LA LEGISLAZIONE SUNTUARIA A SIENA NELLA 'SVOLTA' TRA QUATTRO E CINQUECENTO - Pierluigi Piccini Blog
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LA LEGISLAZIONE SUNTUARIA A SIENA NELLA ‘SVOLTA’ TRA QUATTRO E CINQUECENTO Mario Ascheri 1. Una premessa I dettagli della legislazione suntuaria sono finalmente disponibili nel- la loro sequenza cronologica dopo alcuni studi importanti, a partire in par- ticolare da quelli di Clara Bonelli-Gandolfo, che nell’evocare quel mondo lontano seppe interpretare nel primo Dopoguerra quell’ansia di ritrovare le radici nel passato largamente diffusa a Siena1. Ora, grazie agli studi successivi, abbiamo il quadro complessivo, le aree oggetto di normativa e le oscillazioni importanti subite da una nor- mativa sostanzialmente sempre presente attraverso i secoli perché rispon- dente a più motivazioni anche diverse, ma sempre collegate agli assetti socio-economici e politici, come ha illustrato nella sua sintesi Maria As- sunta Ceppari2. Per parte mia cercherò di approfondire solo un aspetto di quella legi- slazione e per un tratto cronologico limitato della storia della Repubblica. Mi propongo infatti di isolare il dato politico-istituzionale quattro-cin- 1 Il suo primo studio, dopo spunti in vari contributi come in E. Casanova, La donna senese del Quattrocento nella vita privata, in BSSP, VIII (1901), pp. 3-93, in particolare pp. 89-93, fu La legislazione suntuaria senese negli ultimi centocinquant’anni della Repubblica, dapprima pubbli- cato in SS, XXXV (1920), pp. 243-275, 334-398, subito raccolto in volumetto Torino, Bocca, 1920; a questo primo studio fece seguito nell’elegante rivista cittadina ”La Diana”, II (1927), pp. 274-294, il suo Leggi suntuarie senesi dei secoli XV e XVI. Uno sviluppo fondamentale è venuto poi da M.A. Ceppari Ridolfi - P. Turrini, Il mulino delle vanità. Lusso e cerimonie nella Siena medievale con l’edizione dello statuto del Donnaio (1343), saggio introduttivo di M. Ascheri, commento icono- grafico di M. Caciorgna, Siena, il Leccio, 1993, ora pervenute alla imprescindibile raccolta dei Documenti in allegato a questo volume. 2 M.A. Ceppari Ridolfi, Un caso toscano: Siena, in Disciplinare il lusso. La legislazione suntuaria in Italia e in Europa tra Medioevo ed Età Moderna, a cura di M.G. Muzzarelli - A. Campanini, Roma, Carocci, 2003, pp. 59-73.
176 Mario Ascheri quecentesco, che per Siena fu particolarmente importante in conseguenza della sua peculiare storia politica. Ad esempio, quando si dice che fosse prevalente ormai nel Quattrocento la motivazione morale ed economica3 di questa legislazione, si può certamente invitare ad articolare il discorso, perché il dato politico ebbe anzi, inoltrandoci nel secolo, un’importanza crescente. Ma lo vedremo da vicino. 2. Situazione di primo Quattrocento Il Quattrocento senese si svolge, com’è ben noto, all’insegna della magnificenza. La cura per la città nelle sue articolazioni architettoniche e per l’arte di commissione pubblica o parapubblica – come possiamo con- siderare la Mercanzia – è tanto nota che non richiede di essere sottolineata in questa sede4. L’accoglienza di principi, papi e imperatori, si svolse sempre con grande larghezza - che creò anche non pochi problemi alle finanze pubbli- che, regolarmente più disastrate del solito in quel periodo5. La città indebolita da carestie, pesti e guerre6 nonostante tutto tenne alta la qualità del suo profilo pubblico come risulta da testimonianze tante volte ripetute e suscettibili solo di un ulteriore arricchimento. 3 Cfr. L. Bonelli Gandolfo, La legislazione suntuaria cit. p. 89; Ead., Leggi suntuarie… cit., in particolare p. 285; R. Lugarini, Il ruolo degli Statuti degli sforgi nel sistema suntuario sene- se, in BSSP CIV (1997), pp. 403-422, a p. 405; correttamente ha colto la tendenza alla omogeneiz- zazione tra nobili e alta ‘borghesia’ (anche se non parlerei di “tendenza all’appiattimento sociale”, p. 406) e la successiva caduta del criterio censitario (p. 411). 4 Sia sufficiente un rinvio a F. Nevola, Siena. Constructing the Renaissance City, London and New Haven, Yale University Press, 2007. 5 Contesto aggiornato in P. Pertici, Siena quattrocentesca. Gli anni del Pellegrinaio nell’O- spedale di Santa Maria della Scala, Prefazione di R. Fubini, con un saggio di M.A. Rovida, Siena, Protagon, 2012; per un buon esempio M.A. Ceppari Ridolfi, I papi a Siena. Storia della Chiesa, religiosità, feste, tornei e apparati, Istituto storico diocesano, “Annuario”, 1998-1999, pp. 305-336. Pur sempre utile la grande raccolta documentaria di [N. Mengozzi], Il Monte dei Paschi e le azien- de in esso riunite, I (proseguito fino al IX), Siena, Sordomuti, 1891(-1925), che ho difeso da critiche troppo facili nel mio Siena: “la Vergine Maria è pelata”: il primo Monte (1472-1511) tra norma- tiva e prassi, in Storia di frodi. Intacchi, malversazioni e furti nei Monti di pietà e negli istituti caritatevoli tra Medioevo ed Età moderna, a cura di L. Righi, Bologna, il Mulino, 2017, pp. 61-94. 6 Dati interessanti in Fortilizi e campi di battaglia nel Medioevo attorno a Siena, a cura di M. Morrocchi, Siena, Nuova Immagine, 1998; sul trend negativo nelle campagne in quel primo
La legislazione suntuaria a Siena nella ‘svolta’ tra Quattro e Cinquecento 177 Lo Studio e la Sapienza sempre accuditi con cura, di nuovo, ma an- che i grandi lavori e abbellimenti al Santa Maria della Scala furono parte di un sentimento collettivo largamente radicato7. Collettivo che non escludeva la competizione tra le famiglie e i più intraprendenti dei loro esponenti, che contribuiva ad effetti positivi nel loro complesso. Negli ultimi anni Antonio Petrucci soprattutto è stato sotto i riflettori, anche per le novelle attribuite al Sermini (ancora suscettibile di discussioni a mio avviso8), per aver squarciato il normale anonimato dei ‘popolari’ senesi, rotto prima solo da qualche medico e giurista famoso, oltreché dagli artisti tanto ricercati anche fuori del territorio9. Ma ogni occasione era buona per tentare di eccellere e di dar mostra di una personalità straordinaria. Enea Silvio è il nome più ovvio da questo punto di vista, ma anche i cittadini eminenti pur non ufficialmente nobili che facevano a gara per ottenere riconoscimenti inusuali per le condizioni ‘popolari’ ufficiali sono molto significativi10. La presenza della corte impe- riale e il serpeggiante, mai completamente sopito, ghibellinismo, facevano il resto11. Questo contesto ci aiuta a capire come la legislazione suntuaria stessa potesse con il tempo risentire del clima culturale e politico in lenta tra- sformazione – nonostante il blocco del tentativo traumatico di Antonio Petrucci culminato nel 1456. Quattrocento classico M. Ginatempo, Crisi di un territorio. Il popolamento della Toscana senese alla fine del Medioevo, Firenze, Olschki, 1988 (ma non era ancora chiarita la distinzione tra contado e distretto della Repubblica per cui le situazioni rilevate non sono da intendersi come una regola assoluta, come chiarito in più passi del mio Lo spazio storico di Siena, Cinisello Balsamo, Silvana, 2001). 7 Tra i tanti contributi recenti utile la raccolta di P. Pertici, Siena quattrocentesca… cit. 8 Si veda ora Pseudo Gentile Sermini, Novelle, Edizione critica con commento a cura di M. Marchi, Pisa, ETS, 2012. 9 Un precedente approccio generale con invito a rivalutare questo periodo prima negletto della storia politico-istituzionale senese l’ho inglobato in Siena nella storia, Cinisello Balsamo, Silvana, 2001, ed è stato poi confermato dai saggi raccolti in L’ultimo secolo della Repubblica di Siena, a cura di M. Ascheri - F. Nevola, Siena, Accademia senese degli Intronati, 2007. 10 In Siena nel Rinascimento: istituzioni e sistema politico, Siena, il Leccio 1985, segnalavo ad esempio il caso dei Bichi (ad ind.). 11 Di qui la cronaca ora riedita: Niccolò Di Giovanni, La sconfitta di Monte Aperto, Edi- zione critica a cura di A. Cavinato, Presentazione di S. Settis, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 2016.
178 Mario Ascheri Il problema che già agli inizi del Quattrocento si era presentato con urgenza era quello del contenimento delle spese per le doti e i matrimoni sul quale san Bernardino, ascoltatissimo per necessità dai governanti, visto il suo successo, era stato implacabile. Il Comune non diede ascolto ai suoi accorati appelli per la repres- sione della stregoneria, ma su questo tema, che riguardava anche l’espor- tazione di valuta per gli acquisti di beni preziosi non prodotti a Siena, fu più sensibile. Si trattava di venire anche incontro alle categorie produttive della città escludendo acquisti forestieri. Nel 1425 così – nello stesso anno in cui sulla facciata del Palazzo dei Signori si issava il trigramma dorato su campo azzurro - il Comune dispose12 che le doti non potessero superare la cifra (non irrisoria peral- tro) di 700 fiorini, comprensivi dei “donamenta” maritali, limitati pe- raltro – facendo un piacere ai maschietti - al 10% dell’ammontare della dote. Le stesse spese per addobbare la sposa, ghirlande comprese, per sollievo ulteriore dello sposo, non potevano eccedere il 20% della dote e dovevano essere documentate per la possibile verifica da parte del fun- zionario competente. Lo scrupolo delle spese superflue arrivava al punto di vietare ogni nuovo “vestimento o ornamento” per la sposa entro il primo anno dall’ini- zio della convivenza (salvo il “corretto” nei casi permessi, non specificati). Come spesso previsto, era consentito denunziare ed accusare per violazio- ni che portavano al compenso di un quarto della pena, di 100 lire per ogni violazione (l’altro quarto al funzionario e la metà al Comune)13. La stessa pena era prevista per colei che indossasse vesti di seta, sal- vo fosse moglie di cavalieri, dottori di diritto o medicina oppure di conti, riprendendo un’eccezione consueta già nel Trecento14. Erano categorie che davano lustro alla città, che ne poteva vantare la presenza con i forestieri, per cui l’esenzione va considerata come un preciso incentivo all’incremen- to della loro presenza in città. Sennonché soltanto il divieto della seta rimase vigente, perché già il 12 Documenti, n. 451. 13 Ivi, n. 452. 14 In M. A. Ceppari Ridolfi-P. Turrini, Il mulino delle vanità… cit.
La legislazione suntuaria a Siena nella ‘svolta’ tra Quattro e Cinquecento 179 15 febbraio del 1426 la normativa sulle doti veniva abrogata15. Un buon motivo per sollecitare le nuove, straordinarie prediche del Santo del 1427, quelle che ci sono state fortunatamente tramandate16. E la legislazione riprese, abbondante, nel periodo successivo, ma è già stata esaminata da Casanova e Bonelli-Gandolfo, oltreché recentemen- te da Ceppari Ridolfi, per cui possiamo limitarci a rinviare in questa sede alle loro pagine per i preziosi dettagli17. Sottolineiamo almeno, però, come si cogliesse l’alto rilievo politico delle eccezioni alle regole ‘popolari’ per- ché, quando nel 1460 esse si estesero alle nipoti e cugine carnali di Pio II e alle ‘donne’ dei nipoti e dei tesorieri, e ai depositari e segretari (sempreché “continui commensali in casa del papa”)18, si dovette anche aggiungere una significativa precisazione. Nessuno, sempre sotto la pena di 100 lire, poteva osare di intervenire in altro modo con “licenzia” dalle regole se non il Consiglio del Popolo, da tempo l’organo politico eminente del ‘regime’, una sorta di Senato19. Le deroghe, ora e in seguito, indicavano un modello di eccellenza – che l’arte confermava, come indicano i preziosi dipinti studiati da Marilena Caciorgna in questo volume. 3. Un primo momento di ‘svolta’ Il rispetto della regola era sentito chiaramente, quindi, come di ele- vata rilevanza politica. Come si confermò nel 1471 quando si istituirono i Tre Segreti sulle vesti, che venivano estratti da un bossolo preparato con apposita selezione nel potente Consiglio del Popolo: la competenza non era dei giudici forestieri, quindi, e la si escluse per loro anche in seconda istanza, a ribadire come fosse delicato il giudizio da dare su inosservanze 15 Ce lo dice ser Barnaba, il notaio curatore del prezioso Tesoretto, a margine della norma in Documenti, n. 451. 16 Bernardino Da Siena, Prediche volgari sul Campo di Siena 1427, I-II, a cura di C. Del- corno, Milano, Rusconi, 1989. 17 Si vedano rinvii a note 1-2. 18 Documenti, n. 471. 19 Ivi, n. 472. Segnalo che nelle norme suntuarie previste per le epidemie di questi anni non c’è spazio per le “svolte” di cui oltre; si veda L. Banchi, Provvisioni della Repubblica di Siena contro la peste degli anni 1411 e 1463, in ASI, s. IV, XIV (1884), pp. 325-332.
180 Mario Ascheri che facilmente provenivano da esponenti del ceto dirigente o comunque vicino ad esso (come i nobili)20. In appello erano i Quattro di Biccherna, i Regolatori e gli Esecutori di Gabella, ossia i massimi uffici accanto al Concistoro, a poter riconsiderare le questioni suntuarie! E le contestazioni per inevitabili difficoltà interpretative dovevano essere così frequenti che nella stessa data si esplicitò come dovesse inten- dersi la possibilità concessa alle donne di portare abiti di seta21. Tutto questo si decideva il 28 agosto, ma bastarono pochi giorni per indurre a deliberare una svolta clamorosa. Il 4 settembre, anniversario (non ricordato esplicitamente) di Montaperti, premettendo che seri peri- coli minacciavano la Repubblica (si era riflettuto sulla gravità del sacco di Volterra, probabilmente), si dispose22 a valere dal 1 gennaio del 1472 che potessero portare maniche di velluto e di seta solo le mogli dei cavalieri (eccezione usuale) e, si aggiunse in modo inusitato, di coloro che fossero allirati da 3mila lire in su, ossia per una cifra davvero cospicua. Per la prima volta, mi pare, fu inserito un criterio censitario. Non era più questione di nobili o di ‘popolari’, qui il discrimine diveniva solo la ricchezza. Sintomo chiarissimo da un lato dell’affievolirsi dell’egualitario spi- rito repubblicano tradizionale e, dall’altro, della stessa percezione e di- stinzione cetuale di nobili e ‘popolari’: non era più ormai la collocazione politica che distingueva, ma la posizione socio-economica nella società; e si sapeva bene quanti ‘popolari’ fossero intrecciati con i nobili per motivi familiari o d’affari e come avessero uno status economico-sociale ormai percepito come analogo. La ‘uguaglianza’ che non si riusciva a realizzare sul piano politico – mediante uguale accesso dei diversi ‘Monti’ ammessi23 al Concistoro – si annullava nella società e in un certo senso si realizzava con la stratifica- zione per gruppi di diversa consistenza socio-economica e il loro diverso 20 Ivi, n. 483. 21 Ivi, n. 485. 22 Quel che segue è in Documenti, n. 486. 23 Il funzionamento del sistema dei Monti l’ho illustrato analiticamente nell’introdurre a Siena e il suo territorio nel Rinascimento, I, a cura di M. Ascheri-D. Ciampoli, Siena, il Leccio, 1986, pp. 1-53, ma ha difficoltà ad essere recepito.
La legislazione suntuaria a Siena nella ‘svolta’ tra Quattro e Cinquecento 181 trattamento giuridico. A ribadire la scelta censitaria la norma terminava consentendo il velluto solo alle mogli di allirati con almeno 500 lire24. Interessante notare che ai maschi interessasse meno esplicitare il di- verso status, come chiarisce la norma successiva per cui “nissuno huomo di qualunche conditione si sia possi per veruno modo por- tare veste o lucho di seta o velluto di nissuna ragione, excepto che li nostri magnifici Signori, capitano di popolo et gonfalonieri maestri, inbasciadori et commissarii mentre che sono in ofitio, cavalieri et doctori”25. Molti dettagli si precisarono in Consiglio il 26 dicembre (dopo l’ap- provazione in Concistoro nel giorno stesso di Natale), anche per assicurare la conoscenza dei divieti in città, tra i quali fu inserita anche una norma espressiva del clima finanziario difficile che la città stava vivendo – e che portò infatti alla creazione del Monte di pietà proprio nel 147226. Si stabilì infatti: “acteso che tucta la ciptà comintia et maxime le donne ad fare pensiero di ve- stire di cianbellocto et veduto che quello è disutile spesa perché poco tempo si conservano et li denari si spendano tucti vanno fore di Siena, che veduto il divieto de’ velluti in poco tempo uscirebbe di Siena grande somma di denari che sarebbe l’opposto di quello desideriamo, unde pare si proveghi che per lo advenire non si possa fare, né per homini né per donne, veste, né camurre, né luchi, né alcuna altra vesta di ciambellotto, ma s’intendino essere vetati totalmente da kalende di gennaio in là, colle pene ordinate de’ velluti, salvo che quelle che sono facte si debbino marchare et posinsi portare come delle altre di sopra è ordinato”27. Ciò detto, però, poco dopo, oltre alle consuete deroghe per la ‘fami- glia’ dei Signori, si dispose anche “che giubarelli di seta sia lecito portare a qualunche ciptadino allirato lire 500 o da inde in su […]”28. 24 In Documenti, n. 488, si precisava l’eccezione per le giovani non sposate e per i giovani fino all’età di 20 anni: le 500 lire erano un chiaro discrimine anche per loro. 25 Documenti, n. 487. 26 Cui ho ora dedicato il contributo Siena: la Vergine Maria… cit. 27 Documenti, n. 503. 28 Ivi, n. 506.
182 Mario Ascheri Già prima della svolta oligarchica-signorile personificata da Pandol- fo Petrucci negli anni a cavallo del 1500, la ricchezza era divenuta motivo di discrimine formale della cittadinanza: i benestanti poterono esibire la loro specialità entro certi limiti, beninteso, mentre la popolazione meno benestante no. E, si badi, a prescindere dalle discriminazioni politiche, cioè dall’appartenenza a Monti di governo o in tutto o in parte esclusi da cariche pubbliche com’erano i Nobili e i Dodici. Nel gennaio del 1472 fu realizzata una specie di testo unico delle normative vigenti, probabilmente per agevolare il lavoro auspicabilmente senza contestazioni dei Tre Segreti, con conferma delle scelte operate nei mesi precedenti29. Solo forestieri ed ufficiali, nei quali doveva risplendere la magnificenza del Comune, erano esonerati dalle normative suntuarie. Ma per la discriminazione nella popolazione, si ebbe la coscienza esplicita di aver creato legalmente delle “donne privilegiate”30! 4. Il consolidamento della ‘svolta’ Che i tempi volgessero al peggio quanto all’ordine pubblico interno della città per l’acuirsi dei conflitti fu chiaro già quando nell’aprile del 1473 si pensò a porre un freno al vezzo di mascherarsi e si delimitarono rigoro- samente le scollature degli abiti femminili, mentre ad agosto si tornò sulla normativa per i funerali31. Ma senza deroghe censitarie: nel solco della tradi- zione. Prima della drammatica svolta politica del 1480, che pose fine al lon- gevo governo ‘trinario’, ci furono solo interessanti provvedimenti a favore dell’esportazione dei prodotti dell’arte della lana e della seta nel 147832, che confermano i problemi di recupero di finanze sui mercati forestieri. Dopo il 1480 fu la Balia, quasi a simboleggiare le difficoltà politiche del tempo, a intervenire. Da un lato confermando i provvedimenti prece- denti, dall’altro precisando il divieto per le mogli di esibire delle perle, salvo che il marito loro, della città o del contado, fosse allirato almeno con 3mila lire33. 29 Ivi, n. 509-542. In particolare si leggano i n. 510, 513, 524, 526, 528, 532. 30 Ivi, n. 524 e 526. 31 Ivi, n. 543-545. 32 Ivi, n. 547. 33 Ivi, n. 549, 555.
La legislazione suntuaria a Siena nella ‘svolta’ tra Quattro e Cinquecento 183 L’elezione dei Tre Segreti era però venuta meno con i rivolgimenti dell’80 e successivi, per cui nel 1484 si pensò bene di ripristinarli con una motivazione espressiva delle difficoltà della congiuntura. In altri tempi si era detto che la rapacità degli operatori della giustizia faceva poveri34. Ora si premetteva, prima di richiamare realisticamente la “pugna” che si sareb- be svolta per preparare il bossolo dei Tre segreti, sul “nocumento habbi facto et facci a la vostra città le pompe et superflui orna- menti de le donne, che in vero è quella cosa che fa povari e vostri cittadini, et è cagione d’impedire li matrimonii et li giovanni non vogliano pigliare don- na per le intollerabili spese oggi si fanno che non bastano le dote a supplire a le loro fastidiose pompe, et che peggio è quelli pochi denari contanti che cor- rano tucti per questo mezo si mandano fuore de la città et contado vostro”35. Nel ’90 le difficoltà non erano cessate, naturalmente, e l’esborso di valuta all’estero giovava alle altre “patrie” danneggiando quella senese, per cui si interveniva contro l’uso di oro, argento e perle da parte delle don- ne “di qualunque condizione, grado o età”36, senonché la legge proseguiva con le solite deroghe37: “nissuna donna, di cui el marito, padre o fratelli o zii o soceri, cioè quelli in cui podestà fussero di per sé o in comunione o vero epsa medesima non fusse allirati almeno lire 800, possi portare perle di alcuna ragione, ma essendo lo marito, padri, fratelli o socero o epsa medesima come di sopra allirata più di lire 800, possino portare infino a a la valuta di fiorini 50, non potendole portare in raccami per alcuno modo, come di sopra si contiene. Sia però lecito ad quelle donne, di cui lo padre, fratelli o marito o socero come di sopra o epse medesime fussero allirate lire 2500 o da inde in su o che fussero moglie di cavalieri o doctori, portare perle infino a la valuta di fiorini 100, non potendole portare in raccami, ma in qualunche altro ornamento o modo che a lloro piacerà. Item non possino, oltra a la sopradecta quantità di prezo di perle, portare al- cuna altra gioia che passi la valuta et prezzo di fiorini 50, ma infino al decto 34 Nel Costituto di primo Trecento, nelle parti indicate in M. Ascheri - C. Papi, Il Costituto del Comune di Siena in volgare (1309-1310). Un episodio di storia della giustizia?, Firenze, Aska, 2009. 35 Documenti, n. 558. 36 Ivi, n. 561-563. 37 Ivi, n. 564-565.
184 Mario Ascheri prezo et valuta la possino portare o in anella o in pendenti, dovendo però la lira come di sopra è decto di padri, marito, fratello, zii o socero di per sé o in comunione o di epsa medesima passare lire 800, sia però lecito a le donne di cui li padri, marito, fratelli o socero o epse medesime fussero allirate fiorini (sic) 1200 o da inde su o che fussero mogli di cavalieri o doctori, portare gioie in anelli o pendenti infino a la valuta di fiorini 100 et non più, pena a chi contrafarà per ciaschuna volta lire 50”. Come si vede, nel 1490 si era fatto un passo ulteriore, perché si di- sciplinava l’ammontare della deroga concessa! E si ponevano altri dettagli importanti con ulteriori precisazioni sul censo, che venne notevolmente elevato38: “Item non possi alcuna donna di qualunche conditione si sia portare drappo o velluto o seta di qualunche ragione, salvo che in maniche, essendo però el marito allirato almeno lire 400, ma se el marito fusse allirato meno di lire 400, non possa per alcun modo portare drappo o velluto o alcuna altra ragio- ne di seta, pena a chi contrafarà lire 50; excepte quelle donne di cui el marito, padre, fratelli o socero di per sé o in comunione o epsa medesima fussero allirati lire 2500 o fusse moglie di cavaliere o doctore, a le quali sia lecito portare una vesta di seta, non però con oro o argento, raccami o alto et basso, brocccato d’oro o argento o con raccami, come di sopra, li sia lecito portarla o haverla et elegendo più presto la cotta, non possa havere o portare altra vesta di seta, in modo che in effecto non possa né tenere né usare più che una vesta di seta o sotto o sopra che la vogli, a le quali possa portare profilo di qualunche pelle o di quello le piacerà, pure che non vi sia oro né argento filato o fino o falso o racchamo, pena a chi contrafarà lire 50”. Dall’ornamento della donna la città poteva avere un immediato qua- dro del censo della famiglia! Ma l’aumento del livello di censo sembra far pensare che si volesse una cerchia più ristretta di privilegiati, in armonia con la chiusura del ceto dirigente sotto il pugno autoritario di Pandolfo Petrucci39. 38 Ivi, n. 571. Amplissima ormai la bibliografia, che ho ricordato selettivamente ora in Siena: la Vergine 39 Maria…cit., ove indico a nota 24 il lavoro di A. K. Isaacs cui dare la precedenza per accostarsi a questo periodo confuso di storia politico-sociale senese, illustrato anche in generale da Ch. Shaw e R. Terziani.
La legislazione suntuaria a Siena nella ‘svolta’ tra Quattro e Cinquecento 185 L’arte stessa risente, com’è noto, di questa aristocratizzazione dell’élite sociale senese, con i suoi moduli sempre più eleganti e preziosi40, ed è orientamento coerente con provvedimenti come quello – sempre nel 1490 - che estendeva la protezione delle produzioni di tessuti locali41 e, non paradossalmente, con l’incoraggiamento delle feste pubbliche popo- lari – come il Palio della Maddalena introdotto da Pandolfo per celebrare il suo rientro vittorioso in città42. Direi anche coerente con il maggiore controllo sociale la disciplina sempre più analitica della marcatura delle vesti43 da un lato, e dall’altro il regolamento eccezionale della procedura di condanna per le violazioni suntuarie. Si dispose infatti che “nissuno ad- vocato o procuratore possa intervenire in decte cause”, appelli compresi, escludendo anche qualunque revoca per inosservanza di formalità: bastava che fosse “excesso provato”44. La seta fu sempre oggetto di particolare attenzione, anche se consen- tita – a differenza dei “broccati d’oro o d’argento o raccami” per gli uomini – a persona allirata almeno a 400 lire45. Da quell’ammontare fino a 2500 40 Tema molto studiato negli ultimi anni dal compianto Roberto Guerrini e da Marilena Caciorgna con riferimento alla tradizione classica (ad esempio nel loro La Virtù figurata. Eroi ed eroine dell’antichità nell’arte senese tra Medioevo e Rinascimento, Siena, Fondazione MPS - Pro- tagon, 2003), ma per il nostro specifico, ad esempio, interessante Drappi, velluti, taffettà et altre cose. Antichi tessuti a Siena e nel suo territorio, a cura di M. Ciatti, Siena, Nuova Immagine, 1994. Interessante eccezione anche per i panni destinati al “culto divino” (Documenti, n. 577). Per orien- tamenti culturali nuovi, si veda ad esempio Nei giardini di Toth. Cultura ermetica e arti magiche a Siena nel Rinascimento, a cura di M. Ascheri-V. Serino, Siena, Pascal, 2007. 41 Documenti, n. 573: “Non si possa per lo avenire fare né portare alcuna vesta, cotta o lucho di seta o di panno, se non di drappi et panni lavorati in Siena (… )”. Si veda nota 71. 42 Evento sempre ricordato per essere una conferma della connessione Politica-Palio, come quelli per San Pietro Alessandrino. L’immagine del Palio. Storia cultura e rappresentazione del rito di Siena, a cura di M. A. Ceppari Ridolfi - M. Ciampolini - P. Turrini, Firenze, 2001, p. 528. Bella raccolta di studi in L’età di Pandolfo Petrucci. Cultura e tecnologia a Siena nel Rinascimento. Studi in memoria di Giuseppe Chironi, Siena, Accademia Senese degli Intronati – Opera Metropolitana del Duomo, 2016. 43 Documenti, n. 579. Un esempio analitico è offerto in S. Paghi - C. Palazzuoli, Cittadini e preziosi vestimenti 1422, in Siena e il suo territorio nel Rinascimento, II, a cura di M. Ascheri - D. Ciampoli, Siena, il Leccio, 1990, pp. 99-119. 44 Ivi, n. 583. L’appello tra tempo della proposizione e suo esame doveva chiudersi in 15 giorni! Ivi, n. 585. Per il pagamento delle condanne era coinvolto il Monte (del debito pubblico): ivi, n. 587. 45 Ivi, nn. 589-590.
186 Mario Ascheri lire si potevano indossare i “giubboni di seta et altri ornamenti, excepto veste o mantelli et non possino portare veste o luccho foderato di velluto o seta con pelo”46. I broccati erano vietati persino ove si superassero le 2500 lire di allibramento che consentiva la seta “di qualunque ragione et in qualunque modo”47. Tutto chiaro, ma per le donne prima e dopo il matrimonio? Ci vol- le una espressa delibera interpretativa della Balia, il 7 giugno 1490, per chiarire l’ovvietà che prima che fosse “inanulata sive inguadiata” la donna avrebbe seguito le regole del reddito familiare d’origine (se senza padre, dei fratelli), e poi invece del marito, suocero o fratelli in comunione dei beni48. 5. La seconda ‘svolta’ Il nuovo secolo non portò solo conflitti politici e disordini dell’ordine pubblico in città anche più intensi che nel Quattrocento, ma segnò anche l’avvento di una ulteriore discriminazione, che esprimeva l’irrigidimento dei gruppi politicamente attivi della città. Il conflitto politico, ora che con i rivolgimenti nella composizione dei Monti di fine secolo erano tornati (almeno in parte) ai diritti politici i Nobili (ora detti Gentiluomini, per lasciare aperta la considerazione di ‘nobili’ anche ad altri) e i discendenti dei Dodici, si incentrava sull’essere di ‘reggimento’ – per aver avuto un famigliare in Concistoro – o meno. La società senese, già divisa dal censo, si avviava anche alla divisio- ne tra i partecipi dei pieni diritti politici e chi, essendone escluso, mirava ormai con grande difficoltà a entrare a farne parte ben sapendo della tra- dizione di ‘normale’ mobilità politica tipica della Repubblica in passato, salvo momenti eccezionali. La legislazione suntuaria registrò presto questo orientamento, già vivo seppur minoritario nel Quattrocento. Nel 1517, una deliberazione 46 Ivi, n. 591. 47 Ivi, n. 592. La n. 593 esclude i minori di 14 anni dal privilegio. Ma i minori di 7 anni potevano portare cuffie di qualunque ragione di seta, purché senza oro o argento o “raccami” quale che fosse la loro condizione (socio-economica): ivi, n. 594. 48 Ivi, n. 597.
La legislazione suntuaria a Siena nella ‘svolta’ tra Quattro e Cinquecento 187 di Balia distinse ai fini dell’ornato consentito le donne sotto potestà “di quelli che sonno di reggimento et allirati da lire 500 in su” da quelle sotto quel patrimonio. Per le prime elencò minutamente il vietato e l’am- messo49, che si semplificava (vietando cremisi e maniche) per quelle di “reggimento” sotto le 500 lire di allibramento50. Tutte le donne non di ‘governo’ – per dirla modernamente – erano unificate nella disciplina quale che fosse il patrimonio della famiglia: si confermava l’esclusione del prezioso cremisi, il rosso vivo che doveva contraddistinguere le fa- miglie di governo51. Il problema suntuario rimase di grande attualità negli anni succes- sivi fino al crollo della Repubblica nel 1555, perché era espressivo delle difficoltà del ceto dirigente52. Gli ingredienti erano però quelli ormai in- dividuati. Ma è significativo che fosse soprattutto la Balia, un organo di governo ormai ordinario accanto al Concistoro, ma fortemente decidente e espressivo dell’equilibrio politico, ad occuparsene. Come nell’agosto del 1518, con la ripresa della distinzione tra donne di reggimento con allibramento di famiglia da 500 lire in su (cui vedo riservato soprattutto il cremisi) o meno (solo maniche di cremisi), e quelle escluse dal reg- gimento, private degli abiti di seta53. Ma, si ammetteva esplicitamente l’anno dopo confermando la difficile situazione politica, nell’agosto del 1519, era ben difficile farsi pagare le ammende da chi contravveniva, per cui la Balia provò a raggiungere lo scopo deliberando la loro esclusione dai tribunali e dalle cariche finché durasse l’inadempimento54. Due anni dopo, a marzo del 1521, la Balia non poteva che riconoscere l’inosser- vanza della normativa55. 49 Ivi, nn. 600-601. 50 Ivi, n. 602. 51 Ivi, n. 603. I Segreti, tenuti in un bossolo “secretissimo”, erano allora espressione dei tre Monti di governo: n. 606. 52 Sulla situazione A. Aubert, La crisi degli antichi Stati italiani (1492-1521), Firenze, Le Lettere, 2003; M. Gattoni, Clemente VII e la geo-politica dello Stato pontificio, Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, 2002; B.A. Raviola, L’Europa dei piccoli Stati, Roma, Carocci, 2008. 53 Per tutto, Documenti, nn. 616-619. Interessanti le deroghe per donne e figli di Pierfrance- sco, Silvio, Enea e Alessandro Piccolomini e loro nipoti: n. 624. 54 Ivi, n. 626. 55 Ivi, n. 627.
188 Mario Ascheri 6. Verso la fine della Repubblica In questo contesto, il silenzio normativo fino al dicembre del 1525 non è buon segno. L’aggravarsi dei conflitti fece riemergere la competenza dei massimi consessi, Consiglio del popolo e Consiglio generale del Comune, che dovettero ribadire l’idea corrente che dai molti e costosi “sforgi” na- scessero le “intollerabili doti” che causavano i “rari parentadi di famiglie” – all’attenzione di un’apposita commissione di Sei per i matrimoni, le paci e le concordie: come si faceva in passato, si disse nostalgicamente56. Comunque, poche settimane dopo, il 15 febbraio, pochi mesi prima della luminosa giornata di Camollia (che vide sconfitte le truppe fiorenti- ne, papali e senesi dei Nove esuli con loro solidali), si tornò sulla norma- tiva sempre prendendo le 500 lire come discrimine entro il “reggimento” con il color cremisi sempre in evidenza, anche per le donne “sotto custo- dia” di uomini non di reggimento, anche se con marito allirato da 1500 lire in su57. Una novità veniva introdotta per le fanciulle non maritate che ve- nivano esplicitamente parificate: l’abbigliamento le qualificava imme- diatamente come disponibili sul ‘mercato’ matrimoniale che si voleva stimolare58. Ugualmente senza discriminazioni era la possibilità per le donne di indossare “di notte e cavalcando o a piedi fuore della città” la “ghavardina overo vestone ad uso di homo”: la comparsa anomala con- sentiva l’equiparazione59! Quando invece si parlava di uomini di reggimento, l’oro massiccio loro consentito era da ritenersi quello degli anelli (a differenza della libertà per cavalieri, dottori e titolari di “signoria”), e regole speciali si precisa- rono per quelli tra i 15 e i 35 anni, oltreché per chi si recasse in consiglio o in una ‘magistratura’: per la prima volta si vietarono loro le “cappe alla spagnola”60. Un breve elenco di vesti consentite si riferiva agli uomini non 56 Ivi, n. 628-629. Ho seguito questi anni nell’introdurre a L’ultimo statuto della Repubblica di Siena (1545), a cura di M. Ascheri, Siena, Accademia Senese degli Intronati, 1993, pp. vii-xxx- vi; si vedano poi gli studi raccolti in L’ultimo secolo della Repubblica… cit.. 57 Ivi, nn. 630-634. 58 Ivi, n. 636. 59 Ivi, n. 637. 60 Ivi, n. 638.
La legislazione suntuaria a Siena nella ‘svolta’ tra Quattro e Cinquecento 189 di reggimento61. Si badi, qui non si faceva cenno al loro diverso allibra- mento: ormai il discrimine politico sopravanzava quello socio-economico. La società era ormai semplificata anche nelle apparenze! Il problema era che la semplificazione non riguardava anche le co- scienze e le volontà politiche. Ma i tempi duri consigliarono prima di vietare i veli neri, nell’agosto 152762, e poi nel 1537 di prevedere nuove restrizioni per le donne, comprese vesti vietate senza distinzione cetua- le63. Quando si dovette parlare di privilegi per le donne, non si fece rife- rimento alla famiglia di reggimento generica, ma a mogli, figlie o nipoti di riseduti, quasi a voler evitare ogni ambiguità, privilegiando anche la donna andata sposa al non riseduto: il matrimonio non le faceva perdere lo status, anche se è facile prevedere che qualche tensione ne potesse derivare. In effetti il riseduto di Concistoro era o era stato titolare di un uffi- cio solenne e ordinario, tradizionalmente il traguardo ultimo della vita politica. Il ‘reggimento’ invece poteva far pensare all’appartenenza al gruppo di governo da altre posizioni importanti, pur non essendo ascesi al Concistoro64. Perfezionamenti furono apportati al sistema nel 1538, nel 1541 e nel 1542 con la tendenza ad ampliare i divieti riguardanti tutti indistintamen- te, ma con normative nel complesso confermanti le ormai tradizionali distinzioni65. Se mai c’è maggiore sottolineatura delle eccezioni che oltre ai Signori del Concistoro e Capitano del popolo riguardano anche espli- citamente i rappresentanti delle arti maggiori in occasione di onoranze, così come per gli investiti di un dottorato o i forestieri che – si precisa – non fossero stabilmente a Siena, tenuti allora ad uniformarsi alle regole ordinarie. Interessante una norma specifica per i riseduti “vecchi” di oltre 50 anni, mentre si ribadiva il divieto della “cappa a la spagnola” (e c’era motivo di essere poco condiscendenti ormai ad assimilarsi agli spagnoli) e si affacciava la competenza del Capitano di giustizia (a differenza dei 61 Ivi, n. 639. 62 Ivi, n. 643. 63 Ivi, nn. 644-646, 651. 64 Ivi, n. 647. 65 Ivi, nn. 652, 654, 655. Al n. 658 si introduce la distinzione tra uomini sopra e sotto i 20 anni.
190 Mario Ascheri tradizionali uffici politici). Ancora nell’aprile del 1542 le eccezioni poste dagli Otto di balia riguardavano i cavalieri, i “graduati” e i riseduti66. Negli anni successivi l’attenzione per la legislazione si concentrò su- gli statuti cittadini, riformati infine, con grande ritardo, in modo da entrare in vigore nel 154567. Ma la normativa suntuaria ne rimase fuori, percepita com’era come una normativa sottoposta a una fluttuazione congiunturale non desiderata invece per le norme statutarie vere e proprie. La crisi portò però alla larvata dominazione spagnola che sotto don Diego Hurtado de Mendoza, umanista spagnolo di gran fama e di pugno fermissimo come rappresentante dell’imperatore in città68, divenne an- che più palpabile. Ora la materia suntuaria fu affidata a una nuova magi- stratura detta classicamente dei Quattro censori, naturalmente nominati da don Diego69. Per i loro lavori fu apprestato un vero e proprio testo uni- co, che possiamo considerare un restatement della normativa, ufficial- mente emanata dagli ufficiali di Balia e Conservatori della libertà della Repubblica. Le regole sono infatti, salvo dettagli per i quali si rinvia come al solito al testo70, quelle ormai divenute tradizionali per l’ottica che abbiamo adottato nella loro lettura: di rilevare eventuali novità poli- tico-istituzionali. Ci sono molti divieti per tutti ora, nelle vesti così come per i pranzi, ma si rispettano le tradizionali ormai divisioni tra uomini e donne di “reggimento” (che ricompare) e non, con l’usuale accoglimento nel privilegio dei dottori collegiati non di reggimento. Il far riferimento al reggimento anziché ai riseduti può avere un suo significato: sminuire il rilievo del singolo e riconoscere collettivamente il ceto – cosa proba- bilmente gradita al Signore spagnolo. Ma la vera grande novità dell’ultima normativa repubblicana è la mancanza di discrimini in base al censo. Che sia un livellamento espres- 66 Per tutto ivi, nn. 659, 661, 663. 67 Si veda L’ultimo statuto della Repubblica… cit. 68 Utile ora P. Nardi, Brandano e don Diego negli ultimi anni della Repubblica di Siena, in Brandano da Petroio. L’uomo, il mistico, il profeta e il confratello, a cura di P. Nardi - P. Turrini - A. Valboni, con la collaborazione di G.B. Guasconi, Siena, Il Leccio, 2015, pp. 67-87. 69 Specifico su questo intervento R. Lugarini, Il ruolo… cit.; sugli spagnoli si rinvia agli studi in L’ultimo secolo della Repubblica… cit. 70 Documenti, nn. 666-683.
La legislazione suntuaria a Siena nella ‘svolta’ tra Quattro e Cinquecento 191 sivo della ormai crescente sudditanza rispetto al potere spagnolo? Proba- bilmente no. Si trattò semplicemente di difficoltà ad invocare parametri patrimoniali nel momento in cui la Repubblica preferiva evitare le tensioni che una revisione della lira sempre provocava. Meglio lasciar fare: c’erano già troppi problemi… e tutto sommato l’abbandono del censo ribadiva che il vero grande problema politico ormai era quello cetuale. La città era divisa tra famiglie di reggimento e non. Non più tra ‘po- polari’ di governo e popolari non eleggibili per questo o quel motivo, e i ben caratterizzati ‘magnati’ di un tempo. I nobili tradizionali ormai ave- vano ripreso campo e semmai erano gli ‘altri’ riseduti che volendo essere considerati tali puntavano a rafforzare il ceto di ‘reggimento’. La legislazione suntuaria era già da decenni uno strumento formida- bile in questa direzione. La ‘moderna’ divisione cetuale a Siena si era già ben radicata prima della fine della Repubblica71. La perdita delle libertà repubblicane dopo il drammatico assedio dal nostro punto di vista non fu una frattura, perché segnò piuttosto il consoli- darsi della continuità nell’opzione cetuale del ceto dirigente pur nelle sue divisioni interne. L’ideologia ‘popolare’ era stata sconfitta a fine Quattrocento72 e le aspirazioni al Monte politico unico dei vari Claudio Tolomei e Alessandro Piccolomini esprimevano bene la tendenza al trionfo dell’ideologia nobi- liare73. I ‘popolari’ potevano dedicarsi ai giochi o agli intrattenimenti an- 71 Sul grande problema della nobiltà si vedano per iniziare gli studi raccolti in I libri dei leoni. La nobiltà di Siena in età medicea (1557-1737), a cura di M. Ascheri, Siena - Cinisello Bal- samo, Monte dei Paschi di Siena - Silvana, 1996; per il quadro giuridico (che conferma una svolta intorno al 1500) M. Ascheri, De ornatu mulierum dal Medioevo all’età moderna: dal Roselli al Tergolina, in Stagnation oder Fortbildung? Aspekte des allgemeinen Kirchenrechts im 14. und 15. Jahrhundert, a cura di M. Bertram, Tübingen, Niemeyer, 2005, pp. 337-354; contesto produttivo nel mio Per la storia del tessuto a Siena; qualche aspetto, in Drappi, velluti, taffettà et altre cose, a cura di M. Ciatti, Siena, Nuova Immagine, 1994, pp. 239-244. 72 I documenti da me raccolti in Verso la definizione dell’oligarchia. Provvedimenti per i Monti 1493-1498, in Siena e il suo territorio… I, cit., pp. 343-363, sono estremamente significativi. In generale si vedano Ch. Shaw, The Politics of Exile in Renaissance Italy, Cambridge, Cambridge University Press, 2000, e F. Ricciardelli, The Myth of Republicanism in Renaissance Italy, Tur- nhout, Brepols, 2015. 73 Aggiornata raccolta di studi, anche sul contesto, in Alessandro Piccolomini (1508-1579). Un siennois à la croiseé des genres et des savoirs, réunis par M.-F. Piejus - M. Plaisance - M. Re-
192 Mario Ascheri che geniali dei Rozzi oppure ancora all’adesione alle dotte scelte religiose dei Riformati74. Ma la Repubblica, come a Firenze, aveva perso prima di crollare formalmente. sidori, Sorbonne Paris 3, Paris, 2011. Il suo Discorso fatto in tempo di Repubblica per le veglianti discordie de’ suoi cittadini, è stato elegantemente ristampato a cura di E. Refini e F. Tomasi per l’Accademia Senese degli Intronati, Siena, 2008. 74 Si veda ora la raccolta Dalla Congrega all’Accademia. I Rozzi all’ombra della suvera fra Cinque e Seicento, a cura di M. De Gregorio, Siena, Accademia dei Rozzi, 2013. Sul grande difensore dell’ortodossia, si veda S. Lo Re, Ambrogio Catarino Politi e alcuni retroscena delle sue controversie (in margine al processo Morone), in Eretici esuli e indemoniati nell’Italia moderna, Firenze, Olschki, 1998, pp.13-60; sul ‘principe’ degli eretici senesi in questo periodo ora M. Cama- ioni, Riforma cappuccina e riforma urbana. L’impatto della predicazione italiana di Bernardino Ochino, in “Rivista di storia della Chiesa in Italia”, LXVII (2013), pp. 121-160.
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