La guerra in casa UNIONE EUROPEA, NATO E BASI MILITARI - Potere al Popolo!
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La guerra in casa UNIONE EUROPEA, NATO E BASI MILITARI La guerra in casa Nuovi percorsi per la ricostruzione di un Movimento contro la guerra, indipendente e radicale Raccolta interventi e contributi assemblea di Potere al Popolo! Pisa | 19 maggio 2019 Giorgio Cremaschi (portavoce nazionale di PaP!) Antonio Allegra (Comitato No MUOS Sicilia) Susanna Angeleri (Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia) Angelo Baracca (scienziato e militante no war) Ascanio Bernardeschi (PaP! Valdera) Sergio Cararo (Coordinamento nazionale di PaP!) Giovanni Ceraolo (Coordinamento nazionale di PaP!) Beppe Corioni (PaP! Brescia) Cinzia Della Porta (Esecutivo nazionale USB) Elizabeth Gibney (nature.com) Emanuela Grifoni (Coordinamento nazionale di PaP!) Jeff Hoffman (Tavolo per la Pace Val di Cecina) Valter Lorenzi (PaP! Pisa) Sergio Scorza (redattore contropiano.org) Pisa Tiberio Tanzini (PaP! Empoli) 1
Sommario Introduzione..............................................................................................................................1 Potere al Popolo!, Pisa Intervento.................................................................................................................................. 4 Giorgio Cremaschi portavoce nazionale di Potere al Popolo! Il sistema militare-industriale dell’UE e la costruzione dell’esercito europeo...........................................................10 Sergio Cararo Coordinamento Nazionale di Potere al Popolo! NATO, UE, armamenti nucleari............................................................................. 13 Angelo Baracca scienziato e militante no war La base militare di Ghedi: la deterrenza nucleare tra di noi...... 21 Beppe Corioni Potere al Popolo!, Brescia La ricerca piegata al sistema militare industriale: l’accordo tra Ministero della Difesa e CNR................................................29 Cinzia Della Porta Esecutivo nazionale USB La Sicilia, Hub militare statunitense nel Mediterraneo.................33 Antonio Allegra Comitato No MUOS Sicilia La Ricerca Pubblica nelle strategie dell’Unione Europea per il settore militare/industriale........................................................................41 Emanuela Grifoni Potere al Popolo!, Pisa I controversi piani europei per espandere la Ricerca nel settore della Difesa....................................................................45 Elizabeth Gibney nature.com
A 20 anni dall’aggressione alla Jugoslavia: una guerra costituente per l’Unione Europea...................................... 50 Susanna Angeleri Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS Pacifismo e disarmo: l’insostenibile difficoltà di lavorare con le istituzioni locali......56 Jeff Hoffman Segreteria Tavolo per la Pace della Val di Cecina La “servitù militare” del porto di Livorno alla base USA di camp Darby. Dalla Moby Prince a oggi.............59 Giovanni Ceraolo Potere al Popolo!, Livorno Coordinamento Nazionale Potere al Popolo! Pace e rivoluzione. Il disarmo occidentale precondizione per l’uguaglianza, i diritti e i beni comuni.................................................. 61 Tiberio Tanzini Potere al Popolo!, Empoli L’imperialismo e l’Europa. Una riflessione sulle ragioni economiche della guerra................ 68 Ascanio Bernardeschi Potere al Popolo!, Valdera Intervento dal pubblico..............................................................................................74 Sergio Scorza collaboratore di www.contropiano.org La metamorfosi della base USA di camp Darby nel contesto della competizione USA/UE all’interno della NATO...................................................................................................78 Valter Lorenzi Potere al Popolo!, Pisa
Introduzione Potere al Popolo!, Pisa La guerra è da tempo tornata a essere lo strumento principe delle politiche interne ed estere dei paesi occidentali, per rispondere ad una crisi del modo di produzio- ne capitalistico che non ha precedenti nella storia di questo distruttivo sistema socio-economico. Le economie occidentali orientano sempre più i propri investimenti sull’unica industria che non ha mai visto una flessione in termini produttivi, R&D e vendi- te. L’industria delle armi è l’unica vera controtendenza al declino complessivo del modello economico dominante. Il ritorno della proliferazione nucleare è un altro, inquietante segnale di questa tendenza. Gli amanti di John Maynard Keynes vedono così realizzato l’unica forma con- creta di applicazione della teoria dell’economista britannico in questa fase storica: il keynesismo di guerra. Il costituendo esercito europeo non è ancora in grado di rispondere alle esi- genze di proiezione bellica dell’apparato militare-industriale europeo, per questo i burocrati di Bruxelles hanno deciso di derogare alle ferree regole di pareggio di bilancio aprendo i forzieri della BCE a ogni tipo di investimento nel sistema mi- litare – industriale continentale. La ricerca pubblica (il CNR e Istituti di alta for- mazione come il S.Anna di Pisa) è sempre più orientata, in base a finanziamenti finalizzati, a sostenere aziende che producono tecnologia avanzata a fini militari, a formare le truppe civili e militari di eserciti di nuova concezione per la gestione delle guerre (peacebuilding, peacekeeping, peace-enforcing, guerra informatica e dei sistemi informativi) e il controllo dei territori occupati. Questo processo di militarizzazione dell’industria e della ricerca applicata smontano così la retorica di una UE portatrice di pace. La corsa agli armamenti e la riorganizzazione del sistema di basi militari italiane, UE e NATO sono il naturale proseguimento di politiche di guerra nei quadranti geopolitici di interesse diretto dell’Unione Europea, a partire dall’Est continentale. Nel 2019 ricorrono 20 anni dall’aggressione e dissoluzione della ex Jugoslavia. Una guerra di conquista verso Est che prosegue in Ucraina, con il gol- pe del 2014. Se a queste aggressioni aggiungiamo l’occupazione dell’Afghanistan, la distruzione della Libia e l’attacco alla Siria, possiamo osservare su una mappa il “cerchio di fuoco” che circonda il nostro continente. 1
Interventi e contributi all’assemblea di Potere al Popolo! Pisa | 19 maggio 2019 In queste vicende l’Alleanza atlantica (NATO) è messa a dura prova, a causa della violenta competizione economica tra i suoi contraenti. Lo scontro tra UE e USA sul controllo delle risorse energetiche, dei mercati e delle aree geografiche si ripercuote da anni sugli equilibri militari interni, determinando frizioni che pre- conizzano un futuro incerto per questa alleanza bellicista. Il ruolo della Turchia nella guerra in Siria è un altro segnale di potenziale dissolvimento dell’Alleanza in un quadrante fondamentale per la stabilità di un quadrante strategico come quello mediorentale. Una guerra di tutti contro tutti, che determina una pericolosissima instabilità internazionale, nella quale le basi militari USA / NATO in Europa si riconfigurano, si ristrutturano e si riposizionano geograficamente, giocando un ruolo di pres- sione interna contro l’Unione Europea e le sue ambizioni di autonomizzazione dall’alleato / competitore statunitense. L’amministrazione Trump incarna questo scontro, espressione di una debolez- za del colosso statunitense conclamata da tempo, in tutti gli scenari internazio- nali. Questa debolezza determina politiche aggressive su tutti i fronti, da quello economico (la guerra dei dazi) a quello ideologico (i valori dell’America First come avanguardia del populismo mondiale), sino a quello militare diretto, con il pro- gressivo disimpegno su vari fronti di guerra (Afghanistan, Libia, Siria, Iraq) e il contemporaneo tentativo di rimettere sotto il suo tallone imperialista il “giardi- no di casa” latinoamericano, cercando di distruggere le esperienze progressiste e socialiste dell’Alba Bolivariana. Il recente tentativo di golpe in Venezuela non e' altro che il proseguimento di una politica eversiva in altri paesi del Su America (Honduras, Argentina, Brasile) e di storico blocco contro Cuba socialista. Uno scenario fosco, nel quale l’Unione Europea non ha fatto mancare mai il suo sostegno ad ogni avventura bellica, come ha dimostrato anche per il Venezue- la, con il riconoscimento del presidente da operetta Guaidò (unica defezione quella italiana, grazie alla ambigua equidistanza del M5S tra i golpisti e il legittimo go- verno Maduro). Che fare di fronte a questa situazione di precario “equilibrio delle forze”, dove la pace è quotidianamente sull’orlo di un abisso di distruzioni e morte? Il grande movimento pacifista di inizio secolo si è progressivamente dissol- to per la genericità degli obiettivi che si dette, tenendo insieme realtà politiche, sociali e sindacali divisesi poi sul sostegno o meno a governi “amici”, impegnati nel dare continuità alle aggressioni militari, che portò alla progressiva smobili- tazione del movimento. In quegli anni si susseguirono governi di centro sinistra e di centro destra, che rappresentavano interessi materiali diretti e indiretti di una vasta area economica che vive tutt’oggi di guerra: dall’ENI a Leonardo (ex Finmeccanica), al vasto reticolo di imprese delocalizzate nei paesi a noi vicini, dall’Est Europa al Maghreb sino al Medio Oriente e all’Africa sub sahariana. In- 2
La guerra in casa fine, come dimenticare le tante ONG e associazioni che in quegli anni gestirono, grazie a lauti contributi governativi, le politiche di peacekeeping e di legittima- zione ideologica delle operazioni belliche? Non a caso alcuni leader di quel movi- mento sono divenute poi ministri della difesa in Italia (Pinotti) e delle politiche estere in Europa (Mogherini). Come toglierci di dosso le macerie di quel pacifismo generico e alcune volte “in uniforme”, indicando percorsi per la ricostruzione di un Movimento contro la guerra indipendente e radicale, in un contesto internazionale profondamente diverso da quegli anni? Come legare la lotta contro le aggressioni armate e il militarismo imperante alla guerra sociale ed economica che ogni giorno l’Unione Europea usa contro la nostra gente? Come rilanciare la lotta per la chiusura delle tante basi militari USA, NATO ed italiane presenti sul nostro territorio e sulle isole? A queste e a molte altre domande tenteremo di dare prime risposte in questa assemblea, perché riteniamo, oggi più che mai, che la lotta contro la guerra debba tornare ad essere uno dei temi centrali che permea ogni mobilitazione, sciopero, lotta per la difesa e il rilancio della sanità e dell’istruzione pubbliche, occupazione di case, di scuole e università, mobilitazioni territoriali e azioni di mutualismo sociale e conflittuale. Questo è il compito e l’obiettivo titanico che crediamo si debbano assume tutte le forze coerentemente pacifiste, internazionaliste e antimperialiste ancora pre- senti nel paese. Per dare strumenti di comprensione ed orientamento a chi intende muoversi su questa strada proponiamo un momento di incontro che vede coinvolti comitati contro la guerra, militanti politici, esperti e realtà che da sempre si battono contro il sistema di guerra presente sui nostri territori. 3
Intervento Giorgio Cremaschi portavoce nazionale di Potere al Popolo! Intanto grazie per essere qui, vorrei complimentarmi per il documento presentato per- ché credo che colga alcune questioni di fondo e cioè come e con quali contenuti rico- struire un movimento contro la guerra e per il disarmo, perché di questo si tratta. La verità è che noi siamo di fronte alle conseguenze finali di un lunghissimo processo di spoliticizzazione di massa. Lo vediamo anche in queste elezioni europee, in cui si parla di tutto tranne che dell’oggetto, cioè Unione Europea. La politicizzazione è stata sostituita dalle cosiddette narrazioni che costruiscono in- venzioni ideologiche su cui però si costruisce l’orientamento di massa. Penso ad esem- pio alla contrapposizione tra europeismo e sovranismo, assolutamente finta, inventata, costruita, ma su cui si sta costruendo una narrazione politica. In realtà la sostanza delle politiche economiche che conducono sia Orban o Macron o Kurz o la Merkel, è la stessa, e così anche gran parte della politica internazionale. Per raccontare quanto sia finta questa contrapposizione, porto ad esempio un docu- mento che non a caso è stato ignorato completamente dalla stampa italiana, e cioè la Dichiarazione di Sibiu. Il 9 Maggio si sono trovati a Sibiu in Romania, tutti i 27 capi di governo dell’Unione Europea, esclusa ovviamente la Gran Bretagna. Per esser più chiari, erano presenti Merkel, Conte, Macron, Orban, Tsipras… e tutti assieme hanno sottoscritto questa dichiarazione che io credo andrebbe fatta girare per- ché è così chiara e brutale che in qualche modo ripercorre alcuni concetti del documen- to che ha indetto questa assemblea. I leader europei concordano sul fatto che l’Unione Europea (questa è la premessa), guidata dai suoi valori e dalle sue libertà, ha garantito stabilità e prosperità in tutta Europa, all’interno e all’esterno dei suoi confini. A proposito della parola “confini” sot- tolineo di proposito questa diversità, non solo di questa parola ma anche della parola “esterni”. Lo dico perché mi è capitato di sostenere una polemica con Erri De Luca, con cui tra l’altro ho collaborato a sostegno della lotta in Val di Susa, perché, quando lui è interve- nuto al Salone del libro di Torino, lui ha spiegato, sull’onda mainstream europeismo- sovranismo, che bisognerebbe togliere il voto a tutti gli anziani, che sono reazionari per rancore, vogliono i confini… e poi sono vecchi, stanno per morire e quindi non è giusto che gli si dia diritto di voto perché vivono così poco che non devono decidere sul futuro, solo i giovani possono decidere sul futuro perché hanno tanta vita davanti. I giovani, secondo la concezione di De Luca, avrebbero diritto al voto perché sono europeisti, per- ché percorrono l’Europa di qua e di la, dato che non ci sono più i confini interni, viag- 4
La guerra in casa giano ecc. Quindi vuole un’Europa senza confini. A parte la montagna di sciocchezze dette, Erri sbaglia completamente obiettivo se pensa che esaltando l’assenza di confini all’interno dell’Europa, lui è in scontro con i fascisti e con le forze reazionarie. Non è così: le forze reazionarie europee non mettono in discussione minimamente l’assenza di confini all’interno dei paesi europei, vogliono invece rafforzare militarmente, fero- cemente nella lotta contro i migranti, i confini esterni dell’Europa. L’ultimo arrivato, il partito fascista spagnolo Vox è ultra europeista, non mette minimamente in discus- sione l’assenza di confini, è d’accordissimo che i giovani bianchi e cristiani abbiano la possibilità di girare tranquillamente per tutta Europa. Non vuole gli africani, non vuole i musulmani, quindi questa polemica sull’assenza di confini è un aiuto in qual- che modo al ritorno della destra. La destra si gonfia di queste cose, anzi dice: “per essere ancora più sicuri all’interno dei nostri confini, e quindi per mantenere l’assenza di con- fini all’interno dei nostri paesi europei, bisogna rafforzare in tutti i sensi la frontiera esterna dell’Europa”. Il documento stilato a Sibius è importante anche per un’altra cosa. Ovviamente è una celebrazione della caduta del muro di Berlino, trent’anni di libertà e tutto il resto. Ma apparte gli aspetti ideologici, reazionari di questo documento, ripeto: sottoscritto da Orban e Tsipras, lo voglio sottolineare, mi colpiscono altri due punti del documento uscito da quel consesso, che poi mi permettono di entrare anche nella discussione. Il primo passaggio è quello che dice: «Proteggeremo i nostri cittadini e ne garanti- remo la sicurezza rafforzando il nostro potere di persuasione e di coercizione e collabo- rando con i nostri partner internazionali. L’Europa» conclude «sarà un leader mondiale responsabile». Quello che voglio dire è che questo è il primo, nettamente chiaro, mani- festo di un neo-militarismo e imperialismo europeo. Non ce n’erano fino adesso, non ne avevo visti insomma, ed è stato sottoscritto, ripeto, da tutti i capi di governo. Se potessi sintetizzare in una battuta: nel conflitto fra europeismo e sovranismo sta nascendo l’eurosovranismo, che è un mostro che raccoglie il peggio di tutto. Da questo punto di vista io credo che nella politica c’è sempre la dimensione degli interessi, la dimensione delle scelte e la dimensione della propaganda. Permettetemi di affrontarli tutti e tre perché anche la relazione in qualche modo li affrontava. La dimensione degli interessi è stata chiarita poco tempo fa, e anche questo a mio parere avrebbe meritato più attenzione, in un articolo di fondo sul Corriere della Sera di una settimana fa. Sostanzialmente sosteneva, in sintonia con questo documento, che noi siamo di fronte al fatto che tutte le forze di destra non sono più contro l’Unione Europea, sono a favore e questo è un fatto positivo perché bisogna smetterla di pensare in termini troppo illusori della bellezza dell’Unione Europea ecc., perché questi hanno deluso i popoli. La verità è solo una, bisogna spiegare un concetto di fondo: in un mondo nel quale la competizione è fatta tra grandi potenze (Cina, Stati Uniti…), noi dobbia- mo chiarire che solo facendo parte della grande potenza europea, possiamo in qualche modo competere adeguatamente sui dazi, sulle grandi scelte economiche eccetera. Sot- tolineo questo aspetto. La questione degli interessi è qui detta nella maniera brutale. Non c’è un progetto democratico o pacifico dell’Unione Europea; c’è un progetto di UE 5
Interventi e contributi all’assemblea di Potere al Popolo! Pisa | 19 maggio 2019 che diventa sempre più nettamente militarista, imperialista, in alleanza/competizione con gli Stati Uniti. Io non credo che possa mai venir meno l’alleanza strategica tra UE e NATO e Stati Uniti. Essa fa parte della costituente di fondo dell’UE. D’altra parte l’UE non potrebbe rompere con gli Stati Uniti senza rompersi. Voglio ricordarlo questo aspetto perché an- che se il capitalismo tedesco, più interessato di tanti altri ad avere ad esempio buoni rapporti commerciali con la Russia, accentuasse il livello di rottura con gli Stati Uniti di Trump, i paesi dell’Est Europa ci pericorderebbero alla stessa Germania che sono entrati nell’UE per accedere alla Nato. Ricordo a tutti che quando Bush scatenò nel 2003 la guerra contro l’Iraq, si inven- tò questa terminologia: “vecchia Europa”/”nuova Europa”. Definì “vecchia Europa” i vecchi paesi europei, la Germania soprattutto, che avevano dubbi su quella guerra, e “nuova Europa” tutti i paesi dell’Est europeo (Polonia, Lettonia, Ungheria, Romania, Bulgaria…), i quali erano invece alleati fedelissimi per la guerra in Iraq. Allora fu chia- ro, io credo, che la costruzione dell’UE, con la sua marcia verso est, è avvenuta persino in secondo piano rispetto all’allargamento della NATO ad est. Questo è un elemento di contraddizione profondissima dell’UE. L’UE ha persino indebolito la sua possibilità di autonomia nel momento in cui si è estesa ad est e così facendo è diventata totalmente succube degli interessi delle classi dirigenti dei paesi dell’Est Europeo, i quali se devono scegliere brutalmente fra NATO e UE scelgono la NATO. Non è un caso che la marcia verso est dell’UE è diventata una marcia sempre più aggressiva, militare. Poche settimane fa c’è stato un voto del parla- mento europeo in cui ad altissima maggioranza, dato senza precedenti, si è usato un linguaggio aggressivo “alla Trump” nei confronti della Russia, che ha approvato una mozione che sostanzialmente dice: “è finita l’epoca del dialogo con la Russia, anche le piccole sanzioni che abbiamo fino adesso utilizzate non sono state sufficienti, noi UE intendiamo passare ad un altro livello di confronto con la Russia”. Si ha quindi una pre-dichiarazione, non dico di guerra, ma di ostilità profonda che è stata votata. Lo dico perché quando la retorica della finta sinistra italiana, perché di questo si tratta, parla di “Europa di pace”, la realtà effettiva che noi abbiamo di fronte è quella di un distendersi invece dell’aggressività dell’UE, che non può che incontrarsi con la storica aggressività mondiale della NATO. Ripeto, il processo è in corso, però tutti i segnali vanno nella direzione di un accen- tuarsi del carattere militarista e aggressivo dell’UE. Su questo c’è ovviamente la com- petizione con Trump, però non sottovalutiamo gli interessi strategici. La competizione con Trump sui dazi c’è, fa parte di un processo che oggi non possiamo affrontare ma che è il progetto storico della globalizzazione. La globalizzazione è oggi in una fase ben diversa da come la proponevano i suoi esaltatori ed esaltati. Non siamo più in un mondo dominato da un unico potere economico, ci sono realtà e conflitti, c’è la crescita della Cina, dell’India, del Sud Africa, c’è l’indebolimento economico degli Stati Uniti. Per ca- pire quale sia l’indebolimento economico degli Stati Uniti basta guardare l’elenco dei 6
La guerra in casa dazi che la Cina ha messo sugli Stati Uniti e gli Stati Uniti sulla Cina. Se guardate l’elen- co dei dazi degli Stati Uniti sulla Cina vedrete: alta tecnologia, informatica, macchine utensili, prodotti industriali… Se vedete l’elenco dei dazi della Cina sugli Stati Uniti vedete soia, grano, petrolio, prodotti della terra… si direbbe quasi che gli Stati Uniti sono un paese del Terzo Mondo e la Cina un paese del Primo Mondo. Questo evidenzia il cambiamento radicale che c’è stato negli equilibrii mondiali, sul piano economico e produttivo e quanto sia avvenuto velocemente. La globalizzazione in realtà si è fondata sempre su due meccanismi di fondo: la cre- scita finanziaria, a cui però sotto corrispondeva una forte crescita industriale di tutti i paesi che una volta erano chiamati “del Terzo Mondo”. Oggi questo meccanismo si è in parte inceppato perché anche la Cina non cresce più esattamente come cresceva; cresce a cifre astronomiche per quanto riguarda noi, però cresce molto meno rispetto al passa- to, e soprattutto cresce meno sul terreno che era fondamentale nella globalizzazione e cioè sul terreno delle esportazioni. I nuovi governanti cinesi hanno in mente sempre di più la crescita del mercato in- terno. Questa è una parziale riconversione del mercato. Oggi la Cina resta la fabbrica del mondo, qualsiasi cosa comprate in qualsiasi supermercato, che sia costruita, è “made in China”; però cambia questo aspetto perché più la Cina, per mantenere determinati livelli di sviluppo, investe sulla sua produzione interna e sul consumo interno, meno ha bisogno di ricorrere al mercato finanziario internazionale. In più la difficoltà europea è chiarissima, e qua entriamo su un altro terreno ma la voglio dire brutalmente: le politiche liberiste si basano su un dogma: che tutti i paesi devono aumentare le esportazioni e diminuire le importazioni, ma il mondo è finito, qualcuno questo gioco lo deve perdere, non possono vincere tutti. E infatti sta provo- cando una contraddizione, una crisi che sta avanzando e che ovviamente accentua gli aspetti di conflitto inter-imperialistico e imperialista. Per tutto l’Ottocento avemmo una grande espansione e globalizzazione liberista, fondata sul fatto che c’era una po- tenza dominante: l’Inghilterra. Alla fine del secolo sono sorte altre potenze, la Germa- nia, il Giappone, ecc.; è cresciuto il conflitto fra queste potenze; come sappiamo è saltata l’unicità del mercato e l’evoluzione drammatica della crisi è stata la prima guerra mon- diale. Ecco la pericolosità dell’oggi. Non basta dire “avevamo ragione, la globalizzazione non andrà come i suoi propa- gandisti vogliono”. Le contraddizioni interne alla globalizzazione liberista stanno ap- punto rilanciando anche il linguaggio politico, un linguaggio ottocentesco che io fran- camente non ricordo perché la mia generazione era abituata piuttosto al linguaggio della guerra fredda che era un linguaggio ideologico (“noi”, “loro”…), ma non alla pura e semplice politica di potenza. Pensate ad esempio come è stata presentata la guerra in Libia, come ormai viene sfacciatamente dichiarato che l’Italia deve stare attenta in Libia perché ha degli interes- si diretti. Un paio di anni fa, era comparsa persino una cartina geografica sulle aree di influenza europee in Libia e corrispondevano a tre compagnie petrolifere: la Tripolitania era ENI, la Cirenaica era British Petroleum e il Fezzan (la parte sud della Libia) era Total francese. Quindi stiamo tornando anche a forme ottocentesche di politica d’interessi. 7
Interventi e contributi all’assemblea di Potere al Popolo! Pisa | 19 maggio 2019 Così come Salvini ha sdoganato il fascismo, perché questa è la verità, c’è anche uno sdoganamento del vecchio linguaggio degli interessi nazionali, delle imprese all’in- terno di un ritorno in campo di politiche imperialiste sostenute dalla guerra. Da que- sto punto di vista il ritorno del militarismo che stiamo vivendo va affrontato con una diversa consapevolezza, cioè con una più profonda analisi sul terreno degli interessi economici delle forze in campo. Perché se restiamo su un rispettabilissimo, generico pacifismo, unito ad un ipocrita europeismo, rischiamo di non cogliere la sostanza di quello che c’è dietro. C’è una ridefinizione degli equilibri del mondo e dentro questa ridefinizione le armi hanno un peso fondamentale. Aggiungo che se è vero che ci sono conflitti economici con l’America di Trump, è vero anche che comunque questo conflitto sparisce immediatamente nel momento in cui il corpo degli interessi occidentali viene messo in discussione dall’esterno. La coincidenza sostanziale di posizioni fra Trump e l’UE sul Venezuela è un segno di politica mondiale. Vuol dire che si può litigare fra di noi ma l’avversario comune resta, cioè l’emancipazione dei popoli, la messa in discussione degli interessi delle grandi multinazionali. Il Venezue- la è una cartina di tornasole fondamentale, non si può essere contro la guerra, pacifisti, e non essere chiari nella scelta di campo su quella vicenda. Questa è una grande discrimi- nante della politica mondiale e chiarisce bene le collocazioni. Quindi siamo di fronte non solo al fatto che poi al momento buono c’è una coincidenza conflittuale di interessi tra Stati Uniti e Unione Europea, ma anche al fatto che alcune misure che sono di apparente dipendenza in realtà poi possono alla fine essere complementari. Come sapete Trump da tempo chiede ai paesi dell’UE di aumentare le spese militari, cioè di pagare di più la bolletta NATO. La bolletta NATO teoricamente dovrebbe essere almeno il 2% del pil di ogni paese, l’Italia è sotto questa soglia. Voglio sottolineare che fare il 2% significherebbe per il nostro paese aumentare le spese militari di circa 15- 20 miliardi di euro all’anno. Voglio anche ricordare che il governo Gentiloni ha sotto- scritto un protocollo con Trump di accettazione di impegno nel tempo a raggiungere il 2%. Quindi siamo di fronte al fatto che questo mondo politico che da un lato fa astratti programmi di pace ecc… poi in realtà lavora concretamente sul terreno italiano. E qui bisogna dire che in realtà anche i Cinque Stelle, ultimi arrivati nella politica italiana, su questo terreno hanno abbandonato gran parte delle loro precedenti posizioni. Tre anni fa fui invitato a un convegno del Movimento 5 Stelle, che era esplicitamente contro la NATO. Questa posizione è totalmente scomparsa. Oggi il Movimento 5 Stelle è quello che, insieme a Gentiloni e al PD, ha più rilanciato una parola che era in vigore negli anni ‘50: fedeltà euroatlantica. Se cercate su Google le due parole “euroatlantica” e “Di Maio” insieme, troverete una marea di dichiarazioni di Di Maio che spiega “noi siamo euroatlantici”. Quindi è molto difficile pensare di ridurre le spese militari se poi si pro- clama la fedeltà euroatlantica. Siamo dunque di fronte a una forte spinta a consolidare sul piano militare e sul piano della stessa aggressività esterna verso i confini il modello dell’ Unione Europea. Dentro questo è bene sottolineare il recente “Patto di Aquisgrana” un accordo all’inter- 8
La guerra in casa no dell’UE tra Francia e Germania che sostanzialmente propone un direttorio, cioè for- malizza una cosa che c’è già. Sostanzialmente si dice: “l’UE la comandiamo noi”. Tant’è vero che c’è stata la polemica congiunta fra PD, Forza Italia contro il governo giallover- de… nella quale si è evidenziato il fatto che “noi siamo fuori da quel tavolo lì”, facendo venire in mente la polemica di Crispi nel 1880 quando ci furono le prime concertazioni europee, come la Conferenza di Berlino che determinò un attacco dell’area più imperia- lista del governo italiano guidata da Crispi contro l’area liberale che non era di sinistra ma semplicemente meno violenta del governo. Nella polemica si diceva: “noi non par- tecipiamo ai tavoli che contano, la nostra è una politica delle mani pulite ma vuote”. Ho visto nella polemica del PD il ricorrere di questi motivi crispini, reazionari, di partecipare al tavolo dell’imperialismo invece che cercare di metterlo in discussione. Ad Aquisgrana il patto franco-tedesco è un patto economico ma anche militare. Non bisogna mai dimenticare che la Francia è l’unica potenza nucleare dell’UE e è chiaro che un patto di questo genere comporta evidentemente uno scambio, un ulteriore peso economico della Germania in cambio di una ulteriore accentuazione del peso militare della Francia dentro l’UE. Siamo di fronte a questo processo in cui tutti i segnali vanno in direzione di una accentuazione in senso militarista e aggressivo verso tutte le frontiere esterne dell’UE e un rapporto sempre più stretto fra UE e NATO. Ed è bene ricordarselo perché quando ci fu la crisi della Catalogna, per un certo periodo si ipotizzò la possibilità che la Spa- gna chiedesse aiuto ricorrendo anche al trattato di Lisbona e al trattato di Maastricht, i quali prevedono esplicitamente che in alcuni casi i paesi possano chiedere un aiuto militare reciproco sostenuto dalla NATO. Lo voglio dire perché in Italia siamo di fronte a due finte opposizioni: quella di destra (che adesso non c’è più) contro l’UE, che però era a favore della NATO, quella di sinistra che è contro la NATO che però non mette in discussione nulla dell’UE. Bisogna capire che UE e NATO sono due facce della stessa medaglia e della stessa operazione. Volevo dedicare la conclusione del mio intervento allo “spirito del tempo”: confini, guerre… La costruzione di un’ideologia di guerra, militarista è costruita proprio sulla politica anti migranti di Salvini. Non a caso si usa la parola “invasione”. L’invasione è un’operazione militare. Se si usa la parola invasione quando si tratta semplicemente di immigrazione, lo si fa per due ragioni. La prima ragione è quella razzista, xenofoba. Ma la seconda ragione, più profonda e persino più pericolosa, è abituare il cittadino italiano all’idea che può essere invaso, quindi che si deve difendere militarmente. Cominciano ad arrivare coi barconi e poi prima o poi arrivano con le cannoniere cinesi. Questa è ri-educazione al militarismo, allo spirito di guerra. Per cui io credo che noi abbiamo bisogno di ricostruire un pensiero unitario. Oggi non è semplice, con la continua mac- china di spoliticizzazione che abbiamo di fronte ma il nostro compito è di costruire un pensiero unitario. Per essere fino in fondo pacifisti bisogna essere contro le spese mi- litari, contro le politiche di austerità, di rigore, liberiste delL’UE, bisogna essere contro la guerra ai migranti costruita dalla destra ma che serve anche al potere fondamentale che governa l’intreccio UE–NATO. 9
Il sistema militare-industriale dell’UE e la costruzione dell’esercito europeo Sergio Cararo Coordinamento Nazionale di Potere al Popolo! Un aspetto inquietante, poco indagato e molto sottovalutato della riorganizzazione dell’Unione Europea è quello della politica militare. Negli ultimi anni, utilizzando il meccanismo delle cooperazioni rafforzate (cioè la convergenza solo di alcuni stati della Ue su un progetto specifico, così come è stato fatto per l’Eurozona), le maggiori potenze hanno avviato un processo di definizione e strutturazione di una politica e di un complesso militare industriale europeo. Questo processo ha subito una accelerazione esplicita con il recente Trattato di Aquisgrana tra Francia e Germania e con il Fondo Europeo per la Difesa. L’obiettivo dichiarato è quello della indipendenza tecnologica dal monopolio statu- nitense in questa materia. Il crescente ricorso a tecnologie dual use (civile e militare) ha permesso di raggiungere risultati ed ha definito progetti inimmaginabili fino ad un ventennio fa. Ad esempio il sistema satellitare europeo Galileo comprende anche i Pu- blic Regulated Services (Prs), servizi riservati alle autorità governative per un utilizzo destinato alla difesa e sicurezza nazionale. In questo caso il segnale è criptato e protetto da interferenze ostili (jamming e spoofing). Sganciarsi o limitare al minimo il monopolio tecnologico e militare degli Stati Uniti sull’Europa, si va definendo via via come priorità per i gruppi capitalisti dominanti in Europa. La Nato, in tal senso, è diventata una camera di compensazione troppo stretta. L’Unione Europea vorrebbe che gli Usa comprendano e decidano di non essere più i pri- mus inter pares dell’alleanza ma tale decisione, seppur inevitabile, non appare all’ordine delle priorità strategiche degli Stati Uniti. Potremmo soffermarci sulla lunga e spietata competizione tra Boeing e Airbus sugli aerei, oppure sul sopracitato compimento del progetto satellitare europeo Galileo che tendenzialmente sgancerà gran parte delle prestazioni satellitari dal Gps statunitense o ancora del progetto Neuron per la produzione autonoma del drone militare europeo o ancora della difficile convivenza in ambito Nato dell’ammodernamento degli aerei da combattimento tra gli Efa (Eurofighter) e gli F 35 statunitensi. La Germania ha già dichiarato che non acquisterà gli F 35 statunitensi, inoltre, dal 2017 la Germania sta cooperando con la Francia nel mettere in cantiere un velivolo di 6° generazione – il co- siddetto Future Combat Air System (Fcas) – che nelle ambizioni franco-tedesche dovrebbe 10
La guerra in casa essere più avanzato dei Raphale e degli Eurofighter già in servizio a Parigi, Berlino e in Italia, e sostituirli gradualmente dal 2040 in poi. Il Trattato di Aquisgrana Il primo processo da tenere sotto stretta osservazione è il recente Trattato di Aquisgra- na. Nel trattato siglato da Francia e Germania nella città tedesca di Aquisgrana, la Difesa ha un ruolo molto importante. Di collaborazione militare si parla già nell’Articolo 4 del Trattato. In esso i Germania e Francia stati ribadiscono l’inseparabilità dei propri interes- si in materia di sicurezza, e conseguentemente si impegnano a sviluppare una comune cultura della difesa e a operare congiuntamente, anche in dispiegamenti comuni all’este- ro. A tal fine viene istituito il Consiglio di Difesa e Sicurezza Franco-Tedesco, che si riunirà regolarmente “ai massimi livelli” per guidare la nuova politica comune. Soprattutto, si parla di cooperare nel modo più stretto possibile nel campo dell’in- dustria della difesa, promuovendo il consolidamento del settore attraverso quelli che vengono definiti “campioni europei” in grado di competere con i complessi militari- industriali di altre potenze. In altre parole, come sottolinea un organismo storicamente euroatlantico come l’Istitito Affari Internazionali “Francia e Germania pongono le basi del dominio delle loro industrie della difesa in Europa, ponendosi al centro del concetto di difesa comune e di fatto obbligando gli altri stati membri ad adattarsi”. Il Fondo Europeo per la Difesa Il secondo processo che va individuato e compreso è il Fondo Europeo per la Difesa e il Programma europeo di Sviluppo dell’Industria della Difesa. Nella notte del 19 febbraio scorso i rappresentanti di Consiglio, Parlamento e Commissio- ne europei hanno raggiunto un accordo preliminare sul regolamento per il Fondo europeo di Difesa, un progetto che mira a rafforzare innovazione e competitività dell’industria della difesa europea, a sostegno dell’autonomia strategica europea. La fase del negoziato inter- istituzionale, il cosiddetto trilogo, si è conclusa. Adesso il regolamento dovrà essere appro- vato formalmente da parte di Consiglio e Parlamento europeo per poter entrare in vigore. I negoziati hanno avuto dei tempi parecchio serrati, soprattutto se si considera che la prima seduta del trilogo si è tenuta a metà gennaio, dopo che Consiglio e Parlamento avevano approvato le proprie proposte rispettivamente a novembre e dicembre. In tal senso, l’aver ripreso molti dei punti già negoziati nell’ambito dello European Defence Industrial Development Programme (Edidp) ha certamente agevolato il raggiungimento di un compromesso. Se venisse confermata la proposta della commissione Juncker, il Fondo Europeo per la Difesa avrebbe una dotazione di 13 miliardi per il periodo 2021-2027. 11
Interventi e contributi all’assemblea di Potere al Popolo! Pisa | 19 maggio 2019 *** Una prima conclusione. Quali sono gli obiettivi e le ambizioni di un progetto stra- tegico che prevede il rafforzamento di un complesso militare-industriale europeo e di una politica militare tendenzialmente meno subalterna ad una Nato ancora imbriglia- ta dall’egemonia Usa? In primo luogo la competizione globale tra i vali poli imperialisti sul terreno delle tecnologie avanzate dual use; in secondo luogo le ambizioni globali anche degli Stati ade- renti all’Unione Europea, possibilmente convergenti tra loro (e il Trattato di Aquisgrana indica la strada), in terzo luogo ricavarsi una propria area di influenza sia rafforzando il controllo sulle ex colonie africane e mediorientali (in particolare quelle francesi) sia nei varchi che le difficoltà dell’egemonia statunitense stanno aprendo in vari teatri; in quarto luogo avere a disposizione tutti gli strumenti per competere con gli altri poli competitori, a tutti i livelli. Quello militare non è mai stato, non è e non sarà mai un dettaglio delle ambizioni egemoniche, anche nell’Unione Europea. Non si capisce per- ché la sinistra in Europa continui a sottovalutarlo. 12
NATO, UE, armamenti nucleari Angelo Baracca scienziato e militante no war Trattato OTAN (NATO) Il 4 agosto 1949 l’Italia firmò il Trattato NATO [siamo asserviti anche linguisticamente, gli altri paesi di lingua latina la chiamano OTAN, Organizzazione del Trattato dell’Atlan- tico del Nord, in italiano NATO non significa nulla, North Astlantic Treaty Organization]. La “fedeltà atlantica” (sarebbe più appropriato chiamarla “sudditanza”) ha costituito un vincolo che ha condizionato pesantemente le scelte politiche fondamentali e la demo- crazia in Italia, ed è stata alla base di tutte le trame, i colpi di stato, gli attentati, lasciando una pesantissima scia di sangue. Bastino alcune date per rinfrescare la memoria (senza ambizioni di completezza): · 1964, Piano Solo del Gen. De Lorenzo, con la complicità del Presidente della Re- pubblica Antonio Segni; · In quegli anni vennero tagliate le gambe a qualsiasi ambizione e progetto di uno sviluppo dell’Italia avanzato e autonomo dagli USA: delitto di Enrico Mattei (po- litica petrolifera indipendente dalle “Sette Sorelle”), accusa e condanna di Felice Ippolito (fine delle ambizioni nucleari), svendita dell’Olivetti, leader mondiale nei computer (previa eliminazione del geniale direttore dei laboratori, Mario Tchou), ecc. L’Italia condannata a produzioni di serie. · Avvio della “Strategia della Tensione”; · 1969, Strage di Piazza Fontana; · 1970, tentato golpe di Junio Valerio Borghese; · 1974, Golpe di Edoardo Sogno, strage di Piazza della Loggia a Brescia, strage dell’I- talicus: articolo-denuncia di Pier Paolo Pasolini sul Corriere della Sera: “Io so ...”; · 197l, Via Fani, sequestro e esecuzione di Aldo Moro: il suo desino fu segnato quan- do cominciò a parlare delle rete clandestina “Gladio”; · 1980, strage di Ustica; · 1991, strage della “Moby Prince” nella rada di Livorno, impegnata per la fornitura clandestina di armamenti dalla base di Camp Darby per la Prima Guerra del Gol- fo. Per molti degli attentati sembra provato l’uso di esplosivo provenienti dai depositi “Gladio” dell’OTAN. 13
Interventi e contributi all’assemblea di Potere al Popolo! Pisa | 19 maggio 2019 Alcune annotazioni – Cessione di sovranità: il territorio italiano, che ai tempi della guerra fredda doveva solo servire a ritardare l’avanzata di un’eventuale offensiva sovietica, è diventato una portaerei terrestre indispensabile per lo svolgimento della guerra. «Senza l’accesso alle basi e ai porti italiani la OTAN non avrebbe potuto effettuare questa importante operazione», ha confessato il segretario alla Difesa degli Stati Uniti William S. Cohen. – I paesi dell’Europa occidentale da allora non hanno avuto nessuna politica estera autonoma (la politica di De Gaulle in Francia rimase nella sostanza subalterna). – Tutto il processo della cosiddetta unificazione europea fu nella sostanza funzionale al dominio degli USA, e ne facilitò il controllo (con l’ideologia della barriera al comu- nismo). – Avanzo anche un’interpretazione che non mi sembra comune: il dopoguerra segnò anche l’avvio effettivo dell’imperialismo americano, che non aveva preso parte alla grande orgia coloniale-imperialista dell’Europa nell’800 in Africa e Asia, ancorché avesse enunciato dal 1823 la “Dottrina Monroe” e l’avesse inaugurata nel 1898 con la guerra alla Spagna a Cuba e nelle Filippine, ma negli anni ‘30 del 900 aveva adottato una politica isolazionista. – Creazione dello Stato di Israele come avamposto e gendarme del Medio Oriente. Que- stione palestinese, Madre di tutte le ingiustizie. Armamenti nucleari e OTAN Tappe iniziali – agosto 1942 avvio del Progetto Manhattan. - 16 luglio 1945 Trinity test. – 6-9 agosto 1945 Hiroshima e Nagasaki. – 29 agosto 1949 primo test dell’URSS. – ottobre 1952 primo test della Gran Bretagna. – novembre 1952 Bomba H (termonucleare) USA. – agosto 1953 bomba termonucleare URSS. – febbraio 1960 primo test della Francia (Israele). – ottobre 1964 primo test della Cina. Italia e OTAN - 1954, allestimento del Sito Pluto (Longare, Verona): le gallerie erano state utilizzate dall’esercito nazista. - 1959, installazione missili nucleari Jupiter a Gioia del Colle (Puglia) senza dibattito e informazione pubblica (contemporaneamente in Turchia). Verranno rimossi dopo la Crisi dei Missili a Cuba del 1962 come compensazione non scritta. 14
La guerra in casa Armi nucleari USA in Europa Andamento quantitativo delle testate nucleari schierate in Europa, 1954-2011. Il picco ven- ne raggiunto nel 1971, con 7.300 testate. Arsenali nucleari Anni ‘60: concetto della distruzione reciproca assicurata (Mutually Assured Destruction, MAD). Nel 1970 fu firmato in Trattato di Non Proliferazione (TNP) – Gli Stati nucleari riman- gono tali (e possono moltiplicare e perfezionare i loro arsenali), ma non possono trasfe- rire armi nucleari ad altri Stati (violato dal nuclear sharing nell’OTAN, v. sopra), e questi è proibito svilupparle. Art. VI, gli Stati Nucleari si impegnano a promuovere negoziati in buona fede per il disarmo nucleare e totale. EFFETTI: gli arsenali mondiali passarono da 40.000 a 70.000 testate, e il numero di Stati nucleari da 6 a 10 (poi il Sudafrica smantellò il proprio arsenale nei primi anni ‘90). La consistenza massima degli arsenali nucleari mondiali fu raggiunta verso la metà degli anni Ottanta con il numero demenziale di circa 70.000 testate! 15
Interventi e contributi all’assemblea di Potere al Popolo! Pisa | 19 maggio 2019 Anni '80, crisi degli Euromissili e Trattato INF (1987), 1° accordo di disarmo 1977, l’URSS schiera i nuovi missili balistici a gittata intermedia (Intermediate-Range Ballistic Missile, IRBM) SS-20. 1980, USA-OTAN schierano i missili Pershing in Europa. Crisi degli Euromissili. 1° settembre 1983, abbattimento di un Boeing sudcoreano entrato nello spazio aereo sovietico. Allarme guerra nucleare: l’Orologio dell’Apocalisse a soli 3 minuti dalla Mezzanotte. 1987, firma Trattato sulle Forze Nucleari Intermedie (INF), primo trattato di riduzione delle armi nucleari che rimosse tutte le testate montate su missili a medio e corto raggio (Euromissili, testate tattiche). Dai primi anni ’90 sono rimaste schierate in Europa solo testate nucleari a gravità, schierate in sei paesi della nato: dal 1993 al 2011 il loro numero è passato da 480 a circa 160-200. Disintegrazione dell’URSS, fine della Guerra Fredda, avvio e stop del di- sarmo nucleare, deriva dell’OTAN ad alleanza aggressiva La fine della Guerra Fredda eliminò un equilibrio che, malgrado tutto, aveva limitato le guerre e la loro conduzione: 1991, dissoluzione del Patto di Varsavia, e dell’URSS. 1. L’OTAN (NATO), difensiva, non ha più alcun senso; 2. Gli armamenti nucleari perdono il ruolo di deterrenza che avevano avuto nella Guerra Fredda, e devono venire eliminati; 3. Ma L’OTAN conferma il ruolo centrale delle armi nucleari nella sua strategia (e ovviamente conferma il nuclear sharing). MA C’È UNA SVOLTA RADICALE: 1. 1990-1991, Prima Guerra del Golfo, la prima che Washington non motiva per argi- nare il Comunismo. Gli USA inaugurano l’uso dei proiettili a uranio depleto (DU); 2. Nuovo Concetto strategico dell’OTAN (NATO): con la mistificazione di volere il “conseguimento di un clima di sicurezza in cui sia possibile godere dei cambia- menti positivi”, denuncia “le sfide e i rischi [molteplici e multidirezionali] che la NATO deve affrontare in materia di sicurezza sono di natura diversa da quelli del passato” e “potrebbero coinvolgere potenze esterne”, definisce un concetto di sicu- rezza come qualcosa che non è circoscritto all’area nord-atlantica. 1992, costituita la forza navale permanente del Mediterraneo (Standing Naval Force Mediterranean). Inizia comunque un processo di forte riduzione degli armamenti nucleari, con i Trattati START (Strategic Arms Reduction Treaty): 1991, START-1; 1993, START-2 (mai ra- tificato dagli USA). 1996, Trattato di messa al bando totale dei test nucleari (Comprehensive Test Ban Treaty): mai ratificato dagli USA; la Francia prosegue i test nucleari a Mururoa prima di firmare (adducendo la necessità di acquisire ulteriori dati per sostituire i test con si- mulazioni. Tradotto: continueremo indefinitamente a modernizzare le armi nucleari!). 16
La guerra in casa Osservazione di UE e pace Ritengo importante confutare il luogo comune che dopo la fine della IIa Guerra Mondia- le l’Europa non abbia più partecipato a guerre e abbia costituito una garanzia di pace: nulla di più falso! Che cosa sono stati i tentativi di di colpi di stato che ho ricordato, se non atti di guerra? E sul piano concretamente militare basti ricordare la deleteria parte- cipazione, appunto con l’OTAN, all’aggressione del 1999 alla ex-Jugoslavia e alla sua dis- soluzione: ancora una volta una sudditanza agli interessi degli USA, miope e autolesio- nista (bombardamento della Zastava, fabbrica della Fiat). E con l’OTAN la partecipazione alle missioni militari “fuori area”. Volgere del secolo: riesplodono tensioni e conflitti, armi nucleari forever Verso la fine degli anni ‘90 riesplodono le tensioni internazionali. Rallenta il processo di riduzione delle armi nucleari (vedi il grafico precedente). 1999, il vertice OTAN (NATO) a Washington ufficializza il «Nuovo concetto strategico», nasce «una nuova Alleanza più grande, più capace e più flessibile, impegna- ta nella difesa collettiva e capace di intraprendere nuove missioni, ... incluse le opera- zioni di risposta alle crisi», e impegna i paesi membri anche a «condurre operazioni di risposta alle crisi non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza»! 1999, inizia l’espansione della Nato nel territorio dell’ex Patto di Varsavia e dell’ex Unione Sovietica, nel 1999 ingloba i primi tre paesi dell’Est: Polonia, Repubblica ceca e Ungheria. Convergenza delle condizioni di ingresso nella UE e nella NATO, e stru- mento di condizionamento degli USA sull’UE. 2001, Twin Towers. 2001, gli USA si ritirano dal trattato ABM del 1972, che limitava l’installazione di di- fese antimissile. Potenziamento decisivo del sistema di difese antimissile: trasfor- mazione epocale del quadro strategico. Opinione personale: le difese antimissile stravolgono l’architettura del sistema di “non-proliferazione” introducendo la pos- sibilità, prima inesistente, per una potenza nucleare di sferrare un first-stike, po- tendo teoricamente abbattere i missili della ritorsione dell’avversario1. 2003, guerra all’Iraq. Concezione neocon del “caos creativo”, il caos come foriero di op- portunità (a vari livelli): osserverei che gli USA dopo la IIa Guertra Momdiale hanno fatto molte guerre, ma non ne hanno vinta nessuna!2 1 A. Baracca, Trattato INF: chi viola cosa, perché e come, Pressenza, 3 febbraio 2019, https:// www.pressenza.com/it/2019/02/trattato-inf-chi-viola-cosa-perche-e-come/. 2 Si veda ad esempio: Tutte le guerre americane, https://www.panorama.it/news/esteri/oba- mamania/tutte-guerre-americane/; L. Bohne, Le guerre illegali degli USA nel mondo, https:// www.pressenza.com/it/2016/05/le-guerre-illegali-degli-usa-nel-mondo/; M. Dinucci, Le guerre in tempo di pace, 20-30 milioni gli uccisi dagli SA dal 1945 ad oggi, https://www.dirittiglobali. it/2018/11/le-guerre-in-tempo-di-pace-20-30-milioni-gli-uccisi-dagli-usa-dal-1945-a-oggi/ (l’ori- ginale: James A. Lucas, US Has Killed More Than 20 Million People in 37 “Victim Nations” Since World War II, Global Research, https://www.globalresearch.ca/us-has-killed-more-than-20-mil- lion-people-in-37-victim-nations-since-world-war-ii/5492051); Gianfrasket, Gli Stati Uniti sono 17
Interventi e contributi all’assemblea di Potere al Popolo! Pisa | 19 maggio 2019 2006, primo test nucleare della Corea del Nord. “Era Obama”, proporrei di denotarla “imperialismo razionale”: da un lato Afghani- stan, “primavere arabe”, Libia, Siria3, seguitando la politica ambigua arrogante e contro- producente verso la Corea del Nord, ma concludendo l’accordo sul nucleare iraniano, e la stipula del Trattato Nuovo-START, ma avviando un colossale programma di moderniz- zazione delle armi nucleari! Di questo programma è figlia in particolare (ma non solo) la realizzazione della nuova testata termonucleare B-61-12, che prossimamente sostituirà le “vecchie” B-61, schierate a Ghedi Torre ed Aviano. Osservazioni sui limiti del Nuovo-START del 2010 Il Nuovo-START stabilì riduzioni decisamente deludenti degli arsenali di USA e Russia (in ogni caso è opportuno ricordare che gli altri 7 Stati nucleari, che non rientrano ovvia- mente nello START, detengono complessivamente poco meno di 1.000 testate): e qui mi rifaccio alle violazioni “formali” o “sostanziali” del regime di non-proliferazione e degli equilibri strategici. Infatti, il totale delle tesate operative strategiche venne fissato in 1.550 per parte (e ormai raggiunto da entrambe le potenze): una quantità obiettivamente esorbitante e una capacità distruttiva terrificante! Ma fu la Russia a non accettare riduzioni più con- sistenti, perché aveva un motivato timore del faraonico sistema di difese antimissile statunitense (che è ormai chiaramente rivolto ai missili russi!): banalmente (ma ci sono anche altre motivazioni) in caso di un first-strike dagli USA, un alto numero di missili per una ritorsione può saturare le difese antimissile e penetrare nel territorio avversario. Le nuove minacce dell’amministrazione Trump Non è certo qui il caso di fare un’analisi delle politiche dell’amministrazione Trump, solo qualche annotazione sui venti di guerra che sta sollevando, per mettere in evidenza la gravità dei pericoli di un incendio globale. Gli USA hanno scelto di contrastare con tutti i mezzi l’ascesa della Cina. La “guerra dei dazi” sembra riflettere rovesciata la famosa affermazione del generale prussiano von Clausewitz, “la guerra economica non è che l’anticipazione della guerra vera con altri mezzi”. Ma la risorsa ultima su cui puntano gli USA è mantenere la supremazia militare. Così si impegnano su tutti i fronti. Dall’altro capo dell’Atlantico usano tutti i mezzi – propaganda, sanzioni, corruzione: per il momento – per rimettere definitivamente in riga l’America Latina, riportandola ad essere il “cortile di casa”: oggi lo sforzo è concen- trato in una lotta all’ultimo sangue per scardinare le esperienze di Cuba, del Venezuela e del Nicaragua (per quanto ormai sia vittima di una svolta autoritaria e repressiva), aven- stati in guerra 222 anni su 239 che esistono come stato, http://informare.over-blog.it/2015/02/ gli-stati-uniti-sono-stati-in-guerra-222-anni-su-239-che-esistono-come-stato.html. 3 Le guerre di Obama, Il Post, 12 febbraio 2017, https://www.ilpost.it/2017/02/12/le-guerre-di- obama/. 18
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