L'UOMO DEL DESTINO - Altervista

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L’UOMO DEL                                  DESTINO

                                                 “Non è nelle stelle che è conservato il nostro destino,
                                                                                     ma in noi stessi.”

                                                                                 William Shakespeare

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Il rumore silenzioso della notte placava gli animi dei cittadini di quel misterioso ed
inaspettato paesino, uccidendo ogni singolo pensiero, lasciando vivere soltanto i
sogni più profondi. Solo un uomo stentava a prendere sonno. Era dominato da
continui tormenti e da un pungente silenzio che gli ronzava nella mente,
impedendogli di dormire. Ettore pensava che quel disturbo fosse dovuto alle continue
letture ambientate nella Londra ottocentesca che parlavano di killer, ma in realtà non
voleva ammettere di soffrire di disturbi del sonno. In quella notte di silenzio chiunque
avrebbe potuto trovare un granello di pace nel proprio animo, lui, invece, non
riusciva a chiudere occhio. Sin da bambino aveva avuto questa difficoltà e ne era
tremendamente spaventato. L’idea di provare invano ad addormentarsi gli incuteva
timore, gli ricordava che il tempo trascorreva e aumentava la sua costante ansia che
era diventata la sua compagna fidata di avventure. La vita non gli riservava molto;
soltanto qualche raro sorriso della gente e gocce di speranza che cadevano con rarità.
    Questo era il motivo della sua solitudine.
   Amava starsene sdraiato sul prato verde che profumava di rose, ad osservare le
nuvole o le stelle, a seconda del momento; pensava a quanto la sua vita sarebbe stata
fiorente se solo lui fosse stato come gli altri, se non avesse sbagliato più degli altri.
Era paura, che gli impediva di aprirsi col mondo e che impediva al mondo di
prenderlo per mano. Ed era anche il motivo per cui non riusciva a dormire. Nella sua
storia aveva avuto, però, delle ancore di salvezza, dei punti di riferimento. Anche
quelli, sulla brezza della vita, scomparirono con la velocità con cui nasce un amore o
un cuore viene spezzato.
   La notte continuava a vivere profondamente, mentre l’unico superstite al suo
strano manto magico osservava il soffitto della vecchia casa che lo stava ospitando in
quelle settimane. Si trovava lì per lavoro, ma non ne sapeva bene il motivo. Una
camomilla, per levare l’ansia, una breve chiacchierata con una ragazza sul terrazzo e
poi ancora il soffitto.
   Quello fu solo l’inizio di un percorso tortuoso ed inaspettato che aspettava solo lui.
Perché alla fine la nostra strada è in qualche modo predefinita. E’ una sorta di filo su
cui camminiamo stando in equilibrio per giungere al capolinea. Un filo che è
condotto da qualcuno e che in ogni momento può prendere l’aspetto della nostra vita
e trasformarla in un solo secondo, da un momento all’altro. Questo è il destino. Ciò
che non si può vedere né toccare, perché è destino. Ciò che ci fa soffrire e gioire,
perché è destino. Ciò che non riusciamo mai a capire, perché è destino. Lo stesso
destino che non faceva dormire Ettore e che presto gli avrebbe bussato alla porta, in
quella silenziosa e misteriosa notte a San’Agata, che gli avrebbe cambiato la vita.
   Per sempre.

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Le stelle e la luna continuavano ad illuminare l’oscura notte. La loro luce scendeva
fino alle pareti delle montagne, entrava nei sentieri, illuminava i torrenti e mostrava la
strada a quelli che, sfidando le tenebre, si addentravano nei boschi per ritrovarsi e non
pensare più a nulla. Non tutti, però, si aggiravano misteriosi nella notte. Uno di loro,
con passo svelto ma molto cauto, procedeva a testa bassa verso il piccolo paesino
diroccato. Aveva una strana aria, forse era un semplice ubriacone che aveva smarrito
la strada di casa o, forse, era qualcuno che la casa non l’aveva proprio. Camminava
svelto come se avesse una direzione, che in realtà non aveva. Ma la direzione per lui
l’aveva già scelta il destino. Sarebbe arrivato presto dove voleva arrivare e sperava di
trovare qualcuno che, come lui, era alla ricerca di qualcosa. Lo sguardo gli cadde
improvvisamente sul campanile della chiesa che spuntava fra i cespugli e cominciò
senza sosta a camminare. In poco tempo arrivò nella piazza principale dove il silenzio
era sovrano. Non si fermò a guardare quello che vi era attorno, le sue gambe
continuavano imperterrite il loro movimento, avevano una destinazione da
raggiungere ed un destino da seguire.
   Gli capitava spesso di trovarsi solo nella notte sperando di trovare riparo per
riposare ma non poteva provare rimorso o tristezza di sé, aveva scelto lui tutto.
Quella scelta l’aveva presa molto tempo prima di quella notte e ovviamente non
riusciva a ricordarne il momento esatto. Ricordava solo che era successo, come
succede quando si vede una foto di sé da piccoli: non ci si ricorda esattamente il
momento, ma si sa che è avvenuto e che si era i protagonisti. A lui succedeva lo
stesso, solo che quel momento non l’avevo visto su una fotografia. La strada si faceva
sempre più stretta ed entrava nei meandri del paese, incrociandosi con una miriade di
altre stradicciole che creavano un enorme guazzabuglio, un labirinto da cui era
difficile uscire. C’era quasi, lo sentiva. Ancora qualche passo e sarebbe arrivato

    Il sonno non riusciva ad impossessarsi di Ettore. Ora la mente era ammaliata dai
ricordi, da quei dubbi e quelle paure che ormai facevano parte di lui. E’ strano che
certi pensieri scorrano nella nostra mente nei momenti peggiori, per esempio quando
si cerca di dormire. Ma il sonno è l’unico momento in cui siamo soli con noi stessi e
cerchiamo di capire chi siamo, cosa pensiamo o cosa vogliamo veramente. Ognuno di
noi è alla ricerca di sé, una ricerca che può durare tutta la vita e che, spesso, diventa il
senso della vita stessa. Ettore era un ragazzo diverso, lo sapevano tutti, anche lui ne
era a conoscenza. Il suo nome era stato scelto per gusti personali, il padre difatti ci
teneva a chiamarlo come il suo personaggio preferito dell’Iliade e posso dire, con
sincerità, che quel nomen era il suo omen, era un vero segno del destino. Ettore era un

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eroe incompreso dal mondo e non riusciva a capacitarsi di tutto ciò. Gli eroi sono
forti e salvano gli altri: perché lui non era così? Perché doveva soffrire con così tanta
amarezza? E’ semplice. Gli eroi sono grandi perché armati di una grande corazza:
essa li separa dalla vita reale e li rende invincibili. Ma Ettore faceva della sua corazza
un carcere che non gli permetteva di evadere e che faceva sì che gli altri non lo
capissero e non riuscissero a vedere quello che vi era dentro.
   Era arrivato il momento di prendere sonno. Chiuse gli occhi e rimase tranquillo,
seguendo i consigli della madre per addormentarsi il più veloce possibile. Secondo
dopo secondo scivolava in un sonno leggero, che si sarebbe trasformato presto in uno
profondo.
   Il silenzio regnava nel caos della vita e faceva da colonna sonora al sonno di
Ettore. Com’è strana la vita. Ci mette a dura prova costantemente, senza un nostro
parere. Un momento e non riusciva a dormire, un secondo dopo e i sogni l’avevano
già divorato senza alcuna pietà. Il suo destino non gli piaceva, pensava sempre. Era
stato destinato ad una vita monotona, con qualche uscita tra gli “amici” e finte storie
sui social per essere qualcuno. A lui faceva schifo tutto. Voleva cambiarlo quel
destino che gli era stato appiccicato addosso. Voleva perdere l’equilibrio sul filo della
vita ed essere ciò che voleva essere, senza un “ma” o un “no”. Ma del resto, che
poteva farci? Il destino era quello, nessuno poteva cambiarlo, tranne il destino stesso.
Dormiva profondamente, non vi era nulla che avrebbe potuto interrompere quel
piccolo momento di gloria e pace che gli era stato concesso, tranne uno. Un rumore
insolito per quell’ora, un rumore che da tempo, ormai, non sentiva più nella sua casa:
“Toc-toc”. Qualcuno bussò alla porta.

   Gli occhi gli si aprirono in un millesimo di secondo. Era spaventato ma anche
sorpreso per quella visita inaspettata che stava ricevendo nel cuore della notte. Si alzò
dal letto e guardò l’orologio: “2:15”. Sperava che fossero i soliti ragazzini che
scherzano facendo svegliare la gente. Aprì la porta. Di fronte a lui si presentò una
figura alta e maestosa. Era vestito di nero ed indossava un cappello che gli copriva
parte del volto. Ettore rimase per qualche secondo in silenzio e riuscì ad udire il
soave suono del fiume a valle. Poco dopo il signore misterioso prese coraggio e si
presentò allo sventurato: “Salve. Perdoni il disturbo e l’orario. Mi sono smarrito nella
notte fra le vie del paese. Cerco un posto in cui poter alloggiare per questa notte … sa
dirmi dove lo posso trovare?” Ettore lo guardava perplesso. Non capiva cosa ci
facesse quell’uomo nel pieno della notte in un piccolo paesino spaesato dal resto
dell’universo. “No, mi spiace. Non c’è nulla per i viandanti. L’albergo più vicino è a

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venti-trenta minuti in auto”. L’uomo non rispose. Il poco che mostrava il suo volto
nell’oscurità lasciava trasparire il suo sconforto dopo aver appreso la cattiva notizia.
Ettore fu preso da una sensazione strana: sentì dentro sé che non poteva lasciar
scomparire l’uomo nel buio, l’avrebbe lasciato al vento di quella notte senza un tetto
sotto cui dormire, solo con la luna e le stelle. Sentì la presenza del destino proprio di
fronte a lui, come se gli volesse indicare qualcosa. Il signore stava già allontanandosi
pronunciando un sincero “grazie”, quando Ettore lo fermò: “Aspetti”. L’uomo si
voltò di colpo. “Se vuole può restare da me questa notte. Ho un letto in più e non mi
crea alcun disturbo ospitarla”. L’uomo, che fino a quel momento era rimasto celato
nell’ombra, si tolse il cappello e mostrò un sorriso sincero illuminato dalla fioca luce
della luna. Ettore scorse subito quel tratto di felicità che stava vivendo il suo ospite e
fu grato per quel grande gesto di umanità che aveva compiuto. Dentro di sé, tuttavia,
continuava imperterrito a domandarsi da dove fosse spuntato quel coraggio e quel
senso di appartenenza alla vita che ormai da tempo non si vedeva più nell’oscura
realtà che lo circondava. Senza troppe parole o domande lo fece accomodare in casa,
gli mostrò le stanze e gli offrì una tisana. Il signore non volle nulla, chiese solamente
di poter riposare poiché era da molte ore in viaggio; Ettore lo accompagnò nel
soggiorno in cui aveva preparato il letto (di giorno era un divano) e si congedò,
tornando ancora una volta a combattere la sua sfida più grande: riuscire a dormire.

   Il sonno sopraggiunse senza alcuna difficoltà, riuscì per la prima volta ad
addormentarsi senza alcun problema, vivendo con gioia la sua stessa generosità che
aveva donato. Sentiva la calma invadergli le vene, sentì dentro sé qualcosa che fino
ad allora non aveva provato. Era felicità? Non saprei raccontarvelo. Quel che so è che
lo stato in cui si trovava Ettore e che gli dava la possibilità di riposare sarebbe durato
ben poco, poiché presto avrebbe fatto i conti con la realtà, con l’incontro che aveva
vissuto e con la sua esistenza.
   La notte correva tentando di raggiungere l’alba, ma ancora era a metà del suo
percorso. La casa era avvolta da uno strano manto magico che fece risvegliare
lievemente Ettore. La sua camera era di colore bianco e confinava col soggiorno. Una
parete divideva le due stanze ed era attraversata da un’apertura che dava sulla stanza
in cui riposava il visitatore. Gli era stato spiegato che quella apertura era stata fatta
dalla famiglia che aveva vissuto prima di lui per controllare, inosservati, quello che
facessero i figli. In quel momento, nello stesso in cui riaprì gli occhi dopo aver
dormito per qualche tempo, si accorse che il soffitto della sua stanza era illuminato.
Dall’apertura proveniva una strana luce colorata. Si spaventò immediatamente.

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Voleva andare a controllare che il suo ospite stesse bene. Ebbe il coraggio necessario
per avvicinarsi alla porta, che era rimasta socchiusa, e scrutare ciò che stava
accadendo. L’uomo era in piedi e teneva fra le mani una piccola sfera, simile a quelle
che si vedono spesso dai maghi e dai veggenti; dall’oggetto che sorreggeva proveniva
una luce fortissima, che non consentiva ad Ettore di osservare il tutto con precisione.
Stette in silenzio per qualche secondo, cercando di trattenere il respiro ed ascoltare
ciò che stava accadendo a pochi passi da lui. L’uomo parlava con qualcuno.
Pronunciava dei nomi, un’infinità di nomi, in diverse lingue, con orribili toni. La sua
voce si faceva ora alta ora fioca e risuonava immensamente nell’aria della casa.
Ettore era stordito, non riusciva a capire, era spaventato, immobile. Non sapeva cosa
fare, dove andare, chi chiamare: quando si è soli nella vita l’unica persona da
chiamare siamo noi stessi. La corazza dell’eroe stava subendo numerosi colpi e si
stava per spezzare, avrebbe fatto uscire ciò che vi era nascosto al suo interno. Ettore
riconobbe ciò che stava accadendo e non si capacitava delle abilità del misterioso
signore. Non riuscì a controllarsi e si lasciò andare in un sonno profondo che non
aveva mai provato e cadde come un uomo morto nel soggiorno, a pochi passi da colui
che stava assegnando a sconosciute persone il loro destino.

   Si risvegliò molte ore dopo l’accaduto in un grande prato verde. Quell’uomo gli
era seduto accanto e osservava da un binocolo alcune persone in cammino sul
sentiero per il lago fra le montagne. Appena si rialzò, Ettore cercò di ricordare quello
che era successo. Era giorno; doveva essere passato molto tempo da quando era
svenuto. Non si fece prendere dal panico e volle caparbiamente scoprire chi fosse la
misteriosa figura che gli sedeva accanto. Disse: “Chi sei?”. L’uomo, senza distogliere
lo sguardo dalla sua attenta osservazione, rispose: “Io sono il destino”. Tolse lo
sguardo da ciò che stava osservando e guardò Ettore negli occhi: “Perdonami, Ettore,
per averti fatto spaventare, non era mia intenzione”. Il ragazzo rimase un momento in
silenzio non comprendendo ciò che stava accadendo. Quell’uomo si era presentato a
lui di notte, aveva degli oggetti magici e conosceva il suo nome senza che si fosse
presentato: pensò che fosse uno stupido scherzo. Ciò nonostante continuò ad
indagare: “Il destino?” La domanda di Ettore fu secca ed andò dritto al punto. “Sì,
sono il destino. Ettore, non farti domande, vieni con me”. L’uomo si alzò in piedi ed
invitò Ettore a fare due passi con lui. Il ragazzo lo seguì. Sentiva che gli poteva dare
qualcosa di speciale che non aveva, sentiva che quell’uomo, che sosteneva di essere il
destino, potesse essere la chiave per togliersi dal petto l’armatura impenetrabile che
aveva ed essere come tutti gli altri.

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Ettore aveva trovato una persona con cui parlare senza problemi, senza maschere,
essendo semplicemente sé stesso. Durante quella camminata il destino creava pian
piano un sorriso sul volto dell’eroe incompreso, gli stava lasciando un segno anche se
aveva ancora qualche dubbio che doveva per forza risanare:
   “Come mai sei venuto da me ieri sera?”.
   “Perché hai voluto accettarmi in casa tua senza sapere chi fossi?”. Rispose l’uomo
alla domanda di Ettore.
   “Ti ho fatto io per primo una domanda e tu mi rispondi con un’altra domanda?”,
ribatté Ettore sconcertato. “Si, ma la mia è la prima alla quale si può rispondere.
Ettore… tu mi hai aperto le porte di casa perché avevi bisogno di me, ed è per questo
che io ti sono venuto a cercare. Ti conosco da tempo, ancor prima che tu vedessi la
luce. Io sono qui per riportarti ad amare la vita come facevi tanto tempo fa”.
   Ettore era immobile. Non si sarebbe mai aspettato un riposta simile, soprattutto
perché era vera ogni singola parola che lui aveva pronunciato; forse quell’uomo era
davvero il destino. Stette ancora in silenzio, un silenzio che portava con sé parole,
grida e tristi sospiri. “So ciò che ti è successo. So quello che hai provato e provi
tuttora. Devi lasciarti andare con me, io posso il modo per voltare pagina e cambiare
finalmente il tuo destino”.
   Ettore stava in silenzio, non si era mai sentito così. Le emozioni lo stavano
investendo senza alcuna pietà e non riusciva a sopportarlo. Non aveva il coraggio di
affrontare il suo passato, tantomeno quell’uomo. Si fermò per un istante cercando di
ragionare, ma non riusciva: ogni suo pensiero era volato via, insieme ai suoi sogni e
alla sua felicità. “Tu non mi conosci. Non sai niente di me”. Disse come se avesse
compreso che era tutto uno scherzo. “Non ti ho mai visto e ora pretendi di poter
essere la soluzione ad ogni cosa… mi prendi forse per scemo?” L’uomo continuò a
camminare, non si voltò indietro: “Se hai bisogno del mio aiuto sono qui. Non
dipende da me, ma solo da te. Hai un’occasione unica. A te la scelta…”.
   Ettore non si riconosceva più in nulla, ogni cosa era diventata buona scusa per
abbandonare tutto e tornarsene a casa. Rispose senza pensare, ormai non gli rimaneva
nient’altro che sperare, in cosa non sapeva. “Scelta? Come?! L’uomo del destino mi
parla di scelta? Secondo me non sai neppure tu ciò che sei. Forse sei un fantasma
come me che per cercare la propria strada bussa alle case della gente e le fa diventare
matte facendo credere che lui è il destino. Se lo sei veramente, non mi avresti fatto
tutto questo. Se sei veramente il destino guardami – Ettore strinse con le braccia
l’uomo e lo guardò negli occhi – dimmi perché mia sorella non può più camminare,
dimmi perché io non ho la forza di guardarla in faccia e parlarle. Quell’incidente l’hai
voluto tu! Non sarei salito su quella dannata macchina se avessi saputo cosa sarebbe
successo! Non avrei guidato e sarei stato qui a camminare e parlare con Aurora!”.

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“Mi spiace per ciò che è successo quel giorno – disse il Destino cautamente – Mi
spiace molto. Ma io non potevo fare nulla. Quel giorno hai deciso tu di prendere la
macchina e Aurora ti ha seguito, è stata una sua scelta. Ogni cosa che vivi nella tua
vita avviene grazie o a causa di scelte. Ci sono cose che tu non puoi scegliere e cose
che io non posso controllare. Tutto questo spettacolo che viviamo è reso possibile da
infinità di gesti, infinità di parole, infinità di singole scelte. Ogni uomo è un piccolo
attore che recita una sua parte. Io sono il regista. Assegno delle parti a ciascuno di
voi, nient’altro. Lo spettacolo non lo scrivo io. Lo scrive ognuno di voi vivendo, lo
scrive la Vita. Ogni personaggio è libero di pronunciare la propria battuta, di entrare
o di uscire di scena. A volte lo spettacolo sa essere tragico, ma basta poco per farlo
ritornare una commedia, anche un sorriso o un semplice ‘grazie’. Ettore, non devi
vivere con il peso di quello che è successo. Sii te stesso e scegli quello che è più
giusto per te, anche se non sai quello che succederà. Il destino è dentro di noi. Io sono
dentro di te! Non lasciarti andare. Sei l’unico che può decidere chi vuoi essere”.

   Ettore se ne andò. Voleva correre, ma non riusciva. Quell’uomo aveva ragione,
aveva veramente ragione. Nulla poteva colmare quel vuoto che aveva dentro di sé e
che lo accompagnava da anni. Solo lui stesso avrebbe potuto chiuderlo e passarci
sopra: ma non sapeva come fare. Cercò un luogo in cui poter riposare e pensare un
po’. Si avviò lungo il sentiero che portava al monte affacciato sul golfo, sperando che
smettesse di seguirlo e lo lasciasse in pace: non fu così. Ettore camminava e lui gli
stava dietro.

   Il profumo del mare arrivava fino ai loro volti che osservavano il sole tramontare
all’orizzonte. Il mare visto dall’alto è bellissimo. Si unisce al cielo e ci si sente così
piccoli che si ammira la bellezza e si diventa più sereni. Così Ettore e il destino si
sentivano in quel momento: entrambi piccoli di fronte alla grandezza della vita.
Ettore non aveva più parlato con il destino dopo quella mattina. Quell’uomo era
riuscito davvero a fargli capire qualcosa, anzi molto della vita. Della sua vita. Stava a
lui decidere cosa fare. Non poteva più perdere tempo. Si alzò a respirare ancora una
volta quel profumo di libertà e guardò con un sorriso accennato l’uomo del destino
che gli disse: “So che c’è una persona che aspetta una tua chiamata, da tanto tempo.
Non farti scappare questa occasione. Tu sai di chi sto parlando...”. Ettore non capiva,
aveva vissuto troppe emozioni in poche ore per avere la mente sveglia: “No, non
penso di aver capito. Ci sono poche persone che tengono veramente a me”. “Sempre
meglio poche ma buone – scherzò il Destino – Fidati, amare è la cosa più semplice

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e bella che possiamo compiere”. Ettore doveva andare; la strada per casa era molta e
preferiva tornare presto, il giorno dopo sarebbe tornato alla sua vita, alle sue scelte.
Ettore si voltò per salutare l’ultima volta quello strano uomo che aveva incontrato la
notte precedente. Non c’era più, era sparito, in un istante. Ettore sorrise ed ebbe la
certezza che quello fosse veramente l’uomo del destino o, forse, semplicemente il
frutto della sua immaginazione… non lo saprà mai. Cominciò ad avviarsi sulla strada
per tornare a casa. Guardò ancora una volta il mare ed il cielo che si abbracciavano,
pronti ad accogliere la notte. Decise di sedersi ed ammirare ancora un po’ la bellezza
che lo circondava. Prese il cellulare e compose il numero di Aurora.

   Non rividi più Ettore. Lo lasciai in preda alla vita e alle domande a cui doveva
rispondere. L’unica cosa di cui sono sicuro è che l’eroe dalla dura corazza era
diventato come gli altri, un uomo che provava ad essere felice. In fondo cos’è la vita,
se non la strada da percorrere per trovare la felicità?
   E’ arrivato il momento di chiudere il diario, non posso fare tardi. Le stelle già
danzano nel cielo e la luna chiama a gran voce il mio nome. Caro diario, ci
ritroveremo presto, con un nuovo attore di cui parlare e una storia da raccontare.
Ora tocca a me: devo prendere per mano qualcuno da aiutare e che sta aspettando
solo me. Presto il suo sonno silenzioso sarà rotto dall’aria di magia che respirerà, da
un rumore che non si aspetta: “Toc toc”.

  E verrà ad aprirmi la porta di casa, per cominciare una nuova vita.

Tuo sempre,
Il Destino

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