LA MENTALITÀ PNL Dispensa introduttiva al corso Practitoner Camillo Sperzagni | Modelli di Comunicazione - Practitioner 2021
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2021 LA MENTALITÀ PNL Dispensa introduttiva al corso Practitoner © Camillo Sperzagni | Modelli di Comunicazione Copyright di Modelli di Comunicazione 2021
1. LA MENTALITÀ PNL NON È NEI LIBRI DI PNL Nata ormai cinquant’anni fa, la Programmazione Neurolinguistica è a tutt’oggi uno dei sistemi più potenti, flessibili e collaudati per chi vuole migliorare se stesso e le cose attorno a sé. Lo dimostrano le continue conferme che arrivano dalle neuroscienze nonché il vasto impiego di tecniche PNL in terapia, nel management, nel coaching, nelle attività di intelligence e altro ancora. L’interesse verso questo modello è attestato anche - purtroppo- dalle decine di libri che promettono metodi “semplici ed efficaci” per avere successo, soldi e felicità grazie alla PNL. Naturalmente c’è gente che li acquista, e magari prova anche a metterli in pratica ottenendo di solito due risultati: accrescere la propria frustrazione e sgretolare l’opinione personale sulla PNL. Questo è uno dei risultati tipici che derivano dal fatto di affrontare strumenti nuovi sulla base di un pensiero vecchio: l’idea di poter diventare una persona di successo e carismatica con due trucchetti “giusti”, da prestigiatore della domenica. Una questione di mentalità Invece, come anche dice Richard Bandler, che ne è uno dei padri fondatori, la PNL è anzitutto una mentalità. O un mindset, come oggi si usa dire. Quella serie di tecniche che vengono illustrate nei libri o nei tanti corsi che girano NON sono la PNL, ma esempi di come funziona, di cosa può generare. Per far apprendere qualcosa è senz’altro utile fornire esempi, ma occorre anche andare oltre. Altrimenti è come insegnare ingegneria informatica presentando applicazioni e programmi senza mai parlare di sistemi operativi e linguaggi di programmazione. E nel caso della PNL i linguaggi di programmazione stanno in diverse discipline esterne alla PNL stessa: linguistica, cibernetica, teoria dei sistemi, scienze neurocognitive, modelli epistemologici come il costruttivismo o il costruzionismo sociale. Ciò non significa che per costruirsi un mindset giusto occorre avere cinque lauree e due dottorati, ma che almeno si faccia uno sforzo mentale per capire quali sono i presupposti che stanno all’origine della Programmazione Neurolinguistica e farli propri. www.modellidicomunicazione.com 1
Infatti la Programmazione Neurolinguistica è ingannevolmente semplice. Non fa uso di parole specialistiche, parla di cose di tutti giorni, spesso sembra di averla già inconsapevolmente praticata, e anche ai livelli meno esperti è possibile ottenere quasi subito dei risultati piccoli ma tangibili. Un po’ in tutto il mondo c’è un buon numero di trainer che fanno soldi usando (loro sì con abilità) la PNL per vendere l’illusione dei superpoteri a portata di mano. Ma in realtà le cose stanno ben diversamente, come in ogni modello operativo concepito per lavorare sulla mente propria e altrui. Usare professionalmente la PNL richiede un apprendimento impegnativo a livello cognitivo, linguistico e comportamentale, con un costante allenamento come fosse una pratica sportiva. E in mezzo a tutto ciò, un mindset appropriato. Ci serve una mentalità nuova e diversa Per usare una frase abusata, è indubbio che viviamo una fase di cambiamento intenso, veloce e incontrollato. A ogni livello. Stiamo assistendo in questi anni a un vero e proprio rivolgimento del mondo così come lo conoscevamo. Nel sociale come nella scienza, nell’economia come nel lavoro, nella medicina come nell’ambiente. Alcuni di questi cambiamenti ci affascinano, altri ci spaventano, altri ancora ci disorientano. Ormai da alcuni anni nei contesti organizzativi viene usato l’acronimo inglese VUCA per descrivere come il mondo ci appare: Volatile, Incerto (Uncertain), Complesso, Ambiguo. In uno scenario di questo tipo, fare previsioni e progetti a lungo termine diventa un vero e proprio azzardo, se non addirittura un atto di coraggio. E infatti spesso la soluzione adottata è quella di tirare a campare, sperando in tempi migliori che però -è bene dirlo subito- non si sa quando arriveranno, e comunque non assomiglieranno molto ai “tempi migliori” ai quali eravamo abituati. Perché qui sta il vero problema: il nostro modo di pensare si è strutturato, dall’infanzia in poi, su un’idea di mondo dove sicurezza e prevedibilità erano i due pilastri portanti. Per questo l’incertezza di oggi ci sembra ingiusta e innaturale, tanto che molti cercano indizi di complotti e congiure planetarie. Il progresso- pensavamo- era semplicemente un incremento graduale di tecnologie e conquiste sociali. Alcuni pensatori parlavano addirittura di “fine della storia”. www.modellidicomunicazione.com 2
Fine dell’illusione In realtà, come insegna la Teoria dei Sistemi complessi, garantire sicurezza e prevedibilità per tutti e sempre è di fatto impossibile. I rivolgimenti, i riequilibri, i conflitti sono sempre dietro l’angolo, specialmente in un mondo iperconnesso come quello in cui viviamo. Dunque disgrazia, sfortuna, destino infame? La verità è che fin dalla sua origine la specie umana si è evoluta nell’incertezza, esplorando e rischiando. In tutta la nostra storia i periodi di stabilità sono sempre stati transitori e localizzati, e cionondimeno abbiamo sempre trovato il modo di reagire e rilanciare, rivedendo il modo di pensare e scorgendo nuove opportunità dove prima non c’era nulla di interessante. Oggi nel fronteggiare uno scenario di cambiamento il problema maggiore sembra risiedere anzitutto all’interno di chi dovrebbe reagire e agire: l’essere umano. Abbiamo tecnologie, conoscenze, strumenti di analisi. Ma in questo momento la specie umana sembra non essere in grado di organizzare le risorse di cui pur disporrebbe. Non è cattiva volontà: il problema sta nel fatto che abbiamo creato una complessità che il nostro cervello non è in grado di governare. Gli studi di sociopaleontologia ci dicono che per centinaia di migliaia di anni abbiamo vissuto sempre nello stesso modo: contesti rischiosi ma spazialmente ristretti, gruppi di persone numericamente molto ridotti, pericoli da affrontare ben conosciuti. La nostra mente si è configurata per fronteggiare questi tipi di problemi, originando tutta una serie di schemi emotivo-cognitivo-motori che sono diventati parte, oltre che della nostra cultura, anche del nostro corredo genetico. Ma di fatto ci sono d’impiccio per affrontare con efficacia le sfide del mondo contemporaneo. Dunque, prima ancora che nuovi strumenti, ciò che serve è anzitutto una nuova mentalità. La PNL è qua per questo. www.modellidicomunicazione.com 3
Predisporsi al cambiamento Nella scuola dell’Istituto Modelli di Comunicazione insegniamo PNL da oltre vent’anni. Abbiamo avuto la fortuna di vedere crescere decine e decine di persone sotto i nostri occhi. Una delle cose più appaganti del nostro lavoro è proprio la sensazione di accompagnare le persone una ad una in un percorso di evoluzione personale. Ci sono delle frasi che ricorrono, tipo “La PNL mi ha cambiato”; “Non sono più la stessa persona di prima”; “Il mondo mi sembra diverso”; e altro ancora. Nell’approccio tradizionale di apprendimento PNL, si è sempre scelto di anteporre la pratica alla spiegazione. Ovvero, si aiutano gli allievi a mettere in pratica nuovi -e per loro insoliti- schemi di pensiero e azione, per toccarne con mano i risultati. E’ un’impostazione senz’altro valida, usata pressoché da tutte le scuole, che evita il pericolo di creare la confusione che si presenta ogni qualvolta si affronta un argomento davvero nuovo. Ciò che accade infatti in questi casi è che il corsista “traduce” ciò che si sente dire nei termini delle esperienze che ha già fatto, e dunque farà immancabilmente la stessa cosa quando entrerà in azione. Per questo motivo si cerca di far sì che ogni soggetto possa entrare nella nuova esperienza mettendo a tacere il più possibile aspettative, pregiudizi, esperienze pregresse: ma è davvero possibile? Certamente no. Come diceva lo scrittore premio Nobel Anatole France, “Lusingarsi di essere senza pregiudizi è di per sé il più grande pregiudizio”. Ciò è particolarmente vero quando si affrontano esperienze inconsuete. Possiamo certamente sforzarci di mettere da parte i giudizi, le aspettative e i timori che subito si affollano nella mente; ma è chiaro che possiamo riuscirci solo in modo molto parziale, perché il nostro cervello NON può astenersi dalla produzione di senso e significato se non per pochi secondi – a meno di non essere Maestri Zen, che però purtroppo non abbiamo mai avuti come allievi. Di cosa si sta parlando? Peraltro se chiediamo a qualche praticante anche evoluto di spiegarci cos’è la PNL, tipicamente ci verrà detto invece cosa fa la PNL o come agisce e di cosa si occupa. www.modellidicomunicazione.com 4
Se poi la persona interrogata sa poco o niente della PNL, vi riferirà comunque una sua opinione o pregiudizio sull’argomento; anche qui la legge di Donning-Kruger, in base alla quale meno una persona ne sa e più è sicura di quello che dice, troverà conferma. In realtà questo è un problema di quasi tutte le discipline, anche le più scientifiche: la matematica ad esempio è definita come un modello logico che si occupa di numeri e calcoli. Poiché alle attività relative ai numeri e ai calcoli si è dato il nome di matematica, siamo chiaramente di fronte a una definizione circolare. Il problema perciò non è tanto definitorio, quanto di “mentalità”. Un matematico pensa in modo matematico, un architetto in modo architettonico, un musicista in modo musicale, un falegname in modo… legnoso. La cosa da evidenziare è che la “mentalità” non fa parte dell’argomento di cui si occupa, ma lo rende possibile e lo sviluppa. Per essere più chiari, la mentalità del falegname non è composta di legname, attrezzi e progetti, ma di risorse cognitive e comportamentali atte a organizzare tutto ciò in modo produttivo. E’ proprio lo stile di pensiero che fa la differenza tra un professionista e un amatore che ogni tanto si occupa della materia. Le due k-word Ecco perché abbiamo scritto una dispensa per aiutarti a “capire veramente” le premesse della PNL. Subito dopo il concetto di mindset, il verbo “capire” è la chiave di questo libro. Nell’accezione latina originaria, “capire” è più che una semplice informazione. E’ un prendere con sé, integrare nella propria struttura. Nella vita come nel lavoro, per saper agire con efficacia è importante saper capire. Questa è una regola aurea che oggi però viene sempre più spesso trascurata in nome della velocità di risposta, oppure partendo dal presupposto che c’è già qualcuno che capisce per conto nostro, a noi spetta solo agire seguendo le regole. Siamo affamati di risultati, e ci dimentichiamo che quando si tratta della nostra vita e delle nostre scelte fondamentali, agire senza aver capito ci espone ai capricci del caso (o di qualcun altro). Invece in molti manuali di PNL fai da te ci si concentra su come realizzare obiettivi e desideri, ma senza mai entrare nel merito dei percorsi generali di senso e significato che li fanno sorgere (perché vuoi realizzare queste cose e non altre? In base a quali presupposti?), dei processi emotivi e cognitivi che li www.modellidicomunicazione.com 5
alimentano (come ti senti e cosa ti dici rispetto a ciò che desideri?), né tantomeno di come prevedere gli effetti che il fatto di soddisfarli potrà avere sulla vita tua e altrui. Questa dunque è una dispensa il cui obiettivo riguarda la comprensione di ciò che sta a monte dell’azione. Per ottenere risultati di valore effettivo, alcune riflessioni su come funzioni tu e su come funziona il mondo attorno a te sono una premessa indispensabile, che affronteremo assieme step by step utilizzando una buona volta la PNL non tanto per interagire con gli altri (questo lo faremo più avanti), quanto per acquisire consapevolezza. Qualcuno potrebbe obiettare che anche comprendere è un’azione, e avrebbe ragione. Ma i risultati di questa azione si vedono prima di tutto dentro: è un’azione di costruzione di un nuovo mindset. www.modellidicomunicazione.com 6
2. COS’E’ LA MENTE E A COSA DOVREBBE SERVIRE Benché negli ultimi decenni le neuroscienze abbiano fatto passi da gigante grazie anche all’uso di tecnologie innovative, la vera natura della mente è ancora ben lontana dall’essere compresa. Siamo in grado di “vedere” come i nostri neuroni si attivano e si connettono in concomitanza con certe esperienze, riusciamo a capire quali parti delle nostre reti neurali sovrintendono determinati processi, ma se voi pensate a una tazza di panna con le fragole nessuno potrà mai saperlo, nemmeno ricorrendo agli strumenti più sofisticati. Il fatto è che la mente come fenomeno non è “dentro” il cervello – almeno non più di quanto una emittente televisiva sia dentro al televisore- ma è essa stessa un’esperienza complessa che deriva dal continuo agire del nostro sistema mente-corpo per interfacciarsi al meglio con l’ambiente in cui viviamo. La mente nasce dalla relazione tra noi e “qualcosa di diverso” da noi; se manca uno dei due termini, non c’è niente. Tutto il nostro corpo è intelligente: non solo è ormai assodato il fatto che abbiamo tre cervelli (oltre al principale, attorno al nostro intestino c’è una rete neurale complessa quanto il cervello di un gatto, preposta -pare- ai processi intuitivi, e in zona pericardica ce n’è una terza meno ricca di neuroni che però fa da interfaccia per le altre due), ma sappiamo anche che tutti i nostri organi interni sono connessi in questa rete neurale sia direttamente sia tramite neurotrasmettitori (i peptidi) che essi stessi sono in grado di produrre oltre che ricevere. Sappiamo infine che i nostri pensieri e le nostre esperienze sono in grado di inviare feedback alla rete in modo da riconfigurare connessioni, attivare e disattivare zone della rete, influenzando comportamenti e modificando abitudini. Una domanda che ci riguarda più direttamente è invece la seguente: perché abbiamo una mente? E perché avere una mente rappresenta una risorsa importante ai fini del nostro www.modellidicomunicazione.com 7
modo di sopravvivere ed evolvere? Sul nostro pianeta esistono, da centinaia di milioni di anni, numerosi organismi che non hanno nemmeno un vero sistema nervoso, eppure hanno avuto un grande successo riproduttivo: le meduse, ad esempio, come anche i ricci di mare. Ma per molti altri viventi invece il fatto di avere una mente ha rappresentato la risorsa fondamentale per continuare a esistere. In che modo? 2.1 Viviamo di previsioni Uno dei primi studiosi a fornire una risposta chiara e sintetica è stato, negli anni ’50 del secolo scorso, lo psicologo americano George Kelly: la mente serve ad anticipare il futuro. Cioè, se ci fate caso, la mente può costruire delle rappresentazioni di eventi futuri e orientare l’azione in funzione di questa immagine. Non solo può farlo, ma questa è esattamente la sua funzione principale, la sua ragion d’essere. Se io mi avvicino a un caminetto accesso per aggiungere legna, prima che io lo faccia la mia mente produce molto rapidamente tutta la scena basandosi sulle esperienze pregresse, su quello che mi hanno detto o che ho letto. In questo modo il mio corpo produce immediatamente lo schema neuromotorio per agire nel modo più opportuno – e in più evitarmi una scottatura. Ma se ho una mente ancora più evoluta posso anche immaginare con altrettanta rapidità quanto durerà la legna di cui dispongo, e nel caso pianificare un’uscita per procacciarne altra, e passare velocemente in rassegna dentro di me tutti i posti conosciuti dove penso di trovarla, e valutare i differenti percorsi che implicano. Come dice Kelly, “i nostri processi sono psicologicamente orientati in base a come creiamo anticipazioni del futuro”. Questo ci dice una cosa importante: che le mie azioni in gran parte non sono frutto delle circostanze, ma degli effetti che io mi aspetto che ne deriveranno. Questo indubbiamente ci dà dei vantaggi, perché ci consente di “giocare d’anticipo”, arrivando già preparati nelle situazioni che potranno verificarsi. Ma d’altra parte comporta anche dei rischi: www.modellidicomunicazione.com 8
• Affrontare una situazione nuova usando rappresentazioni fuorvianti da vecchie esperienze. Ad esempio, una persona che ha avuto ripetute relazioni infelici con alcuni partner potrebbe avvicinarsi a nuovi incontri con un assetto psicologico che non l’aiuta a ottenere ciò che potrebbe dalla nuova relazione. • Dopo ripetuti insuccessi nel conseguire un obiettivo, giungere alla conclusione che ulteriori tentativi saranno ugualmente insoddisfacenti. Se un ragazzo fallisce più volte il test d’ingresso a una università, costruirà probabilmente le sue anticipazioni su aspettative di fallimento. • Vivere un’esperienza nel “presente a metà”: anziché focalizzarsi sul qui e ora, portare la mente alle implicazioni future -positive o negative- mancando così di vivere davvero ciò che sta succedendo. E’ una questione di misura: occorre capire quando è meglio fermarsi nel prevedere e stare invece in ciò che sta accadendo, specie se è piacevole. • Farsi l’idea che tutto ciò che è nuovo e ignoto -per cui non riusciamo a farci anticipazioni sufficientemente dettagliate e soddisfacenti- sia una fonte di rischio o fatica da cui rifuggire. In altre parole, non avere fiducia nelle proprie capacità di gestire l’imprevisto. Il rimedio c’è, si chiama curiosità. Infine c’è il rischio più grande, che è quello di credere che il nostro modo di immaginare il futuro sia senz’altro giusto e attendibile, e che non ne possano esistere altri altrettanto efficaci, se non più. Questo è un punto cruciale: il nostro processo mentale funziona come un puntatore, e se non impariamo a governarlo tenderà a proporci scenari prefissati che potranno risultare gradevoli o meno, ma che in ogni caso ci sembreranno “ovvi, naturali e inevitabili”. Come in una mappa in cui tutte le strade tranne una sono state cancellate. Avete mai avuto la sensazione che la vostra vita sia un po’ troppo affollata da situazioni che si ripetono? Bene, ora sapete di chi è la colpa. www.modellidicomunicazione.com 9
2.2 I livelli della mente Abbiamo quindi visto che la mente consiste essenzialmente in una serie di rappresentazioni di situazioni relative alla persona che le costruisce. Come diceva Spinoza, filosofo olandese del XVII secolo, “La mente è il pensiero del (proprio) corpo”. Ogni animale sufficientemente evoluto – i mammiferi e gli uccelli in particolare, ma anche il polpo- possiede una mente con cui può rappresentare un suo futuro a breve creando nessi di causa-effetto: “se faccio (o se accade) x, accadrà y”. Ma la mente umana non si esaurisce qui. Grazie anche al linguaggio, l’essere umano ha sviluppato un secondo livello mentale che valuta e giudica le rappresentazioni in base a criteri che vanno molto oltre le semplici cause-effetto: questi criteri sono credenze e aspirazioni sulla propria vita, sul mondo, su cosa è giusto e sbagliato per sé. Possiamo chiamare questo secondo livello col nome di Coscienza. Grazie ad essa possiamo valutare gli effetti a lungo termine del nostro modo di pensare, e quando serve effettuare le correzioni del caso: spesso il segnale che qualcosa va aggiustato ci viene da quella spiacevole sensazione emotiva che definiamo rimorso. Non sarete sorpresi a questo punto se vi dico che -anche se non in tutti gli esseri umani- è attivo addirittura un terzo livello di mente, che esamina criticamente i contenuti della Coscienza rispetto non più solamente al proprio sé, ma considerando invece una visione complessiva del mondo e dell’universo. Coincide in pratica con quella che oggi chiamiamo Awareness o Consapevolezza: un concetto interessante su cui torneremo più avanti. In sintesi siamo passati da una struttura mentale molto basic, fatta di rappresentazioni concrete, a una costruzione multilivello sempre più astratta: -Processi mentali/cognitivi aventi come oggetto il corpo: Mente -Processi mentali/cognitivi aventi come oggetto la mente: Coscienza -Processi mentali/cognitivi aventi come oggetto la coscienza: Consapevolezza www.modellidicomunicazione.com 10
Possono esistere ulteriori livelli dopo la awareness? Al momento attuale non lo sappiamo. Peggio: non riusciamo nemmeno a immaginare in cosa potrebbero consistere. Non ci resta che attendere. ALCUNI PUNTI DA RICORDARE • La mente non è nel cervello, ma nasce dall’interazione tra noi e il mondo • La funzione della mente è anzitutto quella di “anticipare” il futuro, immaginandolo • L’uso del linguaggio ha creato nuovi livelli della mente via via più astratti e svincolati dall’esperienza immediata www.modellidicomunicazione.com 11
3. EMOZIONI E SENTIMENTI Se c’è una cosa che accomuna tutti gli esseri viventi dotati di cervello, è il fatto di provare emozioni. Gli animali spesso reagiscono automaticamente alle emozioni, ma noi umani – anche se non sempre- siamo in grado di interagire con ciò che proviamo. Anzi, per molti secoli e fino a tempi recenti, le emozioni sono state guardate con sospetto, per non dire disprezzo. Infatti l’ideale di uomo era quello di una creatura capace di agire esclusivamente su basi razionali, mettendo a tacere o al limite modulando in modo educato i propri sentimenti e le proprie passioni, classificate come elementi di disturbo. E’ solo da circa una quarantina d’anni -dagli anni ottanta del secolo scorso- che le emozioni hanno iniziato a essere considerate come parte fondamentale e costitutiva del nostro essere umani, come forze a nostra disposizione -dotate di forte capacità cognitiva- con cui dialogare e trovare modalità opportune di espressione, sviluppando quella che Daniel Goleman chiama intelligenza emotiva. In sostanza e un poco alla volta, si è preso atto che: • le emozioni creano la qualità delle nostre esperienze proprio nel momento in cui le stiamo vivendo: da soli o tra gli altri. • La qualità delle nostre esperienze non è determinata da ciò che stiamo facendo, ma da ciò che proviamo mentre lo facciamo. • Le emozioni sono il più importante modulatore dell’energia di cui disponiamo • Le emozioni ci dicono “la verità” su come stiamo vivendo una certa esperienza. Non sono “irragionevoli”: quando arrivano c’è sempre un motivo fondato. • Avere alternative in fatto di emozioni significa poter avere una qualità diversa nelle esperienze. • Per avere alternative ci occorre un tipo di intelligenza speciale che legga, riconosca e trasmetta le emozioni in modo funzionale Domanda da un milione di euro: le emozioni sono innate, insite nel nostro DNA? www.modellidicomunicazione.com 12
Almeno per quelle cosiddette “di base” -Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura, Disgusto- si pensava di sì, almeno fino a pochi anni fa. Il motivo sta nel fatto che le loro modalità di espressione (espressioni del viso, atteggiamenti) risultano più o meno identiche in TUTTA la popolazione umana. Ma questo di per sé non dimostra ancora che abbiano una base genetica: potrebbe benissimo essere che certi tratti culturali di base siano comuni a tutta l’umanità. Di fatto alcune lunghe ricerche delle neuroscienze (Lisa F. Barrett, 2016) non hanno evidenziato l’esistenza di alcun “circuito emotivo” nel nostro sistema neurale. Gli scienziati sono giunti perciò alla conclusione che ogni emozione non scatta automaticamente, ma richiede sempre una velocissima valutazione e attribuzione di significato alla situazione in atto. E’ solo da questo “giudizio” che una certa sensazione si concretizza in emozione vera e propria. In sostanza, prima c’è una sensazione fisica -ad esempio battito accelerato, respiro più breve, stomaco contratto. Poi arriva la valutazione che -in base al contesto- trasforma queste sensazioni piuttosto generiche in qualcosa di definito : rabbia, paura, ansia, sfida, o magari colpo di fulmine. Poiché giudizi e valutazioni vengono elaborati dall’area corticale del cervello, che è sotto il nostro controllo cosciente, è proprio in questo processo di significazione che può innestarsi lo sviluppo dell’intelligenza emotiva. 3.1 Scordati di “comandare” le emozioni Come tutte le intelligenze, si tratta di qualcosa che va allenato. Immaginate di avere un cavallo: è una creatura forte ma sensibile, con un suo modo di vedere le cose. Può trasportarvi velocemente, farvi fare passeggiate meravigliose, regalarvi una splendida relazione. Ma non sarà mai un robot, qualcosa che potete comandare a vostro piacimento senza tener conto di come la pensa e della relazione che ha con voi. Potete al limite rinchiuderlo, ma non ne avrete grandi soddisfazioni. Con le emozioni è un po’ la stessa cosa: la sola forza di volontà cosciente non garantisce il risultato. Ma solo loro, le emozioni, possono fornirvi l’energia che vi serve per affrontare efficacemente la vita con le sue varie situazioni. Avere l’emozione giusta al momento giusto è una garanzia di motivazione, forza e in definitiva successo. Ma -come è nell’esperienza di ognuno di noi- non sempre le cose vanno per il verso desiderato. www.modellidicomunicazione.com 13
Ai suoi inizi la PNL non si è occupata direttamente di emozioni e cosa farsene, semplicemente forniva strumenti per produrre stati emotivi positivi, e più ancora per dissipare stati emotivi bloccanti o demotivanti. Ma nei suoi sviluppi più recenti, a partire dagli anni 90 del secolo scorso, grazie in particolare al trainer David Gordon, ha iniziato a lavorare proprio sulla possibilità di trasformare le emozioni in modo funzionale. Funzionale in che senso? E’ presto detto: funzionale rispetto a ciò che vorremmo ottenere in una determinata situazione. Devo fare un importante colloquio di lavoro e mentre sto per entrare avverto quella sensazione prima descritta: battito accelerato, respiro corto, stomaco contratto. Se la classifico come “ansia” non partirò certo bene; ma se invece la definisco come “sfida”, è stato provato sperimentalmente su una serie di indicatori che la mia performance crescerà di un bel 15%. Dare un nome appropriato a un certo stato fisiologico equivale a saper mettere le briglie al cavallo: la regola è che dev’essere più o meno compatibile con la gamma di sensazioni che state provando, altrimenti ve la state semplicemente raccontando, e non c’è “positive thinking” che tenga. 3.2 Il cruscotto emotivo L’emozione fondamentalmente non è qualcosa che pensiamo, ma piuttosto qualcosa che sentiamo. “Una disposizione dinamica del corpo che definisce l’ambito della nostra esperienza” (H.Maturana). Proprio in quanto pervade tutto il nostro essere, l’emozione è strutturata su diversi elementi: • Fisiologici modificazioni riguardanti la respirazione, la pressione arteriosa, il battito cardiaco , la circolazione, la digestione, etc. • Comportamentali cambiano le espressioni facciali, la postura, il tono della voce e le reazioni (attacco o fuga, per esempio). • Psicologici cambia il modo e il contenuto dei pensieri, si modifica la produzione di senso. www.modellidicomunicazione.com 14
In brevissimi istanti, la nostra mente etichetta queste sensazioni con un nome, producendo un feedback di ritorno su di esse che le consolida in una certa direzione, come si è visto prima. Gli sviluppi della PNL ci aiutano a diventare coscienti di tutti questi dettagli per trasformarli in un cruscotto operativo. Poiché infatti c’è corrispondenza tra queste manifestazioni corporee/psicologiche e una certa emozione, se impariamo a interagire con esse potremo anche allenarci a cambiare stato emotivo. Respiro, postura, espressione, voce, contenuti del pensiero, sono in linea di principio modificabili sotto il nostro controllo. Diverse tecniche PNL ci aiutano a farlo. Ma per sviluppare efficacia la prima cosa da fare è uscire dall’analfabetismo emotivo di cui tutti più o meno soffriamo. Moltissime persone usano all’incirca tre termini per definire l’intera gamma emotiva: essere giù, essere ok e essere inca##*ti. Pensate che un recente (2017) studio condotto dal professor Dacher Keltner, docente di psicologia presso la University of California di Berkeley ed esperto di scienze delle emozioni, evidenzia invece una gamma di ventisette emozioni umane: ammirazione, adorazione, apprezzamento estetico, sorpresa, ansia, timore, imbarazzo, noia, calma, confusione, desiderio, disgusto, dolore empatico, incanto, invidia, eccitazione, paura, orrore, interesse, felicità, nostalgia, amore, tristezza, soddisfazione, desiderio sessuale, empatia ed esultanza. E per ognuna di queste esistono molti altri termini per contrassegnare le relative sfumature: il timore ad esempio può variare da esitazione a paura a terrore. In conclusione, non siate passivi fruitori delle emozioni spiacevoli che vi capitano, osservatele da fuori e cercate di dire la vostra. Un esempio? Stati emotivi come “riflessività” e “malinconia” hanno in comune gran parte degli elementi costitutivi, e scivolare dall’uno all’altro è spesso una pura questione di definizione. Perché accettare di essere persone malinconiche, se potete invece essere individui riflessivi? 3.3 Emozioni positive e negative: esistono davvero? Questo è un punto importante: nella PNL non esistono emozioni positive o negative. Ogni emozione in definitiva ci dice come sta procedendo il nostro rapporto con il mondo e noi stessi in una certa situazione di vita. Quando tutto va per il verso giusto, l’emozione www.modellidicomunicazione.com 15
piacevole ci dice che è tutto ok, possiamo rilassarci; quella spiacevole invece ci informa che dobbiamo darci da fare in qualche modo. Entrambe sono utili, proprio perché ci danno informazioni. Anche qui l’intelligenza emotiva può intervenire, aiutandoci a decifrare correttamente questi messaggi. Tutto a posto dunque? Non proprio, c’è una complicazione da affrontare. L’emozione in fin dei conti è un’etichetta che contrassegna la qualità dell’esperienza che stiamo facendo. Ma come dicevamo prima, questa etichetta nasce da nostri giudizi e attribuzioni di significato a ciò che accade. Cammino per strada, vedo una banconota accartocciata per terra, la raccolgo e la stiro. Vedo che è un biglietto da dieci euro. Sono più contento oppure più deluso? Questo non dipende dalla banconota ovviamente, ma dalle mie aspettative su me, sul mondo, sugli altri. Perciò un’altra componente importante dell’intelligenza emotiva è il proprio abito mentale: anche qua il mindset ha molto da dire. Tenendo sempre a mente che ogni emozione può essere utile o dannosa non di per sé, ma in base al contesto. Una giusta dose d’ansia ad esempio può essere d’aiuto per prepararci con attenzione a un appuntamento importante, purché non sia un appuntamento romantico. ALCUNI PUNTI DA RICORDARE - Le emozioni sono la “verità” delle nostre esperienze - Le emozioni possono attivare o disattivare le nostre energie - Le emozioni hanno sempre una doppia natura: fisica e cognitiva - I nomi che diamo alle emozioni sono semplici strumenti di lavoro - Le emozioni non si “dominano”, ma ci si mette in relazione con loro www.modellidicomunicazione.com 16
4. DECISIONI, INTUIZIONI, RISORSE E TRAPPOLE Tutti noi, quando valutiamo una situazione o ponderiamo una scelta, pensiamo di farlo in modo logico e razionale. E se poi la scelta si rivela sbagliata, ci rimproveriamo di non esserlo stati abbastanza. Ebbene, vi piacerà sapere che non è così, né lo sarà mai. Già nel lontano 1963 lo psicologo cognitivista Herbert Simon (poi premio Nobel per l’economia) elaborò il Teorema di Razionalità limitata, che dimostrava l’impossibilità concreta, in ogni situazione, di poter scegliere la soluzione ottimale. Molto in sintesi, Simon sostiene che la razionalità di un individuo è limitata da vari fattori: dalle informazioni che possiede, dai limiti cognitivi della sua mente, dalla quantità finita di tempo di cui dispone per prendere una decisione. Il risultato è che nelle varie situazioni si finisce per accontentarsi di una scelta soddisfacente… per chi la compie. Ma la “soddisfazione” è solo uno stato emotivo, i cui criteri sono soggettivi e molto spesso extrarazionali: timori, pregiudizi, antipatie e simpatie e via dicendo. In realtà poi più che di scelta “soddisfacente” dovremmo parlare di scelta “convincente”: quante volte una decisione “convincente” si è poi rivelata un flop alla prova dei fatti, e dunque poco o niente “soddisfacente”? Forse anche per questo molte persone finiscono per prendere decisioni basandosi su elementi irrazionali come “il fiuto” o “l’intuizione”. Ma non è detto che sia una buona idea. 4.1 Bias Cognitivi: difetti di progettazione? Bias (si dice bàies) è un termine inglese che significa pregiudizio, inclinazione. Il concetto di Bias Cognitivo è stato introdotto dallo psicologo Daniel Kahneman, poi vincitore del premio Nobel per l’economia nel 2002, dopo lunghe ricerche sul campo. In sostanza il cervello umano non nasce come un hard disk vuoto: già alla nascita ogni essere umano ha installati diversi schemi cognitivi per fare scelte, prendere decisioni, fare valutazioni di ogni genere. La scoperta di Kahneman è che questi schemi non aiutano i processi razionali, ma anzi tendono a deviarli o escluderli. www.modellidicomunicazione.com 17
Per capire come funzionano, immaginate che una persona venga al mondo già equipaggiata di un paio di occhiali con le lenti rosa: è chiaro che tutto il mondo avrà per lei una sfumatura diversa, qualunque cosa osservi. Allo stesso modo, nel nostro cervello agiscono diversi schemi di ragionamento (pare circa una trentina) che agiscono in modo tale da “deformare” i dati di realtà. Prendiamo ad esempio il Bias di Conferma: quando ci siamo fatti un’opinione, questo bias ci “aiuta” a percepire solo gli elementi che la confermano, escludendo quelli che potrebbero metterla in crisi. Oppure il Bias della Negatività, che ci spinge a dare maggior peso ai rischi rispetto alle opportunità, a prescindere dalle rispettive probabilità di avveramento. Più avanti nelle lezioni ci occuperemo della descrizione dei vari bias. Ma nel frattempo una domanda può venire spontanea: ci hanno forse progettato male, per farci nascere già con delle idee sbagliate? Per poter rispondere, dobbiamo prima operare una digressione su un altro aspetto della teoria di Kahneman. 4.2 Two-System view: abbiamo due sistemi mentali Ognuno di noi potrebbe obiettare di conoscere persone che non ne hanno nemmeno uno, ma ovviamente sarebbe nel torto, a fronte di un premio Nobel. I due sistemi mentali sono due distinte modalità di funzionamento del nostro cervello. La figura sottostante illustra abbastanza chiaramente le differenze. Il Sistema 1, quello del pensiero intuitivo, è il più veloce e immediato, che ci suggerisce subito risposte e idee. E’attivato dalle percezioni e dalle intuizioni, ma anche da immagini mentali e rappresentazioni dal passato, presente e futuro. Il Sistema 2, il pensiero razionale, è invece lento e costa fatica: richiede calma e concentrazione. Non è attivato dalle percezioni, ma solo in fase successiva dalle rappresentazioni mentali, dai discorsi interni. E’ il modo di pensare quando si dimostrano teoremi, si risolvono quiz, si fanno previsioni contabili. www.modellidicomunicazione.com 18
Pensiero Intuitivo Pensiero Razionale Azione SISTEMA 1 SISTEMA 2 dei BIAS Cognitivi Percezione Intuizione Ragionamento Lento, Processo Veloce, parallelo,automatico, sequenziale, senza sforzo, associativo, controllato, lento apprendimento faticoso Rappresentazioni concettuali Contenuto Percezioni Passato, presente, futuro Stimolazioni Può essere evocato dal linguaggio Le modalità con cui i due sistemi entrano in funzione e agiscono ci fanno intuire che con buona probabilità il Sistema 1 si è evoluto e perfezionato ben prima del Sistema 2. A cura di camillo.sperzagni@modellidicomunicazione.com Anzi, si direbbe quasi che quest’ultimo sia uno strumento da utilizzare solo in seconda battuta e occasioni speciali, e in particolare quando ci accorgiamo che il Sistema 1 non ci sta portando da nessuna parte. E’ da rilevare che in presenza di un forte stato emotivo è quasi impossibile lavorare col Sistema 2, e così pure in molte situazioni di stanchezza o malessere fisico. Si direbbe dunque che l’Evoluzione ci abbia giocato un brutto tiro, rendendoci più facile usare un sistema mentale irrazionale e di natura fallace come il Sistema 1 invece del più affidabile e rigoroso Sistema 2. Possibile che le cose stiano in questo modo? www.modellidicomunicazione.com 19
4.3 Euristiche, la rivincita della funzione intuitiva Quando pensiamo alla storia della nostra specie -ammesso che lo facciamo- possiamo immaginare solo vagamente le sfide e le difficoltà che ha dovuto affrontare per sopravvivere in un mondo pieno di insidie e imprevisti, dove le risorse per tirare avanti dovevano essere conquistate ogni giorno a duro prezzo. In un contesto del genere ogni scelta o decisione poteva essere questione di vita o di morte: un fruscio in un cespuglio poteva essere un coniglio oppure un predatore, imboccare una traccia oppure un’altra poteva fare la differenza fra trovare una sorgente o finire in un dirupo; e tipicamente non c’era molto tempo per decidere. In questo scenario che si è protratto per centinaia di migliaia di anni, certe modalità di pensiero più utili a sopravvivere hanno finito per fissarsi nel nostro programma genetico e diventare schemi veloci e automatici per passare all’azione. Non era questione di razionalità o verità, ma di probabilità di riuscita. Queste modalità sono state -e sono- oggetto di studio da parte soprattutto di Gerd Gigerenzer, direttore del Max Planck Institute di Berlino, che ha coniato per loro il termine di “euristiche”. Questo nome deriva dal greco euriskèin (trovare, scoprire): trovare cosa? Nel nostro caso, un modo semplice, veloce e senza sforzo per trovare soluzioni funzionali in certe situazioni. Usando una metafora, quelli che non ce le avevano sono stati mangiati dai leoni; gli altri invece hanno potuto sopravvivere e riprodursi, e noi siamo i loro discendenti. Perciò possiamo concluderne che il Sistema 1, coi suoi Bias e le sue fallacie, ha avuto almeno il merito di produrre intuizioni che sul lungo periodo hanno funzionato. Allora possiamo fidarci del nostro pensiero intuitivo? Gigerenzer sostiene di sì, purché siano verificate due condizioni: • Si è esperti in un certo campo, ovvero si possiedono risorse cognitive e tecniche utili per una determinata situazione. Chesley Sullenberger detto Sully era l’anziano ed esperto pilota del volo passeggeri US Airways 1549, che il 15 gennaio 2009 in fase di decollo da New York subì uno strike da uno stormo di uccelli, per cui i motori dell’aereo andarono fuori uso. Ma Sully sapeva come pilotare in planata anche un aereo senza i motori. www.modellidicomunicazione.com 20
• Si ha una adeguata comprensione del contesto. Data la presenza di vento contrario e la velocità con cui si perdeva quota, Sully comprese che non sarebbe riuscito a invertire la rotta e riatterrare all’aeroporto, per cui decise di tentare un ammaraggio in un punto favorevole del fiume Hudson. Tutto ciò senza poter contare su simulazioni computerizzate, ma semplicemente basandosi sulla sua intuizione di pilota con migliaia di ore di volo e sulla sua conoscenza geografica della zona. La manovra riuscì e tutti i passeggeri furono salvati. L’evento è stato poi ripreso nel film Sully (2016), diretto da Clint Eastwood. 4.4 Tirando le file Abbiamo visto dunque una situazione in cui l’intuizione “esperta” ha salvato vite umane. Ma il guaio è che il Sistema 1 è pronto a fornirci intuizioni anche quando non siamo esperti e non disponiamo di una comprensione adeguata del contesto. Ciò è in relazione al fatto che il sistema di bias ed euristiche di cui disponiamo si è strutturato in un mondo molto diverso da quello in cui viviamo. A quei tempi il contesto era circa uguale per tutti, e così pure tutti quanti erano “esperti” nel loro modo di schivare le minacce e trovare risorse. Era il cosiddetto “buon senso”. Ma oggi, quando in certi momenti ci arrivano intuizioni su come potremmo agire, prima di muoverci domandiamoci quanto siamo esperti della materia e quanto disponiamo di una conoscenza adeguata del contesto. Ad ogni modo Gigerenzer resta ottimista, esibendo una vasta casistica in cui si dimostra che le decisioni intuitive hanno un alto coefficiente di successo – e d’altra parte è probabile che anche nella vostra vita le decisioni più importanti (lavoro, affetti, spostamenti) le abbiate prese intuitivamente, salvo giustificarle a posteriori con qualche scusa razionale. Se è così, sappiate che siete stati vittime del Bias della scelta, quello che trova sempre giustificazioni brillanti a qualunque nostra scelta, indipendentemente dai suoi esiti. www.modellidicomunicazione.com 21
ALCUNI PUNTI DA RICORDARE - Abbiamo due sistemi mentali: l’intuitivo e il razionale. Il primo è automatico, il secondo richiede impegno. - Nella vita pratica i nostri giudizi sono sistematicamente “falsati” dai Bias Cognitivi che agiscono sul sistema intuitivo - Nonostante questo, le decisioni intuitive possono essere efficaci quando si ha esperienza del contesto in cui si applicano - E’ impossibile prendere decisioni perfettamente razionali www.modellidicomunicazione.com 22
5. PREGIUDIZI, CREDENZE E CONVIZIONI Grazie all’esperienza e alle facoltà immaginative, il nostro sistema neurale si costruisce nel tempo un ricco archivio di pensieri “precotti” che usa per valutare e pianificare il futuro. Si tratta di routine cognitive fisse che hanno nomi ben conosciuti: opinioni e pregiudizi. Qual è la differenza tra i due? In genere, mentre di solito un’opinione è una credenza in qualche modo suffragata e messa alla prova dai fatti, il pregiudizio non ne ha bisogno. Anzi, per dirla tutta li schifa. Esempi di pregiudizi sono le convinzioni razziali e sessiste, il tifo sportivo, i sospetti su intere categorie di persone e via dicendo. Uno dei primi a studiare sul campo questo fenomeno fu il sociologo e psicologo Leon Festinger a metà del secolo scorso, dimostrando che sui pregiudizi individuali è inutile discutere, anzi si rischia di fare arrabbiare l’interlocutore. Non credetevi immuni dai pregiudizi: tutti ne abbiamo qualcuno, magari senza esserne consapevoli. In sostanza convinzioni e pregiudizi sono criteri che diventano soggettivamente inoppugnabili, quindi messi al riparo da possibili confutazioni o esperienze di falsificazione. In questi casi, il portatore della convinzione reagisce ignorando l’esperienza, oppure classificandola come “eccezione” o “caso particolare” o anche “inammissibile” o “immorale”. Le convinzioni- tra cui i valori- hanno tipicamente forti ancoraggi emotivi dovuti al loro ruolo portante all’interno di sistemi di criteri che reggono a loro volta il sistema identitario del soggetto. (Ideologie, credo religiosi, paradigmi scientifici e professionali, visioni di sé o del mondo ecc.). In tutti i casi, sfidare le convinzioni provoca nel soggetto emozioni negative di intensità da forte a estrema: paura, disprezzo, vergogna, ostilità, rabbia, disgusto. Comunque sia, assieme alle varie opinioni e credenze, i pregiudizi formano il nostro abito mentale, ovvero il mindset personale. Naturalmente non è che credenze e opinioni siano tutte sullo stesso piano: esiste invece una complessa gerarchia dove i vertici sono occupati da poche convinzioni generali che governano molti livelli di credenze via via più specifiche e limitate. Noi nelle persone possiamo osservare solo i comportamenti, ma ognuno dentro di sé è in grado- sebbene a volte non immediatamente- di capire cosa sta dietro a ogni sua singola scelta. Se io credo anzitutto nella libertà, difficilmente apprezzerò i regimi www.modellidicomunicazione.com 23
dittatoriali; ma se invece per me è più importante la sicurezza, potrei non disprezzarli poi così tanto. E tutto questo a prescindere dal fatto che uno Stato democratico ci faccia veramente sentire liberi o che una dittatura possa davvero garantire sicurezza. La domanda a questo punto è: se scopriamo che il nostro mindset ha degli aspetti che non ci piacciono, possiamo cambiarlo? E la risposta è: dipende. 5.1 Mindset fisso vs. Mindset crescita Un buon esempio di come pochi presupposti al vertice possano influenzare l’intera esistenza di una persona ci arriva dal lavoro portato avanti dalla psicologa statunitense Carol Dweck. Dalla sua ricerca emerge che tutte le persone possono essere classificate sulla base di due mindset molto generali, che lei chiama rispettivamente Mentalità di crescita (Growth Mindset) e Mentalità fissa (Fixed Mindset). Si tratta in sintesi di due tipi di mentalità opposte che si basano su come si risponde a una domanda interiore a cui la scienza non ha ancora dato una risposta certa: il talento è solo innato oppure può essere allenato e accresciuto? Comunque sia, scegliere l’ipotesi del talento innato porta a sviluppare una mentalità fissa, mentre abbracciare la seconda ipotesi porta a strutturare una mentalità di crescita. Gli effetti sulle rispettive vite sono a cascata, e riguardano modalità di azione e giudizio nettamente agli antipodi. Guardate la figura qua sotto. www.modellidicomunicazione.com 24
Messo di fronte a una sfida, un soggetto a mentalità fissa cercherà ogni mezzo per evitarla, per non rischiare di evidenziare un talento insufficiente, oppure al contrario la vedrà come un’occasione per affermare le proprie capacità davanti al mondo. Un soggetto con mentalità di crescita invece la vedrà come un’occasione di apprendimento e crescita, indipendentemente dagli esiti. Prendiamo anche la scelta di impegnarsi a fondo per qualcosa: la persona a mentalità fissa la giudicherà inutile. Se ha già talento, perché affaticarsi? Anzi, proprio il fatto di impegnarsi potrebbe essere indizio di scarso talento. All’opposto, chi ha una mentalità di crescita considererà l’impegno come la strada verso l’eccellenza e la maestria. E via dicendo. Indovinate chi dei due avrà una vita più interessante e varia? Un aspetto interessante di tutto ciò è che compiere una scelta oppure l’altra è di solito un’azione inconsapevole, effettuata tipicamente nei primi anni di vita. www.modellidicomunicazione.com 25
La Mentalità di crescita può essere invece una scelta consapevole- anche se a volte difficile- di crescita personale, un allenamento continuo a vedere in ogni circostanza un’opportunità evolutiva, una tensione positiva verso la crescita personale accettando i propri limiti umani, una sana volontà di capire il mondo attorno a sé. La posta in gioco è una vita ricca di responsabilità, ma anche di energia e nuove opportunità. 5.2 Ma le cose in cui crediamo sono vere? Il paragrafo precedente, a parte il resto, ci ha messi di fronte a una questione generale, ossia le implicazioni che possono derivare dal fatto di prendere per buona un’ipotesi al posto di un’altra, a prescindere dalla sua veridicità. Ma il fatto è che crediamo in molte cose senza poter sapere se sono o no vere e dimostrabili: persino le teorie scientifiche, che restano comunque le credenze più affidabili di cui possiamo disporre, sono fatte in modo da lasciare aperta una porta a possibili smentite: viceversa sarebbero dogmi. Unica eccezione sono le “cose” che facciamo noi, in particolare le teorie matematiche e logiche, le regole grammaticali, che sono senz’altro vere una volta che ne accettiamo i presupposti (che però sono a loro volta indimostrabili). Il problema di stabilire la realtà o veridicità di qualcosa è vecchio come il mondo, e molti pensatori -filosofi, scienziati, teologi- hanno cercato di trovare risposte adeguate senza mai arrivare a qualcosa di certo e inattaccabile. Uno degli esempi più famosi è il “cogito ergo sum” (penso, dunque esisto) di René Descartes o Cartesio, pensatore francese del XVII secolo: mettendosi nei panni di uno scettico irriducibile, riuscì comunque ad arrivare alla conclusione che se c’era un’attività di pensiero, doveva pur esserci un soggetto che la produceva, e questo soggetto era appunto lui, Cartesio. Ma una volta giunto in quel buco non riuscì ad andare oltre se non ricorrendo al postulato dell’esistenza di Dio. Questione di fede, dunque: un’altra credenza. Credenze, convinzioni, aspettative, timori, sono tutti termini per indicare i criteri che usiamo per costruirci le rappresentazioni del futuro, in modo da poter essere più efficaci. www.modellidicomunicazione.com 26
Proprio perché parlano del futuro, questi criteri per definizione non possono essere né veri né falsi, proprio come una frase che affermi che domani ci sarà il sole. Se io devo risolvere un difficile problema di lavoro e ho la credenza di avere tutti gli strumenti per riuscirci, il mio presupposto sarà dimostrato solo a giochi ultimati, non prima. Poiché dunque i nostri criteri non sono né veri né falsi, in base a cosa possono essere valutati? La risposta è semplice: in base alla loro utilità nel farci vivere meglio- cioè nel raggiungere stati desiderati- e nel facilitarci il miglior adattamento con i vari contesti di vita. In prima battuta, tutti i criteri possono essere divisi in due categorie: • Funzionali: ci aiutano a pensare “buoni” obiettivi e a raggiungerli grazie a “buone” decisioni • Disfunzionali: ci portano fuori strada e/o ci ostacolano nel raggiungere “buoni” obiettivi. L’aggettivo “buoni” è virgolettato perché nella pratica non è sempre così ovvio sapere in anticipo quanto un obiettivo che desideriamo è davvero utile o se invece nasconde delle trappole; idem per le decisioni. Affronteremo la questione nella lezione sugli obiettivi ben formulati. 5.3 Cosa sono le Credenze Limitanti Il problema come dicevamo nasce dal fatto che non tutto ciò in cui crediamo si dimostra poi adeguato alla realtà dei fatti. Tutti infatti nella vita abbiamo scoperto –poche o tante volte- che credevamo in cose sbagliate o di scarsa utilità, col risultato di affrontare certe situazioni usando criteri inadatti. Qua il rischio maggiore è quello di non rendersi conto di un fatto: se le cose prima ci andavano bene e adesso invece no, è molto probabile che la colpa non sia delle cose, ma delle credenze con cui le approcciamo. E così pure se si tratta di cose che riescono bene più o meno a tutti tranne noi. Se non apriamo gli occhi finiremo per vivere male e far vivere male gli altri. Tra i criteri disfunzionali, esiste una particolare classe di credenze che sono di ostacolo ad attivare le nostre risorse interne fino in fondo, o addirittura le possono mettere fuori gioco: sono le credenze limitanti. www.modellidicomunicazione.com 27
Ne esistono numerosissime versioni, ma sostanzialmente è possibile raggrupparle in tre grandi categorie: • “NON SONO CAPACE” Gli altri possono farcela, io no. Aspettative di fallimento. Emozioni connesse: imbarazzo, frustrazione, autosvalutazione • “E’ IMPOSSIBILE” A queste condizioni nessuno può farcela Aspettative di inutilità e rischio Emozioni connesse: indecisione, demotivazione, sfiducia • “NON SI DEVE” E’ ingiusto/immorale/sconveniente Aspettative di biasimo e perdita di immagine Emozioni connesse: vergogna, irritazione Queste credenze funzionano come profezie che si auto avverano, cioè che si avverano solo grazie al fatto che ci si crede. Il tipico sintomo di essere ostacolati da una credenza limitante è la percezione di un blocco ad agire, di un desiderio frustrato. Spesso le credenze limitanti nascono da credenze che un tempo o in un certo contesto erano funzionali, ma poi – cambiando le condizioni- non lo sono più state. La difficoltà nel rimuoverle sta in genere in un vecchio “imprinting” emotivo che permane anche se ha ormai perso il suo scopo (es. la paura del buio, il timore di parlare in pubblico). Per fortuna, come vedrete più avanti, la PNL -e in parte anche la psicologia cognitiva- hanno messo a punto diverse tecniche per superare queste barriere mentali ed emotive. www.modellidicomunicazione.com 28
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