritti sociali che iniziavano a configurarsi come
interessi legittimi e, pertanto, capaci di giustificare restrizioni alla
predetta libertà di circolazione.
Ciò non toglie che si debba ricordare che, una volta approvata, la
Direttiva 96/71/CE ha iniziato a rappresentare il primo strumento di
regolamentazione comunitaria in materia di distacco dei lavoratori.
In essa, l’art. 2 comma 1 definisce il lavoratore distaccato come “il
lavoratore che, per un periodo limitato, svolge il proprio lavoro nel
territorio di uno Stato membro diverso da quello nel cui territorio
lavora abitualmente” sebbene, per contro, lo stesso comma 2 precisi
come la nozione di “lavoratore sia quella applicata in base al diritto
dello Stato membro nel cui territorio è distaccato il lavoratore”.
Benché nel suo preambolo generale essa menzioni il “rispetto per i
diritti dei lavoratori”, la Direttiva del 1996 non era orientata verso
misure che salvaguardassero la possibilità per i lavoratori distaccati
di essere trattati o retribuiti in maniera paritetica rispetto ai lavoratori
dello Stato membro ospitante (Voss et al., 2016). Piuttosto, il suo obiet-
tivo di fondo era costituito dal definire un blocco minimo di obblighi
di tutela che lo Stato ricevente avrebbe dovuto assicurare al lavoratore
distaccato, ossia l’onere di garantire un livello minimo di standard
lavorativi così da favorire: a) l’assenza di fattori che potessero gene-
rare distorsioni concorrenziali, b) uno standard minimo di protezione
sociale e, infine, c) l’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione

    (4) Tra i casi trattati dalla Corte si ricorda, in particolare, il caso C-139/89 Rush
Portuguesa che fungerà negli anni di preparazione della Direttiva da cartina di
tornasole nell’interpretazione della relazione sussistente tra libertà di circolazione
dei servizi e norme sociali nazionali.

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delle persone e dei servizi (5). Tre, infine, le particolari situazioni in
cui avrebbe dovuto trovare applicazione: a) appalto transnazionale,
b) mobilità intraziendale e c) lavoro interinale con la condizione che
in tutte e tre le ipotesi di distacco sussista un rapporto di lavoro tra
l’operatore economico e il lavoratore che viene momentaneamente
distaccato (Adorati, 1998).
Vale la pena di ricordare che la Direttiva non ha inteso, tuttavia, armo-
nizzare il contenuto delle regole minime di tutela sociale dei lavoratori
distaccati ma ha lasciato, invero, libertà agli Stati membri di definire
tali standard in conformità alle proprie legislazioni nazionali. Questi,
comunque, dovevano essere “proporzionati” alla tutela del principio
della libera circolazione così come definito dall’art. 56 del TFUE,
ovvero dovevano essere appropriati per perseguire gli obiettivi di
protezione dei laboratori senza pregiudicare la libera circolazione (6).
Questa libertà di definizione ha reso evidente come, in sede di re-
cepimento della Direttiva, diversità di scelte siano state adottate dai
singoli Stati membri in merito all’estensione normativa della prote-
zione sociale ai lavoratori distaccati e rendendo altresì palese sin dal
principio la problematicità della relazione tra, da un lato, condizioni
di lavoro dei soggetti coinvolti in attività lavorative transfrontaliere
e, dall’altro, il principio della libera circolazione dei servizi.
Oltre ai limiti pratici posti dalla sua attuazione, la Direttiva 96/71/
CE si è portata inevitabilmente dietro le contraddizioni e le riserve

    (5) L’art. 3 della Direttiva 96/71/CE definisce gli ambiti su cui le norme na-
zionali intervengono a tutela dei lavoratori distaccati. Essi sono: periodi massimi
di lavoro e periodi minimi di riposo; durata minima delle ferie annuali retribuite;
tariffe minime salariali; condizioni di cessione temporanea dei lavoratori; sicurezza,
salute e igiene sul lavoro; provvedimenti di tutela riguardo alle condizioni di lavoro
e di occupazione di gestanti o puerpere, bambini e giovani; parità di trattamento fra
uomo e donna nonché altre disposizioni in materia di non discriminazione.
    (6) Cause C-369/96 e C-376/96, Arblade and Others; Causa C-165/98, Maz-
zoleni and ISA.

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del dibattito politico che era stato sottostante all’iter giuridico che
l’aveva condotta alla nascita. Non sorprende, pertanto, che essa sia
stata successivamente oggetto di diverse sentenze della Corte di Giu-
stizia europea volte a chiarirne il contenuto e l’ambito di applicazione
che, però, come le sentenze stesse hanno confermato, hanno operato
verso un’interpretazione ristrettiva delle disposizioni della Direttiva
(Cremers, 2008 e 2010). Ne è un esempio il caso sulla procedura di
infrazione avviata dalla Commissione contro il Gran Ducato del Lus-
semburgo (7), in relazione al quale la successiva sentenza della Corte
ha stabilito che la lista delle prescrizioni sulle condizioni di lavoro
inserite nella Direttiva debbano intendersi come esaustive, anziché
come un insieme minimo (e pertanto estendibile) di diritti.
Ne è conseguito che lo spazio disponibile alle legislazioni degli Stati
membri per supplementare questo set di norme con ulteriori disposi-
zioni mandatorie sia rimasto limitato, anche qualora queste previsioni
aggiuntive fossero in grado di garantire una maggiore protezione ai
lavoratori interessati. Così operando, la Corte di Giustizia ha di fatto
creato una situazione nella quale operatori esteri non sono stati soggetti
in misura paritetica a tutte quelle norme sociali che sono obbligatorie
negli ordinamenti dei singoli Stati membri e che si applicano, per
contro, agli operatori domestici.
Ciò ha prodotto come esito un blocco economico con una chiara
gerarchia: l’interpretazione radicale della Corte di Giustizia dell’art.
46 del TFUE ha reso ogni disposizione obbligatoria dello Stato mem-
bro ospitante in linea di principio contraria alla libera circolazione
dei servizi (Cremers, 2011), ossia il Mercato Unico interferisce a tal
punto con le discipline normative nazionali che il principio del lex
loci laboris diviene soggetto a pressioni atte a favorire situazioni di
potenziale concorrenza sociale.

    (7) Causa C-319/06 Commissione / Lussemburgo.

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Ulteriori problematiche sono emerse con riferimento alle insufficienti
o talora ambigue definizioni di temporaneità del contratto di distacco
e, ancora, di effettivo stabilimento dell’operatore economico nel ter-
ritorio di uno Stato membro. Limiti definitori su cui la stessa Corte
di Giustizia europea non sempre ha fornito la chiarezza auspicata (8).
Per quanto concerne la natura temporanea della relazione contrattuale
di distacco, aspetto che ne definisce in maniera sostanziale il contenuto
e la portata, la definizione adottata dalla Direttiva all’art. 2 comma
1 si è rivelata inadeguata per disciplinare situazioni dove il distacco
dello stesso lavoratore avveniva frequentemente se non addirittura in
modo definitivo. La medesima inadeguatezza si applica al fenomeno
del distacco a rotazione, che si verifica quando un operatore econo-
mico assume ripetutamente lavoratori con il solo scopo di distaccarli
in un altro Stato membro con l’incarico di svolgere la stessa attività
lavorativa. Fattispecie, quest’ultima, peraltro nemmeno disciplinata
dalla Direttiva stessa.
Per ciò che attiene, invece, all’effettivo stabilimento di un operatore
economico nel territorio di uno Stato membro, la Direttiva ha richiesto
che esistesse un collegamento genuino tra l’operatore stesso e lo Stato
membro distaccante. La Direttiva, per converso, non ha contestual-
mente stabilito i criteri che determinano la genuinità di tale collega-
mento, rendendo così difficile appurare se un operatore economico
sia realmente stabilito in uno Stato membro o meno.
Ciò a discapito anche del soccorso in cui interviene il combinato di-
sposto degli artt. 12 e 14 comma 2 rispettivamente dei Regolamenti

    (8) Sul punto si vedano le cause Gebhard (C-55/04) e Schnitzer (C-215/01) dove
la natura temporanea del servizio fornito in condizioni di distacco è stata oggetto
delle sentenze della Corte.

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(CE) 883/2004 (9) e 987/2009 (10) che in materia di distacco preci-
sano come l’operatore economico debba su base ordinaria svolgere
attività sostanziali nel territorio dello Stato membro in cui è registrato
al fine di essere autorizzato a distaccare i propri lavoratori in un altro
Stato membro. Questa incertezza assume soprattutto rilievo se poi,
come avremo modo di vedere nel cap. 3.2, è declinata nel contesto
delle dinamiche concorrenziali del trasporto internazionale su strada.
Quelle ora citate sono, nella prospettiva di chi scrive, le mancanze ed
incertezze di maggiore peso, seppure non le uniche (11). Complessi-
vamente il quadro che emerge, alla luce anche delle dinamiche evo-
lutive di mercato che si sono manifestate nell’ultimo decennio unite
alla presenza sempre maggiore di forme di “concorrenza sociale”,
vede l’impianto normativo istituito dalla Direttiva 96/71/CE presen-
tare una molteplicità di problemi tali da non renderlo più adeguato
a disciplinare una fattispecie giuslavoristica che, sebbene limitata in
termini assoluti, porta seco una molteplicità e una interrelazione di
effetti che toccano direttamente la libera circolazione dei lavoratori e
dei servizi (in sintesi, di due dei principi cardine del Mercato Unico),
ma anche questioni di dumping e concorrenza sociale.
Per ovviare ai limiti manifestati dall’impianto normativo originato
dalla Direttiva 96/71/CE la Commissione europea è intervenuta, rec-

    (9) Regolamento (CE) n. 883/2004 del 29 aprile 2004 relativo al coordinamento
dei sistemi di sicurezza sociale.
    (10) Regolamento (CE) n. 987/2009 del 16 settembre 2009 che stabilisce le
modalità di applicazione del Regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordina-
mento dei sistemi di sicurezza sociale.
    (11) Alla descrizione fornita si possono aggiungere le difficoltà poste da una
mancata definizione di retribuzione minima (con evidenti oscillazioni retributive tra i
diversi Stati membri ma soprattutto un diverso peso tra la componente fissa - soggetta
ai contributi assicurativi e previdenziali - e la componente variabile solitamente
detraibile al 100%), o ancora il disallineamento tra la Direttiva 96/71/CE ed altre
norme comunitarie, in primis in materia di coordinamento delle politiche sociali.

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tius lo ha fatto in due momenti temporalmente separati, ma collegati
da un filo conduttore comune.
Il primo importante sviluppo ha visto la Direttiva 96/71/CE essere
affiancata a partire dal 2014 dalla Direttiva 2014/67/UE (12), che
nasce con lo scopo primario di combattere le varie forme di abusi sin
qui verificatesi in materia di distacco e rafforzando al contempo la
capacità degli Stati membri di applicare in maniera fattiva le disposi-
zioni della Direttiva 96/71/CE, migliorandone parimenti le condizioni
di enforcement.
A questo proposito, è bene sottolineare che la Direttiva 2014/67/UE
non ha auspicato, pertanto, né ridefinire il set minimo di obblighi in
capo allo Stato ricevente e inseriti nel disposto dell’art. 2 comma 1
della Direttiva 96/71/CE, né ha inteso porre rimedio al disallineamento
sia giuridico, sia attuativo tra le disposizioni della Direttiva stessa e i
singoli ordinamenti giuridici nazionali. Essa si è limitata ad assicurare
maggiore trasparenza, maggiore coordinamento tra gli Stati membri,
migliore costo-efficacia dei controlli e del profilo sanzionatorio ap-
plicabile (13). Ne è conseguito che tutte le questioni più controverse
legate all’attuazione della Direttiva 96/71/CE sono rimaste sul tappeto.
È per tale ragione, e in risposta agli stakeholders che chiedevano un
quadro normativo più coerente ed efficace nella lotta al problema
del dumping sociale, che nel 2016 l’allora Commissione Juncker ha
annunciato una targeted review proponendo una revisione sostanziale

    (12) Occorre ricordare che la Direttiva 2014/67/UE modica anche il Regolamento
(UE) n. 1024/2012 che è relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il
sistema di informazione del mercato interno (cd. “Regolamento IMI”).
    (13) Le principali misure introdotte dalla Direttiva 2014/67/UE riguardano:
chiarezza normativa (art. 3), autenticità del distacco (art. 4), facilitazione dell'ac-
cesso all’informazione (art. 5), obblighi amministrativi e misure di controllo (art.
9), ispezioni (art. 10), responsabilità dei subcontraenti (art. 12).

256 —                                                        Nuovo not. giur. 2020, n. 2
La normativa sul distacco dei lavoratori —

della Direttiva 96/71/CE.
Le linee di intervento sono state indirizzate su tre temi: a) remunerazio-
ne dei lavoratori distaccati, ovvero garantendo che le norme retributive
e contributive applicate ai lavoratori domestici siano in egual misura
applicate anche ai lavoratori distaccati, b) parità di trattamento tra
lavoratori distaccati assunti mediante agenzie interinali e lavoratori
interinali assunti localmente e, infine, c) durata del distacco, per la
quale la proposta avanzata dalla Commissione aveva fissato un limite
di 24 mesi, scaduti i quali il lavoratore distaccato doveva poter essere
soggetto alla stessa disciplina giuslavoristica del lavoratore domestico.
Al termine di un dibattito prolungatosi per due anni, il 21 giugno 2018
il Consiglio europeo ha adottato la nuova Direttiva 2018/957/UE che
è, nella sostanza, non molto dissimile nel suo contenuto finale dalle
proposte iniziali avanzate dalla Commissione Juncker. Ciò nonostan-
te, alcune variazioni rispetto alla formulazione originaria avanzata
dalla Commissione sono state introdotte, come nel caso della durata
massima del contratto di distacco che è stata stabilita in 12 mesi
più un’estensione di eventuali altri sei, terminati i quali l’operatore
economico distaccante è tenuto a rispettare le norme contrattuali del
lavoro in vigore nello Stato membro ricevente.
Due le osservazioni finali su questo testo. In primo luogo, la nuova
Direttiva doveva essere trasposta negli ordinamenti giuridici nazionali
entro il 30 luglio 2020. Conseguentemente, sino a tale data è rimasta
in vigore la disciplina della Direttiva 96/71/CE. In secondo luogo,
dal campo di applicazione della nuova Direttiva è escluso un settore
ad elevato carattere transnazionale quale il trasporto commerciale su
strada. Per questo settore la Direttiva 96/71/CE è ancora pienamente
applicativa sino all’attuazione, prevista a partire dal 2 febbraio 2022,
della nuova Direttiva n. 2020/1057 (sul punto cfr. il successivo cap.
4.2) discussa nell’ambito del più ampio dibattito sul Pacchetto Mobi-
lità (14). È proprio su questo settore e sulla proposta di lex specialis

Nuovo not. giur. 2020, n. 2                                        — 257
— La normativa sul distacco dei lavoratori

che ora si volge la nostra attenzione ed analisi.

3. Il distacco degli autisti nel settore dell’autotrasporto

3.1. Il settore dell’autotrasporto: dinamiche evolutive e principali
     fattori di complessità e criticità

Il settore dell’autotrasporto rappresenta una delle componenti più
importanti dell’economia europea, considerato il suo peso (CE, 2019)
sul Pil (9.8%) e l’occupazione comunitaria (oltre il 50% della forza
lavoro impiegata nel comparto della mobilità) nonché per il fatto che,
se si guardano gli ultimi dati disponibili (2017) e se si escludono le
modalità marittima ed aerea, la strada movimenta circa il 73% del
totale trasportato su terra (ANFIA, 2020).
Esso è, inoltre, caratterizzato da una notevole complessità perché mol-
teplici sono le variabili paradigmatiche che non solamente definiscono
il perimetro e le “regole del gioco” entro cui l’attività di autotrasporto
deve svolgersi, bensì anche quelle criticità e quei fattori evolutivi che
ne determinano e influenzano lo sviluppo (Sitran, 2019).
Tre i termini con cui questa complessità può essere riassunta: mercato,
veicolo e gestione delle informazioni.
La prima riflessione guarda al profondo cambiamento che il mercato
dell’autotrasporto ha conosciuto e vissuto nel corso degli ultimi 15
anni sotto la spinta sia di un progressivo (seppure non totale) processo

     (14) A riguardo, in data 7 aprile 2020 il Consiglio ha approvato in prima lettura
il testo del Pacchetto Mobilità così come adottato nel quadro dell’accordo Interi-
stituzionale del 12 dicembre 2019. Il testo è poi passato all’esame del Parlamento
europeo per la seconda lettura. Tra i contenuti discussi appare anche la proposta
di lex specialis sul distacco dei lavoratori di appartenenza specifica al trasporto
commerciale su strada. Quest’ultimo tema è oggetto della trattazione del cap. 4
(sul punto cfr. la nota 41).

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La normativa sul distacco dei lavoratori —

di apertura parallelo alla sempre maggiore integrazione del Mercato
Unico europeo, sia (in parte concausa dello stesso processo di integra-
zione) di allargamento dell’Unione europea ai Paesi dell’Est Europa.
Storicamente, il mercato del trasporto intra-europeo è rimasto regolato
da accordi bilaterali per decenni ed è solo nel 1992, 25 anni dopo la
firma del Trattato CEE , e a seguito della famosa sentenza della Corte
di Giustizia europea del 22 maggio 1985 (15) che il processo di libe-
ralizzazione ha avuto inizio (Bayliss, 1998; Buelens & Michielsen,
2016).
Ciò ha permesso progressivamente l’ingresso sul mercato di operatori
che possono beneficiare di organizzazioni diverse e di costi ridotti,
mettendo in concorrenza diretta tra loro economie e specialmente
mercati del lavoro tra loro molto diversi che hanno generato pressioni
e disallineamenti competitivi a fronte dei quali, talvolta, la risposta
è stata, come un’ampia letteratura in materia ha ormai dimostrato
(Thörnquist, 2019), l’adozione di pratiche giuridiche (letter-box
companies (16) o società di comodo) e contrattuali (falsi conducenti

    (15) Causa 13/83 Parlamento europeo contro Consiglio delle Comunità europee.
La causa verteva su un ricorso proposto dal Parlamento europeo in forza dell’art.
175 del Trattato CEE ed inteso a far dichiarare la carenza del Consiglio nel garantire
la libera prestazione dei servizi in fatto di trasporti internazionali e di stabilire le
condizioni per l’ammissione di vettori non residenti ai trasporti nazionali in uno
Stato membro pronunciandosi a favore del Parlamento europeo, la sentenza della
Corte ha nei fatti costituito il principio del processo di apertura del Mercato Unico
nel settore dei trasporti internazionali su strada.
    (16) Per letter-box companies (o società di comodo) si intende quel fenomeno
che riguarda aziende fittiziamente registrate nel territorio di uno Stato membro senza,
però, esercitarvi stabilmente alcuna attività economica ed amministrativa. Sebbene
difficile da quantificare, il fenomeno delle letter-box companies è stato incentivato
dalla necessità di ridurre i costi di esercizio (in primis il costo del lavoro) sfruttando
i differenziali fiscali e contributivi esistenti tra i diversi Stati membri (Gibson et

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— La normativa sul distacco dei lavoratori

monoveicolari) (17), finalizzate a ridurre quella che da sempre è una
voce di costo importante del comparto, ossia il costo del lavoro.
Come esemplificato dalla letteratura in materia (AECOM, 2014; Gib-
son et al. 2017; CNR, 2016) il costo del lavoro rappresenta mediamente
il 40% del costo complessivo dell’attività di trasporto, sebbene ciò che
debba essere evidenziato è la diversa struttura dei costi del personale
e, in particolare, il raffronto tra la componente fissa (soggetta a oneri

al., 2017). Se l’ovviare alla normativa sociale (tempi di guida e periodi di riposo)
sia un’esigenza secondaria rispetto alle motivazioni economiche nella creazione di
aziende fittizie (Gibson et al., 2016), è pur interessante sottolineare come proprio
questa forma di organizzazione economica sia stata quella che più di altre abbia
tratto vantaggio dalla normativa sul distacco (Thörnquist, 2013).
     (17) Nell’ambito dell’industria internazionale del trasporto merci su strada,
quello dei falsi conducenti monoveicolari è un fenomeno che ha assunto negli anni
una particolare rilevanza. Trattasi di operatori che, pur essendo entità giuridicamente
autonome, de facto si trovano a non poter operare indipendentemente in relazione
al proprio principale (e talvolta anche unico) committente. Tipico è l’esempio del
conducente monoveicolare che in subvezione opera in maniera praticamente esclu-
siva per un unico vettore (con cui spesso il conducente aveva anche un precedente
rapporto di lavoro subordinato), il quale detta le condizioni operative e soprattutto
economiche all’interno della relazione contrattuale che si instaura. La dimensione
di tale fenomeno è stimata dalla Commissione europea in circa il 50% dei condu-
centi monoveicolari attivi (Gibson et al., 2016; Lodovici et al., 2009). Tale tema è
stato oggetto di numerosi studi e ricerche per le implicazioni e gli impatti ad esso
collegati come effetto della deregolamentazione e la liberalizzazione occorsa nel
mercato dell’autotrasporto a partire dai primi anni 2000 e, conseguentemente, dei
cambiamenti a livello di dinamiche di mercato, strategie di impresa e relazioni
industriali (Bensman, 2009 e 2014; Jaffee & Bensman, 2016; Viscelli, 2016). Ul-
teriori studi europei hanno approfondito queste tematiche sul piano delle relazioni
occupazionali e sociali tra UE-15 e UE-12 a seguito dell’allargamento a Est dell’U-
nione europea (Hilal, 2008; Thörnquist, 2013 e 2015; Muller, 2014; Broughton et
al., 2015; Guaman & Loffredo, 2017; Haidinger 2017). Per un approfondimento,
invece, sull’impatto di queste dinamiche sulla normativa sociale sull’autotrasporto
si veda Gibson et al., 2016 e 2017.

260 —                                                        Nuovo not. giur. 2020, n. 2
La normativa sul distacco dei lavoratori —

previdenziali) e la componente variabile della retribuzione lorda che
è, nel caso dei paesi UE-12, molto sbilanciata a favore di quest’ultima
e da cui si è generato un disallineamento competitivo tra operatori
UE-15 e UE-12.
Si può, quindi, sostenere come il processo di liberalizzazione del
mercato dell’autotrasporto e il suo conseguente maggiore grado di
competitività non siano stati accompagnati da un parallelo processo di
armonizzazione nelle condizioni lavorative e occupazionali le quali,
al contrario, hanno conosciuto piuttosto un trend di generalizzato
peggioramento che ha interessato tanto i conducenti nazionali, quanto
quelli distaccati (Sitran & Pastori, 2013).
Il secondo elemento che in questo contesto di cambiamento deve
essere osservato è il veicolo e l’evoluzione tecnologica di cui esso
oggi è espressione (Sitran, 2018). Il mondo del trasporto rappresenta
sicuramente un esempio di primaria importanza nel comprendere
come lo sviluppo tecnologico a cui stiamo assistendo, che si colloca
e si integra nel contesto più generale caratterizzato dal cambiamento
che i processi e i nuovi trend dell’innovazione stanno generando nel
comparto dell’automotive (Sitran, 2018), possa apportare valore in
termini di pianificazione, gestione ed ottimizzazione dei flussi di
trasporto lungo l’intera filiera logistica.
L’obiettivo di migliorare costantemente il livello dei costi totali di eser-
cizio ha determinato nei gestori delle flotte un cambio di prospettiva
che sposta l’attenzione dal semplice monitoraggio del veicolo (sempre
più inteso come “piattaforma”) ad un approccio olistico che riporti
veicolo, conducente e l’intera rete logistica all’interno di un’unica
equazione in tempo reale.
Ne discende la necessità di una visione d’insieme che unisca i vari
tasselli della digitalizzazione. In particolare, l’accento non è solo
sull’innovazione di processo (ovvero di un processo che sappia
migliorare la gestione delle informazioni, la loro disponibilità e la

Nuovo not. giur. 2020, n. 2                                         — 261
— La normativa sul distacco dei lavoratori

loro fruibilità e che quindi si sta organizzando sempre più verso un
modello di piattaforma), bensì anche sulla necessità di considerare e
formare nuove competenze in un momento in cui le aziende di tra-
sporto stanno cambiando o hanno già cambiato il proprio modello di
business seguendo i paradigmi della digitalizzazione (Sitran, 2018).
Centrale in questo passaggio è il terzo e ultimo termine che definisce
la complessità del settore dell’autotrasporto, ovvero la conversione
- la generazione di valore - dei dati raccolti in tempo reale da una
pluralità di sistemi in informazione utile per controllare e migliorare
i costi operativi di esercizio. In tale contesto, il trend sintetizzato nel
termine “Tech Talk”, ovvero il veicolo connesso, è la punta dell’ice-
berg tecnologico che spingerà in maniera crescente gli operatori del
trasporto a conoscere e a gestire il cambiamento digitale.

3.2. La disciplina del settore dell’autotrasporto: un comparto forte-
     mente normato

La complessità operativa del settore dell’autotrasporto che è stata
sintetizzata nel precedente capitolo 3.1 trova una pari corrispondenza
nella disciplina normativa ad esso afferente.
Se raffrontato con altri settori economici il comparto dell’autotrasporto
emerge, infatti, tra quelli più significativamente normati. Ciò è legato
non solo alle peculiarità delle diverse tipologie di attività di trasporto
che esso offre, bensì anche alla forte rilevanza collettiva e sociale de-
gli impatti che esso determina, in primo luogo in termini di sicurezza
stradale e di specificità del mercato del lavoro. A questo proposito
giova, inoltre, ricordare che il settore dell’autotrasporto è mobile per
definizione e, conseguentemente, all’interno di un Mercato Unico
europeo gli impatti sopra citati vanno interpretati anche alla luce della
loro interconnessione tra i diversi Stati membri dell’Unione europea.
Il quadro normativo che oggi disciplina il settore dell’autotrasporto si

262 —                                               Nuovo not. giur. 2020, n. 2
La normativa sul distacco dei lavoratori —

snoda lungo tre ambiti principali: normativa sociale, accesso all’oc-
cupazione e al mercato e distacco degli autisti. Quest’ultimo ambito
sarà oggetto di specifica trattazione nel successivo capitolo 4.
La normativa sociale ha il suo perno nel combinato disposto della Di-
rettiva 2002/15/CE (18) che disciplina l’orario di lavoro dei conducenti
e nel Regolamento (CE) n. 561/2006 (19) che, nella sua qualità di lex
specialis della Direttiva 2002/15/CE, regola un aspetto specifico ma
fondamentale dell’attività di autotrasporto, ovvero i tempi di guida
e i periodi di riposo degli autisti. Necessario corollario di questo
impianto normativo, che in Italia trova applicazione per il tramite
dell’art. 174 del D.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285 (Codice della Strada),
anche alla luce delle successive modifiche apportate (in particolare
quelle contenute nella legge di riforma n. 120 del 29 luglio 2010), sia
per quanto concerne le fattispecie giuridiche normate, sia per quanto
riguarda il profilo sanzionatorio, sono la Direttiva 2006/22/CE che
fornisce il quadro di riferimento delle attività ispettive su strada e nei
locali d’impresa, e il Regolamento (UE) n. 165/2014 (20), poi modifi-
cato dal successivo Regolamento (UE) n. 2016/799, che disciplina lo
strumento di registrazione (tachigrafo) dei tempi di guida e dei periodi

    (18) Direttiva 2002/15/CE dell’11 marzo 2002 concernente l’organizzazione
dell’orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto.
In Italia questa Direttiva è stata recepita con il D.Lgs. n. 234 del 19 novembre 2007.
    (19) Regolamento (CE) n. 561/2006 del 15 marzo 2006 relativo all’armoniz-
zazione di alcune disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada
e che modifica i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 3821/85 e (CE) n. 2135/98 e
abroga il Regolamento (CEE) n. 3820/85 del Consiglio.
    (20) Regolamento (UE) n. 165/2014 del 4 febbraio 2014 relativo ai tachigrafi
nel settore dei trasporti su strada, che abroga il Regolamento (CEE) n. 3821/85 del
Consiglio relativo all’apparecchio di controllo nel settore dei trasporti su strada e
modifica il Regolamento (CE) n. 561/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio
relativo all’armonizzazione di alcune disposizioni in materia sociale nel settore dei
trasporti su strada.

Nuovo not. giur. 2020, n. 2                                                 — 263
— La normativa sul distacco dei lavoratori

di riposo, consentendone quindi la corretta gestione in conformità a
quanto stabilito dal predetto Regolamento (CE) n. 561/2006.
Sebbene non sia oggetto della trattazione del presente articolo, è
importante sottolineare come la normativa sociale richiami in modo
esplicito quattro obblighi precipui in capo alle aziende di autotrasporto
(21) configurando, oltre alla responsabilità oggettiva del conducente
a cui la normativa sociale è indirizzata in via primaria, anche una
responsabilità in capo alle stesse aziende di autotrasporto (22) (Sitran
& Carnielli, 2020).

    (21) Gli obblighi in capo alle aziende di autotrasporto sono dedotti dalla lettu-
ra congiunta degli artt. 10 (commi 2 e 3) e 33 (commi 1 e 3), rispettivamente dei
Regolamenti (CE) n. 561/2006 e n. 165/2014. Questi obblighi sono: 1) formare e
2) istruire i propri conducenti affinché siano in grado di rispettare le prescrizioni in
materia di tempi di guida e periodi di riposo, e di corretto utilizzo del tachigrafo,
3) attuare con regolarità controlli che consentano di verificare il rispetto delle di-
sposizioni in materia di tempi di guida e periodi di riposo, e di corretto utilizzo del
tachigrafo e, infine, 4) organizzare l’attività dei propri conducenti di modo che essi
possano rispettare i tempi di guida e i periodi di riposo, nonché il corretto utilizzo
del tachigrafo. Di rilievo il comma 3 dell’art. 10 del Regolamento (CE) n. 561/2006
che, ricollegandosi con l’art. 19 dello stesso regolamento, definisce anche il regime
sanzionatorio legato alla mancata osservanza dei quattro precetti sopra citati. Lo fa
al comma 3 nel quale prevede che le “imprese di trasporto sono responsabili per le
infrazioni commesse dai rispettivi conducenti, anche qualora l’infrazione sia stata
commessa sul territorio di un altro Stato membro o di un paese terzo”.
    (22) In Italia, quest’ultima acquista, ai sensi del dettato dell’art. 174 del Codice
della Strada, una duplice veste di a) responsabilità in solido (comma 13 dell’art.
174) con l’autore della violazione al pagamento della somma a titolo di sanzione
amministrativa da questi dovuta e di b) responsabilità principale e diretta (comma
14 dell’art. 174), ossia si conferma che l’impresa di autotrasporto che nell’esecu-
zione dei trasporti non osserva le disposizioni contenute nel Regolamento (CE)
n. 561/2006, ovvero non tiene i documenti prescritti o li tiene scaduti, incompleti
o alterati, è soggetta alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma,
precisamente individuata tra un minimo ed un massimo, per ciascun dipendente cui
la violazione si riferisce (oltre alle pene previste ove il fatto costituisca reato). Tale

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La normativa sul distacco dei lavoratori —

Il secondo ambito di intervento è costituito dall’insieme di disposi-
zioni che regolano l’accesso all’occupazione e al mercato e che sono
enucleate nei Regolamenti (UE) n. 1071/2009 e 1072/2009. Entrambi
i regolamenti sono stati emanati nell’ambito dell’adozione del cd.
Road Package (23) avente per obiettivo il progredire del processo
di completamento del Mercato Unico europeo dell’autotrasporto,
assicurando migliori e più equitative condizioni di concorrenza tra
gli operatori registrati nei diversi Stati membri.
Mentre il Regolamento (CE) n. 1071/2009 definisce i criteri qualitativi
di base per poter svolgere l’attività di autotrasporto, ossia i requisiti
di: a) effettivo stabilimento nel territorio di uno Stato membro (art. 5),
b) onorabilità (art. 6), c) idoneità finanziaria (art. 7) e, da ultimo, d)
idoneità professionale, il Regolamento (UE) n. 1072/2009 stabilisce
le regole comunitarie che aprono il trasporto internazionale di merci
al cd. “cabotaggio”, il quale è definito come il trasporto di merci
all’interno del territorio di uno Stato membro effettuato da parte di
un vettore registrato in un altro Stato membro (24).
A riguardo, si sottolinea come il processo di deregolamentazione del
settore dell’autotrasporto in Europa sia avvenuto per gradi, avendo il
1994 come suo momento iniziale. Nel 2006 le regole sul cabotaggio
sono state inizialmente estese ad alcuni Stati membri, mentre è nel
2009 e nel 2012 che l’accesso a questo regime è stato consentito anche
ai nuovi Stati membri dell’UE-12.

responsabilità è, quindi, posta a carico dell’azienda di autotrasporto senza che sia
presente una particolare indagine sul profilo soggettivo della condotta.
    (23) Un terzo Regolamento, (UE) n. 1073/2009, è altresì parte del Road Package
e disciplina la fornitura di servizi internazionali di trasporto passeggeri occasionali.
    (24) Se osservato in termini di volume di trasporto (espresso in tkm, ossia di
tonnellate/km), il cabotaggio assicura volumi ancora contenuti (4.3%) sul totale del
trasportato in Europa, sebbene sia la tipologia di trasporto che abbia conosciuto la
crescita più considerevole dal 2013 (fatto 100 il 2013, nel 2017 il cabotaggio faceva

Nuovo not. giur. 2020, n. 2                                                   — 265
— La normativa sul distacco dei lavoratori

Il Regolamento (UE) n. 1072/2009 segna, pertanto, la fine di regole
dedicate per singoli Stati membri, introducendo per contro un prin-
cipio di coordinamento generale delle singole discipline domestiche.
Un punto cruciale è rappresentato dalla sostituzione della precedente
formulazione giuridica della “base temporanea” con l’introduzione di
un preciso limite temporale. È da quel momento che viene introdotta
e applicata la regola del “3 in 7”, ovvero la possibilità per un vettore
estero di poter effettuare un massimo di tre operazioni di cabotaggio
all’interno di un periodo massimo di sette giorni (la data di avvio del
cabotaggio decorre dalla data in cui è eseguita l’operazione di scarico
del viaggio internazionale, che è sempre il primo viaggio in ingresso
nel territorio di uno Stato membro).
Ampio il dibattito che è sorto sull’efficacia e le implicazioni della
disciplina attuale del cabotaggio e numerose, ad ogni modo, le criti-
cità che sono emerse in tale ambito, amplificate ulteriormente dalla
crescente internalizzazione dei vettori stradali europei e, conseguen-
temente, dalla necessità per essere di operare in un mercato altamente
competitivo, con margini di profittabilità che si sono progressiva-
mente ridotti e che, pertanto, hanno esacerbato in modo pugnace,
come dicevamo in precedenza, l’esigenza di contenere quanto più
possibile i costi, a cominciare da quello del lavoro (Di Gianni, 2015;
Lewandowski, 2016; Refslund & Thornquist, 2016; Simurkov &
Poliak, 2019).
Si osservano, per altro, difficoltà legate agli spazi interpretativi che
connotano talune disposizioni del Regolamento (UE) n. 1072/2009
(come la stessa restrizione delle tre operazioni di cabotaggio nell’ar-

registrare una crescita del +66%). In Europa (EVA, 2019) è il Belgio il paese con
il maggiore tasso di penetrazione di vettori esteri (13.8%, dato 2017). La Polonia
è, per contro, il paese da cui origina la quota maggiore di cabotaggio con circa il
40% delle operazioni svolte dai suoi vettori (dato 2017).

266 —                                                     Nuovo not. giur. 2020, n. 2
La normativa sul distacco dei lavoratori —

co dei sette giorni, ETF, 2018) (25) che, sicuramente, hanno reso
problematica la già non facile azione di enforcement e che hanno
dimostrato come, nel tempo, non tutti gli Stati membri si muovano
in maniera paritetica sia in termini di intensità dei controlli, sia in
termini di coerenza “comunitaria” nell’interpretazione delle norme
stesse, nondimeno dei profili sanzionatori applicati.
Ne è conseguita un’evoluzione di mercato dove, anche per effetto
delle divergenze salariali tra i diversi Stati membri, è stato favorito il
ricorso a forme complesse di subvezione lungo la gestione della filiera
logistica che consentono agli operatori del trasporto, in particolare
a quelli di maggiore dimensione, di fare leva in maniera flessibile
su lavoratori a più basso costo assunti temporaneamente mediante
contratti in distacco.
Proprio il distacco è divenuto uno dei canali preferenziali per l’assun-
zione transfrontaliera di forza lavoro economica che però ha posto
questi lavoratori sui livelli più bassi di remunerazione del mercato
del lavoro, mettendo così a rischio non solo l’equa concorrenza tra
operatori ma anche erodendo, specie laddove i meccanismi di control-
lo non si sono dimostrati efficaci, i diritti sociali dei lavoratori stessi
perché assunti al di fuori degli schemi minimi di tutela prevista dai
contratti collettivi nazionali di cui beneficiano i lavoratori residenti
(Cremers, 2014).
A queste criticità così come alle prospettive di nuova regolamen-
tazione offerte dalla proposta di direttiva settoriale avanzata dalla
Commissione europea in seno al primo Pacchetto Mobilità, presta
ora l’attenzione il successivo cap. 4.
    (25) La problematica qui citata dipende dalla diversa interpretazione di “opera-
zione di cabotaggio” nei diversi Stati membri, alcuni dei quali la interpretano come
singola attività di carico, oppure di scarico, o ancora come una combinazione delle
due. Ciò rende “aperto” il limite temporale dei setti giorni rendendo la normativa
difficilmente controllabile da parte delle autorità di controllo. Per un approfondi-
mento si veda ETF, 2018.

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— La normativa sul distacco dei lavoratori

4. Il distacco degli autisti: criticità e proposte di nuova regolamen-
   tazione

4.1. Problematiche attuali del quadro normativo esistente

“A motivo dell’elevato grado di mobilità che caratterizza il lavoro
nel settore del trasporto internazionale su strada, l’attuazione della
direttiva sul distacco dei lavoratori solleva particolari problematiche
e difficoltà di natura giuridica (specialmente se il collegamento con
lo Stato membro interessato è insufficiente). Sarebbe maggiormente
opportuno affrontare tali problematiche mediante una legislazione
settoriale, accompagnata da altre iniziative dell’UE finalizzate a mi-
gliorare il funzionamento del mercato interno del trasporto su strada”.
Abbiamo rispettato per esteso la dizione del considerando n. 10 della
proposta della Commissione europea del marzo 2016 di modifica delle
Direttive 96/71/CE e 2015/67 (CE, 2016), perché emblematica della
volontà della Commissione di adeguare le regole sul distacco dei
lavoratori alle peculiarità del settore dell’autotrasporto per il tramite
di una disciplina normativa ad hoc in tale contesto.
È opportuno ribadire che, negli anni, la Commissione europea ha in
più occasioni ribadito l’ancoraggio della Direttiva 96/71/CE anche al
settore dei trasporti sottolineando come le operazioni di cabotaggio
rientrano nel campo di applicazione della Direttiva e più precisamente
dell’art. 1 comma 3(a).
Le modifiche strutturali che nel tempo sono però intervenute e che
hanno rimodellato il settore dell’autotrasporto in Europa (soprattutto
come più volte ribadito dopo l’allargamento ai Paesi UE-12) hanno
indotto un numero crescente di Stati membri ad applicare un’inter-
pretazione estensiva dell’art. 1 della Direttiva 96/71/CE (e con essa
anche della Direttiva 2014/67/UE) sino ad includere nel suo campo
di applicazione non solo le operazioni di cabotaggio ma anche altre

268 —                                              Nuovo not. giur. 2020, n. 2
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