La manipolazione degli scoop giornalistici: il caso della junk news sulle foibe e la campagna elettorale del 2018

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La manipolazione degli scoop giornalistici: il caso della junk news sulle foibe e la campagna elettorale del 2018
La manipolazione degli scoop giornalistici: il caso della junk news
                sulle foibe e la campagna elettorale del 2018

During the 2018 Italian election campaign one of the main political battlefields was the issue
of immigration. Within this issue a relevant part of the public and political debate focused
on the so-called 'Macerata’s events': the killing of a minor by an immigrant of Nigerian
origin and the subsequent vindictive shooting carried out by a far-right political militant. In
the following days, an anti-racist demonstration in solidarity with the victims of the shooting
was organized by a vast network of NGO and social movements. Although more than 20,000
people took part at this manifestation, the chronicle of the counter-event was characterized
by a dubious rumour regarding a slogan singed against the foibe’s victims. Through a
research design that uses as data the digital traces of information sites and Twitter posts we
studied the generative and dissemination processes of this ‘junk news’, showing how fake
accounts and coordinated behaviour strategies helped the rumour go viral. In the highly
polarized context that characterizes democratic societies, the case of the junk news about the
foibe slogan shows how media manipulation techniques can use to their advantage the ‘hit
economy’ system that forces journalism to constantly chase the latest scoop.

Keywords: Journalism; Junk News; Hit Economy; Media Manipulation; Digital Methods.

                                       Introduzione

La copertura giornalistica della campagna elettorale italiana del 2018 è stata caratterizzata
da un’agenda pubblica dominata dai media tradizionali (Bentivegna e Boccia Artieri 2019;
Binotto et al. 2020). Durante questa peculiare campagna ‘debole’ e ‘sfocata’ (Bentivegna e
Natale 2019), irrompono improvvisamente nel dibattito pubblico i cosiddetti ‘fatti di
Macerata’ che portano al centro dello scenario politico tematiche fortemente polarizzanti,
quali il tema della sicurezza e quello dell’immigrazione (Rega e Marchetti 2019). In un
primo momento, l’attentato terroristico di Traini sembra compattare l’opinione pubblica
attorno ad una condanna condivisa della sparatoria (Anselmi, Maneri e Quassoli 2020), ma,
dopo pochi giorni, la narrazione degli eventi collegati alle vicende di Macerata viene
repentinamente alterata dalla diffusione di un rumour rilevatosi successivamente infondato:

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la notizia secondo la quale un gruppo di persone presenti al corteo antifascista svoltosi a
Macerata il 10 febbraio 2018 avrebbe intonato il coro «quanto è bello far le foibe da Trieste
in giù». Il rumour rimbalza così dai siti online ai social media, facendo successivamente
comparsa anche sui telegiornali prime time. All’indomani, alcuni siti di fact-checking
segnalano la notizia, ma, nonostante ciò, la bufala dei cori continuerà a circolare, alterando
così l’agenda pubblica della campagna elettorale (Marini et al. 2020). Questo contributo
intende dunque indagare i processi che hanno portato alla ribalta la bufala dei cori
inneggianti alle foibe all’interno dell’ecosistema mediale italiano. Per fare ciò da un lato
saranno messe in luce le debolezze del giornalismo rispetto all’economia dell’attenzione che
regola i flussi informativi online, dall’altro lato si mostrerà come alcune tecniche di
manipolazione siano state in grado di amplificare e rendere saliente il rumour sulle foibe.

       Giornalismo digitale, rumours e manipolazione dell’informazione

Negli ultimi anni, all’interno degli studi riguardanti i fenomeni di information disorder
(Wardle et al. 2017), le riflessioni inerenti all’economia digitale hanno evidenziato l’effetto
che la mercificazione dell’attenzione (Çalişkan & Callon 2010) ha avuto sul mercato delle
informazioni (Webster 2014): è infatti tramite metriche standardizzate che misurano
l’attenzione dedicata ad un particolare contenuto che quest’ultimo viene valutato (Cardon,
2013). Questa nuova forma di regolamentazione del valore, chiamata anche hit economy
(Rogers 2002), ha creato i presupposti per la nascita del clickbaiting. Per ragioni
diametralmente opposte, due dei principali attori economici che hanno alimentato questo
fenomeno sono i social media e i tradizionali canali dell’informazione giornalistica. Mentre
i primi si sono da sempre impegnati a ricavare utili dalla vendita di annunci e
sponsorizzazioni (Gerlitz e Helmond 2013), i secondi, a causa della grave e continuativa
perdita di lettori e spettatori, sono entrati nel mercato web con l’obiettivo di procurarsi nuovi
introiti (Kaye e Quinn 2010).
La rilevanza di queste fonti di guadagno può spiegare l’importanza crescente delle notizie
virali (Lucchesi 2018): grazie alla loro capacità di attirare l’attenzione di un grande numero
di persone, queste notizie producono migliaia di visualizzazioni che, tramite la vendita degli
spazi pubblicitari online, sono fonte di ingenti guadagni monetari. L’importanza attribuita
alla viralità dei contenuti (Bakir et al. 2018) e il meccanismo di compravendita degli spazi
digitali (Graham 2017) sembrano però avere incentivato la produzione e la circolazione di

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contenuti informativi di bassa qualità in grado di attirare l’attenzione degli utenti online, le
cosiddette junk news (Venturini 2019). Nonostante queste notizie siano da sempre esistite
(Jensen 2001), le junk news sono ora diventate uno degli strumenti più utilizzati dalle
propagande computazionali (Woolley e Howard 2018). Ad esempio, questi contenuti sono
impiegati sia per aumentare l’engagment degli utenti dei social media rispetto ad una
campagna sia per attaccare i rivali o creare confusione all’interno dei dibattiti digitali.
I dati finora raccolti mostrano che i maggiori produttori di junk news sono piccoli siti web
scarsamente rilevanti per la dieta mediatica dei cittadini (Fletcher et al. 2018). Nonostante
ciò, è stato rilevato che queste notizie sono sempre più numerose sui social media (Burger
et al. 2019). Infatti, le junk news si diffondono rapidamente sulle piattaforme digitali grazie
alle condivisioni all’interno di gruppi di utenti schierati ideologicamente (Conover et al.
2011; Narayan et al. 2018) e agli algoritmi di classificazione che, creando delle bolle
informative, ne amplificano la salienza (Pariser 2011; Flaxman et al. 2016). In base alle
analisi su larga scala è stato però evidenziato come solo raramente questi contenuti riescano
a raggiungere un pubblico vasto ed eterogeneo (Nelson et al. 2018).
Queste difficoltà nel raggiungere un’audience ampia e diversificata confermano le recenti
scoperte riguardanti le modalità di diffusione virale dei contenuti sul web (Goel et al. 2016):
è stato dimostrato che un contagio sulla base dei contatti peer-to-peer risulta improbabile,
soprattutto per le notizie che possiedono caratteristiche divisive (Dwyer et al. 2019). Questi
contenuti infatti riducono la possibile audience d’interesse a persone strettamente legate
l’una all’altra all’interno di gruppi ideologici (Zollo 2019). Per una junk news risulta quindi
maggiormente probabile travalicare i confini delle comunità di appartenenza grazie alla
condivisione da parte di attori centrali all’interno di reti eterogenee (Barbera 2018).
Da questo punto di vista una possibile strategia di ricerca per individuare gli attori che
rendono virale una junk news risulta quella di indagare il ruolo delle testate giornalistiche
tradizionali (Tsfati et al. 2020): la visibilità che il vasto pubblico dei siti web di quotidiani e
telegiornali garantisce ad una notizia (Newman et al. 2019), la centralità che essi ricoprono
rispetto a reti eterogenee di pagine e utenti online (Buhl et al. 2018) e il processo di
emulazione dei siti d’informazione minori rispetto alle pagine più seguite (Quattrociocchi et
al. 2014) fanno sì che le junk news emesse o riprese da questi canali possano travalicare i
confini dei diversi pubblici digitali ed egemonizzare il dibattito pubblico, creando i
presupposti per dibattiti inutili o fuorvianti. Questa strategia di ricerca è ancora più fruttuosa
se applicata ai momenti in cui è stata verificata una maggiore circolazione di junk news: le
campagne elettorali (Agcom 2018a). In questi periodi, infatti, il ruolo dei siti online delle

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testate giornalistiche tradizionali è centrale sia per le diete mediatiche dei cittadini (Agcom
2018b) sia per i processi di agenda setting (Ceron et al. 2016; Harder et al. 2017): di
conseguenza un’emissione di contenuti disinformativi da parte di questi canali potrebbe
rivelarsi estremamente dannosa.
Tenendo conto del funzionamento dell’ecosistema mediale ibrido rispetto ai fenomeni della
disinformazione (Chadwick 2017; Marwick 2018; Giglietto et al. 2019), il ruolo dei media
tradizionali è quindi estremamente rilevante: all’interno delle networked propaganda
(Benkler et al. 2018) sembrerebbe infatti che uno degli obiettivi delle tecniche di coordinated
inauthentic behavior (Giglietto et al. 2020) possa essere quello di fare raggiungere a
determinate notizie una visibilità tale per cui le maggiori testate giornalistiche, per ragioni
che vanno dal debunking delle informazioni al clickbaiting (Bounegru et al. 2018), siano
indotte a rilanciarne il contenuto (Philips 2018). Al contempo, un’altra modalità molto
comune di manipolazione delle informazioni è quella di amplificare sui social i rumour e le
notizie controverse che possono sostenere il messaggio partigiano di un partito politico
(Marwick 2018): in questo modo l’attenzione del pubblico generalista, maggiormente
ancorata ai media mainstream, è utilizzata per offuscare dibattiti sgraditi e spostare la
copertura mediatica su tematiche affini alla retorica propagandistica utilizzata. Concludendo
dunque, le ricerche sulla struttura di rete che comanda le cascate informative e quelle sulle
strategie di manipolazione mostrano come non solo diversi studi abbiano identificato nei
media tradizionali dei possibili hub di diffusione virale dei contenuti disinformativi (Rojecki
e Meraz 2016), ma anche come questi ultimi stiano diventando dei target specifici attraverso
cui manipolare le cascate informative e l’opinione pubblica (Marwick e Lewis 2017).

                                  Disegno della ricerca

Per indagare la diffusione della notizia riguardante i cori sulle foibe si è deciso di ricorrere
a due diverse fonti di dati: in primo luogo tramite il database online ‘Explorer|MediaCloud’
sono stati raccolti 2689 articoli contenenti il lemma ‘macerata’ pubblicati dai siti online dei
principali mezzi di informazione italiani (quotidiani, telegiornali e nativi digitali) tra il 28
gennaio e il 28 febbraio 2018; in secondo luogo, tramite un applicativo Python e usando
alcuni hashtag e parole chiave (Macerata, sparatoria, attentato, #pamelamastropietro,
#pamela, #oshegale, #lucatraini, #maceratamanifestazione) è stato raccolto un campione
formato da tutti i 571996 tweet in lingua italiana riguardanti queste keywords che sono stati

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pubblicati sempre tra il 28 gennaio e il 28 febbraio 2018. La scelta di indagare
contemporaneamente Twitter e l’informazione giornalistica prodotta online dipende dal loro
stretto legame: infatti, fin dagli albori della sua nascita Twitter si presenta come il social
media maggiormente legato alla discussione in tempo reale di notizie ed eventi (Kwak et al.
2010). Tale modalità si basa principalmente sulla pratica di dual-screening dei cosiddetti
connected publics, ovvero il commento in tempo reale di trasmissioni televisive o, nel nostro
caso, di notizie ed eventi di rilevanza nazionale (Giglietto e Selva 2014; Vaccari et al. 2015).
Basandosi su questi dati, una coppia di domande di ricerca che ha orientato le nostre analisi
ed a cui abbiamo cercato di rispondere è la seguente:

RQ1: chi ha diffuso il rumour sui cori inneggianti alle foibe? quali soggetti hanno preso
parte e alimentato la discussione online relativa alla junk news?

RQ2: Quali sono stati gli effetti della notizia sui cori? in che modo ha alterato il dibattito
pubblico?

Inizialmente, per comprendere i diversi temi inerenti al dibattito Twitter relativo agli eventi
di Macerata, si è scelto di utilizzare una classificazione automatica dei post. La scelta di
utilizzare un approccio machine learning è stata dettata dalla dimensione del dataset
analizzato: nonostante questa tipologia di tecniche possa prestarsi a diversi bias, la
classificazione automatica di testi brevi consente comunque di generare un’informazione
piuttosto precisa nel raggruppamento di tweets simili l’uno con l’altro (Anselmi, Maneri e
Quassoli 2020). Per eseguire tale categorizzazione è stato classificato manualmente un
campione di 6799 casi, stratificato per data. Questo campione è stato poi utilizzato come
training set nel programma di machine learning ‘IBM Watson Text Classifier’. Una volta
completata la procedura automatica di classificazione, un campione casuale di 1000 tweet è
stato ri-classificato a mano per verificare la concordanza tra i due processi di codifica: da
quest’ultimo controllo è emerso che il 75% dei tweet è stato classificato correttamente
dall’algoritmo di machine learning. L’esito della categorizzazione dei post pubblicati ha così
consentito l’individuazione di tre frame. Il primo frame, che chiameremo ‘antirazzismo’,
considera la sparatoria come il precipitato di una eccessiva tolleranza e di un’esplicita
promozione verso i discorsi xenofobi. Il secondo frame, che chiameremo ‘sicurezza’,
inquadra la sparatoria in un contesto di sistematiche aggressioni da parte dei migranti e la
soluzione a questi problemi nella difesa della patria. Il terzo frame individuato
dall’algoritmo, pur essendo piuttosto rilevante in termini numerici, è concettualmente

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residuale e comprende tutti quei post che non risultano allineabili lungo la dicotomia
antirazzismo-sicurezza (Anselmi, Maneri e Quassoli 2020). Infine, per identificare
l’appartenenza ‘storica’ ad uno dei frame individuati, ogni utente presente nel dataset è stato
invece etichettato come ‘securitario’, ‘antirazzista’ o ‘neutro’ basandosi sulla categoria in
cui sono stati inseriti la maggioranza dei suoi tweet. Tramite questi procedimenti e
analizzando le serie storiche della variazione di questi ultimi si è potuto monitorare ora per
ora l’andamento dei vari frame in modo da controllare possibili cambiamenti una volta che
la notizia sui cori è stata pubblicata.
Per capire quali categorie di utenti abbiano maggiormente recepito e discusso la notizia delle
foibe è stata invece costruita una rete dei retweet collegati alla notizia avvenuti tra il 10 e
l’11 febbraio. Ogni nodo rappresenta un utente mentre un arco tra due nodi, il cui valore è
unitario, indica un retweet, dell’utente da cui parte l’arco, di uno specifico tweet dell’utente
a cui è diretto l’arco.
Al fine di visualizzare ed analizzare i dati è stato utilizzato Gephi (Bastian et al. 2009), un
software opensource per l’analisi e il trattamento di reti sociali. Le immagini riportate nel
seguito sono state ottenute rimuovendo i nodi la cui somma dei pesi degli archi uscenti è
inferiore a 1 e usando l’algoritmo ‘Force Atlas 2’ (Jacomy et al. 2014) per visualizzare le
comunità presenti all’interno della rete1. Per misurare la permeabilità tra i gruppi di utenti
così individuati è stato invece calcolato un parametro chiamato ‘Indice E-I’ (Krackhardt e
Stern 1988) che misura la porzione di archi interni, ossia diretti da un membro ad un altro
della stessa comunità, rispetto al numero di quelli esterni, ossia diretti da un membro di una
comunità ad un membro esterno. A partire da questa misura, si può dunque convertire il
numero di archi interni ed esterni in un indice normalizzato che, così definito, può
rappresentare una buona stima di quanto le comunità siano chiuse, ossia di quanto la loro
struttura risulti simile a quella di una echo-chamber2. Usando questo indice, un nodo i cui
archi si connettono unicamente a nodi esterni dalla comunità avrà un indice E-I pari a +1
mentre, per un nodo i cui archi si connettono esclusivamente a nodi interni alla comunità,
l’indice sarà invece pari a -1. Poiché questi valori estremi sono molto rari in un contesto

1
  L’algoritmo di visualizzazione crea infatti dei cluster a partire dalla vicinanza tra due nodi del grafo,
considerando tale vicinanza sia come uno scambio di informazioni diretto sia indiretto (ovvero mediato da un
terzo nodo). Applicare tale strumento al concetto di reti digitali è quindi particolarmente utile a individuare
comunità omogenee per pratiche o opinioni (Venturini et al. 2021).
2
  Con echo-chamber o cassa di risonanza si intende un’ambiente digitale in cui informazioni, idee o credenze
più o meno veritiere vengono amplificate da una ripetitiva trasmissione e ritrasmissione all'interno di un ambito
omogeneo e chiuso, in cui visioni e interpretazioni divergenti finiscono per non trovare più considerazione
(https://www.treccani.it/vocabolario/echo-chamber_(Neologismi)/)

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reale, all’interno dello spettro di valori compreso tra -1 e +1, l’indice E-I diventa una misura
affidabile della tendenza di un nodo a collegarsi a nodi della propria comunità.

                        La copertura giornalistica e su Twitter

Conteggiando il numero degli articoli giornalieri, è stato possibile individuare due picchi
all’interno della storyline, equivalenti al 3 e al 10 febbraio, giornate caratterizzate
rispettivamente dalla sparatoria di Traini e dalla manifestazione antirazzista di Macerata. Nel
secondo picco in particolare il rumour riguardante i cori sulle foibe è presente in più della
metà delle notizie che hanno coperto la manifestazione.

        Figura 1: numero di articoli online giornalieri sugli eventi di Macerata

Accertata la rilevanza della notizia sui cori all’interno dei siti giornalistici, si è deciso di
controllarne la presenza anche all’interno delle discussioni social. Per accertarci che durante
il secondo picco di discussione sul social si fosse effettivamente parlato della notizia, è stato
creato un sottoinsieme del dataset Twitter composto dai post del 10 febbraio collegati ai due
lemmi di riferimento (i.e: coro-i, foiba-e). Questo sottoinsieme è formato da 8304 post, pari
al 20% dei tweet presenti nel secondo picco.

             Figura 2: numero di tweet giornalieri sugli eventi di Macerata

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Le informazioni così raccolte e analizzate hanno confermato che la notizia dei cori
inneggianti alle foibe ha avuto un’ampia risonanza mediatica sia all’interno dei social media
che all’interno dei canali giornalistici digitali, costituendo così un momento importante nella
sequenza mediatica che ha caratterizzato i dibattiti e i temi della campagna elettorale.

               Le dinamiche di diffusione e discussione del rumour

Confrontando i post di Twitter con gli articoli pubblicati online, è stata individuata la prima
fonte ad aver lanciato la notizia sia online che all’interno del social: ‘L’indiscreto’. Questo
sito d’informazione locale si autodefinisce come un ‘Giornale online con notizie dalle
provincie di Macerata, Fermo, Ancona, Ascoli, Pesaro’. Nonostante ‘L’indiscreto’ lanci per
primo la notizia, quest’ultima non sembra destare particolare interesse all’interno di Twitter:
il post relativo all’articolo pubblicato dal sito d’informazione non ottiene infatti nessun
retweet o like. Al pari del social, anche per quanto riguarda i siti online la pubblicazione non
desta alcun interesse. A qualche minuto dalla prima apparizione sul web però, la notizia
riguardante i cori viene pubblicata quasi contemporaneamente nelle cronache live della
manifestazione da diverse importanti testate giornalistiche nazionali. Successivamente a
queste pubblicazioni, la notizia viene rilanciata freneticamente sui siti online
d’informazione: in 30 minuti, infatti, dalle 15 alle 15.30, quest’ultima appare su circa la metà
delle pagine contenute nel nostro campione. Nonostante ciò, nessuna testata cita l’articolo

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del ‘L’indiscreto’, riferendosi invece spesso ai lanci delle agenzie stampa sulle dichiarazioni
di alcuni politici in merito ai cori inneggianti alle foibe. Solo a questo punto il tema dei cori
è inglobato all’interno della discussione Twitter.

      “Manifestazione antifascista, folla e cori ai Giardini Diaz https://t.co/EZ4D2Tzq6f”
      @Lindiscreto (2018-02-10; 14:53)

      “Quindi per @corriere su Macerata: 1 città blindata 2 coro sulle foibe 3 centri sociali da
      tutta Italia (gente normale no eh!)” @zeropregi (2018-02-10; 14:58)

      “Macerata, cori choc dal corteo antifascista: Ma che belle son le foibe da Trieste in giù
      https://t.co/OcffeNhiVQ” @IlMessaggero (2018-02-10; 15:06)

Il ciclo dell’attenzione relativa alla notizia ha due differenti andamenti. Per quanto riguarda
i siti online, dopo un primo momento in cui viene ripresa molto velocemente dalle principali
testate giornalistiche italiane la notizia appare più lentamente in una varietà di siti
dell’informazione secondari.

           Figura 3: articoli online collegati alla notizia dei cori (10 febbraio)

Tra le 16.30 e le 18.30 si presenta un primo calo nella diffusione dovuto al mero
aggiornamento delle notizie già pubblicate, questo calo avviene in concomitanza con le
prime polemiche riguardanti la veridicità della notizia stessa e con il probabile fact checking
in atto. Successivamente, la notizia riprende slancio grazie ai lanci dei telegiornali che ne
confermano implicitamente l’attendibilità. Infine, nei giorni successivi, la circolazione della
notizia diminuisce sensibilmente sui siti online, trovando spazio soltanto negli editoriali e
nei commenti giornalistici pubblicati all’indomani della manifestazione. Per quanto riguarda
i social media, invece, escludendo un primo momento in cui la discussione prende vita a

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partire dagli articoli pubblicati online, il ciclo dell’attenzione sembra essere scollegato dalle
dinamiche mass mediatiche di pubblicazione e fact checking degli articoli e può riflettere, al
contrario, dinamiche di alimentazione della discussione interne a Twitter.

    Figura 4: tweet relativi alla notizia dei cori classificati per frame (10 febbraio)

Se osserviamo la composizione dei tweet collegati alla notizia (figura 4) possiamo evincere
che la maggioranza di quest’ultimi è appartenente al frame securitario. Questa evidenza
suggerisce che la discussione social riguardante la notizia sia stata alimentata principalmente
da tweet che hanno inquadrato l’evento all’interno di una sola cornice discorsiva e
ideologica.
La sproporzione nella produzione di post può essere in parte spiegata dall’utilizzo dei retweet
nella discussione: i messaggi ‘retweetati’, infatti, sono l’89% sul totale dei post a fronte di
un 73% per il dataset sulla vicenda di Macerata nel suo complesso (Anselmi, Maneri e
Quassoli 2020). Questi dati segnalano una verticalità elevata nell’articolazione del dibattito
scaturito dalla notizia, ulteriormente confermata dall’indice di Gini calcolato sulla
distribuzione dei retweet, pari a 0,87. Possiamo quindi desumere che la maggioranza degli
utenti che intervengono sulla piattaforma si limiti a retwittare i messaggi provenienti da
pochi account estremamente influenti, creando così un modello di diffusione a cascata dei
contenuti a partire dai post di quest’ultimi.
Se consideriamo inoltre l’appartenenza ‘storica’ dei singoli utenti ad uno dei frame,
possiamo notare che il 70% dei retweet relativi alla discussione è prodotto dagli utenti
inseriti nella categoria dei securitari, equivalenti però a solo il 19% degli utenti che hanno
pubblicato un post all’interno della discussione collegata alla notizia. Ciò significa che chi
appartiene a questa categoria risulta essere decisamente più attivo nella condivisione dei

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contenuti rispetto alla media degli utenti appartenenti alle rimanenti due categorie.
In quest’ottica, più del 75% dei retweet dei ‘securitari’ è poi effettuato su un post pubblicato
da un utente appartenente alla stessa categoria. Preferenza che risulta assi meno evidente
negli utenti appartenenti al frame antirazzista e a quello neutrale. La Figura 5 rappresenta
graficamente tale dinamica. Applicando l’algoritmo Force Atlas 2, sono state identificate tre
comunità di utenti. All’interno della comunità securitaria, alla sinistra della rete, possiamo
notare una serie variegata di attori del panorama politico e mediatico: account di partiti e
politici dello schieramento di destra, quotidiani partigiani che appoggiano tale schieramento,
quotidiani locali friulani e siti d’informazione giornalistica che basano i propri guadagni sul
clickbaiting. Al centro della rete possiamo invece notare una serie di account, classificabili
principalmente nella categoria dei neutrali e degli antirazzisti, composti da giornalisti,
quotidiani e telegiornali. I loro post risultano essere estremamente importanti in quanto,
essendo stati i primi ad essere pubblicati ed essendo stati ripresi da entrambi i gruppi, hanno
generato ed alimentano la discussione. Infine, a destra della rete possiamo individuare un
gruppo di utenti composto principalmente dagli attivisti e dagli influencer che hanno
supportato la manifestazione di Macerata i cui tweet rientrano nel frame antirazzista.

         Figura 5: Visualizzazione della rete di retweet effettuata tramite Gephi3

Calcolando l’indice E-I per ogni comunità è stato possibile comprendere se quest’ultime
fossero o meno permeabili. Per quanto riguarda la comunità securitaria l’indice è pari a -
0,65, per quella antirazzista a -0,62 e per quella mista al centro a 0,76. Questi valori indicano
sia che la comunità securitaria e antirazzista hanno avuto pochi contatti tra loro sia che queste
due sacche di utenti creano una cassa di risonanza delle solo idee già presenti al loro interno.

3
  La dimensione delle etichette è proporzionata al numero di retweet ricevuti. I colori degli archi rappresentano
l’appartenenza ‘storica’ dei nodi a uno dei frame. Il colore verde rappresenta i nodi etichettati come ‘securitari’,
il colore blu i nodi etichettati come ‘antirazzisti’, il colore arancione i nodi classificati come ‘neutrali’.

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Considerando che al loro interno la discussione è stata affrontata da due punti di vista opposti
e che i retweet esterni alle discussioni provengono da account giornalistici, questo fatto non
ci stupisce. Per quanto riguarda la comunità mista, invece, l’indice E-I segnala un alto grado
di permeabilità. Ciò significa che i collegamenti esterni sono estremamente alti. Questo fatto
è probabilmente legato alla natura dei post pubblicati, formati principalmente da
aggiornamenti giornalistici relativi alla cronaca della manifestazione.
Le analisi presentate finora sottolineano il ruolo centrale avuto dalle testate tradizionali e dai
giornalisti. Infatti, considerando l’appartenenza storica dei singoli account che hanno
twittato almeno un post collegato alla notizia, possiamo notare che il 19% appartiene alla
categoria ‘securitario’, il 37% a quella ‘antirazzista’ e il restante 43% ai ‘neutrali’. Questa
trasversalità rispetto alle diverse comunità sembra essere strettamente collegata alle modalità
di diffusione della junk news su Twitter. Come abbiamo mostrato in precedenza, la
discussione ha preso vita a partire dai commenti agli articoli giornalistici e ciò ha introdotto
la notizia all’interno dei vari ‘schieramenti’ discorsivi. Infatti, data la natura politicamente
eterogenea dei siti dei quotidiani che hanno inizialmente riportato la notizia, i pubblici di
quest’ultimi risultano essere a loro volta politicamente eterogenei e producono discorsi
coerenti con le ideologie di appartenenza. Questa caratteristica sottolinea l’importanza della
fonte primaria nella diffusione delle notizie. Infatti, a differenza del maggiore parte dei
contenuti circolanti sul web durante la manifestazione, la notizia dei cori ha superato già in
partenza le barriere delle comunità segregate presenti sui social media. Il potenziale
disinformativo di questo pattern di diffusione risulta quindi elevato, in quanto le notizie che
lo seguono potrebbero raggiungere rapidamente un alto numero di persone e accrescere
velocemente il proprio valore economico legato alla visibilità ottenuta. A questo riguardo
l’alimentazione della discussione, avvenuta in primis ad opera della comunità securitaria ed
in secondo luogo per mano di quella antirazzista, può esserci d’aiuto per comprendere le
diverse dinamiche di diffusione. All’interno della prima comunità gli utenti si retweettano
vicendevolmente, amplificando così il proprio messaggio (Giglietto et al. 2020). Le fonti più
citate risultano essere partiti politici, giornalisti e siti d’informazione partigiani e larga parte
dei retweet provengono da account che supportano apertamente la campagna elettorale della
destra nazionalista. In questo gruppo di utenti, il tweet più rilanciato è stato pubblicato da
‘BarghoutKawtar’4, un utente spacciatosi per una giornalista straniera. L’unico tweet
pubblicato da questo account è stato infatti il più retweetato dell’intera discussione con 478

4
  Al momento l’utente è inattivo ed ha cancellato l’intera cronologia dei propri post e collegamenti
consolidando l’ipotesi che si trattasse di un account automatizzato appositamente creato per fini propagandistici

                                                                                                              12
condivisioni, tutte ad opera di account securitari. Per quanto concerne la comunità
antirazzista, invece, la notizia è stata rilanciata nel tentativo di svolgere un debunking delle
informazioni ritenute scorrette. Questo comportamento ha portato ad accrescere l’interesse
verso la notizia all’interno della più ampia rete di contatti collegata alla comunità,
producendo così un possibile backfire effect indesiderato ( boyd 2017): tale azione può infatti
aver incentivato la ripresa del rumour nei siti commerciali secondari di informazione
clickbait che hanno sostenuto la diffusione della storia sui cori.

                           L’effetto foibe sul dibattito pubblico

Un ultimo tema degno di considerazione è quello relativo ai possibili effetti che la notizia ha
avuto sulla campagna elettorale. Considerando i risultati delle precedenti ricerche relative ai
cicli di attenzione (Boydstun et al. 2014), possiamo suppore che la natura di ‘scoop’ della
notizia abbia influito sul breve periodo dedicatole dai social media. Infatti, dopo un primo
momento di rapida diffusione ed egemonizzazione del dibattito sugli eventi di Macerata
corrispondente al giorno della manifestazione, la notizia è stata presto dimenticata.
Nonostante ciò, la sua irruzione nel dibattito pubblico antecedente alle elezioni ha avuto
come conseguenza la nascita di polemiche giornalistiche e politiche ad essa collegate, che si
sono prolungate ben oltre la trattazione della notizia (Marini et al. 2020).

 Figura 6: andamento proporzionale frame sicurezza e antirazzismo (3-12 febbraio)

                   03/02   04/02   05/02   06/02   07/02   08/02   09/02   10/02   11/02   12/02
      Sicurezza     28      33      37      43      37      35      39      43      63      78
    Antirazzismo    72      67      63      57      63      65      61      57      37      22

Le critiche di alcune testate si sono concentrate soprattutto sul disprezzo della patria e sul
modo di agire irrispettoso che avrebbe mostrato lo schieramento di sinistra, reo di aver
celebrato gli immigrati colpevoli dell’omicidio di Pamela Mastropietro e aver dileggiato i
caduti istriani con gli ingiuriosi cori cantati durante la manifestazione. Queste polemiche
potrebbero avere trasformato un evento potenzialmente favorevole allo schieramento
politico di sinistra - ovvero la manifestazione antirazzista che mirava contemporaneamente
a denunciare il clima d’odio verso i migranti e a condannare pubblicamente il gesto di Traini
- in un accadimento problematico, utilizzato dallo schieramento di destra per attaccare i
propri avversari politici e per rilanciare i discorsi nazionalistici indebolitasi dopo il gesto

                                                                                                   13
violento del proprio militante. Tramite i nostri dati è stato possibile individuare questo
mutamento discorsivo per quanto concerne l’arena pubblica di Twitter.

    Figura 7: tweet sugli eventi di Macerata classificati per frame (10-11 febbraio)

Confrontando la composizione dei tweet relativi agli eventi di Macerata prima e dopo la
notizia, è stato possibile notare un deciso cambiamento nelle cornici discorsive utilizzate. Se
infatti dopo la sparatoria e fino al giorno della manifestazione il frame antirazzista è risultato
predominante subito dopo la pubblicazione della notizia relativa ai cori e nei giorni a seguire
sarà il frame securitario a caratterizzare la discussione su Twitter (Anselmi, Maneri e
Quassoli 2020).

                                         Conclusioni

Il caso della notizia sui cori inneggianti alle foibe mostra l’importanza di ripensare il tema
della manipolazione dell’opinione pubblica da un punto di vista storico e strutturale (Morlino
2021), tenendo in considerazione sia gli sviluppi legati alla gestione dei flussi di attenzione
online sia l’attuale cambiamento di paradigma nella epistemologia della produzione
giornalistica (Gray et al. 2020; Christin 2020). Infatti, le crescenti difficoltà economiche
affrontate dai media tradizionali, in particolare dalla carta stampata, hanno reso centrali i
guadagni pubblicitari derivanti dalle notizie in grado di attirare un ingente flusso di
attenzione online (Kaye e Quinn 2010). In questo contesto, il rischio che notizie
sensazionalistiche non verificate o parziali vengano diffuse è elevato. Nelle prime fasi delle
narrazioni degli eventi, quando molte persone prestano attenzione ad un determinato flusso
di informazioni, la probabilità che rumour e scoop possano diventare virali, e di conseguenza

                                                                                               14
remunerativi, è maggiore (Rojecki e Meraz 2016). Tale dinamica può quindi incentivare le
testate giornalistiche a pubblicare questo genere di storie non verificate. Nell’attuale
ecosistema ibrido dei media sfruttare la visibilità delle testate più autorevoli ai fini di
amplificare messaggi partigiani e manipolare l’opinione pubblica sembra essere un rischio
più che concreto (Morlino e Sorice 2021). Nel contesto della manifestazione antirazzista di
Macerata ciò è avvenuto principalmente per due motivi: da un lato, nel conteso polarizzato
e polarizzante delle elezioni italiane, il valore simbolico e contestato delle Foibe e della
Giornata del Ricordo ha reso estremamente saliente per i news media un possibile scoop sui
cori; dall’altro lato, l’opportunità di ribaltare un evento potenzialmente sfavorevole, quale la
manifestazione, in una bagarre politica e ideologica ha fatto sì che il rumour, anche dopo la
sua smentita, fosse cavalcato dalla destra nazionalista. Mettendo in luce alcune criticità
sistemiche latenti pronte ad esplodere, la nostra analisi del rumour riguardante le foibe
mostra come una singola “junk news” possa egemonizzare l’intera narrazione di un evento
sociale e mediatico centrale per la campagna elettorale e alterarne le possibili implicazioni
sia sul breve termine sia rispetto alla più ampia formazione dell’opinione pubblica.

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