Dispensa di Diritto Penale Militare - SCUOLA SPECIALISTI - a cura del Cap. C.C.r.n. Valentina Capurro

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Dispensa di Diritto Penale Militare - SCUOLA SPECIALISTI - a cura del Cap. C.C.r.n. Valentina Capurro
Dispensa di Diritto Penale - 1

      Aeronautica Militare

     SCUOLA SPECIALISTI
            caserta

       Dispensa
          di
Diritto Penale Militare

                                                   a cura del
                             Cap. C.C.r.n. Valentina Capurro

          edizione 2011
2 - Dispensa di Diritto Penale
Dispensa di Diritto Penale - 3
4 - Dispensa di Diritto Penale
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                                                 Premessa

        Nella redazione di questo testo si è tenuto conto delle disposizioni che nel corso degli anni hanno previ-
sto “interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle
missioni internazionali delle Forze armate e di polizia”, del Nuovo Codice dell’Ordinamento Militare (Decreto
Legislativo 15 marzo 2010, n. 66) e del Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento
militare (Decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90). Quest’ultimo per quanto non abbia
modificato i codici penali militari ne costituisce in parte la premessa definendo ad esempio il termine “milita-
re”, “requisizione”, ecc.. Il Codice prevede anche alcuni reati quali ad esempio quelli relativi alla chiamata alle
armi o commessi da militari di leva o in congedo.
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                                             Capitolo I
        La legge penale militare e generalità sui reati militari

1 - NOZIONI DI DIRITTO PENALE
Ogni Stato civile, per vivere, conservarsi, progredire e raggiungere le sue finalità, ha bisogno di
stabilire norme precise ed inviolabili che regolino la condotta dei cittadini, i rapporti tra essi e tra
ciascun cittadino e l’intera comunità. Questo complesso di norme o leggi costituisce l’ordinamento
Giuridico. Contemporaneamente alla necessità delle leggi nasce il problema della tutela del diritto
contro le inevitabili violazioni; ogni azione che costituisce violazione del diritto prestabilito deve
essere punita com-minando al colpevole una sanzione commisurata alla gravità dell’ingiustizia
commessa. Il complesso delle leggi che definiscono la violazione del diritto e prevedono le sanzioni
relative danno corpo all’ordinamento Giuridico Penale. Il diritto penale costituisce quel complesso
di norme giuridiche con cui lo Stato mediante la minaccia di una sanzione (pena), proibisce deter-
minati comportamenti umani ritenuti contrari ai fini che esso persegue (reati). Tuttavia, le odierne
esigenza di tutela della libertà impongono sempre più di legittimare l’intervento punitivo solo per
la difesa dei beni aventi rilevanza costituzionale o socialmente considerati tali. La norma penale in
senso stretto può ritenersi solo quella disposizione di legge che vieta un determinato comportamen-
to, minacciando, in caso di trasgressione, la inflazione di una pena.

2- LE FONTI DEL DIRITTO PENALE
In generale si qualificano fonti del diritto i fatti e gli atti ai quali l’ordinamento giuridico riconosce,
la idoneità a porre in essere,modificare o abrogare norme giuridiche. La pluralità di fonti esistenti
negli ordinamenti giuridici presuppone l’esistenza di regole che disciplinano i rapporti fra esse per
evitare l’insorgere di conflitti tra le disposizioni normative. Il più importante criterio è quello della
gerarchia, per cui le fonti sono tra loro graduate in una scala gerarchica, in cui la fonte di grado
superiore (la Costituzione) condiziona la fonte di grado inferiore (legge ordinaria). Il rapporto di
gerarchia implica le seguenti regole generali:
- la norma di grado inferiore non può mai modificare la norma di grado superiore né abrogarla (es.
  un regolamento non può mai modificare una legge);
- la norma di grado superiore può sempre modificare o abrogare la norma di grado inferiore (es. la
  legge ordinaria è modificata o interpretata sempre secondo la Costituzione);
- le norme di pari grado possono modificarsi reciprocamente in base al criterio cronologico: la norma
  successiva nel tempo può modificare o abrogare la norma anteriore di pari grado.
Nel diritto penale il numero delle fonti è assai più limitato che negli altri rami del diritto, infatti la
Costituzione stabilisce all’art. 25 secondo comma che: “Nessuno può essere punito se non in forza di una
legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Quindi norme penali sono contenute nella Co-
stituzione, nei codici penali e di procedura penale, nonché nelle leggi ordinarie che costituiscono la
legislazione penale speciale, alcune norme penali sono contenute anche nel codice civile. Riferimenti
nella Costituzione alle norme penali, oltre all’art.25, sono contenute nell’art. 27 il quale stabilisce che:
“La responsabilità è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene
non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del con-
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dannato. Non è ammessa la pena di morte” .Queste norme influenzano quindi tutto il diritto processuale
penale, il diritto carcerario, nonché i codici penali militari.

3 - PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO PENALE
Il diritto penale è retto da alcuni principi fondamentali che trovano fondamento, come detto, nella
Costituzione e nei Codici di diritto penale. In particolare dal già citato articolo 25 della Costituzione
deriva il cd. Principio di riserva di legge tale principio comporta il divieto di punire qualsiasi fatto
che al momento della sua commissione non sia espressamente previsto come reato dalla legge e con
pene che non siano dalla stessa espressamente stabilite. Il principio risponde ad esigenze di garanzia
dei cittadini contro possibili arbitri del potere giudiziario e del potere esecutivo. La riserva di legge
inoltre non riguarda solo il fatto che costituisce reato ma si estende anche alla sanzione (pena) e alla
sua esecuzione.
Il principio di riserva di legge sarebbe rispettato nella forma ma non nella sostanza se la legge descri-
vesse il fatto che costituisce reato in termini generici tale da non lasciar individuare con sufficiente
precisione il comportamento penalmente sanzionato.
Rientra, quindi, nell’articolo 25 della Costituzione, anche se non espressamente richiamato, anche
il Principio di tassatività. Esso indica quindi il dovere del legislatore di determinare la fattispecie
penale e risponde ad esigenze di certezza del diritto tesa ad evitare l’arbitrio del giudice garanten-
do all’imputato il diritto di difesa. Il legislatore con l’uso di espressioni generiche e indeterminate
potrebbe rimettere alla discrezionalità del giudice la concreta individuazione del fatto come reato.
Nel caso poi di successione di leggi nel tempo principio generale è quello della irretroattività della
legge penale, per cui la nuova norma dispone solo per l’avvenire. In base ad esso la legge penale ha
efficacia soltanto per i fatti commessi dopo l’entrata in vigore della legge.
Se infatti la legge penale ha anche il compito di essere un deterrente alla commissione di reati sareb-
be ingiusto punire chi commette un fatto considerato solo successivamente reato, non avendo avuto
la possibilità di adeguare il proprio comportamento alla legge.
Questo principio non si applica nel caso in cui la nuova norma è più favorevole. Il principio di ir-
retroattività è infatti temperato dal cosiddetto favor rei previsto nel codice penale art. 2 secondo il
quale tra due leggi (quella vigente al momento del fatto e quella attuale) si applica quella più favo-
revole al colpevole. Il principio si giustifica considerando che sarebbe una ingiustificata disparità di
trattamento punire qualcuno se il fatto successivamente è stato considerato dal legislatore non più
rilevante penalmente. Da ciò deriva che, nel caso di:
- Nuove incriminazioni (art. 2 c.p. comma 1), se una nuova legge eleva a reato un fatto che in pre-
  cedenza non era previsto come tale, si applica il principio della irretroattività della legge, per cui
  ogni legge che prevede nuove figure di reato si applica solo ai fatti commessi dopo la sua entrata
  in vigore;
- Abolizione di incriminazioni precedenti (art. 2 c.p. comma 2), se una nuova legge non prevede più
  come reato un fatto che in precedenza era considerato tale, si applica il principio della retroattività
  della legge nuova più favorevole al reo;
- Nuove disposizioni solo modificatrici (art 2 comma 3 c.p.), quando una nuova norma considera pur
  sempre come reato il fatto previsto da una legge anteriore ma stabilisce per essa un trattamento di-
  verso, la nuova legge opererà retroattivamente o irretroattivamente a seconda che le modificazioni
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 siano favorevoli o sfavorevoli al reo.

4 - NOZIONI DI DIRITTO PENALE MILITARE
Il diritto penale militare è caratterizzato da due principi che lo pongono e lo distinguono dal diritto
penale comune. Essi sono il principio di complementarietà e quello di specialità. Il primo non è al-
tro che una tecnica usata dal legislatore per evitare di ripetere concetti già utilizzati nel codice penale
comune, infatti, se non espressamente detto, i principi sanciti dal diritto penale comune sono appli-
cabili anche nel diritto penale militare. Ciò significa che le disposizioni previste dal codice penale
comune sono applicabili anche alla legge penale militare salvo non sia diversamente stabilito (art. 16
c.p.) . In tale modo è, inoltre, possibile procedere ad un adeguamento automatico della legge penale
militare a quella comune, come è avvenuto nel corso degli anni dall’entrata in vigore della Costitu-
zione. Ad esempio nel codice penale militare non è prevista alcuna disposizione in tema di tentativo,
figura di reato che ricorre quando un soggetto vuole commettere un reato e si attiva per farlo ma
non riesce a realizzare il fatto criminoso per cause indipendenti dalla propria volontà. Mancando la
norma che punisce il tentativo nel codice penale militare non potrebbe essere punito ad esempio il
tentativo di omicidio del superiore ecco che vi soccorre il principio di complementarietà estendendo
anche al codice militare una disposizione del codice penale ordinario.
A dimostrazione di quanto detto l’art 46 c.p.m.p. stabilisce che il colpevole di un delitto tentato può
essere punito fino ad un massimo di reclusione di trenta anni quando il delitto completamente ese-
guito prevede la pena di morte, questa norma presuppone quindi l’applicazione del tentativo anche
se non espressamente disciplinato dal codice penale militare. La legge penale militare è, inoltre,
considerata una legge “speciale”, in quanto:
- è diretta quasi esclusivamente ai cittadini alle armi di cui considera lo stato di militare;
- impone ad essi non solo doveri disciplinari e di servizio, ma anche doveri particolari, non richiesti
  agli altri cittadini, come il coraggio, l’onore e la lealtà;
- non tutela diritti privati, ma sociali, salvaguardando in ogni circostanza soprattutto il funziona-
  mento e l’efficienza delle Forze Armate, per garantire il fine fondamentale della difesa dello Stato
  e della salvaguardia delle libere istituzioni;
- contrariamente alla legge comune, essa si applica anche oltre i confini della Patria, poiché le Forze
  Armate, per salvaguardare la loro integrità e la loro difesa portano ovunque le proprie leggi ed i
  propri giudici.
Il carattere della specialità esprime sinteticamente il tipo di esigenze particolari su cui si fonda la
stessa ragion d’essere del diritto penale militare, tale che la legge penale militare prevalga sempre
sulla stessa norma di diritto comune.

5 - CODICE PENALE MILITARE DI PACE E CODICE PENALE MILITARE DI GUERRA
Le leggi penali militari sono organicamente raccolte nei Codici Penali Militari di Pace e di Guerra. Il
Codice Penale Militare di Pace consta di tre libri:
    1 - dei Reati Militari in generale;
    2 - dei Reati Militari in particolare;
    3 - della Procedura Penale Militare.
Il Codice Penale Militare di Guerra consta di quattro libri:
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    1 - della Legge Penale Militare di Guerra in generale;
    2 - dei Reati e delle Pene Militari in generale;
    3 - dei Reati Militari in particolare;
    4 - della Procedura Militare di Guerra
Mentre la Legge Penale Militare di Pace è sempre in vigore, la Legge Penale Militare di Guerra si
applica, per i reti da essa previsti, dal momento della dichiarazione dello stato di guerra fino a quello
della sua cessazione. Inoltre, sono soggetti “alla legge penale militare di guerra, ancorché in tempo
di pace, i corpi di spedizione all’’estero per operazioni militari armate, dal momento in cui si inizia
il passaggio dei confini dello Stato o dal momento dell’’imbarco in nave o aeromobile ovvero, per
gli equipaggi di questi, dal momento in cui è ad essi comunicata la destinazione alla spedizione….
la legge penale militare di guerra si applica anche al personale militare di comando e controllo e
di supporto del corpo di spedizione che resta nel territorio nazionale o che si trova nel territorio
di altri paesi, dal momento in cui è ad esso comunicata l’assegnazione a dette funzioni, per i fatti
commessi a causa o in occasione del servizio” così recita l’art. 9 del c.p.m.g., come modificato dalla
L. 31/1/2002, n. 6

6 - DESTINATARI DELLA LEGGE PENALE MILITARE
L’articolo 1 del c.p.m.p. dice testualmente: “la legge penale militare si applica ai militari in servizio
alle armi e a quelli considerati tali. La legge determina i casi nei quali la legge penale militare si
applica ai militari in congedo, in congedo assoluto, agli assimilati ai militari, agli iscritti ai corpi ci-
vili militarmente ordinati e ad ogni altra persona estranea alle FF. AA. dello Stato”. Quindi la legge
penale militare trova innanzitutto piena applicazione nei confronti dei militari in servizio e di quelli
considerati in servizio. Sono militari in servizio tutti i cittadini alle armi, dal momento stabilito per
la loro presentazione alle armi fino al momento del loro effettivo collocamento in congedo illimitato
o assoluto. Sono invece “considerati in servizio” i militari che, pur non svolgendo effettivamente
servizio, debbono essere tuttavia posti sotto il pieno imperio della legge penale militare poiché si
trovano in una delle seguenti posizioni di stato o situazioni1:
  - in aspettativa2;
  - sospesi dall’impiego3;
  - arbitrariamente assenti dal servizio;
  - appartenenti alle categorie di congedo4, in carcere militare per detenzione preventiva o per deten-
    zione in seguito a condanna per reati militari.
Per quanto riguarda i militari in congedo ed in congedo assoluto la legge penale militare trova nei
loro confronti applicazione limitata ad alcune ipotesi delittuose, considerandoli di fatto come estra-
nei alle Forze Armate.
In realtà il reato militare può essere commesso anche dall’estraneo alle FF. AA., così come previsto
nell’art. 14 c.p.m.p. In effetti la norma prevede, sia la possibilità del concorso dell’extraneus nel reato
commesso da un militare, sia l’ipotesi in cui l’estraneo è autore del reato militare laddove autore del

1 - Vedi ad esempio art. 21, comma 5 del Codice dell’Ordinamento Militare D. Lgs 15 marzo 2010, n. 66 : “il personale addetto al
    servizio di assistenza al volo e' considerato, a ogni effetto, personale militare in congedo richiamato in servizio”1
2 - Vedi art 901 e ss del Codice dell’Ordinamento Militare D. Lgs 15 marzo 2010, n. 66
3 - Vedi art 914 e ss del Codice dell’Ordinamento Militare D. Lgs 15 marzo 2010, n. 66
4 - Vedi art 880 e ss del Codice dell’Ordinamento Militare D. Lgs 15 marzo 2010, n. 66
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reato è definito “chiunque”, fattispecie contenute soprattutto nel codice militare di guerra.
Tornando al soggetto militare l’art. 15 del c.p.m.p. stabilisce che la qualità di militare deve essere
posseduta al momento della commissione del reato e non al momento della scoperta o al momento
del giudizio. Ciò è rilevante se si considera il caso del cosiddetto militare di fatto, quando posterior-
mente alla commissione di un reato sia dichiarata nullo l’atto amministrativo di arruolamento o ven-
ga scoperto un’incapacità della persona a far parte delle forze armate. In entrambi i casi il Legislatore
(art. 16 c.p.m.p.) assicurando la punibilità del fatto criminoso secondo il codice penale militare ha
voluto garantire il servizio militare comunque inteso e con esso quindi anche la relativa disciplina
indipendentemente dal possesso di diritto o di fatto della qualifica di militare

7 - LA NOZIONE DI REATO IN GENERALE E QUELLA DI REATO MILITARE
Il reato viene definito come ogni fatto umano al quale l’ordinamento giuridico ricollega una san-
zione penale. È colpevole, come già detto, soltanto colui che compie un fatto già espressamente
riconosciuto come reato della legge vigente. Partendo dalla sopra citata definizione primo requisito
indispensabile, perché ci sia un illecito penale, è il comportamento umano costituente reato. Esso
può consistere tanto in una azione (reati commissivi) quando consiste in un movimento muscolare,
che in una omissione (reati omissivi) in un non fare, in questo caso non è sufficiente il semplice non
fare del soggetto, in quanto è necessario che chi omette di compiere una azione aveva anche per
legge l’obbligo di agire. Un’ulteriore distinzione che vi è tra reati di pura condotta e reati di evento.
In alcune ipotesi di reato come ad esempio nell’omicidio non è sufficiente per configurarsi il reato
l’azione umana, ma è necessario anche l’ulteriore evento morte. Per questo i reati di pura condotta
si perfezionano con il solo compimento di una azione o di una omissione (es. evasione, omissione di
soccorso) e reati di evento quando la legge richiede che all’azione segua un determinato effetto come
la morte nell’omicidio.
Una volta definito il reato in generale è importante definire viceversa il reato militare, in quanto da
esso ne discendono conseguenze sia sul piano della disciplina sostanziale, come è ovvio, che sul pia-
no della giurisdizionale stabilendo se la competenza a giudicare di un reato spetta al giudice militare
o meno e secondo quali limiti.
L’articolo 37 del c.p.m.p. recita: “costituisce reato militare qualunque violazione della legge penale milita-
re”. E’ importante distinguere quando si commette reato comune e quando reato militare sia per il
diverso codice che si applica sia per individuare il giudice competente. Se quindi un fatto delittuoso
è definito come reato comune sarà giudicato dal giudice comune, se invece è definito come reato
militare sarà giudicato da un magistrato militare. Nell’ambito dei reati militari poi si distingue tra
reati obiettivamente militari e reati esclusivamente militari.
Lo stesso articolo 37 c.p.m.p. comma 2 chiarisce che è reato esclusivamente militare quello costituito
da un fatto che, nei suoi elementi materiali costitutivi, non è previsto come reato dalla legge penale
comune. Ad esempio sono reati esclusivamente militari i reati di diserzione, di violata consegna, di
abbandono di posto. Il reato esclusivamente militare costituisce quindi una lesione esclusiva di inte-
ressi militari protetti dalla legge. I reati previsti invece in tutto o in parte dal codice penale comune
sono detti reati obiettivamente militari rappresentano una lesione solo indiretta di interessi militari,
sono così ad esempio il reato di insubordinazione con minaccia o ingiuria o violenza contro senti-
nella perché anche se non ci fosse il codice penale militare sarebbero fatti puniti come reati rispetti-
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vamente di minaccia, ingiuria o violenza ad un pubblico ufficiale. La distinzione ha diverse conse-
guenze. Prima di tutto solo ai reati esclusivamente militari si applica l’attenuante prevista dall’art.
48, n.2 c.p.m.p. che prevede che diminuzione di pena dal giudice per i reati commessi dal militare
nei primi trenta giorni di servizio. Inoltre il giudice può escludere la recidiva (condizione personale
di chi, dopo essere stato condannato commette un altro reato e quindi il giudice può aumentarne la
pena) fra un reato comune e uno esclusivamente militare. Infine alcuni trattati internazionali esclu-
dono l’estradizione per i reati esclusivamente militari.

8 - PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA
Per la sussistenza del reato non è sufficiente che un soggetto ponga in essere un fatto corrispondente
a reato, ma è necessario che ci sia un legame psicologico tra il fatto compiuto criminoso e la volontà
del soggetto. Secondo la legge penale è imputabile solo colui che è in possesso della capacità di in-
tendere e di volere e che abbia coscienza e volontà del fatto illecito. Può rimproverarsi ad un sogget-
to di aver causato un fatto in quanto egli sappia che quel modo di agire è riprovevole e nonostante
questo agisca per commettere il reato. L’art. 27 della nostra Costituzione recita infatti che: la respon-
sabilità penale è personale stabilendo quindi il principio della responsabilità per fatto proprio. Nel
Codice Penale è l’articolo 43 che prende in considerazione l’elemento psicologico del delitto, ossia,
la volontà di delinquere. La colpevolezza consiste quindi in un giudizio di rimproverabilità per l’at-
teggiamento illecito che era possibile non assumere. A seconda poi della maggiore o minore illiceità
dell’atteggiamento psicologico il legislatore grada la maggiore o minore responsabilità.
L’intenzione del soggetto a delinquere ne definisce la pericolosità sociale. In base all’elemento psico-
logico “intenzione” i reati vengono distinti in:
- reato doloso: è doloso o secondo l’intenzione il fatto delittuoso preveduto e voluto dal reo con le
  conseguenze della propria azione od omissione; il soggetto non solo si rappresenta tutti gli elemen-
  ti che del fatto criminoso, ma ne vuole anche effettivamente realizzare la condotta e l’evento che ne
  consegue da essa.
- reato preterintenzionale: è preterintenzionale, o oltre l’intenzione, quando dall’azione od omissio-
  ne deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dal reo;
- reato colposo: è colposo o contro l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, anche se pre-
  veduto non e voluto dal reo ma si verifica ugualmente a causa della sua negligenza, o impruden-
  za o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. In questo caso
  manca al soggetto la volontà di realizzare le conseguenze dannose o pericolose che derivano dal
  suo agire. Il soggetto, quindi, non vuole il verificarsi di un evento ma questo si verifica per l’inos-
  servanza di regole di condotta che lui era tenuto a conoscere ed a rispettare.
Chiariamo i concetti sopra esposti con alcuni esempi:
- incendio doloso: incendio appiccato volontariamente dal reo;
- incendio colposo: incendio causato per inosservanza di una disposizione di sicurezza;
- omicidio preterintenzionale. morte di un individuo causata da uno schiaffo sferrato volontaria-
mente dal reo.
Il reato si compone quindi sempre di due elementi: uno oggettivo e l’altro soggettivo. Il primo con-
siste nella condotta posta in essere ed eventualmente dall’evento che consegue alla condotta del
soggetto. L’altro, l’elemento soggettivo, è rappresentato dalla colpevolezza nelle sue articolazioni di
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dolo, colpa o preterintenzione.

9 - CAUSE DI NON PUNIBILITÀ
Possono esistere delle cause giustificative che hanno la forza di togliere al fatto delittuoso ogni ca-
rattere di illegalità, per cui il colpevole non è punibile (causa di non punibilità). Esistono situazioni
cioè in presenza delle quali un fatto che normalmente costituisce reato va esente da pena. La legge
penale militare, a volte, accoglie alcune cause di non punibilità previste dalla legge penale comune,
mentre, a volte, disciplina in maniera diversa altre cause di non punibilità tenendo conto della neces-
sità di tutelare l’ordine giuridico militare. Si distingue tra cause soggettive di non punibilità e cause
oggettive di non punibilità
Sono cause soggettive di non punibilità: il caso fortuito, l’incoscienza (es. ubriachezza non volonta-
ria), la forza maggiore, il costringimento fisico (ad es. chi è costretto con la forza a premere il premere
il grilletto della pistola uccidendo una terza persona), ignoranza inevitabile o ancora in caso di errore
(ad es. un automobilista che procede regolarmente uccide non volendo un ciclista colpito da malore
che gli ha tagliato la strada). In tutte queste cause di esclusione del reato viene meno il principio di
colpevolezza in quanto il reato non è voluto dal soggetto. Viene meno cioè l’elemento soggettivo del
reato. In merito all’ignoranza l’articolo 39 del c.p.m.p., stabilisce che “il militare non può invocare a
propria scusa l’ignoranza dei doveri inerenti al suo stato di militare”, ma la Corte Costituzionale è
intervenuta nel 1995 ammettendo che anche per i militari valga la regola che è ammessa l’ignoranza
cd. inevitabile quando cioè circostanze oggettive o soggettive non permettono al soggetto di cono-
scere la legge penale.
Rientrano invece tra le cause oggettive di non punibilità previste dalla legge penale comune: l’eser-
cizio di un diritto e l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine
legittimo della pubblica autorità. L’art. 51 c.p. dice che “L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un
dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità esclude la punibilità
del fatto…Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla
legittimità dell’ordine”. È una disposizione che per i militari deve necessariamente essere interpre-
tata alla luce delle norme sulla Disciplina Militare (art. 1349 Codice dell’Ordinamento Militare D.
Lgs 66/2010) e del relativo Regolamento. Infatti nelle suddette disposizioni vengono sanciti i diritti
dei militari e i modi in cui può essere contestato un ordine che si ritiene illegittimo. La necessità di
un’obbedienza pronta non può infatti condurre al concetto di una cieca esecuzione di ordini, ad
un’obbedienza passiva, ad un dovere assoluto e senza limiti. “Gli ordini devono, conformemente alle
norme in vigore, attenere alla disciplina, riguardare le modalità di svolgimento del servizio e non eccedere i
compiti di istituto. Il militare al quale è impartito un ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni dello
Stato o la cui esecuzione costituisce comunque manifestamente reato, ha il dovere di non eseguire l’ordine e
di informare al più presto i superiori”. Con ciò l’inferiore acquista il diritto ed il dovere di constatare
se il superiore, nell’emanare un ordine o un divieto, agisca entro i limiti delle sue responsabilità e
nell’ambito della legge. Salvo quindi che l’ordine non sia rivolto contro le istituzioni o sia manife-
stamente reato l’art. 729 comma 2 del Testo Unico delle disposizioni regolamentari in materia di
ordinamento militare (D.P.R. del 15 marzo 2010, n. 90) stabilisce che il militare… “è tenuto ad eseguirlo
se l’ordine è confermato….” In questo ambito trova applicazione la causa di non punibilità per l’adem-
pimento di un dovere.
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Le cause oggettive di non punibilità previste dalla legge penale militare sono :
- l’uso legittimo delle armi,
- la difesa legittima
- casi particolari di necessità militare.
L’articolo 41 del Codice Penale Militare di Pace disciplina l’uso legittimo delle armi: “Non è punibile
chi, al fine di adempiere un suo dovere di servizio, fa uso ovvero ordine di far uso delle armi o di altro mezzo
di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o vincere una resistenza”.
Questa causa discriminante è applicabile sia nei confronti di chi ha usato legittimamente le armi,
sia di chi ne ha ordinato l’uso. Un importante novità è stata introdotta dalla D.L. 04-11-2009, n. 152
così come modificato dalla legge di conversione 29 dicembre 2009, n. 197 (Disposizioni urgenti per
la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione,
nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia e disposizioni urgenti in materia di perso-
nale della Difesa) stabilendo che: “Non è punibile il militare che, nel corso delle missioni di cui all’articolo 2,
in conformità alle direttive, alle regole di ingaggio ovvero agli ordini legittimamente impartiti, fa uso ovvero
ordina di fare uso delle armi, della forza o di altro mezzo di coazione fisica, per le necessità delle operazioni
militari”. Molte perplessità infatti erano nate in riferimento all’uso delle armi in applicazione delle
regole di ingaggio (R.O.E.). In realtà tale disposizione non ha modificato il codice penale militare né
quello ordinario ma ha previsto una causa di esclusione solo in riferimento alle operazioni di pace
autorizzate nella legge stessa.
L’articolo 42 del c.p.m.p. afferma che “Non è punibile chi ha commesso un fatto costituente reato militare,
per esservi stato costretto dalla necessità di respingere da sé o da altri una violenza attuale e ingiusta, sempre
che la difesa sia proporzionata all’offesa” (legittima difesa). Non si tratta di una “legittima difesa” gene-
ricamente ammessa poiché possa configurarsi la scriminante della legittima difesa ai sensi dell’art.
42 deve ricorrere la necessità di respingere una violenza attuale ed ingiusta , la cui nozione, agli
effetti della legge penale militare, è esclusivamente quella fornita dall’articolo 43 c.p.m.p. Il suddetto
articolo include i reati di lesioni personali, percosse, maltrattamenti e qualsiasi tentativo di offendere
con le armi. Poiché in tale definizione di violenza non sono compresi i reati di minaccia o di tentativo
di lesioni personali o di percosse, deve escludersi che, agli effetti della legge penale militare, ricorra
l’ipotesi della legittima difesa ogni qualvolta un soggetto abbia reagito ad un atteggiamento minac-
cioso dell’aggressore, anche se diretto alla commissione dei reati di lesioni personali o percosse, che
siano comunque rimasti alla fase di tentativo5. È importante precisare, inoltre che la causa di non
punibilità non può essere usata per vincere la disobbedienza.
Infine la legge militare prevede casi particolari di necessità militare “non è punibile il militare che
ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di impedire l’ammutinamento, la rivolta, il
saccheggio, la devastazione, o comunque fatti tali da compromettere la sicurezza del posto, della nave o dell’ae-
romobile” art. 44 c.p.m.p. La norma si applica quindi a qualsiasi militare ed anche se commette reati
militari. Non è necessario che i reati descritti siano perfettamente compiuti perché il militare possa
intervenire potendolo fare già solo quando si verifica il pericolo di ammutinamento, rivolta, ecc.
Inoltre è sempre necessaria la proporzionalità tra offesa e azione penalmente rilevante. In forza del
principio di complementarità inoltre si ritiene applicabile ai militari anche la causa di non punibilità
per stato di necessità previsto da codice comune quando “si è stati costretti dalla necessità di salvare se

5   Cass. Pen. Sez. I, sent. n. 9803 del 13-09-1994 , Settembrini
Dispensa di Diritto Penale - 15

od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona…” . Come ad esempio nel caso di un incendio
ad un deposito di munizioni vigilato da una sentinella, la quale deve abbandonare il posto ma al fine
di attivarsi per segnalare il pericolo.

10 - CAUSE DI NON IMPUTABILITÀ: UBRIACHEZZA - USO DI SOTANZE STUPEFACENTI
L’autore non è imputabile secondo la legge penale se, al momento del fatto non era in grado di in-
tendere e di volere. Come si è detto l’ubriachezza o l’assunzione di sostanze stupefacenti, sono cause
in grado di escludere completamente o di limitare la nostra capacità di intendere e di volere. Poiché
molti reati vengono commessi da soggetti ubriachi o drogati, la legge penale si interessa di queste
circostanze distinguendo opportunamente in:
a) intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti;
b) ubriachezza (o assunzione di stupefacenti) abituale;
c) ubriachezza (o assunzione di stupefacenti) derivata da caso fortuito o da forza maggiore;
d) ubriachezza (o assunzione di stupefacenti) volontaria o colposa ovvero preordinata.
Se dal punto di vista della capacità di intendere e di volere, nessuna differenza può oggettivamente
rilevarsi tra chi si è ubriacato per errore e chi si è ubriacato volontariamente, non altrettanto si può
affermare circa la loro responsabilità. La legge penale considera gli alcolizzati cronici ed i tossico-
dipendenti alla stessa stregua degli effetti da totale o parziale vizio di mente. Non sono imputabili
secondo la legge i responsabili di fatti delittuosi compiuti sotto l’effetto dell’alcool o della droga, se
assunti non volontariamente ma per caso fortuito o per causa di forza maggiore ed abbiano provo-
cato la totale incapacità di intendere e di volere del soggetto. Negli altri due casi (b, d) l’ubriachezza
o l’assunzione di stupefacenti lungi dall’essere cause di non imputabilità, sono invece considerate
circostanze aggravanti; perciò se chi di solito “alza il gomito” commette un delitto trovandosi in
stato di ubriachezza, verrà punito più severamente. È infine pienamente responsabile e punibile chi
volontariamente o colposamente ubriaco o drogato commette un delitto e, ancor peggio chi viola la
legge dopo essersi ubriacato o drogato appositamente per delinquere o per prepararsi una scusan-
te. Quanto già detto non esaurisce il problema in quanto, come militari, la questione ubriachezza e
droga ci tocca con altri aspetti sia disciplinari che penali. L’alcoolismo cronico e la tossicodipendenza
sono cause di riforma per cui nelle Forze Armate i problemi più gravi sono senz’altro dovuti all’al-
coolismo abituale e alla tossicofilia.
Il militare che, trovandosi nelle circostanze previste dal 3° comma dell’articolo 1350 del Codice
dell’Ordinamento Militare, è sempre obbligato al rispetto delle norme disciplinari, pertanto laddove
si ubriaca o si droga, commette un’infrazione disciplinare. Tuttavia, allorché il militare si ubriaca
o si droga volontariamente o colposamente (conoscendo la sostanza alcolica che si sta bevendo,
ma senza volerne le conseguenze cioè l’ubriacatura) mentre è in servizio o già comandato di servi-
zio, compromettendo, anche in parte, la propria efficienza e la propria capacità a svolgere il servi-
zio, commette un vero e proprio reato militare: ubriachezza in servizio (Art. 139 c.p.m.p.). Quindi
l’ubriachezza volontaria in servizio non è una circostanza aggravante, ma un reato. Concludiamo
questo argomento con alcuni esempi che giovino a chiarire meglio i concetti esposti:
- il militare che volontariamente si ubriaca o si droga mentre è tenuto al rispetto delle norme disci-
  plinari, commette un’infrazione disciplinare;
- il militare comandato di guardia che si ubriaca o si droga, commette il reato militare di ubriachezza
16 - Dispensa di Diritto Penale

  in servizio;
- se nella stessa circostanza, mentre è ubriaco o drogato picchia un commilitone commette due reati:
  ubriachezza in servizio e percosse.
Per il militare responsabile di delitti comuni valgono le stesse norme che sono previste per tutti gli
altri cittadini.

11 - LE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI E ATTENUANTI DEL REATO MILITARE
Le circostanze sono fatti che fanno assumere al reato una maggiore o minore gravità aggravando o
attenuando la pena, in presenza di questi elementi la legge ritiene che il comportamento del soggetto
deve essere giudicato più grave o meno grave e quindi ciò ricade sulla misura della pena che appli-
cherà il giudice. Le circostanze si distinguono in:
a) Circostanze aggravanti o attenuanti; le prime comportano un aumento di pena le seconde una
    riduzione.
b) Circostanze comuni o speciali; le prime sono applicabili a tutti i reati, le seconde sono previste
    solo per alcuni tipi di reali.
Le circostanze sono previste sia dal Codice Penale Comune che dal Codice Penale Militare di Pace
le prime le potremmo definire generiche e si applicano ai reati militari. Sono ad esempio circostanze
aggravanti previste dal codice penale comune: l’aver agito per motivi abietti, l’aver commesso il
fatto contro un pubblico ufficiale o persona incaricata di un pubblico servizio, l’aver commesso il
fatto con abuso di autorità o di relazioni di ufficio. E’ importante precisare che per il principio di col-
pevolezza e in generale per il principio di personalità della responsabilità penale la legge ha stabilito
che le circostanze aggravanti si applicano al colpevole soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate
per colpa.
Sono invece circostanze attenuanti generiche: l’aver reagito in stato di ira, l’aver causato alla persona
offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità. A differenza delle circostanze aggravanti,
per il principio del favor rei le attenuanti si applicano al colpevole sempre, quindi anche se dai lui
non conosciute. Oltre alle circostanze generiche previste dal Codice Penale Comune, esistono circo-
stanze che riguardano esclusivamente i militari responsabili della violazione della legge penale mili-
tare e sono previste sia nel codice militare di pace che di guerra. Ai militari, quindi, che commettono
un reato militare si applicano sia le circostanze generiche previste dal codice penale comune nonché
quelle comuni previste dal codice militare di pace ed eventualmente di guerra ed infine le circostan-
ze speciali previste per le singole tipologie di reati. Un esempio di queste ultime è l’art. 144 del C. P.
M. P. che prevede l’aggravamento della pena solo per i reati di violenza a sentinella (142 C. P. M. P.) e
di resistenza alla forza armata (143 C. P. M. P.) se dalla violenza ne è derivato l’omicidio oppure una
lesione personale grave o gravissima.
Sono circostanze aggravanti comuni quelle previste dall’art 47 del codice penale militare di pace:
- aver agito per timore di un pericolo al quale il colpevole aveva un particolare dovere giuridico
  di esporsi (si tratta di manifestazioni di paura o viltà di fronte al pericolo, inammissibili per un
  militare, che si riferiscono però non a doveri generici ma soltanto a quelli sanciti dalla legge o dal
  diritto disciplinare);
- l’essere il militare colpevole rivestito di un grado o di un comando (non è questa una circostanza
  aggravante quando il reato è connesso con l’esercizio del comando o con i doveri del superiore);
Dispensa di Diritto Penale - 17

- aver commesso il fatto con le armi di dotazione militare, o durante un servizio militare, ovvero a
  bordo di una nave o aeromobile militare (queste circostanze aggravanti possono coesistere in un
  unico fatto delittuoso nel qual caso sono applicabili contemporaneamente gli aumenti di pena pre-
  visti per ognuna);
- l’aver commesso il fatto alla presenza di tre o più militari o comunque in circostanze di luogo per
  le quali possa verificarsi pubblico scandalo. L’aver commesso il fatto in territorio estero mentre vi
  si trovava per ragioni di servizio o mentre vestiva, ancorché indebitamente, l’uniforme (il prestigio
  delle Forze Armate è un interesse militare tutelato sempre con rigore ed in particolare in territorio
  straniero).
Per il militare responsabile di una violazione della legge penale militare sono previste dall’art 48
cpmp le seguenti attenuanti comuni:
- l’aver commesso il fatto per eccesso di zelo nell’adempimento di doveri militari - tale circostanza
  viene presa in considerazione soltanto se costituisce movente del fatto delittuoso ed inoltre ci deve
  essere sempre una proporzione tra il reato commesso le finalità perseguite;
- l’essere il fatto commesso da un militare che non abbia ancora compiuto trenta giorni di servizio
  militare e un’attenuante valida soltanto per i reati esclusivamente. È militari strettamente connessi
  con i doveri militari di cui si può ammettere una scarsa conoscenza nel pruno mese di servizio
  militare;
- l’aver commesso il fatto per i modi non convenienti usati da altro militare.
In sede di giudizio, infine, il giudice può facoltativamente tener conto della buona condotta in servi-
zio del militare colpevole ed applicare una riduzione di pena6.

12 - DEL DELITTO TENTATO E DEL CONCORSO
Come detto, per la legge penale è responsabile colui che compie atti idonei, diretti in modo non equi-
voco a commettere un delitto (delitto tentato); costui risponderà di delitto consumato o del meno
grave delitto tentato a seconda che l’azione o l’evento dannoso o pericoloso, conseguenza della sua
azione od omissione, si verifichi o meno.
Ad esempio nel caso di omicidio si risponde di questo o del meno grave reato di tentato omicidio
a seconda se dall’azione deriva o meno la morte della persona. Bisogna chiarire che non risponde
di delitto tentato colui che volontariamente desiste dall’azione delittuosa o impedisce che l’evento
si compia, infatti, il pentimento o la collaborazione con la giustizia sono elementi che determinano
soltanto una riduzione della pena prevista. Il reato inoltre può essere compiuto anche da più sogget-
ti in questo caso come previsto dal codice penale tutti rispondono per lo stesso reato soggiacciono
alla stessa pena. Il concorso di persone nel reato si verifica quando al reato partecipano almeno due
persone di cui almeno una abbia compiuto il fatto illecito. Basti pensare ad esempio all’ipotesi di una
rapina in banca risponderà del reato di rapina anche la persona che fa da cd. “palo” oppure l’autista
che aspetta fuori dalla banca. Nel codice penale militare risponde del reato militare anche il “civile”
che in concorso con il militare commette un fatto punito dalla legge penale militare, anche se solo il
militare sarà giudicato dal giudice militare.

6 In tema di reati militari, ai fini dell'applicazione della circostanza attenuante dell'ottima condotta militare, è necessario non sol-
tanto che il militare abbia rispettato le norme di disciplina, non abbia dato luogo a notazioni negative o si sia adeguato alle esigenze
di servizio, ma che abbia dimostrato il massimo impegno, in assoluto, tenendo una condotta che si discosti, superandola notevolmente,
da quella normale. (Cass. Pen. Sez. I, sent. n. 13213 del 06-10-1989 , Di Terlizzi).
18 - Dispensa di Diritto Penale

13 - DEI REATI MILITARI IN PARTICOLARE
Esaurite queste distinzioni di carattere generale rivolgiamo ora la nostra attenzione ai Reati Militari.
Essi sono organicamente classificati in base al bene militare direttamente o indirettamente colpito in:
a) reati contro la fedeltà e la difesa militare;
b) reati contro il servizio;
c) reati contro la disciplina;
d) reati contro l’Amministrazione militare, la fede pubblica, la persona, il patrimonio.
I reati di cui ai punti a, b e c costituiscono lesioni dirette di interessi militari;
I reati di cui al punto d) costituiscono invece lesioni indirette di interessi militari e sono considerati
reati speciali.
Dispensa di Diritto Penale - 19

                                           Capitolo II
                 Cenni sul codice penale militare di guerra

1 - ATTUAZIONE
La principale caratteristica della legge penale militare di guerra è che per essere applicato il codice
richiede il verificarsi di alcune condizioni. Il presupposto principale e ordinario per l’entrata in vigo-
re della legge penale militare di guerra è costituito dalla dichiarazione dello stato di guerra delibe-
rato dalle camere e promulgato dal Presidente della Repubblica (art. 8 della Costituzione). La legge
prevede, però, altre due ipotesi che determinano l’applicazione della legge di guerra a prescindere
dalla dichiarazione dello stato di guerra e le distingue a seconda della necessità o meno di un prov-
vedimento formale. Il codice di guerra entra in vigore anche con un semplice decreto del Presidente
della Repubblica nel caso di una riunione di navi o di aeromobili, ovvero di forze terrestri distaccate
per qualsiasi operazione militare o di polizia (art.8 c.p.m.g.). Il codice inoltre si applica automatica-
mente senza provvedimenti formali:
a) nei confronti di spedizioni all’estero per operazioni militari (art. 9 c.p.m.g.),
b) mobilitazioni parziale o generale delle forze armate delle Stato (art. 11 c.p.m.g.).
Importanti modifiche al codice penale militare di guerra sono state introdotte con l’entrata in vigore
delle leggi 31 gennaio 2002, n. 6 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° di-
cembre 2001, n. 421, recante disposizioni urgenti per la partecipazione di personale militare all’ope-
razione multinazionale denominata «Enduring Freedom»”; 27 febbraio 2002, n. 15 “Conversione in
legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 dicembre 2001, n. 451, recante disposizioni urgenti per
la proroga della partecipazione italiana ad operazioni militari internazionali”, 18 marzo 2003, n. 42
“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 gennaio 2003, n. 4, recante disposi-
zioni urgenti per la prosecuzione della partecipazione italiana ad operazioni militari internazionali.
Modifiche al codice penale militare di guerra”, ed infine 4 agosto 2006, n. 247, “Disposizioni per la
partecipazione italiana alle missioni internazionali”. Per effetto di tale ultima legge, al personale
militare che partecipa alle missioni internazionali in essa menzionate si applicano il codice penale
militare di pace e l’art. 9, commi 3 e 4, lettere a), b), e) e d), 5 e 6 del decreto-legge n. 421 datato 1°
dicembre 2001 convertito in legge 31 gennaio 2002, n. 6.Successivi provvedimenti normativi hanno
via via autorizzato la proroga delle medesime missioni internazionali delle Forze armate italiane,
disciplinandone il regime penale con disposizioni di contenuto analogo a quello della legge 4 agosto
2006, n. 247.
In particolare il nuovo art. 9 c.p.m.g. ha stabilito che “Sino all’entrata in vigore di una nuova legge
organica sulla materia penale militare, sono soggetti alla legge penale militare di guerra, ancorché in
tempo di pace, i corpi di spedizione all’estero per operazioni militari armate, dal momento in cui si
inizia il passaggio dei confini dello Stato o dal momento dell’imbarco in nave o aeromobile ovvero,
per gli equipaggi di questi, dal momento in cui e’ ad essi comunicata la destinazione alla spedizione.
Limitatamente ai fatti connessi con le operazioni all’estero di cui al primo comma, la legge penale
militare di guerra si applica anche al personale militare di comando e controllo e di supporto del
corpo di spedizione che resta nel territorio nazionale o che si trova nel territorio di altri paesi, dal
momento in cui è ad esso comunicata l’assegnazione a dette funzioni, per i fatti commessi a causa o
20 - Dispensa di Diritto Penale

in occasione del servizio”. L’articolo 9 del C.P.M.G., in realtà, già prevedeva la soggezione alla legge
penale militare di guerra dei “corpi di spedizione all’estero in tempo di pace”, ma non aveva mai
trovato applicazione, ma con la nuova formulazione si è l’individuato il momento iniziale di appli-
cabilità del C.p.m.g. ai militari che si stanno recando all’estero. Inoltre si prevede, giustamente, che
la legge penale militare di guerra sia applicabile, limitatamente ai fatti connessi con le operazioni
militari all’estero, anche al personale militare che resta nel territorio nazionale a svolgere funzioni
di comando, controllo o supporto del corpo di spedizione. Per comprenderne il rilievo basti pensare
al recente passato degli interventi militari nell’ex Jugoslavia: molte operazioni decollavano da basi
aeree, quale Aviano, site sul territorio nazionale, e buona parte del personale con funzioni di coman-
do o controllo permaneva sul suolo italiano, oppure ai casi ipotizzati di frode nelle forniture alle
missioni impegnate all’estero, eventualmente commesse da personale di supporto in Italia.
Inoltre è stato modificato l’art. 165 del c.p.m.g. e relativa rubrica relativamente all’applicazio-
ne della legge penale militare di guerra in relazione ai conflitti armati relativamente ai reati con-
tro le leggi e gli usi della guerra la quale recita “Le disposizioni del presente titolo si applicano
in ogni caso di conflitto armato, indipendentemente dalla dichiarazione dello stato di guerra.
Ai fini della legge penale militare di guerra, per conflitto armato si intende il conflitto in cui una
almeno delle parti fa uso militarmente organizzato e prolungato delle armi nei confronti di un’altra
per lo svolgimento di operazioni belliche.
In attesa dell’emanazione di una normativa che disciplini organicamente la materia, le disposizioni
del presente titolo si applicano alle operazioni militari armate svolte all’estero dalle forze armate
italiane”.
Per completezza si riporta di seguito l’art. 9 (disposizioni processuali), commi 3 e 4, lettere a), b), e)
e d), 5 e 6 del decreto-legge n. 421 datato 1° dicembre 2001 convertito in legge 31 gennaio 2002, n.
6 che si applica ai militari che partecipa alle operazioni internazionali: comma 3 “. La competenza
territoriale è del tribunale militare di Roma”.Comma 4 “Oltre che nei casi previsti dall’articolo 380,
com-ma 1, del codice di procedura penale gli ufficiali di polizia giudiziaria militare procedono all’ar-
resto di chiunque è colto in flagranza di uno dei seguenti reati militari:
a) disobbedienza aggravata previsto dall’articolo 173, secondo comma, del codice penale militare di
    pace;
b) rivolta, previsto dall’articolo 174 del codice penale militare di pace;
c) ammutinamento, previsto dall’articolo 175 del codice penale militare di pace;
d) insubordinazione con violenza, previsto dall’articolo 186 del codice penale militare di pace, e
    violenza contro un inferiore aggravata, previsto dall’articolo 195, secondo comma, del medesimo
    codice;
e) abbandono di posto o violata consegna da parte di militari di sentinella, vedetta o scolta, previsto
    dall’articolo 124 del codice penale militare di guerra;
f) forzata consegna aggravata, previsto dall’articolo 138, commi secondo e terzo, del codice penale
    militare di guerra”.
Infine i commi 5 e 6 regolano processualmente la disciplina dell’arresto in flagranza o del fermo
È da riportare anche il D.L. 04-11-2009, n. 152 così come modificato dalla legge di conversione 29
dicembre 2009, n. 197 che ha stabilito, tra l’altro,:
 “1-sexies. Non è punibile il militare che, nel corso delle missioni di cui all’articolo 2, in conformi-
Dispensa di Diritto Penale - 21

tà alle direttive, alle regole di ingaggio ovvero agli ordini legittimamente impartiti, fa uso ovvero
ordina di fare uso delle armi, della forza o di altro mezzo di coazione fisica, per le necessità delle
operazioni militari.
1-septies. Quando nel commettere uno dei fatti previsti dal comma 1-sexies si eccedono colposamen-
te i limiti stabiliti dalla legge, dalle direttive, dalle regole di ingaggio o dagli ordini legittimamente
impartiti, ovvero imposti dalla necessità delle operazioni militari, si applicano le disposizioni con-
cernenti i delitti colposi se il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo.
1-octies. All’articolo 260, primo comma, del codice penale militare di pace, di cui al regio decreto 20
febbraio 1941, n. 303 le parole: «e 112» sono sostituite dalle seguenti: «112, 115, 116, secondo comma,
117, terzo comma, e 167, terzo comma».”.
In realtà tale disposizione non ha modificato il codice penale militare né quello ordinario ma ha pre-
visto una causa di esclusione della punibilità in riferimento alle operazioni di pace autorizzate nella
legge stessa. Disciplinando anche se in modo transitorio il problema dell’uso delle armi in applica-
zione delle regole di ingaggio (R.O.E.)

2 - LE PERSONE SOGGETTE
La legge penale militare di guerra si applica ai militari appartenenti ad Armi, Corpi, Navi, Aeromo-
bili o Servizi destinati ad operazioni di guerra o, ancorché in tempo di pace, a Corpi di spedizio-
ne all’estero. Per “militari” si intendono gli appartenenti all’Esercito Italiano, alla Marina Militare,
all’Aeronautica Militare, Carabinieri, alla Guardia di Finanza, i militarizzati, gli appartenenti, cioè,
a Corpi o Reparti volontari autorizzati a prendere parte alla guerra. Sono soggetti inoltre alla legge
penale militare di guerra italiana gli appartenenti alle forze armate nemiche se commettono reati
contro le leggi e gli usi di guerra commessi a danno dello stato italiano ovvero di uno stato alleato,
ovvero se i reati sono commessi da prigionieri di guerra in custodia dello Stato Italiano.

3 - I REATI PREVISTI DAL CODICE PENALE MILITARE DI GUERRA
L’art. 47 C.P.M.G. individua quali reati militari ai fini del presente codice di guerra, tutti quelli pre-
visti nel Codice Penale Militare di Guerra e quelli contenuti nel Codice Penale Militare di Pace, ma
aggravati nella pena. I reati puniti secondo il codice penale militare di guerra hanno subito profonde
modificazioni in seguito alla Legge n° 6 del 31/1/2002. Il nuovo articolo 47 del C.P.M.G. qualifica
come “reati militari ai fini del C.P.M.G.” tutte le violazioni della legge penale commesse da apparte-
nente alle Forze armate “con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti allo stato di militare, o in luogo
militare, e previsti come delitti contro la personalità dello Stato, la pubblica amministrazione, l’amministra-
zione della giustizia, l’ordine pubblico, l’incolumità pubblica, la fede pubblica, la moralità pubblica e il buon
costume, la persona e il patrimonio”, ovvero la quasi totalità dei delitti previsti nei vari titoli del libro II
del codice penale comune. Questa nuova disposizione amplia notevolmente la giurisdizione dei Tri-
bunali Militari in quanto sarà di competenza del giudice militare qualunque reato previsto dal Co-
dice Penale comune e commesso dai militari sottoposti al C.P.M.G. con abuso dei poteri o violazione
dei doveri o in luogo militare. Se, ad esempio, un militare impiegato in un’operazione peace keeping
e sottoposto al Codice Penale Militare di Guerra, dovesse essere accusato di omicidio con abuso dei
poteri o violazione dei doveri o in luogo militare la competenza sarà del giudice militare secondo le
disposizioni del C.P.M.G.. Prima dell’entrata in vigore della L. n° 6/2002, viceversa, il militare sa-
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